Cheyenne il popolo guerriero

A cura di Sergio Mura
La bella copertina del libro
Il popolo Cheyenne, indomito, fiero e guerriero merita un libro interamente italiano dedicato a lui. Ed ora abbiamo questo capolavoro, l’ennesimo di Domenico Rizzi, che riempie uno spazio lasciato quasi vuoto per chissà quale combinazione. Infatti, se si fa una ricerca tra i libri in lingua italiana in cui si parli di Cheyenne, risulta davvero poca roba.
La cosa che ci riempie di soddisfazione non è solo vedere e poter leggere un libro ben fatto sui Cheyenne, ma anche un discreto balenottero, ricco di capitoli e di note, tutto scritto con una prosa degna di nota e senza sbavature, capace di portarci in mezzo agli eventi fin quasi a guardarli dal vivo con i nostri occhi di appassionati di storia del west.
Un primo avviso: non c’è spazio per il romanticismo in questo libro! Domenico Rizzi è un autore di storia onesto e veritiero, profondo, dotto e assai ben informato. Non è un libro dedicato alle tristi vicende di un popolo maltrattato dai bianchi, ma un libro dedicato alle epiche vicende, spesso tragiche, di gente che era abituata a fare la guerra, che faceva la guerra regolarmente, che attraverso la guerra si guadagnava i meriti e la fama. Un libro che ripercorre tutta la storia del popolo Cheyenne, dalle origini fino alle ultime battaglie, passando per la cultura, la religiosità, i valori.
Insomma, un libro assolutamente imperdibile che vi raccomandiamo senza alcuna esitazione.
Come è accaduto in altre occasioni, siamo riusciti a strappare al bravissimo Domenico Rizzi una piccola intervista in cui gli abbiamo chiesto di parlarci del libro.

Titolo: Cheyenne il popolo guerriero
Autore: Domenico Rizzi
Editore: Chillemi
Pagine: 330
Rilegatura: Brossura leggera
Prezzo: 24 €

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INTERVISTA A DOMENICO RIZZI

Con il libro “Cheyenne, popolo guerriero”, per i tipi dell’Editore Chillemi di Roma, Domenico Rizzi è giunto alla sua 28^ pubblicazione (15 saggi storici, 3 opere di letteratura-cinema, 1 diario di viaggio americano e 9 romanzi di vario genere).
Il bravissimo Domenico, autore di Farwest.it da 17 anni e, dal 2017, anche del periodico bimestrale “Far West Gazette” di Milano, prosegue nell’approfondimento della storia del West con immutata passione.
La sua ultima fatica riguarda specificamente un popolo pellerossa molto noto agli appassionati del genere, analizzando le origini, gli usi e i costumi, ma anche le vicende storiche che opposero i Cheyenne sia ai Bianchi conquistatori che a diverse altre tribù tradizionalmente loro nemiche.

DOMANDA: Domenico, perché hai scelto i Cheyenne?
RISPOSTA: Forse per simpatia, reminiscenze della serie televisiva “Penna di Falco”, quand’ero ancora bambino, ma soprattutto perché furono parte attiva in quasi tutti i conflitti combattuti contro gli Americani dal 1857 al 1879, nonostante le ridotte dimensioni della tribù.

DOMANDA: Proprio questo interessa, dal momento che hai il pallino dei dati demografici: perché i Cheyenne erano così in pochi?
RISPOSTA: Ecco un rilievo interessante: il maggior difetto di parecchi storiografi del West è di non essere documentati sulla reale consistenza delle tribù pellerossa. Contrariamente a quanto si crede, gli Indiani d’America erano pochi fin dall’epoca della scoperta di Colombo: al massimo 870.000 nell’attuale territorio degli Stati Uniti e 250.000 in Canada. Poi ce n’erano circa 20.000 in Alaska. Ciò è stato dimostrato da studi approfonditi, confrontando decine di rapporti, resoconti e testimonianze di esploratori, viaggiatori, missionari, militari e degli stessi nativi. I Cheyenne non superarono mai, all’apice della loro potenza, il numero di 3.900 componenti, così come i Lakota (Sioux occidentali o Teton) raggiunsero al massimo i 15.000 elementi con le loro 7 tribù insieme. Altre tribù famose, erano ancora più piccole: per esempio i Kiowa, che non superarono mai le 2.000 persone o i Cayuse, meno di un migliaio.

DOMANDA: Dunque non è perché fossero stati sterminati dagli invasori bianchi?
RISPOSTA: Niente affatto. Quando arrivarono i primi Americani nel West -parliamo di Lewis e Clark – le loro dimensioni erano già queste. E’ vero che alcune epidemie – vaiolo, colera, tifo e morbillo – ne abbassarono la consistenza numerica nella prima metà dell’Ottocento, ma solo di qualche centinaio di componenti per ciascuna tribù. Troppo spesso si è fatto, soprattutto negli articoli di giornale, una grande confusione fra i Pellirosse, gli Aztechi, i Maya e gli Inca. Questi ultimi tre popoli erano molto più numerosi, anche se i Maya, quando sbarcarono i primi Europei, risultavano già in declino da almeno 7 secoli, per cause che gli studiosi non sanno ancora spiegarsi.

DOMANDA: Nel tuo libro è descritta una serie molto lunga di combattimenti fra i Cheyenne e i loro nemici giurati, che sono parecchi: Chippewa, Crow, Pawnee, Shoshone, Flathead, Piedi Neri, Ute, Navajo e per un certo periodo anche Comanche e Kiowa. Quanto costò questa conflittualità in termini di vite umane?
RISPOSTA: Sicuramente un numero maggiore di perdite rispetto a quelle subite negli scontri con gli Americani, anche se i libri di storia non ne parlano quasi mai approfonditamente, perché solitamente si citano il massacro di Sand Creek, la battaglia di Beecher’s Island, quella del Washita e la strage finale di Camp Robinson, che concluse la fase delle lotte sostenute dai Cheyenne.

DOMANDA: Nel libro citi anche alcune atrocità compiute dalla tribù, nei riguardi di donne bianche catturate: Clara Blinn, Anna Morgan, Susanna Alderdice, Sarah White, qualcuna uccisa per impedire all’esercito di liberarle.
RISPOSTA: Infatti. Credo sia ormai nota a tutti la triste sorte subita dalle donne catturate non solo dai Cheyenne, ma anche da altre tribù indiane. Parliamo di migliaia di prigioniere dall’epoca delle colonie atlantiche alla fine dell’Ottocento. Il fatto terribile può essere semmai la mancanza di dati precisi riguardo le prigioniere rapite ad altre tribù, il cui numero supera largamente quello delle donne bianche.

DOMANDA: Vi è chi sostiene che tale comportamento fosse una reazione alle violenze commesse dai Bianchi, come l’eccidio del Sand Creek.
RISPOSTA: Mmmm… L’usanza di rapire donne e bambini ai nemici risale ad epoche remote, molto anteriori alla scoperta dell’America. Del resto era ampiamente in uso nella stessa Europa, in Africa e in Asia fin dall’antichità. Il Ratto delle Sabine insegna qualcosa, no?

DOMANDA: In tutte le battaglie che descrivi – Sand Creek, Beecher’s Island, Hayfield, Little Big Horn ed altre – i Cheyenne contestano spesso il numero di perdite loro attribuito dagli Americani. Chi ha ragione?
RISPOSTA: Ah, questa è un’abitudine di tutti gli Indiani, per dimostrare il loro maggior valore in combattimento. Nella realtà sono più veritieri gli Americani quando sostengono che a Beecher’s Island furono almeno 70 i Cheyenne uccisi e non 5 o 6 come raccontano gli interessati. Ciò vale anche per Little Big Horn, perché non è sostenibile che in uno scontro tanto cruento i Cheyenne caduti siano stati solo 6 o 7. Certamente, non furono meno di una quarantina, compreso il loro capo Uomo Bianco Zoppo ucciso per errore dai suoi alleati, mentre quelle dei Sioux dovettero essere da 200 in su. E poi la loro versione smentisce totalmente i sostenitori della tesi del genocidio: in fin dei conti, dove sarebbero stati uccisi tutti questi Indiani, se nelle battaglie – a detta dei loro testimoni – ne caddero così pochi?

DOMANDA: Allora non condividi questa tesi?
RISPOSTA: Certo che si, altrimenti sarei un negazionista. Ma lo sterminio di massa riguardò gli Aztechi, gli Incas, gli Indios dell’Amazzonia, gli Araucani e qualche tribù pellerossa nordamericana dell’Est e della California nei primi secoli della colonizzazione. Non certo gli Indiani delle Pianure. Per quanto concerne i Cheyenne in particolare, prima dell’arrivo dei Bianchi nell’Ovest, ne erano stati calcolati più o meno 2.400, mentre nel 1880, terminate le guerre, ne vennero censiti quasi 3.800, senza contare i piccoli gruppi che si erano ormai mescolati con i Lakota Sioux. Se demograficamente erano aumentati di poco, lo si deve soprattutto alle epidemie, a certe malattie, ma anche ai loro interminabili conflitti con altre tribù, specialmente Crow, Pawnee e Shoshone, come ho già spiegato prima.

DOMANDA: Hai narrato di moltissime battaglie, alcune delle quali sono certamente sconosciute perfino agli appassionati del genere.
RISPOSTA: Le battaglie combattute fra Americani e Pellirosse nell’Ottocento furono circa un migliaio, ma per la maggior parte di esse si trattò di scontri di lieve entità. Per esempio, a Warbonnet Creek, dove nel 1876 Buffalo Bill uccise e scotennò Mano Gialla e l’esercito costrinse gli Indiani a tornare alla riserva, fra i Cheyenne in tutto vi furono 3 o 4 morti e alcuni feriti.

DOMANDA: A proposito di Naso Aquilino, gli Indiani credevano davvero che fosse invulnerabile alle pallottole?
RISPOSTA: Sicuro, almeno fino a quando non venne abbattuto dal fucile di uno scout a Beecher’s Island. Tuttavia, molti continuarono a credere a questo genere di protezione magica. Nello scontro di Adobe Walls, nel 1874, i Cheyenne che parteciparono all’assedio dei cacciatori di bisonti presero a schiaffi lo sciamano Isathai dei Comanche, perché aveva assicurato ai guerrieri – falcidiati dai fucili dei Bianchi durante l’assalto – l’assoluta immunità. Dal canto suo, lo stregone accusò i Cheyenne di avere infranto un tabù prima della battaglia, ma pochi gli credettero.

DOMANDA: Nel libro ritorni su un argomento che sembra interessarti particolarmente: la relazione fra Monahseetah e il generale George Armstrong Custer.
RISPOSTA: Certo, è una bella storia, a cui ho già dedicato l’opera “Monahseetah e il generale Custer”, pubblicata nel lontano 2005. In seguito ho studiato più a fondo la figura di questa giovane cheyenne cercando nuove informazioni e sarei tentato di riscrivere la sua biografia. MI sorge il sospetto che, fra i molti “mariti” avuti soprattutto dopo la conoscenza del famoso generale, sia stato proprio lui il suo vero amore.

DOMANDA: Sempre convinto che sia stata lei ad impedire ai Sioux di fare a pezzi il cadavere di Custer a Little Big Horn, come venne fatto per tutti gli altri caduti?
RISPOSTA: Vi è forse un’altra spiegazione plausibile perchè il corpo del generale fosse stato ritrovato praticamente intatto? Se non fu opera di Monahseetah, come invece io credo, deve essere intervenuto qualche altro fatto che ne impedì lo scempio, ma non le infantili spiegazioni di certi storici che gli Indiani rispettarono il corpo di Custer perché era caduto da valoroso. Queste sono soltanto stupidaggini, smentite, come scrissi nel mio libro, perfino da Toro Bianco, nipote di Toro Seduto.

DOMANDA: E Mo-chi, la donna guerriera dei Cheyenne?
RISPOSTA: Ho parlato anche di lei e di qualcun’altra. Pochi sanno che in quasi tutte le tribù vi erano donne che combattevano al pari dei maschi, mostrandosi a volte più spietate degli stessi uomini. Ho pubblicato un lungo articolo che le riguarda su “Far West Gazette” n° 12.

DOMANDA: Quanti Cheyenne sono rimasti oggi?
RISPOSTA: Molti di più di quanti non fossero ai tempi del West. La tribù è divisa in due tronconi fin dal 1826, per cui occupa riserve separate, una nel Montana e l’altra in Oklahoma. I Cheyenne del Nord erano 10.800 nel 2000, quelli del Sud circa 8.000, ma contando solo quelli residenti nelle riserve. Complessivamente risultano dunque quasi 20.000, un numero 7 volte superiore rispetto all’epoca in cui cominciarono a combattere contro gli Americani. Però, al numero attuale andrebbero aggiunti tanti altri Cheyenne che vivono ormai nelle città e non vengono più censiti nelle riserve.

DOMANDA: Quali sono le fonti a cui hai attinto maggiormente per la stesura di questo libro?
RISPOSTA: Diverse. Sono riuscito a rintracciare anche libri pubblicati molto tempo fa, che non esistono nella versione italiana. I testimoni cheyenne più autorevoli rimangono Gambe di Legno, Sta Nella Foresta e George Bent, che visse quasi sempre con la tribù della madre, ma anche l’antropologo George Bird Grinnell, Donald Berthrong e lo stesso generale Custer, che li combattè.

DOMANDA: A proposito, come giudichi le memorie di Custer?
RISPOSTA: Attendibili, soprattutto laddove lancia accuse ai politici e al “partito trasversale” delle lobby, capace di influenzare molte decisioni del Congresso. Custer scrive anche che la Grande Riserva dei Sioux nel Dakota venne creata “ad esclusivo beneficio dei commercianti” e lo dichiarò davanti alla commissione d’inchiesta congressuale istituita per indagare sull’operato illecito del ministro della Guerra William Belknap, accusato di percepire tangenti. Temo però che molti studiosi, troppo legati al clichè tradizionale e falso del “generale nemico degli Indiani”, non abbiano mai letto il suo “La mia vita nelle pianure”.

DOMANDA: Insomma, la storia deve sempre trovare qualche capro espiatorio.
RISPOSTA: Infatti è così e Custer era un bersaglio molto comodo, anche perché, essendo morto, non poteva più difendersi. Non dimentichiamo poi che al tempo della disfatta di Little Big Horn governavano i Repubblicani e Custer, che era del Partito Democratico, si era messo in urto con loro durante l’inchiesta a carico del ministro Belknap. Per questo, il presidente Grant lo aveva addirittura sospeso dal servizio, vietandogli di partecipare alla campagna militare del 1876. Ci ripensò grazie all’intercessione dei generali Sheridan e Terry, consentendogli di aggregarsi alla spedizione come ufficiale in sottordine. Poi, quando avvenne il massacro di Little Big Horn, gli addossò tutte le colpe, anche perché sembra che i Democratici, nell’imminenza delle elezioni presidenziali, avessero avuto l’idea di candidarlo alle primarie.

DOMANDA: Molta gente pensa invece che fossero i Democratici a sostenere la causa degli Indiani.
RISPOSTA: Non è esatto. Ciò dipese dai vari presidenti, dell’uno e dell’altro partito, che si avvicendarono a Washington. Fu il presidente democratico Andrew Jackson, fra l’altro uno dei fondatori del partito, ad ordinare la deportazione in Oklahoma dei Pellirosse dell’Est dal 1830 in poi, un esodo di 50.000 infelici che incluse la tribù ormai civilizzata dei Cherokee, noto come il Viaggio delle Lacrime. Per questa operazione, il deputato del Congresso Davy Crockett litigò con Jackson, che era stato il suo antico comandante, togliendogli anche il saluto.

DOMANDA: La fuga dei Cheyenne dall’Oklahoma nel 1878 fu l’ultimo atto della loro resistenza agli Americani?
RISPOSTA: Si, proprio l’ultimo. Nel gennaio 1879 si concludevano 22 anni di conflitti con gli Americani. Dopo la resa, essi accettarono di servire l’esercito come guide ed esploratori nella campagna contro i Nez Percè e più tardi contro i Sioux un tempo loro alleati, trovandosi addirittura fianco a fianco con gli antichi nemici Crow e Shoshone. Tuttavia, racconta Gambe di Legno che militò come scout dell’esercito, i Cheyenne non ebbero alcuna parte nell’eccidio di Wounded Knee, perché furono opportunamente tenuti in disparte dai loro ufficiali.

DOMANDA: A quell’epoca i tempi erano ormai cambiati e il West non era più lo stesso…
RISPOSTA: Già. Anche la Frontiera stava vivendo il proprio declino. Letteratura e cinema ne avrebbero inventata un’altra, poco credibile ma forse più affascinante, perpetuandone il mito. Aveva ragione John Ford: quando la storia si scontra con la leggenda, vince sempre la leggenda. Ma io preferisco raccontare la storia. Intendo quella vera.

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