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Ricardo Flores Magón

A cura di Angelo D’Ambra

Un poster con Ricardo Flores Magón
Per introdurre questa figura storica partiamo da un articolo che pubblicò sul suo giornale, un articolo, come potrete leggere, bello carico di accuse a Pancho Villa. In questa critica c’è un pò tutto il pensiero magonista, la sua critica sociale, la sua idea di rivoluzione e di Messico.
“È noto che Villa conquistò le grandi fattorie di Luis Terrazas per lui e per i capi del suo esercito, tenendosele come proprietà, ed espulse gli amministratori di Terrazas, rimpiazzandoli con i suoi sostenitori.
Per quanto riguarda i contadini, fu loro detto di usare per proprio conto le fattorie e che i prodotti agricoli sarebbero stati loro e solo loro, e per quanto riguarda il bestiame e i cavalli, che si sarebbero presi cura di essi in cambio della metà del loro valore. I contadini filarono a lavorare con entusiasmo. Non ci sarebbe stata più miseria per loro e le loro famiglie; finalmente avrebbero potuto mandare i loro figli a scuola e un’era di benessere si stava aprendo davanti a loro. La delusione presto soppiantò il coraggio di quei lavoratori. Villa li aveva ingannati.
Nella città di El Paso, in Texas, un fratello di Villa, insieme a una società di spedizione nel Kansas, sta costruendo un capannone, al quale devono essere portati i bovini di Terrazas; le giumente da riproduzione ed i vitelli sono stati venduti, il tutto senza che gli ignari contadini abbiano ricevuto qualcosa. Infine, coltivazioni di grano, mais, patate, fagioli, piselli, patate dolci e tutto ciò che hanno piantato quei lavoratori è stato sequestrato da agenti villisti e venduto negli Stati Uniti senza dare un solo penny ai contadini, sebbene Villa avesse promesso che i raccolti sarebbero stati interamente loro.


Un ritratto fotografico di Ricardo Flores Magón

Questo tradimento di Villa ha causato una profonda insoddisfazione tra i peones e questo ha causato disordini in alcune haciendas, tra cui quella di Bavicora, La Quemada e altre cinque o sei. I lavoratori indignati si sono gettati sui trasportatori dei prodotti dei loro raccoli, li hanno presi con la forza, ne hanno bruciato le auto, ne hanno nascosti i muli e ora sono in armi controllando loro queste regioni. I villistas non osano entrare in questa zona che è quella dei distretti di Guerrero e Galeana”.
Tratto da “Villa traiciona a los trabajadores” Regeneración, N° 204, 12 de diciembre de 1914
Se con Villa i rapporti furono d’ostilità, quelli che Ricardo Flores Magón tenne con Zapata furono quasi idilliaci. Il mondo zapatista fu ampiamente influenzato dal magonismo.
Per cominciare è giusto precisare che la famosa frase “Tierra y libertad!” è di Ricardo Flores Magón e non di Zapata.
I due non si incontrarono, si conobbero solo attraverso terzi. Anzitutto Magdaleno Contreras, un magonista inviato a prendere contatti con i zapatisti mentre Ricardo Flores Magón era in carcere sull’isola di McNeil, nelle acque dello stato di Washington, nel 1912.
Contreras disse a Zapata: “Sei un uomo sincero che combatte per i contadini ma verrà il giorno in cui litigherai con Madero”. Si sentì rispondere: “Madero mi va bene perché si è offerto di risolvere il problema della terra”. Più tradì, come si sa, effettivamente Zapata e Madero entrarono in contrasto. Quest’ultimo accettò il disarmo e tentò di corrompere Zapata offrendogli una hacienda a Veracruz, ciò indusse il rivoluzionario a continuare la sua lotta per una radicale riforma agraria.
Dopo Contreras, un altro magonista visitò Zapata. Si chiamava Josè Guerra, fu lui a rendere noto a Zapata il motto “Tierra y Libertad!”. Ricardo Flores Magón era ancora in prigione ma, tramite Guerra, sollecitò Zapata ad andare avanti contro Madero finché i contadini non avessero avuto la terra. All’epoca il motto zapatista era “Justicia, Libertad y Ley”, ideato con Otilio Montaño. Con questo motto Zapata terminò la stesura del Plan de Ayala, ma, conosciuto quello di Ricardo Flores Magón, lo preferì e lo adottò come proprio.
Da allora la vicinanza politica tra Magón e Zapata fu strettissima.
Un terzo magonista, Jesús María Rangel incontrò Zapata che a questo punto voleva a tutti i costi Ricardo Flores Magón, col suo giornale, tra i suoi uomini. Purtroppo Flores Magón era in prigione… vi restò fino al 1914, per tornare a Los Angeles e continuare con la pubblicazione di Regeneración nella California messicana.
Quando Ricardo Flores Magón uscì dal carcere, Madero – dopo aver pure fatto imprigionare Villa – era morto, assassinato in prigione da Victoriano Huerta, il generale che Madero stesso aveva chiamato a combattere Zapata, l’amico di una volta. Huerta condannò pure Villa a morte costringendolo ad espatriare per rientrare più tardi e sostenere, ancora con Zapata, il leader dei costituzionalisti Venustiano Carranza.


Pancho Villa e i suoi

Questi deluse zapatisti e villisti, aprì le porte del carcere per una seconda volta a Ricardo Flores Magón, e riuscì a sconfiggere sia Villa che Zapata.
La rivoluzione sociale contadina e indigenista era fallita.
Forse, tra Emiliano Zapata e Magón c’era pure stato uno scambio di lettere già nel 1913, ma le prove sono andate distrutte.
A differenza di Zapata, Flores Magón non ebbe mai fiducia nè nei liberali moderati di Madero nè nei costituzionalisti di Carranza. Non c’erano altre evidenti diversità tra i due, mentre Magón si mantenne sempre ostile verso Villa, ancor più quando, nel 1914, i villisti arrestarono la magonista Basilia Franco a Chihuahua.
In ogni rivoluzione ci sono leader e divisioni, diverse visioni di come debbano andare le cose, diverse idee della società da costruire. La rivoluzione messicana del 1910 non fece eccezione. Nel suo mondo di intrighi, cartucciere, sombreri, baffi e carabine 30-30, brillarono tanti uomini, Pancho Villa e Zapata su tutti. Certe differenze però non emergono così chiaramente, non erano evidenti neppure all’epoca.
Entrambi, Villa e Zapata, appaiono in una foto divenuta celebre seduti l’uno accanto all’altro. Villa si sedette sulla sedia presidenziale, Zapata gli fu accanto a sinistra. Era il 6 dicembre del 1914 e Agustín Victor Casasola scattò il clic che immortalò una giornata di festa in una Città del Messico che accoglieva i 60.000 armati del Sud e del Nord. Carranza riparava a Veracruz, la rivoluzione sembrava aver già vinto eppure qualcosa non andava.
Villa s’era affrettato a sedersi sulla sedia presidenziale, Zapata no, Zapata s’era rifiutato dicendo: “Non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano”.
Che tra i due ci fossero certe differenze è noto. Che Zapata fosse più politicizzato si sa. Lo capiva bene anche Ricardo Flores Magón.
In quell’anno Basilia Franco aveva attraversato la frontiera e s’era messa a distribuire fogli propagandistici magonisti a Ciudad Juárez, nello stato di Chihuahua. Fu catturata e incarcerata su ordine diretto di Pancho Villa, in attuazione di un decreto di Madero con cui si vietava la diffusione di Regeneración. La censura della stampa operata da Villa e dai maderisti era una vera e propria negazione delle libertà che comportava condanne e prigionieri politici anche rivoluzionari. Fu il primo tassello di una repressione violenta di scioperi e occupazioni terriere che evidenziarono il tradimento di Madero. Chi era Madero? Era un proprietario terriero e commerciante del Nord del Messico che in un libro “La sucesion presidencial en 1910” s’era fatto portavoce di una serie di riforme liberali tra cui quella della terra. Questi sarebbe entrato poi in conflitto anche con Villa, ma l’opinione di Magón non sarebbe mutata: Zapata era onesto, Villa era inaffidabile.
La rivoluzione durò 10 anni, dal 1910 al 1920 e scosse una società di diseguaglianze estreme che, dal 1876, era stata governata in maniera asfissiante e retrograda dal generale Porfirio Díaz. Durante la dittatura i problemi sociali ed economici del Messico si erano esasperati. Su tutti primeggiava il tema agrario perché s’era costituita una fascia sociale di grandi latifondisti corrotti e violenti che avevano occupato terre spesso coltivate collettivamente da secoli dalle comunità indigene. Nelle grandi haciendas del Messico si lavorava in condizioni di schiavismo e ciò aveva determinato una lunga serie di rivolte durante tutta la seconda parte dell’Ottocento, crudelmente schiacciate dalla dittatura.


Ricardo Flores Magón, José Doroteo Arango Arámbula detto Francisco Pancho Villa e Emiliano Zapata Salazar

Probabilmente la parte più radicale di questo mondo in attesa di cambiamento si espresse nel Partido Liberal Mexicano fondato da Ricardo Flores Magón nel 1899. Diretto da una Junta Organizadora costituita da Ricardo e dal fratello Enrique, da Práxedis Gilberto Guerrero e Librado Rivera, organizzò una rete di comitati clandestini di propaganda e lotta. Il suo settimanale Regeneración raggiunse una tiratura di oltre 30.000 copie. Agli inizi del secolo era il più organizzato dei movimenti radicali e si fece sentire negli scioperi della fabbrica tessile di Cananea e alle miniere di Río Blanco, sanguinosamente repressi dalle forze di Porfirio Díaz. Nello stesso periodo i magonisti costruirono 44 nuclei guerriglieri in tutto il paese e portarono avanti una serie di rivolte in varie zone. Il 26 settembre del 1906, il gruppo di Juan Jose Arredondo assaltò la città di Jiménez, altri agirono a Monclova, Zaragoza, Ciudad Porfirio Díaz, Veracruz, Acayucan, Minatitlán e Puerto México… ovunque però fallirono sotto le fucilate dell’esercito e dei rurales. In questo percorso l’iniziale vago liberalismo era ormai divenuto un convinto anarchismo collettivista fortemente influenzato da Proudhon, Bakunin, Malatesta e Kropotkin.
Prima che la seconda ondata di rivolte armate potesse scuotere il paese, nel 1907, il governo riuscì a bloccare la Junta Organizadora arrestando, a Los Angeles, Magón, Librado Rivera e Antonio Villareal. Il fatto che i capi magonisti fossero in carcere però non fermò i loro seguaci ed il 24 giugno del 1908 gli eserciti magonisti attaccarono Viesca, Los Hornos, Matamoros etc. Furono ancora una volta sconfitti. Il PLM fu presente anche nell’organizzazione degli scioperi che paralizzarono le ferrovie da Città del Messico verso il Nord.
Fin qui parliamo di tentativi insurrezionali territorialmente circoscritti. La rivoluzione vera e propria scoppiò quando i liberali moderati di Francisco Ignacio Madero, fino ad allora nelle fila governative, si ribellarono per l’ennesima rielezione di Porfirio Díaz… i magonisti parteciparono ai combattimenti che nacquero e occuparono la Bassa California con una cellula guerrigliera costituita in territorio statunitense da anarchici americani ed europei. Presero Mexicali e Tijuana, apportando il più duro colpo alla dittatura porfirista. Tuttavia ritenevano che Madero non avesse alcuna intenzione di attuare una vera riforma agraria. Scomparso dalla scena Díaz, dovettero allora fare i conti con i maderisti.
La rivoluzione divenne nei fatti una guerra civile contro il nuovo regime di Madero, in essenza molto simile al vecchio. Scoppiarono in pochi mesi numerose rivolte sociali, tra cui quella di Zapata nel Morelos, e quando un golpe depose Madero, il nuovo presidente, il generale Huerta, seguitò su una strada di restaurazione portando avanti una violenta repressione delle formazioni rivoluzionarie di Zapata, Villa, Carranza e Álvaro Obregón. Sconfitto Huerta, fu la volta di Carranza scontrarsi con le componenti più radicali della rivoluzione. Carranza addirittura ordinò di restituire ai proprietari le terre distribuite dai rivoluzionari ai contadini!
Ormai però i magonisti erano una forza marginale. Lo zapatismo ne aveva assorbito il comunitarismo, la democrazia diretta, ma la Junta era impigliata in una vasta serie di arresti e persecuzioni poliziesche negli Usa.
Ricardo Flores Magón fu un rivoluzionario vero, irriducibile, solo l’esilio e la prigionia ne limitarono il peso politico. Nel 1921 rifiutò di pentirsi pubblicamente delle sue idee per ottenere l’indulto. Il 21 novembre del 1922 morì in circostanze misteriose nella sua cella. Magón era malato da tempo e quasi cieco. Una delle ipotesi più accreditate afferma che fu assassinato dalle guardie. In una lettera inviata ad un amico scrisse: “Al Dipartimento di Giustizia, il signor Weinberger è stato informato che nulla può essere fatto a mio favore se non faccio una richiesta di perdono. Questo suggella il mio destino, accecherò, marcirò e morirò in queste orrende mura che mi separano dal resto del mondo. Perché non chiederò perdono, non lo farò. Nei miei ventinove anni di lotta per la libertà ho perso tutto, e ogni opportunità di diventare ricco e famoso, ho trascorso molti anni della mia vita nelle prigioni. Sono stato vagabondo e paria, sono stato svenuto dalla fame, la mia vita è stata in pericolo molte volte, ho perso la mia salute, in breve, ho perso tutto, tranne una cosa, una cosa che difendo, una cosa di cui mi prendo cura e conservo quasi con zelo fanatico, e questa cosa è il mio onore di combattente. Chiedere perdono significherebbe che mi rammarico di aver osato rovesciare il capitalismo per mettere in atto un sistema basato sulla libera associazione dei lavoratori alla produzione e al consumo, e non mi dispiace per quello; Sono piuttosto orgoglioso di ciò. Chiedere perdono significherebbe che ho abdicato ai miei ideali anarchici; e non mi ritraggo, affermando che se la specie umana arriverà mai a godere della vera fratellanza e della libertà, e della giustizia sociale, sarà attraverso l’anarchismo.

Quindi, mio caro Nicolás, sono condannato a non vedere e muoio in prigione; Preferisco questo più che voltare le spalle ai lavoratori, e aprire le porte della prigione al prezzo della mia vergogna. Non sopravvivrò alla mia prigionia, perché sono già vecchio; ma quando morirò, i miei amici potranno scrivere sulla mia tomba: Qui giace un sognatore, e i miei nemici: Qui giace un pazzo; ma non ci sarà nessuno che oserà dire Qui giace un vigliacco e un traditore delle sue idee”.