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Colorado Gold Rush

A cura di Angelo D’Ambra

Un piccolo gruppo di cercatori in un “claim”
Forse una delle più grandi avventure minerarie del West, dopo l’eccitazione californiana, è quella che porta il nome di “Colorado Gold Rush”. Parliamo della scoperta dell’oro nei pressi dell’attuale Denver nel 1858-59.
Migliaia di persone finirono risucchiate in un vortice di speranze, fortune e illusioni, provocando il popolamento di quello che è l’attuale Colorado e la nascita di moltissime città tra cui Denver, Boulder, Black Hawk, Breckenridge e Central City.
Che in queste zone ci fosse oro lo si era sempre sentito dire. Cacciatori di pelli come James Purcell avevano riferito di aver trovato oro nei torrenti ed avevano pure attirato qualche esploratore solitario. Tra questi c’era Zebulon M. Pike che, nel 1807, aveva incontrato Purcell a Santa Fe e, sollecitato dai suoi racconti, si era precipitato tra le Montagne Rocciose ed aveva scoperto l’oro in una località che aveva poi preso il nome di Pikes Peak.


Cacciatori d’oro sulle Montagne Rocciose

Quasi quarant’anni dopo William Gilpin, che accompagnava la spedizione di John C. Fremont, scoprì oro nelle insenature del nordest del Colorado. Cinque anni più tardi i membri del distaccamento del capitano Randolph Marcy trovarono oro a Cherry Creek, vicino alla confluenza con il South Platte River. In contemporanea Foglia Caduta, una guida delaware, scoprì pepite d’oro vicino al futuro sito di Denver. Più eccitazione si scatenò nell’estate del 1858 quando i fratelli William, Oliver e Levi Russel, insieme a John Beck e ad un gruppo di cherokee e bianchi della Georgia, raggiunsero Ralston Creek trovando altro oro. Questo gruppo si spinse sino al Little Dry Creek recuperando ancora oro.
Tutto ciò funse da premessa a quanto si scatenò nell’estate del 1858, una sfrenata corsa all’oro: la “Colorado Gold Rush”.


Minatore a Pikes Peak

In Colorado affluirono migliaia di cercatori d’oro in lunghe file di carri con equipaggiamenti e viveri, picconi, pale e sacchi di farina. A quanto sembra passarono di lì oltre centomila minatori e la quantità d’oro estratta fu pari a 1,25 milioni di once d’oro.
Tuttavia, come sostengono gli storici Kent Curtis e Elliott West, la scoperta dell’oro da sola non fu l’unica ragione per quanto accadde. Bisogna tenere in considerazione che l’instabilità economica di quegli anni e la pacificazione con gli indiani, grazie ai trattati di Fort Laramie (1851) e Fort Atkinson (1853), concorsero ad aprire le porte del Colorado ai migranti. Infine, nel 1857, la notizia della vittoria di Edwin V. Sumner su una banda di indiani cheyenne in Kansas creò la percezione che i nativi americani non fossero più una minaccia. Tutti questi eventi hanno spinto i bianchi a inoltrarsi tra le Montagne Rocciose alla ricerca di oro.


Uno store in cui si poteva acquistare di tutto

Pikes Peak finì menzionata sui giornali di tutti gli States come il cuore di quanto stava avvenendo così la Colorado Gold Rush risulta spesso chiamata “Pike’s Peak Gold Rush”.
Nel febbraio e marzo del 1859, migliaia di cercatori d’oro, spinti da cattivi raccolti e dalla pressione dei debiti, si radunarono nelle città lungo il fiume Missouri, nel Kansas orientale, e iniziarono il loro viaggio verso Pikes Peak. La Pike’s Peak Gold Rush portò in queste terre migliaia di persone come loro, di avventurieri e di famiglie dell’Est speranzose di cambiare vita. Avevano lasciato le comodità di casa e si erano spinti in territori selvaggi, alcuni addirittura a piedi. Non si sa il numero di quanti non sopravvissero al viaggio, ma le stime in merito sono molto alte. Diverse lettere e documenti risalenti al periodo della Gold Rush parlano di fame, scorbuto, disidratazione ed alcolismo. Rapidamente si scatenò una caccia a tutto ciò che poteva dare nutrimento, scoiattoli, cani della prateria, pecore, bisonti. Le aspettative di questa gente erano tante ma, come tutte le avventure, anche la Pike’s Peak Gold Rush fu destinata a tramontare in un battito d’ali, meno di sette mesi, da gennaio a luglio, quando la delusione dei minatori prese il sopravvento e si sparsero notizie di nuovi rinvenimenti d’oro.


Ancora una scena sul Pike’s Peak

Mentre in migliaia risalivano verso est attraverso le pianure, altri si rivolgevano a nuove mete. Ricche miniere d’oro erano in attività a ovest di Boulder a Gold Hill e lungo Clear Creek ed i cercatori d’oro si spostarono lì come uno sciame d’api. Tutti questi ritrovamenti non erano però sufficienti a soddisfare i cercatori che continuavano a riversarsi nel Colorado. A maggio tutti s’erano già spostati a Gregory Gulch vicino North Fork di Clear Creek, città fondata dal cercatore John H. Gregory. Vi si potevano vedere tende e rifugi di rami di pino che ospitavano circa 5000 persone. Dal mese successivo si calcola che ogni giorno giunsero a Gregory oltre 500 persone. La maggior parte dei cercatori erano giovani uomini, più del 90% di loro nati negli Stati Uniti. Gli altri provenivano principalmente dall’Irlanda, dall’Inghilterra e dalle aree di lingua tedesca dell’Europa. Un censimento del 1860 mostra più di venti uomini per ogni donna nella parte del territorio del Kansas che sarebbe poi diventata Colorado. Il grosso di essi restò deluso.
Come John Gregory anche George A. Jackson si spinse oltre i territori esplorati trovando oro a Chicago Gulch, vicino all’odierna Idaho Springs.


Un campo minerario

Così tutti si diressero in quell’area, speranzosi di trovare oro. Verso la metà degli anni 1860 la zona era ufficialmente riconosciuta come centro del settore minerario del Colorado. Tramontata questa nuova chimera tutti corsero a vicino a quello che è diventato Gold Hill.
Il primo decennio di questo boom fu in gran parte concentrato lungo il South Platte River alla base delle Montagne Rocciose, il canyon di Clear Creek e South Park. Qui le linee ferroviarie costruite per trasportare l’oro dai monti furono una parte importante nel creare la base economica della regione nei decenni successivi, specialmente quando il Colorado sperimentò un secondo boom minerario nel 1879, con il Colorado Silver Boom. Questa corsa all’oro attirò robusti agricoltori, avidi avventurieri, ladri e teste calde. Ovunque essi si spostassero sorgevano città attorno ad empori di melassa, farina, whisky e zucchero. Nel giro di pochi giorni una manciata di tende di minatori si trasformavano in un agglomerato urbano ricco d’affari. L’emblema di tutto questo resta Denver.
Denver è la più grande città del Colorado. Sorse su iniziativa del generale William Larimer, uno speculatore terriero, e deve il suo nome a James Denver, governatore del Kansas. Fu il frutto dell’unione di tanti piccoli insediamenti di minatori che accettarono la proposta, a quanto pare, in cambio di un barile di whisky. Denver divenne una città di frontiera, con un’economia basata sulla fornitura ai minatori locali di gioco d’azzardo, saloon, bestiame e merci di scambio.


Idaho Springs

Uno degli effetti della “Colorado Gold Rush” fu il declino di cheyenne, ute e arapaho perché il governo degli Stati Uniti fece di tutto per proteggere i siti minerari appropriandosi di quei territori appartenenti attraverso una serie di trattati con gli indiani affamati. Questo afflusso di bianchi e la loro caccia indiscriminata al bufalo portarono scompiglio nelle vite degli indiani che, per aver cibo, iniziarono a saccheggiare i vagoni, allo stesso modo gli indiani trovavano sempre più terreni da caccia, occupati ora dai minatori. Il capo cheyenne Blak Kettle ed il capo arapaho Left Hand tentarono di ottenere cibo coi trattati, ma in cambio della terra. Nel 1880, ventuno anni dopo la corsa all’oro iniziale, gli ute avevano ceduto la maggior parte delle Montagne Rocciose e del Colorado occidentale – la loro patria per secoli – agli Stati Uniti.