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Il tesoro di El Muerto Springs

A cura di Mario Raciti

Alla fine della Guerra Civile, tra le tante bande di bandidos messicani che razziavano la frontiera tra Stati Uniti e Messico, e in particolare la zona del Big Bend in Texas, c’era quella di Juan Estrada. Quest’accolita di predoni e tagliagole era formata da diciannove messicani e da quattro americani. Questi ultimi erano guidati da un certo Jim Hughes, che sembra fosse (anche) il braccio destro del più noto Curly Bill Brocius, o comunque uno dei suoi accoliti con cui predava bestiame nei ranch della Sonora per poi rivenderli in Arizona. Gli altri tre americani erano John Neal (detto “Doc” perché si presume fosse un dottore), Zwing Hunt e Andrew King (conosciuto come Red Curly).
Nel 1879 King, che secondo alcune versioni di questa storia era il capo dei quattro americani, ebbe l’idea di assaltare e rapinare la zecca di Monterrey, giù nel vecchio Messico. Ma Estrada e i suoi uomini erano a corto di rifornimenti e di attrezzatura e dunque venne deciso di procurarsi, nei soliti modi, quanto occorreva per portare avanti il piano. In un giorno imprecisato di quello stesso 1879, un distaccamento di cavalleria proveniente da Fort Davis, composto da 99 soldati neri e un tenente bianco, si accampò nei pressi di Lobo, nella Van Horn Valley, con il compito di tagliare erba da fieno per gli animali. Nascosti tra l’alta erba, Estrada e gli americani assaltarono il drappello e, secondo la leggenda riportata da J. Frank Dobie, “solo un negro riuscì a scappare”. L’informatore di Dobie affermò che “Il rapporto ufficiale [dell’esercito] inviato a Washington riportava 16 negri uccisi dagli indiani [i componenti della banda di Estrada erano soliti travestirsi da indiani quando compivano le loro razzie], ma questi rapporti del governo sono sempre sbagliati […] Io stesso, in quell’accampamento a Lobo, ho visto abbastanza bossoli di Winchester calibro 44 da riempirci un sacco”, ma Dobie dice che i registri dell’esercito riportano solo due soldati uccisi e seppelliti sul posto.


Scorcio di Monterrey

Ad ogni modo, che i soldati morti fossero sedici o due, non spiega comunque il perché a salvarsi fu solo un soldato, visto che in quest’ultimo caso vorrebbe dire che gli altri 99 componenti erano stati massacrati. Ma questo comunque è un “preludio” alla storia principale che non viene riportato nelle altre versioni che mi è capitato di analizzare.
Comunque siano andati i fatti, Estrada e gli americani portarono via selle, coperte, armi, munizioni e venticinque muli e si diressero verso sud. Nei pressi di Presidio del Norte si fermarono per caricare i muli con il guano raccolto dalle enormi grotte popolate di pipistrelli: il loro piano era quello di entrare a Monterrey e presentarsi come commercianti di guano così da dare una certa immagine ed evitare sospetti. Venduta quindi la loro merce a cento dollari la tonnellata e fatto quindi credere di essere dei semplici commercianti, i banditi si accamparono ai margini della città e misero su un vero e proprio saloon a cielo aperto, dove si beveva tequila e si giocava a monte. L’esca era stata gettata e presto i dodici soldati di guardia alla zecca vennero invitati ad unirsi alla bevuta, cosa che non si fecero ripetere due volte. E così vennero uccisi uno per uno e la zecca svuotata (presumibilmente di lingotti e monete d’argento e d’oro), sebbene mi riesce difficile credere che una zecca avesse così pochi uomini di guardia o almeno che non ne avesse anche all’interno (la versione di Thomas Penfield afferma, oltre al fatto che i soldati in realtà non erano truppe federali ma rurales locali, che i fuorilegge riuscirono ad avere la meglio anche sulle guardie a protezione del caveau). Questo dubbio sembra parzialmente chiarirsi in un articolo dalla rivista “Desert” (riprodotto, tra pezzi di altri articoli tutti risalenti tra il 1941 e il 1951, nel libro di Eugene L. Conrotto, “Lost Gold and Silver Mines of the Southwest”) che afferma come la “fonte” del bottino fossero banche messicane, senza menzionare alcuna zecca, sebbene si riporti come data il 1881. Ma del resto tutta la storia del tesoro di El Muerto è un misto di tante leggende e chissà quanti pochi fatti concreti, quindi va bene così, anche per chi volesse darne un resoconto prettamente storico. Quindi i banditi, dopo aver ripulito la zecca, non contenti depredarono pure una cattedrale e infine, caricato il pesantissimo bottino sui ventiquattro muli rubati ai soldati, presero velocemente la pista per rientrare in Texas. Attraversato il Rio Grande al Reagan Canyon, per evitare il distaccamento di soldati inviato da Monclova alla loro caccia e che li aspettava al guado di Presidio del Norte, i banditi entrarono nella contea di Davis, Texas, dopo aver compiuto un viaggio di 390 miglia senza mai sbardare i poveri muli (ognuno del quale trasportava 70 chili di roba)!
La processione di muli venne vista da un solo testimone, un pastore di nome Quintana, che raccontò quanto visto all’informatore da cui Frank Dobie ricostruì l’intera vicenda (che quindi, a questo punto, è passata dalla bocca di almeno due persone, di cui una – l’informatore – estranea ai fatti). Quintana osservò la carovana mentre badava alle sue capre a poche miglia da El Muerto Springs. Secondo Quintana, la fila di muli era estesa per circa un miglio e gli animali erano così carichi e stremati che l’unico modo per farli andare avanti era prenderli a frustate. Quintana stesso, nascosto nella boscaglia, venne scoperto da due degli americani ma stranamente risparmiato. E qui finisce la sua storia. Ma continua quella ricostruita da Dobie e dal suo informatore. Dopo aver risparmiato il pastore, i due americani si allontanarono, si unirono agli altri e insieme a Estrada galopparono oltre i muli, lasciando questi ultimi in custodia di alcuni messicani. In un punto imprecisato lungo il canyon, King e i suoi uccisero silenziosamente Estrada, e quando i messicani che guidavano il carico entrarono a rimorchio nel canyon, vennero annientati dai fucili degli americani, che non risparmiarono nessuno. O forse sì, visto che alla storia si aggiunge un’altra voce, quella dell’unico scampato al massacro, a sua volta riportata da un ranchero texano che l’avrebbe sentita dalla diretta voce del sopravvissuto, che gli raccontò tutti i dettagli, dal saccheggio a Monterrey all’annientamento dei suoi compagni messicani da parte dei gringos.


La mappa del tesoro

Durante la sparatoria, forse Hunt venne ferito e i suoi tre compagni lo lasciarono in una caverna con una scorta di cibo e acqua, seppellirono il bottino in un buco profondo quattro metri e si allontanarono per far riposare i cavalli, dopo aver liberato i muli scampati all’imboscata. Due settimane dopo Hunt era migliorato e così i quattro tutti insieme fecero “scorta” di monete e andarono ad El Paso a spendere e spandere. Ma la loro natura era quella di banditi, rapinatori e tagliagole e così nel 1881 ripresero le ruberie, evidentemente per noia visto che di sicuro non gli mancava il denaro. Assaltarono un treno vicino Tombstone, uccidendo un paio di persone e portando via “una somma di denaro così grande che la compagnia non ne avrebbe mai dichiarato l’esatto ammontare” dice Dobie. Poi ammazzarono un padre e un figlio sulle Chiricahua Mountains, solo per rubargli il carro e i due cavalli. Con questi, tornarono a El Muerto Springs, dove il loro bottino sepolto era ancora lì e dove decisero di cambiargli “sepoltura”. Assoldarono due (o, secondo altre versioni, quattro) minatori messicani per scavare, a pochi passi da dove avevano sepolto il bottino la prima volta, un tunnel verticale profondo venticinque metri e vi depositarono, per mezzo di una rudimentale carrucola e in sacche di pelle di cervo e antilope, il malloppo messicano e, sopra questo, quello della rapina al treno. A parte, ma nella stessa fossa, seppellirono anche ciò che era stato depredato dalla cattedrale di Monterrey, tra il quale c’erano due gemme che erano state usate come “occhi di una inestimabile statua della Vergine Maria”. Per chiudere e sigillare il sito ricorsero alla preparazione di una specie di malta, composta da ghiaia di granito e dal sangue di antilope (che in quel luogo abbondavano), che insieme formarono un composto più duro del cemento, tanto che Jim Hughes pare abbia detto che il tesoro era così ben protetto “come se fosse stato chiuso nella più robusta cassaforte della Banca d’Inghilterra” (come scritto sempre da Dobie). Con il prezioso carico ormai al sicuro, ai banditi non restava far altro che tenere fede al motto “Los muertos no hablan”, i morti non parlano, e così uccisero i minatori messicani e li seppellirono nel buco dove originariamente avevano sepolto il frutto delle loro razzie in Messico. Ma nessuno di loro avrebbe mai più rivisto El Muerto Springs.
Andarono in New Mexico a divertirsi. A Silver City, uno di loro uccise un poveretto che aveva osato rifiutare di bere un bicchiere, e dovettero scappare con una pesante taglia sulla testa e una posse alle calcagna. Doc venne ucciso al loro accampamento poco fuori Silver City, Hunt catturato e imprigionato a Tombstone (da dove poi scappò e poi, secondo alcuni, finire i suoi giorni per mano degli Apache) e Red Curly, insieme a un certo Russian Bill che si era unito alla banda, bloccati a Shakespeare e impiccati senza tanti preamboli, sebbene Curly avesse implorato di essere fucilato piuttosto che impiccato, anche offrendosi di rivelare il luogo dove il tesoro era sepolto.
Era rimasto solo Jim Hughes: non fece la stessa fine dei suoi sodali ma dopo queste disavventure gestì per qualche tempo un saloon a Lordsburg. Non ritornò mai più a El Muerto Springs.
La storia raccontata da Frank Dobie continua con i tentativi successivamente fatti da molte persone per localizzare il bottino sepolto e recuperarlo. Ci ha provato l’informatore di Dobie, un uomo di nome Bill Cole, fin dalla fine della Prima Guerra Mondiale, scavando nei pressi del presunto tesoro, solo per vedersi gli scavi riempiti da infiltrazioni d’acqua. Nel 1929, quando per la prima volta questa storia venne pubblicata sulla rivista “Southwestern Review”, Cole continuava nelle sue operazioni di scavo. Oggi, a oltre novant’anni di distanza, non si sa come sia finita la sua ricerca. Tuttavia, c’è da aggiungere che quella che finora abbiamo letto è solo una delle versioni di quello che oggi è conosciuto (anche) come “il massacro di Skeleton Canyon”. In una differente versione, che alla luce di quel che vedremo dopo sembra essere quella non dico più affidabile ma almeno meno improbabile, Hughes venne a conoscenza della preziosa carovana di muli mentre era a Galeyville e decise di giocare un brutto tiro ai messicani rubandogli il sudato frutto delle loro ruberie (dalla cattedrale di Monterrey e dalla zecca di Chihuahua). Con altri sette fuorilegge, Hughes tese un’imboscata ai messicani a Skeleton Canyon, prendendoli a fucilate dall’alto del riparo roccioso delle pareti. Del trasporto facevano parte trenta muli e ventiquattro mulattieri. Gli animali e gli uomini vennero tutti abbattuti e il tesoro, troppo pesante da portare fino a Galeyville, venne sepolto, nell’intento di tornare successivamente a riprenderlo. Nel nascondiglio finirono cassette piene di diamanti, lingotti d’oro, monete d’oro e d’argento e statuine anch’esse d’oro, mentre i cadaveri furono lasciati a ingrassare gli avvoltoi. A Gayville, dopo giorni di baldoria, Hughes, Hunt e un terzo tizio che aveva partecipato all’imboscata, un certo Billy Grounds (più avanti lo citerò di nuovo), decisero di fregare gli altri compagni e, con l’aiuto di una guida messicana e di un carro, tornarono al canyon e nottetempo spostarono il tesoro in un altro canyon. Ovviamente la guida, invece che di una parte del bottino, venne fatto omaggio di qualche oncia di piombo e di una sepoltura insieme al tesoro.


William Breakenridge

Fatto ciò, i tre pianificarono di nascondersi per l’inverno e in primavera portare tutto in Arkansas. Pagando 700 dollari, chiesero ad un ranchero nei pressi di Tombstone di procurargli, per marzo, un robusto carro e quando, il 29 di quel mese e dell’anno 1882 i banditi si recarono al ranch, vennero presi a fucilate dai loro compagni traditi, a cui era giunta voce dei 700 dollari e di un sacco pieno di monete d’oro. Grounds venne ucciso sul posto e Hunt ferito e portato a Tombstone. Cosa gli successe in seguito lo riporto più avanti citando le memorie di William Breakenridge.
Il problema maggiore di questa versione è che, rispetto a quella di Dobie, sposta la localizzazione della vicenda dal Texas all’Arizona. Ma altre incongruenze le riporto di seguito.
Personalmente, ho provato a rintracciare, naturalmente tramite le pagine dei libri, i protagonisti di quest’avventura. Ho potuto appurare che effettivamente Sandy King/Red Curly era un membro della banda di Curly Bill Brocius e che venne impiccato a Shakespeare, New Mexico, il primo gennaio 1881, sebbene non per i fatti di Monterrey o quelli successivi in Arizona e New Mexico ma per furto di cavalli e, nel classico umorismo della Frontiera, “per essere una dannata seccatura”.


Curly Bill Brocius

Di Jim Hughes ho scoperto che era un razziatore di bestiame che si accompagnava, anche lui, a gente del calibro di Johnny Ringo e Curly Bill Brocius, con cui, nella primavera del 1881, vendette a San Carlos una mandria di bestiame rubata in Messico. Questa testimonianza è di William Breakenridge, l’uomo di legge che a Tombstone fu il vice dello sceriffo Behan. Di Hughes ho poi scoperto solo la data di morte, il 2 novembre 1899, ma non la causa precisa, sebbene lo scrittore Thomas Penfield sostenga venne ucciso nel suo saloon nel corso di una rissa con un ubriaco. A parte aprire un saloon, non so però cos’altro fece dopo i fatti di El Muerto Springs, se non che forse trascorse un certo periodo in prigione.
Ma Breakenridge, dal canto suo, sembra confermare la vicenda di Monterrey, anche se con dettagli diversi rispetto a quella di Dobie appena raccontata e più vicini all’altra versione. Secondo Breakenridge, Zwing Hunt era uno dei peggiori fuorilegge e ad un certo punto della sua carriera si accompagnò con un certo Billy Grounds, con il quale allo Skeleton Canyon “tese un’imboscata a un gruppo di messicani che trasportavano lingotti e monete d’argento dal Messico, uccidendo tutti”. Ma Breakenridge non dice né chi erano i messicani né se ci fosse qualcun altro (Jim Hughes, per esempio) insieme Hunt, a parte Grounds che però non trova spazio nella storia raccontata da Dobie. Per il resto, Breakenridge conferma quanto già detto riguardo Hunt: egli stesso lo ferì in una sparatoria al Chandler Ranch, il 25 marzo 1882. Questo metterebbe una definitiva pietra sopra la versione secondo la quale Hughes, Hunt e Grounds vennero a loro volta intrappolati e assaliti dai loro compagni traditi, visto che in realtà a far finire i loro giorni furono Breakenridge e i suoi aiutanti, che erano stati chiamati per risolvere una controversia su certi debiti tra il proprietario del ranch e Hunt e Grounds (e questo invece coinciderebbe con l’altra versione e quindi con il debito del ranchero maturato a fronte dei 700 dollari pagati). Trasportato in ospedale a Tombstone, Hunt venne portato via dal fratello e nella fuga Zwing venne ucciso dagli Apache, mentre il fratello riuscì a scappare e a ritornare più tardi insieme ad alcuni soldati, che seppellirono Zwing sotto un albero, sul quale incisero il suo nome. Ma la leggenda sembra volere lo zio di Hunt in possesso di una mappa del tesoro messicano che gli venne affidata dallo stesso Zwang. Ma come, se quest’ultimo venne ucciso dagli Apache? La logica porta a pensare che Hunt, prima di morire, avesse disegnato la mappa affidandola al fratello che a sua volta l’avrebbe poi fatta avere allo zio, ma l’ennesima deviazione in tutta questa storia vede Zwang fuggire agli indiani, rifugiarsi a San Antonio e lì morire di cancrena dopo aver consegnato la famosa mappa allo zio. Il problema di questa mappa è che i punti di riferimento come le Davis Mountain non esistono nella geografia di quel pezzetto d’Arizona meridionale. Anche Grounds, dal canto suo, pare avesse inviato alla sorella ben diciannove lettere con pezzetti di indicazioni (per evitare di dare i dettagli tutti insieme) al luogo del tesoro. Alcune di queste lettere son passate di mano in mano nel corso degli anni, e sembrerebbe che un certo F.C. Hamill, tramite queste, nel 1986 e negli anni successivi fosse riuscito a localizzare alcuni punti di riferimento ma un problema più grande, a quel punto, aveva reso vano il suo lavoro: il terremoto che nel 1887 scosse la parte meridionale dell’Arizona e che in molti punti cambiò la morfologia di montagne, canyon e grotte. La scossa fu così forte che a Tombstone buttò giù la roba da mensole e scaffali e niente di più probabile che abbia cancellato qualsiasi segno utile per ritrovare il tesoro di Skeleton Canyon.