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Florida 1817, il massacro Scott sul fiume Apalachicola

A cura di Renato Ruggeri

Il massacro Scott del 30 novembre 1817 fu la prima sconfitta militare dell’esercito US nelle guerre Seminole. In una breve e sanguinosa battaglia sul corso superiore del fiume Apalachicola in quella che è, oggi, Gadsden County, Florida, ma che, a quel tempo, era la Spanish Florida, dodici miglia a sud di Fort Scott, una forza composta da guerrieri Seminole, Creek Red Sticks, Yuchi, e Africani, i Seminole Neri assalì un barcone comandato dal Lt Richard. W. Scott che portava a bordo una compagnia di soldati e 11 civili, 7 donne e 4 bambini.
Delle persone a bordo, solo 7 si salvarono, 6 uomini e una donna, Elizabeth Stewart, che fu presa prigioniera e poi liberata. Tutti gli altri furono uccisi e scalpati. Gli scalpi insanguinati furono trovati, in seguito, attaccati a un palo nel villaggio Seminole-Micasuki di Miccosukee.
Occupato dal 1816 al 1821 Fort Scott fu una delle postazioni militari più importanti sulla frontiera meridionale degli Stati Uniti.
Costruito nel giugno 1816 dal 4th US Infantry alla confluenza dei fiumi Flint e Chattahoochee, fu il punto di lancio per una delle più significative invasioni della Florida Spagnola compiuta dalle truppe US. La prima palizzata in legno fu usata come base per le operazioni militari contro il cosiddetto “Negro Fort” sul fiume Apalachicola. Una palla di cannone passata attraverso la porta aperta della polveriera fece esplodere il forte con una detonazione che si udì fino a Pensacola. Nella terribile esplosione perirono 270 dei 350 uomini, donne e bambini che abitavano il forte.


Mappa degli eventi

I superstiti furono portati a Camp Crawford, un avamposto temporaneo situato sulla riva occidentale del fiume Flint, 7 miglia a nord del confine tra Florida e Georgia. Il luogo era strategicamente importante e così i soldati iniziarono a costruire una struttura permanente, con baracche per le truppe e abitazioni più confortevoli per gli ufficiali.
La nuova postazione fu chiamata Fort Scott, in onore del Generale Winfield. T. Scott, un eroe della guerra del 1812.
Il forte era ancora incompleto quando il Dipartimento della Guerra ordinò al Colonnello Duncan Lamont Clinch e ai suoi uomini del 4th Us Infantry di evacuarlo.
L’ufficiale lasciò in consegna gli edifici e le provviste a George Perryman, un mercante che era fratello dei due capi Lower Creek William e Ben Perryman.
Tra i fiumi Flint e Chattahoochee vivevano, però, molti guerrieri Creek Red Stick che si erano rifugiati nella zona dopo la disfatta di Horseshoe Bend.
Quando i soldati partirono, i guerrieri minacciarono Perryman e lo costrinsero a fuggire. Il mercante riuscì a portare in salvo solo la famiglia su una canoa.


Mappa dei forti

I Creek razziarono le provviste e diedero fuoco alla palizzata e a alcuni edifici.
All’inizio del 1817 la tensione al confine tra Florida e Georgia salì alle stelle. Coloni e fuorilegge bianchi, “Georgia backwoods” e “illegal squatters” varcavano il confine per catturare gli schiavi fuggiti dalle piantagioni e rubare bestiame e gli Indiani rispondevano con fulminee incursioni.
Il fatto più sanguinoso avvenne il 24 febbraio quando la fattoria isolata di Obadiah Garrett, che si trovava nella contea di Camden, Georgia sudorientale, vicino alla palude di Okefenokee, fu assalita da una banda di 15 guerrieri Seminole o Mikasuki mentre il marito era assente.
Fanny Garrett fu colpita da due proiettili, pugnalata allo stomaco e scalpata. Anche i due figli, uno di 3 anni e l’altro di 2 mesi furono uccisi. Il maggiore fu scalpato. Gli Indiani razziarono la casa e appiccarono il fuoco.
I coloni, infuriati, reclamarono vendetta, l’assassinio di tre innocenti non poteva restare impunito.


Il luogo in cui sorgeva Fort Scott

David Mitchell, l’Agente Indiano per la Georgia, cercò di gettare acqua sul fuoco. Scrisse una lettera al Dipartimento della guerra spiegando che l’assassinio dei Garrett era stato un atto di rappresaglia causato dall’omicidio di alcuni Indiani compiuto da bianchi della Georgia oltre il confine e aggiunse che non si aspettava ulteriori conseguenze. Il vero problema era l’abbandono di Fort Scott. Secondo Mitchell la partenza dei soldati era stata recepita dagli Indiani come un atto di debolezza e li aveva imbaldanziti. Consigliò di riattivare Fort Scott.
Il suggerimento di Mitchell fu subito raccolto dal Generale Edmund Gaines, comandante delle truppe lungo il confine della Florida. Gaines decise di ricostruire Camp Crawford/Fort Scott.
All’inizio di maggio 1817 una compagnia del 4th US Artillery comandata dal Capitano Samuel Donoho partì da Charleston diretta a Fort Scott vicino al confine tra Florida e Georgia.
La compagnia era poco numerosa, una trentina di soldati. Mandare così pochi uomini in un luogo selvaggio e remoto era un grosso rischio ma i soldati obbedirono e dopo un lungo e lento viaggio raggiunsero Fort Scott all’inizio di giugno.
Trovarono il forte molto danneggiato. Il fuoco aveva distrutto la palizzata e gran parte degli edifici. Gli artiglieri iniziarono a tagliare tronchi e a trascinarli verso il compound in rovina. Ma il compito era difficile e il forte fu ultimato solo a dicembre.
Neamathla e Twiggs
La piccola compagnia di Donoho rimase isolata in mezzo alla natura selvaggia per circa un mese. Poi a luglio arrivarono il Maggiore David Twiggs e i rinforzi del 7th US Infantry e il numero dei soldati salì a 116.
Subito dopo l’arrivo al forte Twiggs inviò alcuni messaggeri ai villaggi Indiani vicini invitando i capi a un incontro.
Il 4 agosto alcuni capi si presentarono e Twiggs lesse loro un messaggio del Generale Edmund Gaines. ”Il Presidente era arrabbiato per l’assassinio dei Garrett compiuto da Indiani ostili e aveva autorizzato l’arresto dei colpevoli”.
La maggior parte dei capi ebbero un atteggiamento conciliante e rispettoso nei confronti di Twiggs e del suo messaggio e promisero di rispondere entro 10 giorni.
L’unica eccezione fu Neamathla, il capo del villaggio Mikasuki di Fowltown che si trovava a alcune miglia da Fort Scott sul lato orientale del fiume Flint.
Il capo disse a Twiggs che il Flint River era una linea da non oltrepassare e avvisò i soldati di non tagliare neppure un filo d’erba sul lato indiano del fiume. La terra gli era stata data dagli spiriti e intendeva difenderla.
La risposta alla domanda di Twiggs tardava a arrivare e così il Maggiore mandò, il 6 settembre, un messaggero di nome Gregory al villaggio di Miccosukee per sollecitare una risposta.
Il 18 settembre 1817 Kenhajo, capo principale dei Mikasuki inviò una riposta scritta. Descrivendo la causa dell’assassinio dei Garrett, il capo spiegò che alcuni giovani che stavano cacciando erano stati uccisi e la pentola di uno di loro era stata trovata all’interno della fattoria dei Garrett. I Seminole avevano creduto che il marito fosse uno dei colpevoli degli omicidi e si erano vendicati.
La questione principale era a chi appartenesse la terra dove sorgevano Fort Scott e Fowltown.


Un guerriero Seminole

Per il Generale Gaines la risposta era scontata. Fowltown si trovava in Georgia, su suolo americano, in un‘area che era stata ceduta dai Creek al termine della guerra del Bastone Rosso.


Un altro guerriero Seminole

Neamathla e i Mikasuki erano di parere diverso. Vivevano su quella terra da prima che esistessero gli Stati Uniti, non si consideravano Creek e non avevano partecipato alla guerra.
Gaines era, però, un ufficiale risoluto e decise di passare all’azione anticipando gli ordini da Washington.
Ordinò al 4th e al 7th Infantry Regiments, che formavano la First Brigade dell’esercito, di muoversi da Camp Montgomery e Montpelier, in Alabama, verso Fort Scott.
Non vi erano strade dirette da seguire e il compito di trasferire equipaggiamenti e provviste verso un luogo così selvaggio era quasi inconcepibile a quei tempi.
Gaines fece tracciare una nuova strada attraverso i boschi in direzione di Fort Gaines. Questo sentiero, tagliato a colpi d’ascia, accorciava il percorso. Da Fort Gaines i soldati avrebbero, poi, proseguito verso Fort Scott via terra e in barca.
Gaines ordinò, inoltre, al Maggiore Peter Muhlenberg del 4th Infantry di recarsi a Mobile, in Alabama, per comprare provviste e uniformi.
Il compito di Muhlenberg era acquistare da alcuni mercanti beni di prima necessità come porco salato, aceto, candele, sapone, munizioni e uniformi e imbarcarli su due corvette (sloop), il Phoebe Ann e il Generale Pike e sulla goletta (schooner) Little Sally, insieme a un equipaggio che comprendeva ottanta soldati, alcune donne mogli di soldati di Fort Scott e quattro bambini.
Le tre imbarcazioni lasciarono Mobile il 2 novembre. Quando cadde la sera, si persero di vista e si raggrupparono solo il 20 novembre nella baia del fiume Apalachicola.
Il Generale Gaines
Muhlenberg non spiegò i motivi del ritardo, la distanza con vento moderato poteva essere coperta in 3-4 giorni, sebbene a quel tempo la navigazione fosse soggetta ai capricci del vento.
Gaines era impaziente di raggiungere Fort Scott e così decise di precedere, con una piccola avanguardia, il grosso del suo esercito.
Vi arrivò il 9 novembre, ma a attenderlo vi era una spiacevole sorpresa.
Il convoglio di Muhlenberg non era ancora arrivato.
L’ulteriore ritardo era stato causato dall’acqua bassa del fiume Apalachicola. I tre vascelli oceanici, a causa del loro pescaggio, non erano in grado di risalire il fiume fino a quando il livello delle acque non si fosse alzato. Mulhenberg era costretto all’ancora nella baia di Apalachicola.
Gaines non sapeva, però, dove fosse e così decise di mandare in suo soccorso il Lt Richard. W. Scott.
Scott, con un equipaggio di 40 soldati, quasi tutti del 7th Infantry, doveva discendere l’Apalachicola river e aiutare la flottiglia di Muhlenberg a risalire il corso del fiume fino a Fort Scott.
La barca con cui Scott si apprestava a raggiungere Mulhenberg era a fondo piatto, probabilmente a remi e era disegnata per navigare in favore di corrente.
Quando il livello delle acque era basso, si adoperavano lunghi pali per spingerla in avanti.
Per navigare contro corrente, si usava un sistema chiamato “warping” che consisteva nel gettare fuori bordo un pesante gancio di ferro legato a una fune. Quando il gancio toccava il fondo e si ancorava, alcuni uomini tiravano la fune e, in questo modo, direzionavano l’imbarcazione.
Sappiamo che era un open boat, non aveva, cioè, paratie laterali in legno con feritoie e neppure cannoni montati a difesa e che era dotata di una piccola cabina.
Non sappiamo, invece, se fosse equipaggiata con un albero e una vela.
Scott raggiunse in 3-4 giorni il convoglio di Muhlenberg ancorato alla foce del fiume Apalachicola.


Barche sul fiume, in tutto simili a quelle del gruppo Scott

Il Maggiore fu, però, deluso dall’arrivo di una sola imbarcazione con 40 soldati a bordo. Aveva sperato in più uomini e, soprattutto, più barche su cui trasferire parte del carico e alleggerire i tre vascelli, rendendo subito possibile la navigazione sul fiume.
Mulhenberg aveva, anche, un altro grave problema.
Alcuni suoi soldati si erano ammalati di febbre tropicale durante il viaggio da Mobile a Apalachicola Bay. Necessitavano di cure urgenti e il medico più vicino si trovava a Fort Scott.
Il Maggiore ne fece imbarcare 20, i più gravi, insieme alle donne, ai bambini e a un carico di uniformi sulla barca di Scott, al posto di 20 uomini abili e in salute.
Poi diede al Luogotenente una lettera da consegnare al Generale in cui chiedeva ulteriori aiuti e gli ordinò di risalire il fiume e ritornare al forte, contravvenendo, in questo modo, agli ordini di Gaines secondo cui le imbarcazioni dovevano rimanere tutte insieme.
Quello che i due ufficiali non sapevano era che il 21 novembre i soldati di Gaines avevano assalito Fowltown, dando così inizio alla Prima Guerra Seminole.
Nella prima parte del viaggio di ritorno non ci furono difficoltà, a parte la corrente contraria.
Sembrava che ci fossero più guerrieri del solito lungo le rive del fiume, ma non interferivano con il passaggio dell’imbarcazione.
Le cose cambiarono quando Scott e il suo equipaggio, il 28 novembre, raggiunsero il Forbes and Company trading post a Spanish Bluff. Il proprietario, William Hambly, informò Scott dell’inizio delle ostilità e lo avvisò che centinaia di guerrieri Seminole, Creek e Africani stavano convergendo verso il fiume Apalachicola, vicino al confine tra Georgia e Florida.
Presso il trading post vi era il villaggio di John Blunt, un capo Creek amico dei bianchi. Scott, ingaggiò, per tre dollari, un messaggero indiano e lo inviò a Fort Scott con un messaggio per Gaines.
“Mr Hambly mi ha informato che gli Indiani si stanno radunando alla giunzione dei due fiumi, dove intendono sferrare un attacco contro i vascelli che risalgono il fiume. Se questo fosse il caso, io non sarei in grado di resistere. Il mio comando non supera i 40 uomini e metà sono malati e senza armi. Parto immediatamente”.
La distanza tra Spanish Bluff e Fort Scott poteva essere coperta, in condizioni normali, in un giorno, ma il messaggero per evitare gli ostili, fece un giro più largo e ne impiegò due, giungendo a destinazione a mezzogiorno del 30.
Il Luogotenente comprese chiaramente la minaccia che lo attendeva sull’alto corso del fiume Apalachicola.
Per quale motivo continuò il viaggio, invece di tornare indietro, rimane un mistero.


I Seminole all’attacco

Forse sottostimò il tempo di arrivo del messaggero e pensò che i rinforzi sarebbero giunti in tempo. Oppure aveva una scarsa considerazione delle capacità di combattimento dei Seminole e dei Creek. O forse pensava che navigare con una barca al centro del fiume fosse una protezione sufficiente contro un attacco indiano Oppure lo tradì un eccesso di zelo e ritenne che fosse suo preciso dovere portare a compimento gli ordini di Muhlenberg.
Quali siano state le ragioni, Scott fece un errore fatale.
Continuò la navigazione lungo il fiume Apalachicola, pur sapendo
che gli Indiani lo stavano aspettando.
Il giorno più sanguinoso della Prima Guerra Seminole, il 30 novembre 1817, iniziò come tutti gli altri giorni.
A bordo dell’imbarcazione gli uomini, le donne e i bambini rabbrividivano nella foschia del primo mattino.
Alcuni soldati tremavano per il freddo, metà anche per la febbre che li aveva colpiti durante il viaggio da Mobile a Apalachicola Bay. Sulla sponda orientale del fiume, nascosti dietro gli alberi e dalla fitta vegetazione che non faceva passare i raggi del sole, centinaia di guerrieri Creek, Seminole e Africani rabbrividivano nello stesso modo.
Oggi vi è una diga alla confluenza dei fiumi Flint e Chattahoochee che ha formato Seminole Lake.
Circa un miglio oltre la diga il fiume Apalachicola forma un’ampia curva.
È un posto piacevole, con un approdo per le barche, un parco giochi e tavoli da picnic. Lungo il fiume vi sono della panchine dove ci si può sedere e immaginare quando il fiume scorreva impetuoso, senza l’ostacolo della diga, alimentato dalle acque che provenivano dai monti della Georgia settentrionale.
Questo è il luogo dove avvenne il massacro.
Quando l’imbarcazione di Scott entrò nell’ansa del fiume, gli uomini e le donne tirarono, probabilmente, un sospiro di sollievo, vedevano la confluenza poco più avanti. Oltre c’era Fort Scott.
Avevano da poco oltrepassato i villaggi di due capi amici, Mulatto King e Yellow Hair.
Quando la barca entrò nella parte più ampia dell’ansa, fu colpita dalla corrente che proveniva dai due tributari del fiume Apalachicola. Era tardo autunno e il livello delle acque si stava, gradualmente, alzando, rendendo la corrente più impetuosa.


Il fiume

L’imbarcazione fu spinta dal centro verso la sponda orientale del fiume, e gli uomini si piegarono sui remi cercando di mantenere la posizione.
La corrente era, però, molto forte e spinse la barca sempre più vicino alla riva.
Quello che i soldati potevano vedere erano gli alberi e i cespugli e la loro attenzione era concentrata, interamente, sulla navigazione.
Col freddo del primo mattino che veniva sostituito, a poco a poco, dall’adrenalina che scorreva nelle vene, centinaia di guerrieri aspettavano, nascosti nella fitta vegetazione, l’ordine di aprire il fuoco.
I guerrieri allineati sulla sponda provenivano da molti villaggi e parlavano lingue diverse.
C’erano gli “Hitchiti speakers”, i Mikasuki da Fowltown, Miccosukee e Attapulgas, i “Muskogee speakers”, i Creek Red Sticks di Homathlemico e Peter McQueen e i Seminole di Boleck, persino gli Yuchi di Yuchi Billy, dal linguaggio quasi incomprensibile.
E poi i guerrieri Africani, i Seminole Neri. Alcuni di loro parlavano Inglese, altri Spagnolo, pochi provenienti dalla zona di Mobile il Francese. Gli schiavi arrivati più di recente dall’Africa parlavano la lingua e i dialetti del continente nativo.
Il comando generale delle forze indiane fu attribuito, a quel tempo, a Homathlemico, un capo Red Stick che era fuggito dall’Alabama dopo la disfatta di Horseshoe Bend. Il suo secondo era Chenubby, capo guerriero del villaggio di Fowltown.


L’attacco dei guerrieri Seminole

Le fonti dell’epoca stimarono in 500 il numero totale dei guerrieri.
Sulla barca di Scott vi erano solo 20 uomini in grado di sparare.
La superiorità degli attaccanti fu di 25 a 1.
Mentre l’attenzione dell’equipaggio era concentrata totalmente sulla navigazione improvvisamente, dalla sponda orientale del fiume Apalachicola, esplose un muro di fiamme.
La prima raffica uccise o ferì gravemente il Lt Scott e gran parte degli uomini validi che caddero a terra senza sparare un colpo. La barca, non più governata, fu spinta dalla corrente verso la riva e le grida di guerra dei guerrieri Creek, Seminole e Africani si alzarono, sovrastando le urla di terrore delle donne e dei bambini.
Tra i soldati sulla barca c’era John Gray.
Ferito dalla prima scarica, si trovava ancora a Fort Scott quando arrivò, nel marzo 1818, il Generale Andrew Jackson alla testa di una brigata di miliziani della Georgia.
Gray fece un racconto della battaglia al Maggiore Thomas Woodward, un ufficiale al seguito di Jackson. Quarant’anni dopo Woodward lo incluse in una lettera spedita a John Banks, suo compagno d’armi all’epoca.
“Mentre gli uomini cercavano di governare la barca gli Indiani, da un fitto canneto vicino alla riva, spararono su di loro uccidendo e ferendo molti dei soldati con la prima scarica. Quelli che non furono colpiti, cercarono di resistere ma furono tutti uccisi, a eccezione di Mrs Stuart e di due soldati, Gray e un altro di cui ho dimenticato il nome. Furono entrambi feriti, ma riuscirono a salvarsi nuotando fino alla sponda opposta“.
Sei o forse sette soldati sopravvissero al massacro, non solo i due ricordati da Woodward. La Mrs Stuart menzionata era la diciassettenne Elizabeth Stewart, come è meglio conosciuta, (anche se Stuart sembra il cognome più corretto), moglie di un Sergente di Fort Scott. Si trovava sulla barca insieme a sei altre donne, anche loro mogli di soldati, e a quattro bambini. Fu l’unica a salvarsi e fu liberata nell’aprile 1818 durante la battaglia di Econfina.
Secondo i ricordi di Woodward, quando l’imbarcazione, non più governata, arrivò vicino alla riva, i guerrieri corsero in acqua e si issarono a bordo. Dal momento che quasi tutti gli uomini validi erano morti, a distanza ravvicinata i coltelle, le accette e le mazze da guerra ebbero facilmente ragione delle baionette.
Ci fu, però, un atto di grande eroismo.

Il Sergente Frederick McIntosh del 7th US Infantry, quando vide che tutto era perduto, entrò nella cabina in cui c’era uno swivel gun, un piccolo cannone, lo caricò, lo portò sul ponte della barca e, tenendolo sotto a un braccio, fece fuoco, uccidendo gli Indiani che erano già saliti. Il rinculo lo gettò in acqua dove annegò, ma l’esplosione fermò, per qualche attimo, l’attacco e alcuni soldati, benchè feriti, Gray e cinque altri, si gettarono fuori bordo e, nuotando sott’acqua, raggiunsero la riva opposta. Di questi solo uno era illeso. Altri potrebbero aver tentato l’impresa ma, feriti in modo più grave, probabilmente annegarono prima di raggiungere la sponda occidentale dell’Apalachicola.
I superstiti furono raccolti dagli abitanti dei villaggi di Mulatto Ring e Yellow Hair, (forse anche un settimo soldato, gravemente ferito, riuscì a fuggire e fu soccorso da alcuni Indiani amici, ma non si sa se riuscì a raggiungere Fort Scott).
Le cose andarono molto peggio per gli uomini feriti, le donne e i bambini intrappolati sulla barca. Furono tutti uccisi con le accette e le mazze da guerra e i loro corpi mutilati.
Peter Cook, un mercante delle Bahamas che combattè, durante la guerra, con i Seminole, raccontò che i bambini furono afferrati per le anche e la loro testa fracassata contro i lati della barca. Gli scalpi furono, in seguito, trovati appesi a un palo nel villaggio di Miccosukee. Due donne sopravvissero alla carneficina. Elizabeth Stewart (o Stuart) e un’altra donna la cui identità rimane sconosciuta. Quest’ultima, terrorizzata e troppo stanca per camminare, fu uccisa dai guerrieri che stavano tornando ai loro villaggi.
Secondo quasi tutti i libri che ho consultato, il Lt Scott fu ucciso dalla prima scarica.
Sul secondo volume della trilogia “Life of Andrew Jackson” (1860), una biografia romanzata sulla vita del Generale poi Presidente, ho trovato una notizia diversa.
Secondo l’autore, James Parton, che cita un testimone dell’epoca, Scott fu solo ferito dai proiettili e fu catturato vivo dagli Indiani che lo torturarono inserendo nel suo corpo schegge di legno poi accese.
Non so quale sia l’attendibilità di questa informazione. L’esatto numero delle persone ferite o uccise non è certo.
Il Generale Gaines riferì che l’imbarcazione di Scott portava il Luogotenente, 40 soldati e 7 donne. Di tutti questi, solo 6 uomini e una donna si erano salvati. Stimò il numero delle perdite in 34-35 uomini e 6 donne uccise, 4 feriti e 1 donna catturata.
Il Lt Colonnello Matthew Arbuckle del 7th US Infantry scrisse, in un rapporto, che erano morti 33-34 soldati.

Peter Cook, il mercante delle Bahamas che combattè a fianco dei Seminole, non fu presente sulla scena dell’attacco, ma ascoltò alcuni testimoni Creek e Seminole e stimò le perdite in 24 uomini, 6 donne e 4 bambini, mentre 6 uomini e 1 donna erano sopravvissuti. Il racconto di Cook ci dà il numero più basso, 34.
La stima più alta apparve sul Savannah Repubblic il 17 dicembre. Secondo l’articolo del giornale, i soldati uccisi erano stati 45, più 10 donne e 3 bambini, 58 in totale. Non diede, però, informazioni sulla fonte della notizia.
Secondo Dale Cox, lo storico che più ha studiato gli eventi e che ha cercato di dare un nome e un cognome all’equipaggio di Scott, i morti furono 43 in tutto, 33 soldati, 6 donne e 4 bambini e i feriti 5.
Potrebbe essere il calcolo più corretto.
L’attacco alla barca avvenne a 12 miglia da Fort Scott, troppo lontano per sentire il rumore dei fucili e dei moschetti.
Il messaggero con la lettera di Scott per Gaines arrivò a mezzogiorno del 30.
Gaines, dopo averla letta, ordinò immediatamente al Capitano J. J Clinch del 7th Infantry di preparare due imbarcazioni con 40 soldati e di andare in aiuto del Luogotenente. “Vi imbarcherete, con gli uomini che vi ho assegnato, su due “covered boats”, due barche coperte, e discenderete il fiume fino a incontrare il Lt Scott, gli porterete una cover per la sua barca e gli darete tutta l’assistenza necessaria, a vostro giudizio, perché possa arrivare a destinazione. Proseguirete, poi, sul fiume fino a raggiungere il convoglio del Maggiore Muhlenberg e rimarrete ai suoi ordini“.
Le due barche di Clinch con “solo” 40 uomini a bordo lasciarono Fort Scott nel tardo pomeriggio del 30 novembre 1817. Passarono sul luogo del massacro quando era già buio, con visibilità minima. I soldati scrutarono attraverso le tenebre le sponde del fiume, ma non videro nulla.
La barca e i corpi dei morti si erano volatilizzati!


Sul fiume

I sei soldati sopravvissuti arrivarono a Fort Scott il 2 dicembre e il racconto della loro odissea gettò nella disperazione tutta la guarnigione. Alcuni tra i soldati erano mariti e padri delle donne e dei bambini uccisi.
Il massacro sul fiume Apalachicola provocò un grande scalpore nell’opinione pubblica e i giornali chiesero una immediata e ferma risposta.
“Orribile e non provocato” furono le parole del Presidente Monroe davanti al Congresso. Ma il fatto era accaduto in territorio spagnolo. Malgrado ciò John Calhoun, Segretario alla Guerra, ignorando la linea di confine, ordinò al Generale Gaines di entrare in Florida e punire i colpevoli, senza attaccare gli insediamenti spagnoli.


Vestiario dei soldati


I moschetti

Gaines si trovava, però, a Amelia Island a distruggere un covo di pirati e così l’incarico toccò al Generale Andrew Jackson, comandante della Southern Division e diretto superiore di Gaines.


Una pistola in dotazione ai soldati

Il 12 marzo 1818 Jackson e le sue truppe varcarono il confine della Georgia dando ufficialmente inizio all’invasione americana della Florida spagnola.

NOTE FINALI

Ho ricavato la maggior parte delle informazioni per questo articolo da due libri di Dale Cox: “The Scott Massacre of 1817” (2013), in special modo, e “Fowltown” (2017).
Ho tratto ulteriori informazioni da due libri dei coniugi Missall. Il primo è “Elizabeth’s War” (2015), una storia romanzata della vicenda basata su una minuziosa ricostruzione storica. L’altro è “The Seminole Wars. America’s Longest Indian Conflict” (2004).
Ho consultato, anche “Nile’s Florida. The First War” (2015) di David Fowler, un libro che contiene documenti dell’epoca, rapporti, articoli di giornale, lettere.
Alcune illustrazioni, di Gino d’Antonio, sono tratte da “Il Pugnale di Osceola” (1969) pubblicato dalla casa editrice AMZ.