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Jim Levy, il pistolero dimenticato

A cura di Gian Mario Mollar

La polvere ha cancellato il nome di James “Jim” Levy. Del suo volto sfregiato non rimane nemmeno un dagherrotipo sbiadito. Eppure vi fu un tempo in cui la sua fama di pistolero era seconda soltanto a quella del grande Wild Bill Hickock. Sopravvisse a ben sedici duelli, e venne menzionato con rispetto da leggende del calibro di Wyatt Earp e di Bat Masterson, che lo lodarono per la sua freddezza: nei duelli non sparava per primo, ma si prendeva il tempo necessario per mirare, dimostrando che l’accuratezza della mira è più importante della velocità nell’estrarre la pistola.
Sulle sue origini ci sono pochi dati certi. Di lui sappiamo soltanto che nacque in Irlanda intorno al 1842: la Grande Carestia che colpì quelle terre costrinse la sua famiglia ad emigrare negli Stati Uniti insieme a migliaia di altri disperati. Il fattore principale che causò la carestia fu una malattia infettiva della patata, alimento principale delle classi meno abbienti: fu per questo motivo che, una volta espatriati, gli Irlandesi venivano dispregiativamente chiamati “mangiapatate”.
Il cognome Levy, oppure Leavy, a seconda delle fonti, ha fatto supporre una discendenza ebraica, ma non ci sono fonti documentali ad attestare la validità di questa ipotesi. Probabilmente, come gran parte degli Irlandesi, era di religione cattolica.
Nel 1852, a dieci anni, lasciò il porto di Liverpool per raggiungere New York con la sua famiglia. Erano i tempi della febbre dell’oro: il giovane Jim, probabilmente, lavorò nei campi di estrazione mineraria in California durante la sua adolescenza, vivendo la dura vita dei cercatori d’oro. Nel 1871 lo troviamo a Pioche, in Nevada, intento a scavare nelle miniere d’argento del posto, attratto, come molti altri cercatori, dalla prospettiva di arricchirsi.
La cittadina di Pioche non era un paese di villeggiatura. Il rispettabile commerciante Franklin A. Buck, in una lettera a sua sorella datata 3 Novembre 1870, ce ne fornisce una descrizione vivida e scandalizzata: “Metà della comunità è composta da ladri, furfanti e assassini. Puoi andare in città, ubriacarti e farti sparare molto facilmente, se ti va, oppure puoi vivere pacificamente. Ti manderò un resoconto dell’ultimo scontro. Speravo che almeno otto o dieci rimanessero uccisi, perché questi uomini violenti sono una vera pestilenza per la comunità… c’è un combattimento ogni giorno e un morto ogni settimana. Quasi metà della città è costituita da negozi di whisky e case di malcostume”.
Insomma, Pioche non era una città in cui ci si annoiava. Il giovane Levy trovò un mentore in un altro immigrato irlandese di nome Richard Moriarty, meglio noto in città con il nome di Morgan Courtney. Fu lui a educarlo nella raffinata arte del gioco d’azzardo e a insegnargli a maneggiare la pistola.
La vita di Morgan Courtney è così rocambolesca che sembra copiata da una dime novel e merita di venire riassunta brevemente. Nato nel 1844 a Cahirciveen, Irlanda, quest’uomo veniva definito “il dandy dei desperados” per il suo aspetto curato e i suoi abiti di candido lino. Regnava sui tavoli da gioco della città, dopo essersi costruito una reputazione fatta di pallottole e sangue.

Il suo nome è associato a duelli truculenti come quello avvenuto il 14 novembre 1868 contro James O’ Toole: durante un alterco al bancone del saloon, l’irlandese estrasse la pistola da una fondina ascellare e aprì il fuoco ferendo l’avversario. Pur essendo allontanato dal locale per evitare un ennesimo spargimento di sangue, Courtney aggirò l’edificio e sparò nuovamente al malcapitato, causandone la morte.
Il 9 novembre 1870, durante uno sciopero in cui i minatori avevano occupato una miniera, Courtney venne ingaggiato dai proprietari per ristabilire l’ordine. Lo sgombero avvenne grazie a un espediente, una versione western del mitico cavallo di Troia. Dapprima, infatti, Courtney lasciò in dono una cassa di whisky all’imboccatura della miniera, poi, quando tutti gli operai furono ubriachi, fece irruzione con un gruppo di manigoldi e restituì lo stabilimento ai proprietari.
La sua poco rispettabile carriera conta un numero imprecisabile di morti, dai dieci ai trenta secondo le stime necessariamente approssimative dell’epoca, e diversi soggiorni nelle prigioni locali. Morì nel 1873, per una questione di donne. Si era infatti invaghito di Georgianna Syphens, una “colomba sporca” del quartiere a luci rosse di Pioche, che era però contesa da un altro uomo, di nome George McKinney. I due ebbero un violento alterco al Mint Saloon, dopo il quale lo spasimante si appostò fuori del locale e lo freddò con cinque pallottole nella schiena. Il giornale locale menzionò la sua morte con un epitaffio poco lusinghiero: “Temuto da alcuni, detestato da molti, rispettato da pochi… la sua morte è la riprova della profezia secondo la quale chi di spada ferisce di spada perisce.”
Jim Levy crebbe sulle orme di Courtney e ben presto si dimostrò degno allievo di tanto maestro.
Un giorno, si trovò ad assistere a un duello tra due uomini, Mike Casey e Thomas Gosson. Non si sa per quale motivo i due uomini litigassero né quali furono, esattamente, le modalità dello scontro: quel che è certo è che Gosson fu ferito a morte da un colpo di pistola. Con gli ultimi rantoli, prima di spirare, promise cinquemila dollari (il frutto delle sue fatiche in miniera) a chiunque avesse ucciso il suo assassino.
Levy, deciso ad intascare la taglia, decise di tendere a Casey una trappola: andò in tutti i saloon della città a dichiarare che aveva assassinato Gosson prendendolo alla sprovvista.
Il 29 maggio 1871 Mike Casey lo venne a prendere in un saloon: mano alla pistola, gli intimò di ritrattare le sue accuse. Levy dichiarò di essere disarmato e chiese di avere il tempo di procurarsi una pistola.
Lo scontro fatale avvenne nel centro di Pioche, davanti all’emporio di Freudenthal. Con un colpo di pistola, Levy ferì l’uomo di striscio alla testa, gettandolo nella polvere della strada. Lo spettacolo che seguì contribuì a incidere il suo nome nella leggenda: Jim Levy si avvicinò al ferito e gli sparò un altro colpo, che lo raggiunse alla nuca, poi si chinò sull’avversario e iniziò a colpirlo in testa con la canna della pistola. Tra la folla, mesmerizzata dallo spettacolo brutale, ci fu qualcuno – forse un amico di Casey di nome David Neagle – che gli sparò. La pallottola colpì Levy al volto, causandogli una ferita brutta ma non letale. Il dottor Folz, che lo curò in seguito, descrive così la lesione: “la pallottola che ha colpito Levy è entrata un po’ a destra del mento, fratturando la mandibola e conficcandosi nei muscoli del collo.” Da allora in poi, il volto di Jim Levy sarà solcato da una sinistra cicatrice. Il diversivo, comunque, non basta a salvare Casey, che morirà di lì a poco con il cranio sfondato.
Dal momento che la sparatoria si era svolta tra uomini armati e, di conseguenza, in modo “regolare”, Jim Levy venne scagionato con un processo sommario e intascò la taglia di cinquemila dollari.
Dopo questa vicenda, Levy abbandonò la vita da cercatore per praticare il mestiere che aveva appreso dal suo maestro Morgan Courtney: il giocatore d’azzardo e il regolatore di conti. Per qualche tempo si trattenne ancora a Pioche, prendendo parte come pistolero mercenario agli scontri tra proprietari di miniere. Quando un uomo di Thomas Ryan viene ucciso nel corso di una sparatoria, Levy sparisce dalla città e sono tutti pronti a scommettere che sia stato lui a saldargli il conto. Segue un processo, nel quale viene scagionato per mancanza di prove.
Intorno al 1873 l’argento delle miniere di Pioche si sta esaurendo: la mancanza di denaro spopola la città e i tavoli da gioco, così per Levy, come per molti altri minatori, è tempo di cambiare aria.
La sua carriera di giocatore professionista riprende a Virginia City, in Nevada. Poi, si sparge la voce che in Dakota, sulle Black Hills, c’è l’oro. Inizia così un esodo di massa verso questi luoghi e anche Jim Levy parte, inseguendo un sogno di ricchezza. Questi luoghi, detti Paha Sapa in lingua lakota, sono anche sacri per i Sioux e l’arrivo dei cercatori d’oro scatenerà la guerra, ma il protagonista della nostra storia non rimane coinvolto in quei fatti.
Nel 1876 lo vediamo a Deadwood, una boom town che diventerà proverbiale per la sua violenza e brutalità. In città i pistoleri non mancano, ma la faccia truce di Jim Levy non passa inosservata. Come racconta Ellis T. “Doc” Peirce, in una testimonianza postuma del 1925, “quando un pistolero arrivava nella valle, la voce si spargeva in fretta come in una società di cucito per signore… A quei tempi Deadwood era una città pazzesca; duelli e sparatorie nelle strade, e spesso uno doveva abbassarsi o buttarsi a terra per evitare una doccia di piombo”. Lungo le sue strade fangose camminavano leggende del calibro di Wild Bill Hickock e Wyatt Earp: Jim Levy viene descritto da molti come un “artista della sei colpi” degno di stare al loro fianco. All’epoca, si dice, aveva già sedici uccisioni sulle spalle. Un giornale del tempo conia per lui un neologismo: “pistoliferous”, un incrocio intraducibile tra “pistolero” e “pestifero”.
Da Deadwood, il nostro si sposta a Cheyenne, altra città leggendaria soprannominata “the Magic city of the Plains”. Anch’essa è un ritrovo di cercatori d’oro e di uomini pericolosi, ed è in questo scenario che si svolge il più celebre duello di Jim Levy.
La data è il 9 marzo 1877, il luogo lo Shingle and Lock Saloon sulla Sedicesima Strada di Cheyenne. Jim siede al tavolo verde con Charlie Harrison. Giocano a carte ed entrambi non hanno lesinato con il whisky.
Se Jim Levy è sicuramente un individuo pericoloso, anche il suo avversario non è esattamente un chierichetto: è conosciuto in tutta la città per essere un giocatore e un pistolero temibile. Al tavolo da gioco scoppia una lite. La storia non ci tramanda i termini esatti della lite: il fumo e il trambusto del saloon hanno inghiottito per sempre le parole pronunciate dai due e da oltre un secolo i testimoni riposano sulla collina degli stivali.
Con ogni probabilità, seguendo un modello classico, uno dei due ha vinto troppo, facendosi accusare dall’altro di essere un baro. L’atmosfera si surriscalda e Charlie Harrison commette un errore fatale: insulta le origini irlandesi dell’altro. A questo punto, Levy lo sfida a duello ed entrambi escono in strada, trascinandosi dietro una schiera di curiosi pronti a scommettere sull’esito. Harrison, più noto in città, è il favorito.
Il confronto avviene, come nella migliore tradizione hollywoodiana, per strada, davanti a un altro dei molti saloon della città, il Frenchy Saloon. Per descrivere la scena abbiamo a disposizione una testimonianza eccezionale, quella di Bat Masterson (1853-1921), pistolero, avventuriero del west e giornalista, che nel 1907 descrisse la scena per la rivista Human Life in un articolo, ormai raro, dedicato ai pistoleri del west: “[Harrison] mise facilmente in azione la sua pistola, sparava così velocemente, e riuscì a esplodere cinque colpi a Levy prima che questi potesse indirizzargli una pallottola… Levy si prese il tempo necessario. Guardò nel mirino della sua pistola, cosa importante da fare quando si spara ad un avversario che sta rispondendo al vostro fuoco”.
Sarà questo aspetto a colpire i cronisti dell’epoca: un uomo che ha la freddezza di prendere la mira sotto a quella che, in un fumetto, verrebbe descritta come “una grandinata di piombo”.
Quando finalmente spara, la pallottola di Levy non va a vuoto come quelle del suo avversario, ma si conficca nel corpo di Harrison, gettandolo a terra, nella neve fangosa che ricopre la strada. Dopo il primo centro, il killer corre incontro al suo avversario e gli spara di nuovo, da distanza ravvicinata. Charlie Harrison non muore sul colpo: lotterà con la morte per quindici giorni prima di spirare.
Alcune fonti narrano che, dopo il secondo sparo, Jim Levy abbia lasciato la scena con una camminata tranquilla, dirigendosi al ristorante dietro l’angolo, l’Oyster Bay Restaurant, dove avrebbe ordinato un pasto. Lo sceriffo della Contea di Laramie, T.J. Carr, lo arrestò mentre mangiava con aria serafica, ma, anche questa volta, Levy viene rilasciato in breve per legittima difesa.
Da Cheyenne, James Levy si sposta a Leadville, in Colorado e poi a Tombstone, in Arizona, dove incontra i Fratelli Earp, colleghi nel mondo del gioco d’azzardo e della pistola. In questa fase, si sposta piuttosto spesso da una città all’altra, senza ingaggiare liti. Malgrado le sue peregrinazioni, non riuscirà a sfuggire al suo destino, che lo attende a Tucson, Arizona, il 5 giugno del 1882.
Lo scenario in cui inizia quest’ultimo, tragico capitolo della vita di Jim Levy è, ancora una volta, un saloon e un tavolo da gioco. Il Saloon si chiama Fashion e il banco del Faraone (un gioco di carte particolarmente in voga all’epoca) è tenuto da un giocatore – o sporting man, come venivano chiamati all’epoca i professionisti del tavolo verde – di nome John Murphy.
Levy si siede al tavolo ma, anche in questo caso, qualcosa va storto, Murphy si infervora mentre lui rimane freddo e glaciale come sempre, accusandolo di barare. Come da copione, la contesa dovrà essere risolta con un confronto armato ma, per qualche motivo, il momento della verità viene posticipato al giorno successivo. Si è ipotizzato che i due volessero confrontarsi oltre il confine con il Messico, per evitare complicazioni legali, o forse John Murphy aveva già in mente di risolvere la questione in un altro modo.
Intorno alle dieci di sera, moderatamente ubriaco, Jim Levy fa ritorno al suo albergo, il Palace Hotel sulla Meyer Street. Dalle ombre di un vicolo sbuca Murphy accompagnato da due amici, Dave Gibson e Bill Moyer. Il terzetto apre immediatamente il fuoco sul killer, che da loro le spalle ed è, per giunta, disarmato e lo abbandona nella polvere della strada, in un lago di sangue.
Come Jesse James e Wild Bill Hickock, la leggenda di Jim Levy finisce con dei colpi a tradimento. Come il suo maestro, Morgan Courtney, riceve cinque pallottole: due lo raggiungono al collo, una al braccio destro, uno al cuore e uno in testa. Alcuni dei colpi, quello al braccio e quello alla testa, sono stati evidentemente esplosi quando giaceva già a terra.
I suoi assalitori protesteranno di aver agito per legittima difesa, ma il corpo disarmato di Levy e le deposizioni dei testimoni non lasciano adito a dubbi in merito alla vera dinamica dei fatti. Murphy e i suoi furono sottoposti a processo e rinchiusi nel carcere di Pima, ma riuscirono ad evadere e a conservare la libertà ancora per qualche mese, prima di venire catturati da una posse e giudicati separatamente. Dei tre, soltanto Moyer fu incriminato per l’omicidio di Levy e condannato all’ergastolo, mentre gli altri due, sorprendentemente, vennero rilasciati.
Di Jim Levy, degli uomini che uccise e di quelli che lo uccisero non rimane che polvere, oggi, ma le storie che lo videro come protagonista vivono ancora e, passando da bocca a orecchio, si sono trasformate in leggenda.