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Storia dei popoli del Nord-America – 6

A cura di Claudio Ursella
Tutte le puntate: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 (ultima).

PALEOINDIANI – LA FASE ARCAICA

Quella che viene definita “fase Arcaica” delle culture dei nativi d’America, è di fatto l’inizio del processo di differenziazione e evoluzione dei diversi modelli culturali, che verrà traumaticamente interrotto dall’arrivo degli Europei, e in tale inizio sono già riconoscibili elementi, soprattutto connessi ai modelli di sussistenza, che poi rimarranno costanti nel corso dei millenni successivi. Tali elementi, sostanzialmente legati alle specifiche condizioni ambientali, rimarranno quasi invariati essendo invariato il contesto ambientale che li ha prodotti.
E anche la grande innovazione dell’agricoltura, che segna di fatto la fine della fase Arcaica, compare solo laddove gli adattamenti culturali dell’era Arcaica ne hanno posto le premesse, in un contesto di sostanziale continuità. E’ infatti a partire dai contesti ambientali, e dai connessi modelli di sussistenza, che già nella fase arcaica possiamo individuare una serie di aree culturali, che ricalcano di fatto, quelle individuate da antropologi ed etnologi in tempi storici. Così è già chiaramente individuabile, per esempio, un modello di sussistenza, un sistema di relazioni, un ambito di affinità, che comprende tutta l’area delle Foreste Orientali, analogamente ciò accade per la regione delle Grandi Pianure, per le zone semi aride del Grande Bacino e del Sud-Ovest, per l’area Californiana, per le regioni dell’Altopiano, lungo i fiumi Columbia e Fraser, e molto probabilmente, per le terre dell’Alaska e del Canada occidentale, che quasi certamente durante la fase arcaica, furono colonizzate dai popoli di lingua Atapaskan.
In alcune di queste aree il modello di vita arcaico evolverà verso modelli sociali sempre più complessi, in altre zone tale modello rimase quasi immutato fino ai giorni nostri, ma in un caso come nell’altro, costanti rimarranno quelle peculiarità relative alla necessità di adattarsi ad uno specifico contesto ambientale, dato che in nessun caso, in Nord America, lo sviluppo culturale e tecnologico, giunse al punto di modificare l’ambiente, piegandolo alle contingenti esigenze di una specifica e passeggera civiltà.

Lo stile di vita Arcaico nelle Foreste Orientali

Tutta la parte orientale degli Stati Uniti, fino alle zone limitrofe del Canada e a Terranova, fu la zona che più beneficiò del ritiro dei ghiacci, vedendo il suo paesaggio mutarsi in quella che divenne una delle zone più adatta alla vita dell’uomo e allo sviluppo delle sue attività. Circa 9.000 anni fa, in questa zona gli esemplari della megafauna del Pleistocene erano ormai definitivamente estinti, o al massimo ridotti a sopravvivere in poche e limitate enclave, ma questa perdita era stata ampiamente compensata dalle conseguenze del cambiamento climatico, che estendevano la foresta mista di latifoglie e conifere, fino a latitudini sempre più elevate, a nord dei Grandi Laghi, con una conseguente colonizzazione di specie vegetali, animali e di comunità umane, in territori che fino ad allora erano stati inadatti ad una ricca varietà di specie viventi. Così la fase Arcaica vide sostanzialmente la crescita della popolazione umana in tutte le regioni orientali, a partire da quelle meridionali, e progressivamente sempre più a nord, fino alle regioni intorno ai Grandi Laghi, una crescita che si accompagnò ad una capacità di adattamento sempre più aderente a specifici contesti locali. Si determinò in via definitiva il passaggio dal nomadismo casuale delle bande di cacciatori paleoindiani, ad un nomadismo stagionale, legato al ciclo di crescita di vegetali selvatici utilizzabili nell’alimentazione, centrali divennero i corsi dei fiumi, lungo i quali nacquero gli stanziamenti semisedentari, mentre le necessità della raccolta e della lavorazione di frutti selvatici, noci e bacche, radici, semi, avviò la produzione di un più ampio armamentario di utensili, e di una più vasta gamma di materiali, ossa, conchiglie, denti di animali ecc… La pesca divenne un’attività sempre più importante, vennero prodotti ami, e forse le prime rudimentali reti; fu durante la parte centrale della fase arcaica, che in Florida e nelle zone meridionali, gli antichi indiani iniziarono ad usare le prime piroghe scavate nel legno. La caccia rimase un’attività fondamentale, ma oltre a cervi e orsi neri, sono i piccoli mammiferi e i volatili, il tacchino in particolare, a costituire la principale risorsa. Ancora una volta le punte di pietra ci guidano attraverso il cambiamento degli stili di vita, e scomparse le punte scanalate della tradizione paleoindiana, in quasi tutte le regioni orientali, comparvero punte di pietra più piccole, ma lavorate con una tecnica più complessa, che prevedeva la presenza di due alette sporgenti alla base, che favorivano il fissaggio su un supporto ligneo.

Quasi certamente l’uso di questo nuovo tipo di punte, che sono caratteristiche della fase Arcaica in gran parte del Nord America, è collegato all’introduzione dell’atlatl, un propulsore che permetteva di lanciare con maggiore potenza piccole lance, che però necessitavano di punte più piccole di quelle usate per lance tirate o comunque usate con le sole mani; l’atlatl, che sembra sia comparso per la prima volta nelle zone forestali del sud-est, si diffuse nel corso dell’epoca Arcaica quasi ovunque, insieme con le piccole punte incise alla base. Ma al di là di questa innovazione, presente ovunque, in ogni luogo la produzione artigianale acquisì caratteristiche proprie, utilizzò risorse specifiche, tese ad una sostanziale specializzazione, mentre al tempo stesso, gli scavi e i ritrovamenti testimoniano la presenza di scambi tra i diversi gruppi, con materiali e utensili che passavano da un gruppo all’altro, da una regione all’altra.
Con il passaggio ad uno stile di vita semisedentario, crebbe la possibilità di una maggiore sedimentazione culturale; non più legati alla necessità di continui spostamenti, gli indiani arcaici, poterono accumulare un primo piccolo patrimonio di armi, utensili, ma anche ornamenti, mentre i villaggi non sono più semplici accampamenti temporanei con ricoveri provvisori, ma si edificano capanne di rami e frasche destinate a durare più a lungo. E’ certamente in questo periodo che si realizzarono le prime tecniche di conservazione delle risorse alimentari, svincolando la quotidianità dalle alterne fortune della caccia e della raccolta, liberando così le risorse e le energie da indirizzare verso una più ricca vita sociale, verso la produzione artigianale e infine, verso una propria visione spirituale ed una vita cerimoniale. Strettamente legati alla sedentarietà sono gli usi funerari e il culto dei defunti, di cui proprio nella fase Arcaica si comincia ad avere testimonianza.
L’archeologia non può darci conto dei cambiamenti che nel corso di quei millenni si produssero nell’organizzazione sociale, ma certamente essi furono rilevanti; la banda di cacciatori paleoindiani, che raccoglieva pochi gruppi famigliari intorno a un cacciatore esperto o al massimo a due fratelli, pronta a disperdersi al primo dissidio, alla prima difficoltà, alla morte del leader, cedette il posto ad una comunità legata da un comune riferimento territoriale, una comunità che doveva imparare a gestire le eventuali frizioni interne, produrre embrionali codici di comportamento, costruire relazioni che legavano i diversi gruppi famigliari, che stabiliscono le prime regole matrimoniali, alla base dello sviluppo di vere e proprie strutture parentali. La permanenza costante in uno specifico territorio, poneva il problema della relazione con i gruppi vicini, apriva alla necessità di stabilire relazioni “politiche” esterne, offriva l’opportunità di scambi di esperienze e di tecniche, ma al tempo stesso creava i rischi della rivalità e della conflittualità permanente, la guerra non più intesa come occasionale scontro di bande che competono per la medesima preda, ma come possibile condizione endemica e permanente nella relazione con i vicini.
Crescita demografica, semisedentarietà, specializzazione, differenziazione delle risorse, furono gli elementi che nelle regioni boscose orientali, produssero una lenta trasformazione verso uno stile di vita che fu l’humus comune a partire dal quale l’indiano uscì dalla preistoria, e iniziò a produrre culture sempre più elaborate, e di tali culture l’archeologia ha trovato testimonianza, già nella fase centrale del periodo arcaico, circa 6.000 anni fa. In questo periodo, un generale innalzamento delle temperature, iniziato nelle regioni occidentali già intorno al 9.000 a.C., raggiunse anche le regioni orientali, determinando il definitivo scioglimento dello scudo glaciale Laurenziano, ed un ulteriore incremento demografico nella parte settentrionale delle terre boscose, che verso la fine dell’epoca arcaica, videro lo sviluppo di culture umane originali e innovative.
La più antica tra le culture arcaiche documentate, risalente a circa il 4.000 a.C. in quella che è definito Arcaico Intermedio, nacque in una zona piuttosto periferica rispetto a quelli che saranno gli sviluppi culturali posteriori, lungo le coste dell’Atlantico settentrionale, dal Maine, alle provincie marittime canadesi, fino al Labrador e Terranova. In quest’area costiera, grazie all’influenza mitigatrice della Corrente del Golfo, le condizioni ambientali dovettero essere favorevoli alla colonizzazione umana, quando ancora le regioni interne alla stessa latitudine erano in larga misura ricoperte dai ghiacci. Qui nacque e si sviluppò la cultura detta Red Paint (Pittura Rossa), per la caratteristica delle fosse funerarie, le cui parete erano dipinte di pittura rossa, così come i cadaveri dei defunti. I popoli della cultura Red Paint ci hanno lasciato testimonianze di un artigianato litico eccezionalmente raffinato ed elaborato, con lame, asce e altri utensili, ma anche pettini, fibie ecc…, la cui bellezza, e spesso la delicatezza, è tale da far pensare che esse siano state costruite al solo scopo di accompagnare il defunto dopo la morte. In effetti gli scarsi resti di insediamenti abitativi, non hanno offerto la stessa varietà di oggetti, e anche la loro qualità risulta molto meno accurata di quelli ritrovati nelle fosse funerarie; è probabile che gli oggetti ritrovati nelle sepolture, costituissero il corredo funerario che ogni individuo approntava per se nel corso dell’intera vita. Le pietre e i minerali usati nella produzione di questi corredi, scelti anche sulla base di criteri estetici, provengono spesso da luoghi lontani, e questo a testimonianza della vasta rete di scambi esistente; un’altra curiosità è il ritrovamento, in un sito di stanziamento e non funerario, di modelli eguali, in osso e in avorio, di oggetti in pietra ritrovanti nelle sepoltura, a ulteriore conferma che molta produzione litica fosse solo a uso funerario e per l’uso comune venivano usati anche altri materiali. I popoli della cultura Red Paint vivevano secondo il modello tipico del tempo, cacciando, pescando e raccogliendo vegetali, ma certo rispetto agli altri dipendevano in maggior misura dalle risorse del mare, in particolare dalla caccia dei mammiferi e degli uccelli marini e dalla raccolta delle loro uova; le grandi colonie di questi animali che abbondavano lungo le coste, furono una risorsa la cui abbondanza deve aver reso possibile lo sviluppo di una cultura e di un modello cerimoniale complesso, che è tra i primi a essere testimoniato in Nord America.
Dopo essersi sviluppata per alcune migliaia di anni, la cultura Red Paint iniziò a declinare verso la fine dell’era Arcaica, intorno al 1.500 a.C., anche se i suoi tratti essenziali hanno continuato a sopravvivere nell’isola di Terranova, ancora fino al XIX secolo; proprio nella parte settentrionale dell’isola di Terranova, nella località di Port au Choix, è venuto alla luce il più importante sito di questa cultura, con oltre cento sepolture. La decadenza della cultura Red Paint, sembra essere collegata al progressivo aumento delle temperature in epoca post-glaciale. E’ probabile che le zone interessate da questa cultura, immediatamente a sud della calotta glaciale in fase di ritiro, abbiano per lungo tempo offerto un ambiente vergine e ricco di risorse, fin quando il progressivo aumento delle temperature, non determinò la trasformazione dei tanti laghetti di origine glaciale, in un paesaggio di paludi e acquitrini, meno adatto allo sviluppo della colonizzazione umana. E’ molto probabile che le genti che diedero vita a questo complesso culturale siano stati gli antenati dei Beothuk storici, un gruppo linguisticamente isolato, che al tempo dell’arrivo dei bianchi risiedeva nella sola isola di Terranova; è quindi probabile che gli antenati dei Beothuk, occupassero un tempo anche vaste aree costiere di terraferma, abbandonate forse in conseguenza della migrazione da ovest di popoli di lingua Algonchina, mentre da nord avanzavano i proto-Inuit di cultura Dorset, che intorno al 500 a.C. giunsero a stanziarsi anche nella parte settentrionale dell’isola di Terranova. Differenze etniche e linguistiche potrebbero forse spiegare l’isolamento di questa cultura nell’ambito delle regioni boscose orientali, e la mancanza di una sua eredità nei successivi sviluppi culturali.

Contemporanea della cultura Red Paint, ma totalmente autonoma da essa, è una delle più antiche espressioni dello sviluppo delle culture arcaiche nelle zone orientali, quella detta Old Copper Complex (Complesso del Vecchio Rame), nata circa 6.000 anni fa nella zona a sud del lago Superiore, negli attuali stati di Wisconsin e Michigan. In questa regione, approfittando di depositi superficiali di rame puro, gli indiani arcaici diedero vita ad una produzione artigianale di oggetti e utensili di rame, lavorato con il semplice metodo della battitura. Utilizzato all’inizio per la produzione di lame e oggetti di uso quotidiano, circa 4.000 anni fa il metallo cominciò ad essere usato per ornamenti e altri oggetti che definivano lo status sociale dei personaggi più importanti, un cambiamento che da chiare indicazione circa la nascita di un embrionale gerarchia sociale. Certamente il rame, inizialmente considerato come una semplice materia prima di facile lavorazione, divenne ad un certo punto simbolo di status e soprattutto oggetto di scambi, come dimostrato dall’ampia diffusione di oggetti di rame, anche laddove non era disponibile in natura. La presenza nell’area Old Copper di conchiglie marine, anche provenienti dal Golfo del Messico, testimonia dell’ampiezza degli scambi che il rame alimentava. Il complesso culturale Old Copper si esaurì verso la fine dell’epoca Arcaica, intorno al 1.000 a.C., ma le risorse di rame della regione continuarono ad alimentare gli scambi con altre aree, anche nei secoli successivi.
Successiva alla cultura Old Copper, ma collegata, almeno dal punto di vista delle relazioni commerciali, con la zona in cui la Old Copper ebbe origine, è la cultura detta dei Glacial Kame, che si sviluppò nella zona di confine tra gli attuali stati di Ohio, Indiana, Michigan fino alle zone limitrofe della provincia canadese dell’Ontario, intorno al 1.000 a.C. Caratterizzata dall’uso di seppellire i defunti all’interno dei “kame”, depositi di sedimenti glaciali, questa cultura ci ha lasciato testimonianza non solo di una già elaborate produzione litica, ma anche di oggetti in rame, oltre che un gran numero di conchiglie di provenienza marina, a dimostrazione della relazione che essa intratteneva con luoghi anche lontani. Tra i reperti funerari fanno la loro comparsa gorgere, dette per la loro forma a “suola di sandalo”, ricavate da gusci di molluschi perforati; tali oggetti, il cui scopo è evidentemente ornamentale, indicano con chiarezza il passaggio ad una società ed una tecnologia, la cui capacità produttiva è eccedente rispetto alla mera necessità di sopravvivenza, e forse anche all’embrionale prodursi e cristallizzarsi se non di elite sociali, quanto meno di una gerarchia e di differenziazioni dei ruoli individuali all’interno della comunità. Oltre alle gorgere a “suola di sandalo”, sono stati trovati diversi oggetti in pietra, dalla forma di uccelli molto stilizzati, il cui uso era forse quello di pesi, da attaccare ai propulsori (atlatl) per potenziarne il lancio, anche se le ragioni di tale forma vanno probabilmente ricercate nell’ambito delle credenze e delle magie collegate alla caccia.
Coevo, affine e limitrofo è il complesso culturale Red Ocher (Ocra Rossa), di cui sono state trovate testimonianze un una vasta regione a ovest della zona Glacial Kame, dall’Ohio e dal Michigan occidentale, attraverso il nord dell’Indiana, dell’Illinois e il Wisconsin, fino al Minnesota e all’Ontario meridionale. Caratteristica di questa cultura era l’uso dell’ocra rossa, o di altre tinture o pigmenti dello stesso colore, per decorare i cadaveri dei defunti e i corredi funerari, sepolti abitualmente in luoghi elevati. Tra gli oggetti peculiari di questa cultura vanno segnalate delle larghe lame di selce, dette “a coda di tacchino”, non ritrovate in altre zone. Se l’uso del colore rosso ricorda il popolo della cultura Red Paint della costa Atlantica, sotto tutti gli altri aspetti, a partire dall’uso del rame per la fabbricazione di ornamenti e gioielli, fino alla condivisione di una stessa rete di scambi, i popoli di cultura Red Ocher, come quelli Glacial Kame, sembrano muoversi nel solco della tradizione Old Copper, e tutte insieme queste genti possono essere considerate antenate degli Algonchini storici, che nella regione dei Grandi Laghi ebbero il loro centro di diffusione, e che probabilmente proprio all’inizio dell’epoca arcaica iniziarono a migrare verso nord, differenziandosi dai loro parenti meridionali, antenati dei Muskogee storici.
In gran parte della zona meridionale delle regioni boscose, durante la fase Arcaica non sembrano emergere modelli culturali con specifiche caratterizzazioni, anche se ovunque è testimoniata la presenza di siti sepolcrali, di usanze funerarie e corredi cerimoniali; solo in una ristretta area, immediatamente a ovest del basso corso del Mississipi, nel nord-est della Louisiana, recenti scoperte hanno individuato testimonianze di una cultura tra le più inspiegabili e misteriose. Inizialmente legata al sito di Poverty Point, un vasto complesso di tumuli costruiti nel corso di 1.500 anni, tra il 2.200 e il 700 a.C., questo complesso culturale ha origini forse molto più antiche, risalenti al 3.500, forse al 4.000 a.C., l’epoca a cui fu edificato il sito di Watson Brake, il più antico complesso di “mound” (tumuli) del Nord America. A Watson Brake, la presenza di insediamenti umani è testimoniata a partire dal 4.000 a.C., ma l’edificazione dei tumuli, 12 in tutto, di diversa altezza, posti a costruire un perimetro ovale, ebbe inizio intorno al 3.500 e si protrasse per secoli, fino all’abbandono della struttura intorno al 2.800 a.C. I tumuli di Watson Brake, come quelli posteriori di Poverty Point, non sono stati costruiti come sepolcri, come avverrà nei secoli successivi in tutte le terre boscose, semmai sembrano collegati allo svolgimento di riti e cerimonie, come le piramidi mesoamericane o i più tardi i mound della cultura Mississipi. Scoperto solo di recente il sito di Watson Brake rimane la più antica struttura costruita in Nord America, ed è notevole che essa sia dovuta a popoli di cacciatori e raccoglitori, che per molti secoli probabilmente si incontrarono in questo luogo, per ragioni economiche e cerimoniali.
Meglio conosciuto è il sito di Poverty Point, poco distante da Watson Brake nello spazio, e di circa 700 anni più recente; testimonianza di una capacità edificatoria molto più evoluta, il cuore del sito è costituito da una serie di sei semicerchi concentrici, ognuno costituito da sette tumuli di forma allungata e di varia altezza, posti sul lato di un corso d’acqua, edificati in un periodo compreso tra il 1.600 e il 1.300 a.C.; intorno al semicerchio e al centro di esso si elevano altri tumuli, alcuni molto più antichi, risalenti al 2.200 a.C., mentre la zona centrale costituiva una plaza probabilmente destinata ai riti collettivi; nel complesso l’area occupata e di oltre due kmq, e forse originariamente raggiungeva i cinque . Quasi certamente Poverty Point fu un grande centro cerimoniale, oltre che luogo di scambi, anche se non è chiaro il ruolo dei tumuli, alcuni dei quali, più elevati forse ospitavano templi, ma la cui ragione e funzione va forse cercata in un simbolismo di cui la razionale geometria della struttura era espressione. A Poverty Point sono stati ritrovate testimonianze dell’attività artigianale dei costruttori, ma anche della vasta rete commerciale che li legava a zone lontane, fino ai Grandi Laghi da dove giungeva il rame. Peculiare il ritrovamento di sfere di argilla, che sembra fossero usate per la bollitura dei cibi, oltre che dei primi manufatti di terracotta. Come tutti i popoli arcaici, i costruttori di Poverty Point vivevano di caccia pesca e raccolta, e presumibilmente abitavano molti villaggi nelle vicinanze, dato che non è sicuro che Poverty Point fosse stato edificato a scopo abitativo. Come a Watson Brake è probabile che per molti secoli diversi gruppi di cacciatori e raccoglitori si siano dati periodico appuntamento in questo luogo, ma il metodo nella costruzione, l’attenzione alle geometrie e probabilmente anche una certa conoscenza astronomica, che presiedeva ai criteri di edificazione dei tumuli, fanno necessariamente pensare ad una struttura sociale più complessa e organica, forse una vera e propria struttura tribale, capace di tenere unite diverse piccole comunità satellite, intorno al centro principale. Il popolo di Povery Point, probabilmente lo stesso di Watson Brake, abbandonò l’uso di costruire tumuli intorno all’VIII sec. a.C., e per ritrovare strutture simili in Nord America bisognerà attendere oltre 1.000 anni, quando nella stessa valle del Mississipi, altri popoli edificarono grandi mound a scopo cerimoniale.
Per lungo tempo, prima della scoperta del sito di Watson Brake, si è cercato di spiegare lo stupefacente complesso di Poverty Point, con possibili contatti e influenze di culture più avanzate mesoamericane, in particolare quella Olmeca, che raggiungeva il suo apice proprio mentre si costruivano i tumuli di Poverty Point; tale ipotesi oggi risulta meno probabile dopo la scoperta di Watson Brake, che anticipa la costruzione di tumuli ad un epoca precedente lo stesso fiorire della cultura Olmeca. Difficile è comprendere come di questa cultura sia scomparso ogni retaggio, disperso nell’humus indifferenziato delle tante culture Woodland successive, che sulle ceneri di Poverty Point si svilupparono anche in Louisiana. Ancor più difficile immaginare quali furono i popoli artefici di questa cultura; in tempi storici la zona del basso Mississipi era abitata da vari gruppi linguisticamente isolati, i Natchez, i Tunica, oltre che da gruppi di lingua Muskogee, e quasi certamente tutti questi gruppi abitavano la regione già in epoca arcaica; è curioso notare che più o meno nella stessa zona in cui furono eretti i più antichi tumuli, sopravvissero anche le ultime strutture di questo tipo, i tumuli su cui erano edificati i templi dei Natchez, gli ultimi rappresentanti della cultura del Mississipi, distrutti dai Francesi prima della metà del ‘700.
Tutte le culture Arcaiche delle Foreste Orientali si esaurirono tra il 700 e il 500 a.C., e nuove conoscenze e risorse furono il volano della nascita del complesso culturale detto Woodland, che con molti sviluppi e differenziazioni, caratterizzò la storia delle Foreste Orientali per i successivi 1.500 anni.

Lo stile di vira Arcaico nelle Grandi Pianure

A differenza di quanto accadde nelle Foreste Orientali, il ritiro dei ghiacci e la fine dei grandi mammiferi preistorici, non ebbero conseguenze particolarmente significative nelle Grandi Pianure, nelle quali l’ambiente mantenne le medesime caratteristiche, savane e praterie d’erba alta in grado di ospitare popolazioni di mammiferi che si muovevano in branchi, con l’unica variazione dovuta al tendenziale innalzarsi della latitudine delle terre abitabili, in conseguenza proprio del progressivo ritiro dei ghiacci. Così la parte settentrionale delle Grandi Pianure, la zona compresa tra l’alto corso del Missouri e il Saskatchewan, fu aperta alle migrazioni delle mandrie di bisonti, e conseguentemente alla colonizzazione dei gruppi umani che predavano tali animali. E’ da quest’epoca infatti che il bisonte, soppiantando le specie di mammiferi preistoriche, diviene l’animale simbolo delle Grandi Pianure, la principale risorsa economica, insieme alle antilocapre, che si muovevano in branchi più pivvoli nelle stesse pianure erbose, e ai cervidi, che in piccoli gruppi famigliari frequentavano i boschetti lungo il corso dei fiumi; altre risorse erano rappresentate dalla fauna avicola, presente soprattutto presso i laghi e le zone paludose, che specialmente nelle zone settentrionali abbondavano, dopo il recente ritiro dei ghiacci.
Questa sostanziale continuità del contesto ambientale fu la ragione della corrispettiva continuità tra la cultura Folsom dell’ultima fase paleoindiana, e la cultura Plano dell’inizio dell’epoca Arcaica (8.000 – 6.000 a.C.), al punto che molti studiosi considerano la cultura Plano come ultima cultura Paleoindiana, o almeno come una cultura di transizione tra l’epoca Paleoindiana e quella Arcaica.

Diffusa in tutta la vasta regione delle praterie, dal Golfo del Messico al Saskatchewan, dalle Rocky Mountains fin quasi al Mississipi, la cultura Plano è caratterizzata da una diversa tecnica di costruzione delle punte di pietra, prive della scanalatura centrale tipica delle punte Clovis e Folsom; sotto ogni altro punto di vista, gli usi delle genti di cultura Plano sembrano solo un’evoluzione all’interno del solco dello stile di vita dei cacciatori Folsom. A differenza che nelle foreste orientali, la caccia alla selvaggina di media e grossa taglia come bisonti e antilopi, rimase l’attività principale, con una sempre maggiore specializzazione nelle tecniche di caccia collettiva. La tecnica di spingere le mandrie verso dirupi o recinti, già in uso tra i cacciatori Folsom, divenne generalizzata, determinando anche esiti distruttivi, ma producendo anche le condizioni per il costituirsi di gruppi umani più numerosi e coesi, uniti dalla necessità di collaborare in una tecnica di caccia che poteva essere estremamente pericolosa; a obbligare alla collaborazione (o a determinare conflitti) era anche la necessità di utilizzare quei siti in cui le caratteristiche del terreno favorivano l’intrappolamento delle prede. E’ in questo periodo infatti che risultano maggiori testimonianze di siti di uccisione, dove ossa animali e punte di lancia si accumularono per lunghi periodi, a testimonianza del fatto che più gruppi e per lunghi periodi frequentarono gli stessi luoghi.
La cultura Plano è comunque fondamentale perché quasi certamente con essa si manifestarono tutti gli elementi che caratterizzarono la vita nelle Grandi Pianure fino all’epoca storica, in particolare le tecniche di utilizzo integrale di ogni parte del bisonte, la conservazione della carne nella forma di pemnican, oltre ovviamente alle tecniche di caccia collettive in uso ancora all’inizio del XIX secolo. Tutti questi elementi rendevano possibile la sopravvivenza in un contesto ambientale che richiedeva una notevole specializzazione e non offriva una vasta gamma di risorse: finita ormai l’epoca in cui le pianure erano il regno dei grandi mammiferi, i gruppi di nomadi cacciatori e raccoglitori Plano, dipendevano in larga misura dalle casuali migrazioni dei bisonti, e a differenza dei loro eredi storici, non disponevano di cavalli per spostarsi alla loro ricerca nelle pianure. E’ quindi probabile che i vari gruppi nomadizzassero gravitando intorno ai luoghi più adatti per le cacce collettive, cercando le mandrie nelle vicinanze e impegnandosi poi in una difficile azione per indirizzarle verso un dirupo noto o un recinto predisposto, dove finalmente la “mattanza” poteva avere luogo. Una simile tecnica di caccia è tendenzialmente ecologicamente distruttiva, dato che essa porta all’uccsione indiscriminata di un gran numero di prede, molte di più di quelle effettivamente nessarie alla sopravvivenza del gruppo; inoltre essa dipende dall’imprevedibilità dei bisonti, la cui presenza in una limitata area può mancare anche per lunghi periodi. Gli indiani Plano ovviamente cacciavano anche cervidi, piccoli mammiferi e uccelli, raccoglievano una limitata gamma di vegetali selvatici, ma certamente i gruppi relativamente numerosi che si organizzavano intorno ad una caccia collettiva, non potevano essere sfamati da un’attività venatoria limitata alla piccola selvaggina e ai cervi presenti nelle vicinanze: come gli indiani storici delle Grandi Pianure, dipendevano quasi totalmente dal bisonte o comunque dagli animali che muovendosi in branchi numerosi, offrivano una gran quantità di risorse alimentari; quando le condizioni ambientali non permisero più l’esistenza di grandi mandrie di bisonti, la cultura Plano si esaurì nelle Grandi Pianure.
Prima di entrare nel merito delle cause che portarono alla crisi della cultura Plano, è possibile fare un’ipotesi su chi fossero questi antichi cacciatori delle Grandi Pianure, una regione questa dove nel corso dei secoli e dei millenni si sono avvicendati un gran numero di popoli diversi, ma che è stata caratterizzata in epoca storica dalla presenza di genti di lingua Caddo e Siouan, entrambe riconducibili alla grande famiglia Macrosiouan. Se diamo per certo che gli atenati dei Muskogee e degli Algonchini furono gli antichi colonizzatori delle Foreste Orientali, dobbiamo ritenere che gli antenati dei Macrosiouan, che pure vissero nelle Foreste Orientali, giunsero in quell’area solo in epoca più tarda, e che precedentemente abbiano occupato le Grandi Pianure; in particolare le genti Caddo-Iroquaian possono aver rappresentato l’ avanguardia nel processo di colonizzazione, occupando le praterie meridionali a sud del Missouri e gli antenati dei Siouan nella parte settentrionale del territorio. Ma l’occupazione da parte dei Macrosiouan delle Grandi Pianure non fu un fenomeno omogeneo e continuativo, e questa regione fu per lungo tempo scarsamente popolata, almeno fino a quando l’introduzione dell’agricoltura, non rese possibile contare su risorse più certe; il processo di impoverimento demografico delle Grandi Pianure iniziò intorno al 6.000 a.C. , quando la cultura Plano declinò in quasi tutta la regione, senza che nuovi e originali modelli di adattamento si producessero.
A quell’epoca il significativo aumento delle temperature iniziato nelle regioni occidentali 2.000 anni prima, raggiunse le Grandi Pianure, prima di coinvolgere anche le Foreste Orientali intorno al 4.000 a.C.; si trattava di un fenomeno che nel corso di alcuni millenni interessò tutto l’emisfero settentrionale, con aumenti delle temperature medie nell’ordine dei 4-5 gradi, e che produsse conseguenze diverse nei diversi contesti ambientali. Mentre nelle Foreste Orientali le temperature più elevate si coniugarono con una maggiore piovosità, determinando migliori condizioni per la vita di specie vegetali e animali, nelle Grandi Pianure, con un regime di piovosità più ridotto, l’aumento delle temperature determinò una fase di inaridimento, particolarmente grave nelle parte meridionale della regione, e molto meno sensibile nella parte settentrionale, solo di recente liberata dai ghiacci e ricca di laghi e paludi. Le mandrie di bisonti ed antilopi, già sottoposte ai massacri dei cacciatori Plano, si ridussero notevolmente nelle zone meridionali, e fu così che l’antico stile di vita dei cacciatori delle Grandi Pianure, protrattosi per migliaia di anni, dai tempi dei primi costruttori di punte Clovis, fino agli indiani di cultura Plano, divenne marginale, scomparendo del tutto nelle zone meridionali. Nei secoli successivi e per tutta l’era Arcaica, fino a pochi secoli prima dell’era cristiana, le Grandi Pianure videro ridursi costantemente la popolazione, a partire dagli altipiani occidentali, la zona con minore piovosità. Mentre scompaiono le testimonianze di siti di uccisione di grandi mammiferi, gli insediamenti umani tendono a concentrarsi lungo il corso dei grandi fiumi, dove non manca l’acqua e i boschetti offrono riparo a piccoli mammiferi, cervidi, uccelli; di fatto lo stile di vita delle Foreste Orientali, si afferma nelle Grandi Pianure, laddove le condizioni lo permettono, nella parte orientale del territorio e lungo il corso dei fiumi. E’ a partire da questo periodo che le Grandi Pianure divengono un’appendice periferica delle Foreste Orientali, dove si afferma uno stile di vita che, con minori risorse, si basa sulla caccia alla piccola e media selvaggina e su un più rilevante uso di risorse vegetali. E’ forse in questo quadro che può collocarsi l’ipotizzabile trasferimento a est degli indiani di lingua Iroquasian e Siouan alla fine dell’era Arcaica, dalle Grandi Pianure occidentali, verso il bacino del Mississipi, discendendo il corso dei grandi fiumi, il Missouri, l’Arkansas, il Red River, un percorso lento che si accompagnava all’adattamento ad un nuovo stile di vita, a nuove conoscenze, e nel corso del quale forse, furono acquisiti i primi rudimento dell’agricoltura. Ma quando ciò accade la fase Arcaica è già conclusa.

Lo stile di vita Arcaico nelle regioni del Sud-Ovest

Tutta la vasta regione che si estende a ovest delle Montagne Rocciose, fino alle catene della Sierra Nevada e della Sierra Madre, fu quella per cui i cambiamenti climatici della fine del Pleistocene giunsero prima e con un impatto più profondo, modificando fortemente l’ambiente e obbligando le popolazioni che lo abitavano a nuovi e radicali adattamenti. Già a partire dall’8.000 a.C., e per i millenni successivi, l’innalzamento climatico cominciò a mostrare i suoi effetti, effetti drammatici date le caratteristiche geografiche dell’area, che chiusa da elevate catene montuose, è sostanzialmente isolata dalle masse nuvolose provenienti dall’oceano Pacifico. Tale isolamento, con la conseguente scarsità di precipitazioni, già in epoca precedente aveva reso questa regione meno rigogliosa in confronto alle regioni orientali e centrali, ma questa condizione era stata almeno parzialmente compensata dalla presenza della calotta glaciale che si estendeva verso sud, lungo gli alti crinali montuosi che circondavano la regione.

I ghiacciai montani garantivano la presenza dell’acqua in tutta l’area, e grandi laghi, il Lahotan nel Nevada nord-occidentale, il Bonneville tra Utah, Idaho e Nevada, il Manly nel sud-est della California, occupavano le depressioni dell’attuale deserto del Nevada. L’aumento delle temperature modificò lentamente, ma inesorabilmente questa condizione, il ritrarsi della calotta glaciale e dei ghiacciai montani, ridusse il flusso dei corsi d’acqua della regione, mentre i grandi bacini interni svanivano progressivamente per evaporazione, trasformandosi prima in vaste paludi saline, per poi scomparire definitivamente; la scomparsa di un gran numero di specie vegetali, che necessitavano di un più abbondante rifornimento idrico, impoverendo il terreno, ne determinava un ulteriore erosione, in un processo di costante inaridimento che intorno al 2.000 a.C., rese la regione molto simile a come appare oggi, una zona arida, semidesertica, con estati torride, inverni freddi, una flora arbustacea e boschetti di pini nelle zone più elevate, ed una fauna con scarsa presenza di prede di media taglia, cervidi, antilocapre e pecore bighorne.
Le prevalenti caratteristiche comuni a tutta la regione determinarono il prodursi di un modello di sussistenza sostanzialmente simile, genericamente definito Cultura del Deserto, frutto di un cambiamento simile, ma ancor più radicale di quello avvenuto nelle Foreste Orientali: anche qui la scomparsa della megafauna, obbligò i diversi gruppi umani ad imparare ad utilizzare le risorse vegetali, ma più che un economia mista, basata sulla raccolta, la pesca e la caccia a selvaggina di media taglia, il modello di sussistenza fu caratterizzato da un’estrema specializzazione nell’uso delle scarse risorse vegetali che il territorio metteva a disposizione, mentre la stessa scarsità di risorse determinava una sostanziale stagnazione nello sviluppo di comunità umane più coese e strutturate. Piccole bande e gruppi famigliari che vivevano in un territorio limitato e di cui conoscevano perfettamente la disponibilità di risorse, vagavano da un luogo all’altro raccogliendo frutti, semi, bacche, radici, noci e pinoli, seguendo un modello di nomadismo che sfruttava stagionalmente la diversità degli ambienti in relazione all’altitudine, approfittando della maggiore ricchezza dei boschetti di pini che crescevano sulla sommità dei rilievi durante l’estate, per poi svernare nei canion e nella valli.
Pur apparentemente semplice, questo stile di vita richiedeva un bagaglio di conoscenze notevole, sia per quanto riguarda il gran numero di vegetali che venivano raccolti (nel solo sito di Danger Cave ne sono state contate 65 specie), sia per ciò che concerne le tecniche necessarie alla raccolta e all’utilizzo. Se le punte di pietra divengono più piccole e meno numerose, la loro lavorazione si fa più complessa, le punte vengono lavorate con profonde incisioni alla base per favorirne l’innesco su piccole lance da usare con il propulsore (atlatl), mentre nuovi strumenti fanno la loro comparsa, in particolare pietre per la macinazione dei semi (manos e metasas), bastoni da scavo, aghi e punteruoli, in alcuni casi corna di pecore usati come primitivi falcetti per raccogliere erbe selvatiche, e nelle vicinanze dei laghi, ami di osso; alla pietra, all’osso e al legno, si aggiungono le fibre vegetali, come materia prima per la fabbricazione di reti, stuoie e canestri; intorno al 4.000 a.C. cominciano a comparire anche le prime testimonianze di un’attività artigianale legata a momenti ludici o rituali, come sonagli e dadi d’osso, elementari rappresentazioni lignee di animali, e nelle zone costiere del sud della California, conchiglie lavorate a scopo ornamentale. Tra gli oggetti più interessanti certamente vanno annoverati i modellini di uccelli palustri, fabbricati con fibre vegetali e a volte piume, utilizzati come richiami per la caccia.
La preponderanza dell’attività di raccolta di vegetali, non escludeva comunque l’attività venatoria, rivolta principalmente verso i le pecore bighorne, oggi presenti principalmente in zone montane, ma un tempo più largamente diffuse, le antilocapre e i cervi, quando era possibile, ma soprattutto conigli e altri piccoli roditori, oltre che probabilmente insetti; è forse già di quest’epoca l’uso di cacciare i conigli con reti e trappole di legno. Intorno ai laghi e alle paludi che progressivamente si ritiravano, era praticata una modesta attività di pesca, mentre nelle regioni costiere della California meridionale, la raccolta di molluschi costituiva una risorsa sicura.
Il carattere del nomadismo dei popoli della Cultura del Deserto, legato alla disponibilità di scarse risorse, per un tempo limitato e in località circoscritte, non prevedeva stanziamenti prolungati, così mancano progressi tecnologici nella costruzione di capanne e abitazioni, e semplici ripari di frasche durante la buona stagione, caverne nei mesi invernali erano usati dai vari gruppi. Più che testimonianze di stanziamenti, sono stati trovati resti di depositi di alimenti vegetali in caverne, luoghi dove le risorse eccedenti venivano immagazzinate per poter poi essere usate in un momento successivo. Il clima caldo per buona parte dell’anno non stimolava le tecniche di lavorazione delle pelli, peraltro non sempre disponibili, anche se già da quest’epoca risulta la pratica di cucire insieme pelli di coniglio, per ricavarne coperte e mantelli da usare durante i mesi freddi.
A differenza di quanto accadeva nello stesso periodo nelle Foreste Orientali, non risultano evidenze di scambi commerciali di vasto e medio raggio, e i singoli gruppi probabilmente vivevano in relativo isolamento, con contatti solo con gruppi limitrofi e affini. Anche per quanto riguarda l’emergere di usi funerari, i riscontri sono scarsi e limitati a zone periferiche, e mancano le testimonianze di sepolture e corredi funerari, già presenti in altre aree del continente.
Gli elementi fin qui descritti erano comuni a tutta la regione del Sud-Ovest, oltre alla valle Californiana e alla Baja California, ma in tutta la regione non mancarono le caratterizzazioni locali; in particolare in quello che è l’altopiano del Colorado, nella zona di confine tra l’Arizona, il New Mexico, l’Utah e il Colorado, dove già intorno al 7.000 a.C. è testimoniata la conoscenza della tecnica di intreccio di fibre vegetali per la fabbricazione di canestri, che produce un salto di qualità nello sviluppo delle Culture del Deserto.

Grazie ai canestri le bande di raccoglitori potevano immagazzinare e trasportare semi e altri prodotti vegetali, utilizzando in modo più razionale le eccedenze e pianificando gli spostamenti anche sulla base delle risorse disponibili. I “Basket Makers Arcaici”, con questa semplice ma fondamentale innovazione, diedero l’avvio ad un percorso di sviluppo culturale che a partire dal 1.000 a.C., porterà al formarsi della grande e complessa cultura Anasazi. E’ altamente probabile che già in epoca arcaica, i popoli di lingua Tanoan occupassero quest’area, e che ad essi sia ascrivibile il continuum culturale che da questi tempi remoti, giunge fino ai Pueblo storici.
A sud-est dei Basket Makers, nell’alta valle del Rio Grande, tra Colorado e New Mexico, tra il 5.500 a.C. e il 500 d.C., la Cultura del Deserto si manifesta in quello che è definita tradizione Oshara, caratterizzata dall’uso di pietra nera per la fabbricazione di punte ed altri utensili. La tradizione Oshara sembra essere il risultato dell’arrivo di gruppi di provenienza occidentale, forse affini ai Basket Makers Arcaici, che si sostituirono agli antichi cacciatori Paleoindiani, che proprio nel New Mexico lasciarono abbondanti testimonianze .
A sud dei Basket Makers Arcaici, nella zona di confine tra Messico, Arizona e New Mexico, il termine Cochise definisce lo specifico locale della Cultura del Deserto, caratterizzata dalla vicinanza con le più avanzate culture messicane; proprio in quest’area, nel sito di Bat Cave in New Mexico, già intorno al 3.000 a.C. è testimoniato l’uso di mais di provenienza meridionale. Certamente non si tratta della prova di una vera e propria attività agricola, ma quasi certamente i raccoglitori che frequentavano Bat Cave, erano già in grado di comprendere che i semi di mais interrati in determinate località e in un determinato periodo, potevano essere abbandonati per cercare altre risorse in altri luoghi, con la speranza e la possibilità che tornando nella stessa località mesi dopo, quei semi avrebbero dato i loro frutti. L’esperienza prodotta dalla continua osservazione del ciclo dei vegetali, coglieva l’opportunità di una specie già parzialmente selezionata dall’uomo tra le montagne del Messico centrale, e da quest’incontro nasceva l’agricoltura nel Nord America. A favorire il passaggio di conoscenze e tecniche dal Messico al Nord America fu probabilmente anche l’affinità linguistica, dato che in tutta la zona già vivevano popolazioni di lingua Uto-Azteca, antenati dei Pima, degli Opata, dei Tarahumara, oltre agli antenati degli Zuni, di più antica emigrazione, e che probabilmente all’epoca occupavano gran parte del New Maxico meridionale; alla fine dell’epoca arcaica a loro sarebbe toccato dare l’avvio alle prime culture agricole del sud-ovest, la Mogollon e la Hohokan.
A nord e a est dei Basket Makers Arcaici, nel Nevada e nella California sud-orientale, intorno a quanto rimaneva degli antichi grandi laghi del Pleistocene, gli antenati degli Shoshone storici, costituivano l’elemento più conservatore del Sud-Ovest, e a loro sarebbe toccato rappresentare fino ai tempi del contatto con gli Europei, la sostanziale permanenza della Cultura del Deserto dell’epoca Arcaica.
Più a ovest, nella California meridionale e nella valle della California, la Cultura del Deserto assume caratterizzazioni specifiche in relazione alle specificità ambientali. Così nella California sud-occidentale, la tradizione La Jolla, San Dieguito ed Encinita, e ancor più nella Baja California, la tradizione Bacino-Pinto, a partire dal 5.000 a.C., testimoniano un modello di sussistenza, in cui la Cultura del Deserto si sposava con le opportunità offerte dall’ambiente costiero; nella dieta la raccolta di vegetali e la caccia di piccola selvaggina veniva integrata dalle risorse del mare, principalmente dalla raccolta di molluschi lungo la costa, dato che le tecnologie necessarie per la pesca e la navigazione erano ancora limitate. In quest’area ad un antico popolamento di popoli di lingua Pericu e Waicuru, nel corso della fase arcaica si sovrapposero migrazioni di genti di lingua Hoka, che spinsero i Pericu e i Waicuru sempre più a sud nella penisola californiana, una regione che rimase sostanzialmente isolata per migliaia di anni, e dove lo stile di vita arcaico si evolvette mantenendo inalterate le sue caratteristiche. Più a nord nella zona del basso corso del Colorado, i popoli di lingua Hoka, che erano stati partecipi della tradizione San Dieguito, attraverso i contatti con le popolazioni del nord del Messico, alla fine dell’era arcaica, acquisirono l’agricoltura, dando vita alla cultura Patayan.
Nella valle della California la Cultura del Deserto, nata per sopravvivere in un ambiente che si faceva via via più ostile, si incontrò invece con quello che era, ed ancora è, uno degli ambienti più ricchi e più adatti alla vita umana. A differenza del Grande Bacino, dove le precipitazioni sono ridotte a causa della barriera costituita dalle alte vette della Sierra Nevada, la bassa Catena Costiera della California, non costituisce un serio ostacolo alle masse nuvolose che si producono sul Pacifico, e la valle californiana è caratterizzato da un clima di tipo Mediterraneo, da un ambiente vario, con valli fluviali, zone collinari, montagne coperte dai boschi. In un simile ambiente le risorse vegetali abbondavano, così come la selvaggina, laghi e fiumi offrivano risorse ittiche, e gli antichi abitanti della California poterono sviluppare una variante della Cultura del Deserto molto più ricca e meno precaria; in particolare le maggiori risorse disponibili, permettevano un ciclo di spostamenti stagionali in un ambito spaziale più ridotto, ed uno stile di vita semi-sedentario, mentre la minore necessità di lunghi spostamenti tendeva a produrre comunità più piccole e isolate, sostanzialmente autosufficienti. La maggiore disponibilità di risorse, uno stile di vita meno precario, la possibilità di accedere ad una maggior varietà di materie prime, permise, già durante la fase Arcaica, il comparire di una prima attività artigianale non immediatamente legata all’uso quotidiano; tale attività è testimoniata dalle pietre lavorate apparentemente al solo scopo di produrre un effetto estetico, trovate in siti nella zona del Clear Lake; l’attenzione agli aspetti “voluttuari” dell’esistenza diede vita anche ad una significativa rete di scambi, in particolare per quanto riguardava materie come l’ossidiana, la steatite, oltre a cristalli e conchiglie, probabilmente utilizzati come ornamenti e simbolo di status. La produzione di canestri, che iniziò forse già a metà dell’era arcaica, si diffuse in tutta l’area alla fine dello stesso periodo, e diede vita ad una tradizione che portò i popoli della California all’eccellenza nella produzione di questi oggetti. Lo stile di vita californiano, basato su piccole comunità locali, autonome e tendenzialmente isolate, diede vita a molte caratterizzazioni locali della cultura arcaica californiana, tra le quali sicuramente la più nota è quella detta “Borax Lake”, diffusa principalmente nella zona a nord della baia di San Francisco.
I popoli che occupavano la valle californiana in epoca arcaica erano in larga misura riconducibili al gruppo linguistico Hoka, e forse a gruppi di stanziamento ancor più antico, come gli Yuki, ma verso la fine dell’epoca arcaica, intorno al 2.500 a.C., la regione fu invasa da popoli di provenienza settentrionale di lingua Penutian, forse dotati di tecnologie più avanzate. A questi Penutian, che occuparono le valli fluviali del Sacramento e del San Joaquin, è riconducibile la tradizione Windmiller, a cui sono dovute innovazioni tecniche che caratterizzarono le culture storiche della California, come l’uso di mortai e pestelli, e soprattutto i complessi procedimenti per l’utilizzo di ghiande a scopo alimentare. Alla cultura Windmiller sono anche riconducibili le prime testimonianze di usi funerari, con i defunti sepolti supini, insieme a corredi funerari composti da oggetti di uso quotidiano, sia per gli uomini che le per donne, e in alcuni casi anche con gioielli e ornamenti.
Alla fine dell’era arcaica nella valle californiana, il percorso di sviluppo culturale giunse ad esaurimento, ed il modello prodottosi oltre 4.000 anni fa rimase sostanzialmente immutato, forse proprio a causa del suo successo, se è vero che in quest’area la crescita demografica fu costante e veloce, al punto che al tempo del contatto la valle californiana era l’area più densamente popolata del Nord america.

Lo stile di vita Arcaico nell’area dell’Altopiano

Tutte le vicende umane della vasta regione montuosa degli attuali Idaho settentrionale, Washington, Oregon settentrionale, Montana occidentale, fino a tutta la parte centro meridionale della Columbia Britannica, è stata sempre fortemente determinata dalla presenza di due importanti bacini fluviali, quello Columbia-Snake a sud, e quello Fraser-Thompson a nord, bacini che fin dalla fine del Pleistocene hanno rappresentato il riferimento delle prime comunità umane ivi insediatesi. La parte settentrionale di quest’area, che per decine di millenni era stata in gran parte ricoperta dai ghiacci, aveva rappresentato alla fine del Pleistocene, uno dei corridoi attraverso i quali era avvenuta la colonizzazione del Nord-America, poi quando a partire dall’8.000 a.C. le temperature crebbero notevolmente, si produssero le condizioni per una colonizzazione effettiva; più a sud lo scioglimento dei ghiacci e le periodiche inondazioni, garantirono anche a fronte di temperature più elevate, il permanere di un ambiente ricco di boschi e praterie, in grado di sostenere le prime comunità umane.

Qui già dalla fine del Pleistocene si produsse un modello di sussistenza che sfruttava le risorse dei fiumi, prima la raccolta di crostacei, poi la pesca, integrata dalla caccia di selvaggina di piccola e media taglia e dalla raccolta di vegetali selvatici. La notevole disponibilità di queste risorse, produssero già nel corso dell’era arcaica uno stile di vita semisedentario, legato alla permanenza durante i mesi più freddi nelle medesime località, spesso luoghi in cui la pesca e la raccolta di molluschi era più produttiva, con un nomadismo a breve raggio nella stagione migliore, quando si rendevano disponibili vegetali selvatici e ci si poteva dedicare alla caccia. All’inizio dell’era arcaica quasi certamente, l’evoluzione delle tecniche di pesca, con l’uso di ami, arpioni, piccole reti, permise ai popoli della regione di utilizzare quella che era la loro principale ricchezza, il salmone, che in banchi immensi risaliva all’inizio della primavera i fiumi, per riprodursi nelle acque dei torrenti montani. Le prime tecniche di conservazione del pescato, contribuirono a far crescere la tendenza alla stanzialità degli insediamenti fluviali, aumentando la dipendenza di questi popoli dalla pesca. Così mentre in gran parte del Nord America la novità della fase Arcaica sta principalmente nel passaggio da un modello di sussistenza incentrato sulla caccia, a uno fortemente integrato dall’uso dei vegetali, in quest’area, centrale diviene l’attività di pesca, specialmente la pesca stagionale al salmone. Una maggiore specializzazione certamente si ebbe nelle regioni costiere, alla foce del Columbia, nella regione di Puget Sound, e alla foce del Fraser, dove il mare rappresentava una riserva illimitata di risorse: non solo pesce e molluschi, ma anche i mammiferi marini, che potevano essere cacciati con relativa facilità.
L’omogeneità culturale di questa regione, fu interrotta però in modo traumatico nel pieno dell’era arcaica, intorno al 6.000 a.C., quando per cause ignote, si produsse un dislivello sul fiume Columbia, poco a monte della località di The Dalles, che impedì ai salmoni di raggiungere il corso superiore del fiume e i suoi affluenti. Senza la sicura e immensa risorsa rappresentata dal salmone, in tutta la parte meridionale dell’Altopiano il modello di sussistenza prese un corso diverso, si ridusse la centralità delle risorse fluviali, mentre la caccia e i soprattutto la raccolta di vegetali selvatici, davano vita ad un modello di nomadismo stagionale, simile a quello in uso nelle aree semi desertiche a sud, ma molto meno precario, data la maggior ricchezza di risorse naturali della regione. Fu probabilmente già in epoca arcaica, che in tutta la regione compresa tra il medio Columbia e lo Snake, la raccolta di radici di “camas”, una pianta della famiglia delle gigliacee, divenne una delle attività economiche fondamentali. Gli antichi abitanti di questa parte dell’Altopiano, erano quasi certamente gli antenati delle genti storiche di lingua Shahaptin e Salish, ma probabilmente tra il 4.000 e il 5.000 a.C., nelle aree meridionali della regione iniziano a comparire le prime infiltrazioni di provenienza meridionale, da parte di popolazioni di lingua Shoshone portatrici della cultura del Deserto, che approfittarono del progressivo innalzamento delle temperature, per espandersi con il loro modello di sussistenza più adatto a regioni semiaride: così tutto il bacino del fiume Snake, divenne una zona di transizione tra la cultura dell’Altopiano e quella del Deserto. Questo processo può trovare conferma come sempre nel ritrovamento di diversi tipi di lame: al modello Cascade, bifacciale, a forma di foglia e senza scanalature, ne particolari lavorazioni alla base, simile al precedente Windust e in uso per tutta la fase Arcaica nella zona dell’Altopiano, si affianca il modello Cold Spring, con le caratteristiche incisioni alla base, che in seguito si imporrà in tutta la regione. In questo stesso periodo fanno anche la loro apparizione le prime abitazioni invernali semisotterranee, che poi rimarranno un tratto caratteristico dell’area. Alla fine dell’era Arcaica, intorno al 1.000 a.C., il modello culturale di quest’area aveva già acquisito tutte le principali caratteristiche presenti in epoca storica.
Mentre ciò accadeva a monte di The Dalles, sul basso corso del Columbia la presenza del salmone diveniva il fulcro dell’attività economica, producendo un’evoluzione verso una tendenza alla sedentarietà sempre maggiore, nel quadro di un economia sempre più specializzata nelle tecniche di pesca e nell’uso delle altre risorse fluviali. E’ probabilmente anche a causa di questi cambiamenti culturali, che si produsse una rottura della relativa omogeneità linguistica tra le popolazioni di lingua Penutian che risiedevano sul Columbia; così a partire dal 6.000 a.C. le popolazioni del basso Columbia (Chinookan), evolvettero linguisticamente in modo diverso, da quelle che vivevano più a monte (Shahaptin) al punto che in tempi storici era estremamente difficile cogliere una qualsiasi relazione tra i due gruppi. Contatti si mantennero quasi certamente sul piano del commercio, dato che è accertata la presenza di significative quantità di conchiglie marine nelle zone interne, ricercate per il loro uso ornamentale; centro di questi scambi fu sicuramente la zona di The Dalles, al confine tra le terre dei Chinook e quelle Shahaptin, una località che già dalla fine del Pleistocene era una importante stazione di pesca, e che rimase fino alla fine del XIX secolo il principale centro per gli scambi commerciali con i popoli dell’interno.
Più a nord, lungo il fiume Fraser e i suoi affluenti, l’ambiente era segnato da un labirinto di rilievi coperti da lussureggianti foreste di conifere, solcato da profonde valli e da infiniti corsi d’acqua, una zona ricoperta dai ghiacci ancora alla fine del Pleistocene, colonizzata solo in tempi recenti da popolazioni di lingua Salish; il ritrovamento di uno scheletro, datato al radiocarbonio oltre il 6.000 a.C., e lo studio delle ossa, hanno permesso di stabilire che la dieta di questo antico abitante della regione, era principalmente basata sulla carne piuttosto che sulla pesca, e questo potrebbe far ritenere che all’inizio della fase Arcaica l’attività di caccia fosse prevalente, rispetto a quanto accadde nei millenni successivi. Ciò può forse indurre a pensare che i popoli Salishan, giunsero ad occupare l’area provendo dalle zone interne, forse addirittura a est delle Rocky Mountains, con un modello di sussistenza basato sulla caccia, e che abbiano acquisito successivamente le tecniche di pesca discendendo le valli fluviali fino alla costa, dove si trasformarono in un popolo di pescatori. Nelle aree interne comunque l’originale modello di sussistenza dell’Altopiano, basato sulla pari rilevanza delle attività di caccia, pesca e raccolta, con l’appuntamento stagionale della risalita dei salmoni, la stanzialità invernale lungo i fiumi e un parziale nomadismo estivo, si presenta nella sua espressione più completa negli ultimi millenni della fase Arcaica.

In quest’area le popolazioni mantennero una stretta affinità linguistica, i dialetti della famiglia Salishan variano gradualmente in base alla lontananza geografica; più a nord, nella parte settentrionale dell’area, verso la fine dell’era Arcaica, intorno al 2.000 a.C., cominciano ad evidenziarsi influenze nordiche, dovute alla progressiva infiltrazioni di genti Atapaskan dalla zona delle sorgenti del fiume Yukon, influenze testimoniate dalle caratteristiche microlame.
Certamente già in epoca Arcaica, la zona costiera tra l’Oregon e l’isola di Vancouver, doveva offrire opportunità peculiari per la sopravvivenza e dare luogo a specifici modelli di adattamento, ma per tutta l’area mancano riscontri archeologici precedenti al I millennio a.C., quando in tutta la regione cominciano a manifestarsi i primi segni del tipico modello culturale della Costa del Pacifico, che sarà uno delle culture più complesse e caratteristiche del Nord America. Anche per quanto riguarda il popolamento di quest’area è difficile fare precise ipotesi, anche se è quasi certo che ad un più antico stanziamento di popolazioni di di lingua Wakashan e Chemakuan, stanziamento forse precedente anche il principale flusso migratorio della fine del Pleistocene, si siano sovrapposta in tempi più recenti la colonizzazioni di gruppi Salishan, che disceso fino alla foce il fiume Fraser, colonizzarono la zona costiera a nord e a sud.
Concludendo questa breve panoramica degli aspetti essenziali dello stile di vita Arcaico nella regione dell’Altopiano, è evidente che a differenza di quanto accadeva in altre parti del Nord America, dove in quest’epoca comincia a evidenziarsi un certo dinamismo, con la prima comparsa di un artigianato non strettamente legato alla sussistenza, le prime testimonianze di usi funerari, tutta l’area dell’Altopiano sembra mostrare un certo conservatorismo. D’altra parte come già detto, gran parte dell’area era ancora coperta dai ghiacci solo poche migliaia di anni prima, e pur essendo stata tra le prime a vedere la presenza umana, essa fu per lungo tempo solo terra di passaggio di gruppi che più o meno coscientemente si spingevano verso le terre meridionali; di fatto, malgrado una presenza umana molto antica, è probabile che in tutta l’area, la vera e propria colonizzazione iniziò solo nel corso dell’era Arcaica.

Lo stile di vita Arcaico nella regione Sub-Artica

Con il termine Sub-Artico si intende una immensa regione che si estende dall’Alaska al Labrador, e comprende tutte le terre a a sud del Circolo Polare Artico, con i bacini dei fiumi Yukon e Mackenzie, i grandi laghi del nord-ovest canadese (Athabaska, Gran Lago degli Schiavi, Gran Lago degli Orsi), fino alle coste meridionali della Baia di Hudson, e a gran parte della penisola del Labrador. Al di là di alcune caratteristiche ambientali e climatiche simili, si tratta di una zona che presenta ovviamente grandi differenze, ma al tempo del primo popolamento del Nord-America, essa era quasi totalmente ricoperta dai ghiacci, e quindi in fu buona misura esclusa dalla colonizzazione umana fin oltre l’inizio dell’era Arcaica, a eccezione ovviamente della sua parte più occidentale, l’Alaska, che come già detto fu la porta d’accesso al Nuovo Continente. La penisola dell’Alaska, unita da un vasto ponte di terra all’Asia, costituiva in realtà l’estremità orientale di questo continente, e insieme con la Kamjatka e le terre emerse intorno ad essa, viene oggi definita Beringia, un vasto territorio che a più riprese rimase libero dai ghiacci durante l’ultima glaciazione.

Del primo popolamento della Beringia, risalente ipoteticamente a forse 30.000 anni fa non rimangono che scarsissime e dubbie testimonianze, mentre per avere riscontri più obbiettivi si deve giungere alla fine del Pleistocene, intorno al 10.000 a.C., nello stesso periodo in cui molto più a sud si affermavano le culture paleoindiane dei cacciatori Clovis e Folsom, con le loro caratteristiche punte scanalate. A differenza di quelle dei Paleoindiani, le punte ritrovate nei siti dell’Alaska, non presentano scanalature e sembrano essere invece simili a quelle ritrovate in una vasta area che dalla Siberia orientale si estende fino all’Europa, in una sostanziale continuità culturale. I popoli di questa cultura, conosciuta come Nenana o Paleoartica, erano certamente parte di quella serie di orde di cacciatori nomadi del Pleistocene, che avevano occupato la Beringia da decine di migliaia di anni, alimentando poi il flusso migratorio verso sud, grazie ai corridoi che periodicamente si aprivano attraverso le calotte glaciali o lungo la costa. Se così fosse i popoli che vengono identificati in base alla cultura Nenana, non furono altro che i precursori dei Paleoindiani, che al momento in cui raggiunsero le zone più a sud del Nuovo Continente, si caratterizzarono con la nuova e autonoma tecnologia Clovis.
Alla fine del pleistocene, intorno al 10.000 a.C., cessano le testimonianze della cultura Nenana in Alaska, e certo nuove genti fanno la loro comparsa nella regione, provenienti dall’Asia. A quell’epoca infatti, le semplici punte Nenana, vengono sostituite in gran parte dell’area da un modello di microlame, non più lunghe di 3 centimetri, a sezione triangolare e prismatiche, già diffuse nella Siberia orientale da alcune migliaia di anni. I costruttori di queste microlame sono conosciuti in Asia come “cultura Diuktai”, e sono probabilmente all’origine dell’analogo modello culturale sviluppatosi in Alaska, e conosciuto come “cultura Denali”. A differenza dei Nenana, il cui modello di sussistenza era quello tipico del Pleistocene, basato sulla caccia di grandi mammiferi, è probabile che i Denali, fossero già in grado di utilizzare le risorse marine e la pesca lungo i fiumi, con un modello di sussistenza più flessibile. E’ probabile che la cultura Denali sia riconducibile alla comparsa in Nord America delle genti Atapaskan e dei gruppi ad essi collegati (Tlingit ecc…), le cui relazioni con le popolazioni asiatiche sono più evidenti che per qualsiasi altro gruppo di indiani, e che mossero separatamente e in epoca successiva in Beringia. Nei millenni successivi a partire dall’8.000 a.C. la presenza di microlame si manifesta in un area sempre più vasta, verso sud lungo la costa dell’Alaska, alle sorgenti dello Yukon e in Columbia Brittannica, e verso est, oltre le Montagne Rocciose e fino alla valle del Mackenzie, in coincidenza con il definitivo ritiro delle calotte glaciali; la diffusione delle microlame, potrebbe così testimoniare della progressiva diffusione delle genti Atapaskan e della loro colonizzazione del sub-artico occidentale.

Oltre i ritrovamenti di microlame, e altri semplici utensili in pietra, nulla è rimasto di questi antenati degli Atapaskan storici, il cui sistema di vita nel complesso non doveva essere molto diverso da quello dei loro discendenti al tempo del primo contatto; la caccia di mammiferi come il cariboù presente in piccoli branchi nelle zone montuose e forestali, e in immense mandrie nelle tundre artiche, rappresentava già all’epoca la principale risorsa, accompagnata dalla pesca praticata nei laghi e nei fiumi che abbondavano nella regione, mentre a parte la presenza stagionale di alcune varietà di bacche, la disponibilità di vegetali commestibili era quasi nulla.
La cultura delle microlame andò declinando nel corso dei millenni, in coincidenza con il definitivo ritiro dei ghiacci, a cui si accompagnò l’arrivo di influssi culturali di provenienza meridionale. In particolare nella vasta zona pianeggiante a sud e est del fiume Mackenzie, gli antichi Atapaskan vennero a contatto con gli usi e le tecniche delle popolazioni meridionali di cultura Plano. Questa cultura che nata nelle Grandi Praterie all’inizio dell’era Arcaica, era in sostanziale continuità con quella Paleoindiana dei cacciatori Folsom e Clovis, andò in crisi intorno al 6.000 a.C. nelle zone d’origine; nelle praterie del sud i cambiamenti climatici e la pressione venatoria, avevano ridotto le mandrie di grandi mammiferi su cui si basava l’economia dei cacciatori Plano, obbligandoli ad abbandonare il vecchio stile di vita. Quello stesso stile di vita era invece ancora praticabile nelle praterie e nelle foreste del Sub-Artico, solo da poco liberate dai ghiacci, con un clima ancora freddo, e non ancora sottoposto a distruttive pratiche venatorie.
Fu così che le regioni del Sub-Artico, divennero depositarie nei millenni a venire di uno stile di vita e di un modello di sussistenza, che ricalcava quello dei primi colonizzatori Paleoindiani; al nord si sfruttava principalmente il cariboù le cui migrazioni stagionali al contrario di quelle dei bisonti seguono percorsi fissi, più a sud era sempre il bisonte la preda più importante, ma in ogni caso la caccia ai grandi branchi di mammiferi era fondamentale per la sopravvivenza. Questa espressione tardiva e periferica della cultura Plano, coinvolse, pur con notevoli variazioni, popoli diversi: gli antenati degli Atapaskan che dalla valle del Mackenzie si spingevano a sud e a est, quelli dei Kootenay, lungo il versante orientale delle Rocky Mountains, quelli dei Siouan, che forse erano stati i primi cacciatori Plano, e che ancora occupavano le praterie tra il Missouri e il Saskatchewan, quelli degli Algonchini, che seguendo i cambiamenti climatici e il ritrarsi dei ghiacci, colonizzavano le terre a nord dei Grandi Laghi.
Nel complesso l’area Sub-Artica a est delle Rocky Mountains, fu una zona di tardiva colonizzazione, in cui più che prodursi un modello culturale specifico, si riprodussero i modelli di sussistenza già prodottisi nel resto del continente migliaia di anni prima, quando alla fine del Pleistocene iniziò la vera colonizzazione del Nord America.

L’età Arcaica alla vigilia della Storia

Convenzionalmente l’età Arcaica si considera conclusa intorno al 1.000 a.C., anche se in non poche parti del continente lo stile di vita arcaico continuerà a sopravvivere quasi inalterato; a fare da spartiacque tra il mondo Arcaico e i successivi sviluppi culturali fu la comparsa dell’agricoltura nelle Foreste Orientali e nel Sud-Ovest, ma prima di iniziare il percorso attraverso le grandi culture agricole dell’America Precolombiana, può essere interessante soffermarsi a fare un bilancio dei risultati ottenuti dall’indiano nel suo plurimillenario percorso di adattamento al Mondo Nuovo, prendendo atto che è a partire da questo momento che la vicenda culturale dei nativi americani prende una via totalmente diversa da quella che, più o meno nello stesso periodo viene intrapresa nel Vecchio Mondo.
In effetti quella che in Eurasia è la grande rivoluzione del Neolitico, che fu sostanzialmente coeva della fase Arcaica, e alla fine della quale l’uomo giunse a elaborare fondamentali strumenti per rapportarsi con l’ambiente e garantirsi il suo successivo sviluppo culturale, in America trova solo limitati e parziali riscontri e non fu solo un problema di ritardo. Un semplice elenco di quelle che sono le grandi innovazioni del Neolitico nel Vecchio Mondo è illuminante: l’allevamento, la rotazione biennale delle coltivazioni, la metallurgia, la ruota, solo per citare le più significative, sono tutte scoperte alla base della civiltà in Europa e in Asia che invece sono assenti in Nord America; ciò ovviamente produsse conseguenze rilevanti nei secoli a venire.
In gran parte del mondo il primo segno della capacità dell’uomo di dominare e determinare il proprio ambiente, fu testimoniato dalla trasformazione delle orde di cacciatori nomadi, in egualmente nomadi allevatori; fu così che i bovini e gli ovini che costituivano gran parte delle prede, invece di essere inseguiti nei loro spostamenti alla ricerca di pascoli, furono accompagnati, difesi e contestualmente selezionati, divenendo una risorsa alimentare sicura. Questo fenomeno fu quasi totalmente assente in tutto il continente americano, ad eccezione della regione andina, dove la cavia fu allevata fin dall’antichità a scopo alimentare e il lama anche come animale da soma, oltre che per la lana e la carne.

Un discorso a se merita la presenza di tacchini all’interno dei villaggi Anasazi, che attirati dai campi di mais divennero una presenza abituale e un’opportunità alimentare, senza peraltro dare vita ad una vera e propria attività di allevamento. Esclusi questi limitati casi manca una vera e propria domesticazione di specie selvatiche come si produsse nel Vecchio Mondo ed i fattori che contribuirono ad impedire tale processo dovettero essere diversi e complessi.
Vero è comunque che la fauna del Nord America offriva minori opportunità di quella eurasiatica, dove tra la grande varietà di bovini e ovini, alla fine fu possibile individuare le specie più adatte alla domesticazione. In America l’unica specie di bovini esistente è il bisonte, la cui domesticazione non è stata tentata nemmeno in Eurasia; quanto alle specie di ovini, la capra delle Montagne Rocciose vive solo in aspre zone di montagna, mentre la pecora bighorn, oggi diffusa solo in zone impervie, ma un tempo presente in tutte le regioni dell’ovest, forse avrebbe presentato maggiori possibilità di domesticazione. C’è da dire che gran parte delle aree in cui vive la pecora bighorn sono aride e semidesertiche, i pascoli sono isufficienti a sostenere grandi armenti, e addirittura gli erbivori possono diventare dei competitori per comunità umane che vivono della raccolta di vegetali selvatici. Più difficile da spiegare è il caso del cariboù, la cui variante euroasiatica, la renna, viene allevata allo stato semibrado da popolazioni siberiane, che sotto molti punti di vista presentano vicinanze culturali con gli abitanti del Sub-Artico nordamericano, dove invece tale pratica è ignota; in questo caso forse fu determinante la tarda colonizzazione del Sub-Artico, e quindi il tempo minore a disposizione dei popoli che lo abitavano, e che forse tale pratica si sarebbe potuta acqisire, in un lasso di tempo maggiore. Il cavallo in Eurasia fu lo strumento principale della costruzione di modelli sociali sempre più complessi, dato che fornì la possibilità di veloci spostamenti, e quindi di una più veloce circolazione di informazioni e tecniche, e al tempo stesso diede impulso alla vocazione aggressiva e predatoria, contribuendo all’emergere di elite e caste guerriere, e quindi alla nascita di una prima stratificazione sociale; non è casuale che laddove questo mammifero era assente, come in gran parte dell’Africa, in America e in Oceania, lo sviluppo delle culture subì un forte rallentamento. Quando questo animale fu riportato dagli Spagnoli in Nord America, dopo la sua estinzione alla fine del Pleistocene, tutta la cultura dei popoli nativi ne fu fortemente condizionata in senso dinamico, e il cavallo divenne uno dei simboli della cultura degli indiani storici. L’assenza di popoli di pastori nomadi è forse l’aspetto che più differenza lo sviluppo della cultura in Nord America, da quanto accadde nel Vecchio Mondo.

L’assenza del cavallo e più in generale della trazione animale ebbe conseguenze anche sullo sviluppo delle tecnologie; così la ruota, il cui principio risulta conosciuto, almeno perchè applicato a piccoli oggetti costruiti a scopo ludico e ritrovati in Messico e nel Sud-Ovest, ebbe scarse possibilità di utilizzo concreto. La costruzione di oggetti complessi come ruote e carri, richiede un notevole investimento in tempo ed energie, oltre che una lunga sperimentazione, un dispendio che risulta inutile in assenza dell’energia animale da usare per la trazione.
L’agricoltura si sviluppà per la prima volta in America Centrale durante la fase intermedia dell’era Arcaica, solo pochi millenni dopo l’analogo processo avvenuto nel Medio Oriente asiatico, ma non diede luogo al successivo sviluppo dei primi centri urbani. La causa fu certamente l’assenza della pratica di mettere a riposo i campi dopo un anno di raccolto, pratica poi progressivamente evolutasi nella tecnica della rotazione delle coltivazioni; grazie a queste conoscenze i primi villaggi agricoli hanno potuto continuare a crescere ed ingrandirsi, fino a produrre i primi centri urbani dell’antichità in Occidente, a differenza di quanto accadde in gran parte delle zone agricole del Nord America, dove invece i villaggi erano abbandonati dopo un periodo di otto-dieci anni, quando i terreni si erano impoveriti. Così mentre nelle zone agricole della valle del Mississipi troviamo testimonianze di grandi centri cerimoniali utilizzati per secoli, non risultano tracce di una civiltà urbana ad essi collegata. Forse l’abbondanza di terra in rapporto alla popolazione, non incentivò all’acquisizione di pratiche di utilizzo dei terreni agricoli più razionali; va poi considerata l’assenza di una competizione fra popoli di agricoltori sedentari e di nomadi pastori, che in Eurasia obbligò i primi a valorizzare al massimo le terre abitate, piuttosto che colonizzarne di nuove sottraendole ai secondi con aspri e distruttivi conflitti; così le grandi distese erbose che in Asia centrale furono la culla delle culture pastorali dei popoli indoeuropei, in America divennero la sede di precarie e periferiche culture agricole prodotte nelle Foreste Orientali. Comunque l’assenza dell’allevamento condizionò il modello agricolo, dato che non possedendo animali domestici a cui garantire pascolo o foraggi, gli agricoltori indiani, non furono motivati alla pratica di far riposare i terreni destinandoli all’alimentazione di ovini e bovini, e alla concimazione da parte degli stessi animali.
Dell’ultima grande innovazione che nel Vecchio Mondo trasse l’uomo oltre il Neolitico, le tecniche della metallurgia, la fusione dei metalli, la loro unione in leghe, non c’è traccia in Nord America, dove l’uso del rame nativo, abbondante soprattutto nella zona del lago Superiore, diede luogo ad una ricca produzione artigianale di oggetti per uso estetico e simboli di status, senza però offrire l’opportunità di un salto tecnologico come quello rappresentato nel Vecchio Mondo dall’avvento dell’età del Bronzo.
Ad esclusione dell’agricoltura, della ceramica e dell’utilizzo delle fibre vegetali, tutti i più rilevanti elementi della rivoluzione del Neolitico, non si realizzarono in Nord America, dove il livello di sviluppo tecnologico rimase ferma a quell’era. Le ragioni per cui ciò accadde furono certo varie, alcune caratteristiche ambientali, come la presenza di una determinata fauna, possono aver avuto un ruolo significativo, ma certo l’aspetto che va indiscutibilmente considerato è il tempo relativamente breve in cui l’uomo si adattà al Mondo Nuovo. L’homo sapiens sapiens, è presente in Africa, Europa, Asia da almeno 200.000, ma giunse in America non più di 30.000 anni fa, e una sua presenza significativa e testimoniata solo poco più di 12.000 anni fa: un tempo breve, tutto sommato, un tempo nel quale l’uomo d’America, rielaborò le sue conoscenze, ne acquisì di nuove, recuperando molto del tempo perduto: poche migliaia di anni dividono le prime comunità agricole dei Natufiani della Palestina, dai primi tentativi di domesticazione del mais nelle valli montane del Messico: anche in America il processo ebbe inizio, ma da allora seguì strade proprie e originali. Dove sarebbe giunto non lo sappiamo, sappiamo solo quando fu interrotto.