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Donne nel west

A cura di Mario Raciti

Le donne, nel vecchio West, erano senza dubbio la classica eccezione alla regola. In un immenso territorio qual era il West, selvaggio e solitario, duro e violento, abitato quasi esclusivamente solo da uomini, le rappresentanti del sesso femminile erano le cosiddette “mosche bianche” della situazione. Vi arrivavano semplicemente come componenti delle numerosissime carovane che partivano dall’Est e dovevano raggiungere l’Ovest, più raramente (ma è successo), come “merce” per cercatori d’oro, cowboy, avventurieri e proprietari di saloon e bordelli che le richiedevano per poterci guadagnare sopra qualcosa assumendole come ballerine o come “lucciole”.
In alcuni casi vennero organizzate comitive di donne in grandi città dell’Est che viaggiavano verso il West con l’intenzione di stabilirvisi e alleviare così la solitudine degli uomini di frontiera che le prendevano come mogli.
Chi si trasferiva all’Ovest mediante le carovane di carri, doveva aspettarsi che la terra che attendeva loro e le loro famiglie sarebbe stata dura e ostinata, ma nonostante ciò non perdevano lo spirito con le quali erano partite e avevano lasciato tutto alle ormai vecchie case: la speranza di far fortuna.


La classica famigliola diretta a ovest

I monotoni giorni sulla pista vedevano le donne attive in qualunque momento delle soste giornaliere: chi preparava l’acqua per lavare o fare il caffé, chi si prodigava per metter su un pranzo quasi decente, chi si tirava su le maniche del vestito e iniziava ad occuparsi degli eventuali pargoli.
Gli uomini badavano agli animali e alla procura del cibo, oltre che a guidare i carri durante la marcia.
E le giornate trascorrevano così, tra le faccende dei bivacchi e le letture di libri sotto il telone del carro durante le lente marce verso la Terra Promessa.
Una volta giunte a destinazione, molte di esse avevano già maledetto mille e mille volte il giorno di aver lasciato la bella casa all’Est, e maledetto altrettante volte la solitudine e il vento e le fatiche che il viaggio aveva procurato e che la futura casa e la futura terra avrebbero riservato ancora per parecchio tempo, fin tanto almeno che non si cominciasse a prendere abitudine alla dura vita del West.
Per le donne non era certo una esistenza felice quella a cui erano ormai riservate. A molte le solitarie praterie mettevano addosso un tale senso di tristezza che ritornavano per pazze alle loro terre di nascita e crescita, e che avrebbero per sempre ricordato quei giorni come logoranti e insopportabili.
Altrettante erano però coloro che si davano da fare una volta raggiunta la loro terra e, mentre il marito si logorava per trovare legname, preparare la terra per il raccolto, progettare e iniziare a costruire la “casa nella prateria”, esse si mettevano l’anima in pace e cercavano i modi migliori per alleviare i sensi di solitudine, stanchezza e tristezza che pervadevano i bambini e loro stesse, e cercare di rendersi utili in qualche altro modo perlomeno fin quando la casa non fosse pronta.


Fotografia di gruppo per le mogli degli ufficiali

Le donne erano incaricate – oltre al resto – anche della raccolta di combustibile per cucinare e riscaldarsi. Nelle grandi praterie, dove gli alberi erano scarsi come l’acqua nel deserto, e dove comunque – se c’erano – erano destinati alla costruzione della casa (che doveva avvenire il prima possibile), l’unico materiale che avrebbe potuto sostituire il legno era il letame di bisonte. E le donne si avviavano, il marito con una carriola, loro con il grembiule a guisa di sacca, verso le immense distese d’erba alla ricerca del “prezioso” sterco di bisonte che, opportunamente essiccato, avrebbe fornito un ottimo combustibile per difendersi dal freddo della sera e per preparare i pasti. E che doveva anche essere “combattuto”. Sì, perchè se era facile da accendere e da spegnere, era difficile da togliere e da pulire. E loro dovevano occuparsi anche di questo.
Quando la casa era pronta (se non era costruita con legno si utilizzavano le zolle di terra come mattoni) la donna ne diventava la regina.
Ma regina di cosa, poi? Di quel poco che c’era! Di solito si provvedeva, appena ultimata l’abitazione, all’acquisto di una stufa. Sennò, fuocherelli in casa fin quando le finanze non avessero consentito di meglio.
I letti erano semplici coperte stese sul pavimento di terra battuta, ma col tempo venivano sostituite da materassi di paglia.
Le pareti erano coperte con fogli catramati, ma quando non lo erano, le piogge rendevano le stanze vere e proprie “valli” in cui rivoli d’acqua uscivano dal tetto e dal muro e formavano, unendosi alla terra, una sorta di fanghiglia appiccicosa.
Non bisogna però dimenticare anche gli insetti (cimici, pulci, formiche, scarafaggi, zecche), perennemente presenti, e altri animali come scorpioni e serpenti.


Donne all’esterno della loro abitazione di tronchi

Ecco, provate adesso ad immaginare la vita che erano costrette a vivere queste povere ma coraggiose donne-pioniere.
Tuttavia, nonostante le iniziali fatiche e privazioni, la maggior parte rimase soddisfatta una volta ultimati tutti i lavori di sistemazione e lasciata passare la tristezza dei primi tempi. Il resto, non resistette a quella esistenza solitaria e, se non morì prima, fece ritorno da dove erano partite.
Ma la vita nei campi non era solamente lavoro. Il sabato e/o la domenica, di solito, le famiglie che abitavano abbastanza vicino ad un centro urbano potevano salire sul carro e recarsi in paese. La messa era il motivo principale, perchè era l’unico momento in cui si potevano vedere altri esseri umani all’infuori del marito e dei figli.
Ma c’erano anche le riunioni in casa, a cui partecipavano tutti i vicini della zona, e dove si giocava a carte, si mangiava, si ballava e si chiacchierava.
Oltre a questo tipo di donne, c’erano anche le donne avventuriere. Coloro che partivano per il West e trovavano lavoro dovunque capitasse. Classico esempio di donna avventuriera è Calamity Jane. Carrettiera e infermiera per l’esercito, cuoca, grande bevitrice, Calamity era tutto il contrario di ciò che la leggenda ci ha sempre
tramandato. Niente romanticismo, dunque, nella vita delle donne della frontiera, ma semplicemente fatica e duro lavoro.


Ancora una famigliola all’esterno della loro casa

C’erano poi le donne “di città”. Ballerine e prostitute dei saloon e dei bordelli prosperavano nelle grandi città e in quelle piccole ma famose del West come Dodge City, Tombstone, Abilene. Avevano il compito di intrattenere il cliente e di farlo bere in qualsiasi occasione. Venivano “reclutate” tramite manifesti affissi in città oppure – come scritto nel post precedente – richieste direttamente dai proprietari dei saloon.
In città come Dodge City, Wichita e Hays City c’erano quartieri completamente riservati alle “lucciole”, una sorta di Robber’s Roost della prostituzione.
Erano formati da saloon, bordelli e case malfamate dove le donne aspettavano i loro clienti.
Di contro, ci furono donne che si battevano contro tutto questo. Nacquero spesso nel West movimenti proibizionistici e anti-prostituzione e alla testa di essi c’erano sempre e solo donne. Erano anche composti dalle donne. Ma non molte di queste proteste ebbero però l’effetto sperato.
Poi c’erano le maestre, le mogli dei soldati, le infermiere che si spingevano nei più sperduti paesini del West e vi prendevano posto, trovandovi anche marito.
Le infermiere non erano rare nei fronti della Guerra Civile, dove spesso erano semplici volontarie.
Le maestre arrivavano invece tramite i “viaggi organizzati” di donne che partivano dall’Est e arrivavano all’opposto per offrirsi di fare qualche lavoro in seno alla comunità e popolare così, anche se non di molto dato il numero esiguo, la popolazione femminile dei villaggi del West.
A tal proposito, un abitante di Nevada City (California), all’arrivo di una donna in città disse: “Era così tanto che non stavo vicino ad una donna che, quando l’ho vista, sono quasi svenuto”.
E, se si spargeva la voce che una donna era giunta in città, non era raro vedere uomini dei ranch spronare, anche nel cuore della notte, verso città per vedere la nuova arrivata.
La vita delle donne della Frontiera, dunque, non era come ci è stata raccontata da libri, film e fumetti. Tutt’altro. Era una vita la cui parola d’ordine era “privazione”, una vita che aveva bisogno di tutta la forza, il coraggio, la resistenza, la durezza che una donna potesse avere per essere vissuta.