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Il massacro di Santa Rita del Cobre

A cura di Josephine Basile

Guerrieri Apache
Molto è stato scritto sul cosiddetto ”Massacro Johnson”, noto anche come il “Massacro di Santa Rita del Cobre” dove – a quanto riferiscono diversi autori – sarebbe stato massacrato il gruppo del capo Apache Juan Josè Compà, dai più ritenuto un Apache Mimbreno (Tchihendè).
J.L. Rieupejrout afferma che questo massacro avvenne nel 1835, nella piazza di Santa Rita del Cobre, nel Nuovo Messico sud-occidentale.
Egli aggiunge che all’eccidio assistette il famoso Mangas Coloradas, che vi sopravvisse.
Anche P. Wellman cita come luogo del massacro la plaza di Santa Rita del Cobre, tanto che tira in ballo anche l’alcalde o capo municipale di questa cittadina mineraria.
J. Pictet ritiene, anch’egli, che Mangas Coloradas fu presente e aggiunge che in questa mattanza vennero uccisi, addirittura, non meno di 400 Apache. Infine, sono diverse le fonti che riferiscono che a Juan Josè Compà succedette Mangas Coloradas.
Mangas ColoradasUna foto del figlio di Mangas Coloradas
Ma ad onor della verità storica, consultando fonti più attendibili e documentate, queste notizie non sembrano corrispondere completamente alla realtà.
Il massacro avvenne esattamente il 22 Aprile del 1837 sui Monti Animas (qualcuno dice nel fondo prosciugato di un lago), un luogo situato a ben oltre 100 km a sud di Santa Rita del Cobre. La cosa è risultata evidente consultando alcune mappe, inoltre è da rilevare che vi persero la vita precisamente 20 Apache, compresi i capi Marcelo, Juan Diego Compà, nonché il più famoso Juan Josè Compà. Questo era il figlio di un capo altrettanto famoso di nome El Compà, appartenente al gruppo Janero (Ndèndaì), un capo Apache istruito, spesso in pace con gli spagnoli, che sapeva leggere e scrivere correttamente la loro lingua, come dimostrano alcune sue lettere custodite negli archivi di Janos (Chihuahua).
Nel trattato del 1832, firmato da 29 capi Apache, Juan Josè Compà fu uno dei 3 capi (insieme a Fuerte e Aquien) ad essere nominato dagli spagnoli “General”, cioè il capo responsabile delle diverse rancherie Apache site nella zona a lui assegnata, quella di Janos. Quanto alla presenza di Mangas Coloradas a questo massacro vi è qualche dubbio, se non altro perché Mangas Coloradas comparve – per la prima volta – nel 1842.


Un gruppo di guerrieri Apache

Tuttavia va detto che, prima di quella data, il gigantesco capo Apache pare che fosse conosciuto agli spagnoli proprio con il nome di Fuerte, “ El gran Jefe de los Mogolloneros” dal 1818 al 1840. Fuerte scomparve misteriosamente dai documenti spagnoli proprio nel 1840 circa, in coincidenza alla comparsa di Mangas Coloradas. Nel 1852 Mangas, parlando con gli Americani, rammentò questo massacro e forse può essere dovuto anche a questo il fatto che quei diversi autori lo ritennero presente. Un certo Benjamin Wilson (che più tardi divenne senatore della California e poi sindaco di Los Angeles) in un suo manoscritto, riferì di essere stato attaccato (poco dopo il massacro; la data esatta non è indicata) dallo stesso Mangas Coloradas, il quale lo catturò insieme a due suoi compagni, che vennero uccisi orribilmente, sospesi a testa in giù sopra un fuoco.


Alcuna capanne usate dagli Apache

Solo Wilson ebbe salva la vita. Wilson però non spiega come mai Mangas lo risparmiò. Il fatto rilevante è che nel 1837 – data del massacro – e fino al 1842, Mangas Coloradas era ancora sconosciuto con questo nome. Volendo prendere per buono quanto riporta Wilson, si potrebbe ipotizzare che egli sia venuto a conoscenza di essere stato catturato proprio da Mangas solo diversi anni dopo. Quindi dopo il 1842, quando il capo Apache venne infine riconosciuto con questo nome. Può essere accaduto che Wilson lo abbia identificato rammentandone la sua grande prestanza fisica che per la verità non passava certo inosservata. Infine, va detto che Mangas (ma anche Fuerte) non sarebbe potuto succedere a Juan Josè, poiché i 2 capi appartenevano a 2 gruppi diversi: Juan Josè era uno Ndèndai (Sweeney dice del gruppo Janero) mentre Mangas era un Tchihendè o Bidandèkoì (Bedonkohe), quindi Mimbreno o Mogollonero; inoltre, dai trattati del 1832 e 1835, si comprende chiaramente che Fuerte e Juan Josè erano a capo delle loro rispettive rancherie, gruppi locali o bande.
Alchesay, capo ApacheAlchesay, capo Apache
Tornando al massacro di quei 20 Apache, tra cui Juan Josè Compà, una buona verità viene narrata dall’autorevole E. Sweeney che, spulciando tra gli archivi, riporta molta documentazione relativa a quel periodo, cominciando dal proclama del duro governatore Sonorense, Escalante y Arvizu: “Questi feroci miserabili hanno aumentato le loro incursioni commettendo tutti gli atroci atti cui sono portati dal loro carattere naturalmente assetato di sangue… Guerra fino alla morte del nemico.”
Con questo aggressivo proclama, il 5 marzo 1837, il governatore del Sonora Escalante y Arvizu dichiarò guerra agli Apache. “Fino alla morte” era il motto.
Poco dopo questa ordinanza, gli Apache attaccarono il rancho Noria, 30 miglia a nord di Moctezuma, uccidendo varie persone e catturando donne e bambini.
Fu pressappoco in questo periodo che Charles Ames (o Eames) e un gruppo di commercianti arrivarono a Moctezuma sperando di comperare dei muli, ma non ebbero la possibilità di farlo perché i ribelli Apache avevano ripulito la zona. Ames si incontrò allora con John Johnson, un anglo-americano che viveva nel Sonora, e decise con lui d’inseguire gli Apache.
Il governatore Escalante y Arvizu aveva concesso a Johnson l’autorizzazione d’inseguire i ribelli: che fosse verbale o scritta o solo un’approvazione tacita, basata sul suo proclama dei primi di marzo, poco importava. Il compenso di metà del bestiame recuperato garantito a Johnson soddisfaceva le richieste degli americani. Con queste intese, Johnson lasciò quindi Moctezuma – il 3 aprile 1837 – con 17 angloamericani e 5 messicani.
A questo punto, secondo Sweeney, non vi è alcuna prova che possa indicare che Escalante y Arvizu avesse inviato Johnson alla ricerca particolarmente mirata verso il capo Apache Juan Josè Compà, come suggeriscono alcuni rapporti. Fu per puro caso che Johnson finì per intercettare la banda di Juan Josè e non un’altra.


Guerrieri Apache armati

Johnson, con la sua squadra, seguì le tracce apache fino a Fronteras, dove arrivò il 12 aprile, incontrandosi con il comandante, Antonio Narbona. Questi cercò di dissuaderlo dal proseguire avvertendolo che gli Apache erano molto più numerosi della sua piccola truppa. Johnson decise comunque di proseguire e Narbona allora lo dotò di un piccolo cannone. La sua decisione si rivelò in seguito come la migliore possibile e non soltanto il frutto di un’inutile apprensione, come poteva sembrare.


Alcuni Apache posano per una foto

Gli anglo-americani erano generalmente in buoni rapporti con le bande Chiricahua e Johnson, con la sua carovana di muli carichi, sperava d’essere scambiato dagli Apache per uno di questi. A quanto sembra fu proprio ciò che accadde, considerata la facilità con cui egli entrò in contatto con gli indiani.
Il 20 aprile Johnson arrivò ad Agua Fria Springs, una località nel sud-ovest del New Mexico, tra i Monti Animas, la cui catena delimitava il territorio di 3 bande Chiricahua (Tsòkanendè, Tchìhendè, Ndèndaì).
Nelle vicinanze c’erano diverse rancherie: vi erano gli Ndèndaì di Juan Josè Compà e Juan Diego Compà, e i Tsokanendè di Marcelo e di Vivora (quest’ultimo poi probabilmente sopravissuto al massacro). Gli Apache avrebbero dovuto insospettirsi, perché la maggior parte dei traffici clandestini solitamente si svolgeva sui Monti Mimbres o a Santa Rita del Cobre. I due gruppi tuttavia si incontrarono e Johnson disse agli Apache di essere diretto a Santa Rita del Cobre ma di essere comunque disposto a concludere affari anche lì con loro. In realtà gli angloamericani, e quasi certamente anche gli Apache, all’insaputa l’uno dell’altro, avevano intenzione di tendere un tranello. Quel giorno o il giorno dopo, gli Apache vendettero Lautora Garcia, una loro prigioniera da qualche tempo. Secondo Johnson, la donna lo avvisò che gli indiani stavano preparando un’imboscata al suo gruppo lungo la strada per Santa Rita del Cobre.


Due guerrieri Chiricahua

Il 21 aprile, venerdì, trascorse senza problemi; si svolgevano buoni scambi e gli Apache ricevevano whisky e varie cose in cambio dei loro muli rubati. Juan Josè dichiarò che avrebbe continuato le ostilità, ma che però nei mesi seguenti avrebbe cercato di trattare una tregua con il Sonora; si vantò anche che Reyes, il capo Tsokanendè che viveva presso Fronteras, lo teneva informato sulle forze e sui movimenti delle truppe. Secondo quello che Johnson affermò in seguito, Lautora Garcia l’aveva informato che Juan Josè stava progettando di far cadere gli angloamericani in un imboscata, ma nella sua testimonianza rilasciata a Moctezuma la donna non parlò di alcun doppio gioco degli Apache. Dichiarò invece che nel breve tempo in cui era stata prigioniera non aveva potuto capire “la loro lingua o i loro usi”. Disse inoltre che nei primi 2 giorni, i rapporti tra gli anglo-americani e gli indiani si erano “svolti con molta amicizia” .
Il 22 aprile sarebbe stato un giorno diverso, sebbene i Chiricahuas non avessero in apparenza alcuna ragione di sospettarlo. La sera precedente e il mattino di quel giorno, Johnson e i suoi organizzarono il tradimento; i 5 messicani rifiutarono di prendervi parte e se ne andarono durante la notte. Nelle prime ore del mattino, i Chiricahuas ritornarono per fare commercio e Johnson fece scattare la sua trappola. Lautora Garcia testimoniò che mentre si stava commerciando “panocha e pinole, mentre ancora tutti gli Apache erano a cavallo, gli americani spararono il cannone caricato con frammenti metallici” e fecero un enorme carnaio di corpi umani.


Chiricahua a Fort Bowie

La donna non era sicura sul numero degli uccisi e disse soltanto che molti erano i feriti. Il fatto che gli Apache fossero a cavallo indica che erano appena arrivati oppure che stavano per andarsene. In ogni modo, l’attacco li colse di sorpresa. Dopo il colpo di cannone, i tiratori scelti anglo-americani completarono l’opera. Finito il massacro, 20 Apache giacevano sul terreno, compresi i capi Juan Josè Compà, Juan Diego Compà e Marcelo; i feriti erano stati certamente molti di più e, cosa molto più importante, era stata inferta un’indelebile ferita morale che andava ad aggravare l’abisso di sfiducia già esistente tra i Chiricahuas e tutti gli uomini bianchi.
Compiuta la strage, Johnson si ritirò immediatamente a Janos. Il 24 aprile scrisse al governatore del Chihuahua e fornì dettagli della sua battaglia con 80 Apache: “…Quando mi accorsi del loro numero superiore, ritardai l’attacco dal 20 fino alle 10 del mattino del 22, pensando che non fosse possibile attendere oltre a causa degli atti di sfiducia e di tradimento che notai nei loro preparativi… nonostante i pericoli e gli ostacoli che stavano sul cammino… come risultato restavano sul campo di battaglia 20 ribelli indiani morti, compresi 3 capi, Marcelo, Juan Josè e Juan Diego, i cui scalpi ho offerto al comandante del presidio (Janos).”


Lo sguardo intenso di un guerriero

Il rapporto di Johnson era incompleto e lacunoso, taceva di proposito particolari importanti. Per esempio non diceva nulla del cannone e non spiegava come Johnson fosse riuscito ad uccidere 20 Apache senza subìre alcuna perdita.
Da Janos, Johnson ritornò a Moctezuma passando da Bavispe dove lasciò, secondo un rapporto, gli scalpi dei 3 capi Chiricahua. A Moctezuma, il suo rapporto ufficiale fu presentato alle autorità e, nello stesso tempo, Lautora Garcia rese la sua versione dei fatti. Il resoconto fu inoltrato al comandante generale del Sonora, che lo trasmise al governatore, che a sua volta lo inoltrò al ministro della guerra e della marina, a Città del Messico. Per il suo lavoro, Johnson venne compensato con 100 pesos e l’incidente fu in apparenza chiuso.
Nel XIX° secolo, quando la notizia del “Massacro Johnson” cominciò a diffondersi, vennero pubblicati molti resoconti e in ognuno furono aggiunti progressivamente dettagli sempre nuovi e non accertati. L’articolo di Rex Strickland pubblicato su “Arizona and the West”, basato largamente sul rapporto ufficiale di Johnson, fa luce su un incidente precedentemente oscuro. Chiarisce le congetture sul luogo in cui avvenne il massacro, il numero degli Apache uccisi, e parte delle circostanze riguardanti l’attacco, ma la sua dichiarazione che le nuove informazioni “riducevano l’evento alla sua importanza relativamente banale” sarebbe stata appassionatamente contestata dagli Apache. Il perfido massacro non sarebbe stato dimenticato: presso gli Apache le sue conseguenze sarebbero state immediate e durature. Quindici anni dopo, nel 1852, Mangas Coloradas ricordava ancora amaramente l’accaduto: “In un’altra occasione ci fu mandato un commerciante da Chihuahua. Mentre si stava semplicemente commerciando, spesso arrivando anche a parole di rabbia, un cannone nascosto dietro i beni fu sparato sulla mia gente e molti furono uccisi”.


Ancora un ritratto del figlio di Mangas Coloradas

Eve Ball e Jason Betzinez citano l’episodio. Dai loro racconti risulta chiaro che gli Apache considerarono il “Massacro Johnson” come una delle cose peggiori perpetrate ai loro danni, almeno fino a che non entrò in azione, anni dopo, James Kirker.
In Messico, non tutti approvarono l’operato di Johnson. Da Città del Messico furono espresse preoccupazioni in merito al fatto, anche se non in relazione alla sua disumanità. Il ministro della guerra e della marina chiese a Elias Gonzales di spiegare perché Sonora avesse permesso a un gruppo di stranieri armati di fare la guerra agli Apache. Elias Gonzales ebbe l’ordine di presentare un “chiaro rapporto ufficiale” e fu ammonito che “uomini armati non dipendenti dal vostro comando non possono operare nel territorio di questa repubblica”.
Il governatore Escalante y Arvizu rispose e la sua risposta, motivata politicamente, distorceva deliberatamente i fatti.
Il 20 luglio 1837, egli scrisse al comandante generale del Sonora: “Vostra eccellenza sa molto bene che non fu una compagnia di avventurieri armati che effettuò questa campagna, come è stato falsamente riferito ai più alti livelli governativi. Si è trattato invece di un gruppo di americani, molti di essi sposati in Messico e conosciuti come buoni vicini”.
Fino a questo punto, Escalante y Arvizu stava soltanto stiracchiando le cose, ma la sua dichiarazione seguente sfiorava l’assurdo: “Tuttavia essi (gli americani) non dovevano inseguire gli Apache da soli, ma piuttosto come truppe di supporto di un gruppo di patrioti del Sonora che si erano offerti di farlo a proprie spese. Solo per sfortuna e per errore questi ultimi furono impediti dal partecipare al combattimento sostenuto da questi stranieri assieme a 5 messicani”.


Banda di armati Messicani

La risposta era chiaramente intesa a chiudere l’indagine e ad accontentare le autorità di Città del Messico, che secondo il governatore erano troppo lontane per capire la realtà della situazione. Escalante y Arvizu concluse il rapporto assicurando le autorità che “egli non avrebbe mai permesso (nel Sonora) un raggruppamento di avventurieri armati, ciò specialmente considerando il corrente stato delle relazioni tra la repubblica e la nazione cui appartengono gli individui che hanno prestato questo servizio”.
La reazione degli Apache all’impresa Johnson era prevedibile, come d’altra parte lo sarà ancora in seguito, dopo il massacro compiuto da Kirker a Galeana nel 1846, dopo l’attacco a tradimento del generale Carasco a Janos nel 1851, dopo il coraggioso contegno del tenente Bascom a Passo Apache nel 1861 e l’uccisione a sangue freddo di Mangas Coloradas nel 1863.
In tutte queste occasioni, la sola e naturale risposta possibile degli Apache era la vendetta, da compiere possibilmente sui responsabili ma, come si espresse un testimone, i Chiricahuas “assalivano tutto e ovunque, soldati di cavalleria e città. Erano furiosi. Attaccavano chiunque per vendicarsi”.

PROFILI

John Johnson nato nel Kentucky, più tardi residente nel Missouri, era un cappellaio di professione che arrivò probabilmente ad Oposura, nel Sonora, nel 1827. Con il socio Josè Antonio Aguirre, acquistò la proprietà di un’Hacienda. Da questa fece dei viaggi a Santa Fè e stabilì contatti commerciali con altri angloamericani e vari capi Apache. Morì nel 1852.

Juan Josè Compà (1786?-1837) capo Ndèndaì, fratello di Juan Diego Compà e figlio di El Compà. Era un indiano istruito…nel 1794 frequentò la scuola del presidio di Janos il che spiega la sua buona conoscenza dello spagnolo. Quando suo fratello Juan Diego invecchiò, Juan Josè assunse il comando di un gruppo locale, ma non fu mai un capo Chiricahua del livello di Pisago Cabezon o Mangas Coloradas. Egli fu un importante sostenitore delle trattative di pace del 1832 e 1835.

Lautora Garcia venne catturata dalla banda di Juan Josè Compà probabilmente nello stesso 1837(la sua famiglia venne massacrata).
La sua testimonianza a Moctezuma dimostra chiaramente che Johnson riferì male i fatti nel suo rapporto a Janos. Più tardi, Lautora sposò un uomo della famiglia messicana Ramirez e morì a Oputo nel 1879.

Fuerte, nome spagnolo per intendere “virile, maschio, forte”, fu uno dei più importanti capi Apache Tchihendè o Bidandèkoi tra il 1820 e il 1840. Sweeney riferisce che l’area mineraria del fiume Mimbres era il suo territorio. Negli archivi di Janos però, Fuerte viene più spesso ritenuto un Mogollonero e, solo qualche volta, un Mimbreno. E’ presumibile che Fuerte – uscito di scena nel 1840 circa – e Mangas Coloradas – comparso per la prima volta nel 1842 – fossero la stessa persona. W.Griffeen, che ha fatto estese ricerche in materia, concorda con Sweeney su questo punto. Sweeney aggiunge che Mangas Coloradas appare per la prima volta in documenti del 1842, quando viene identificato come capo dei ribelli Mogollon, probabilmente quel sottogruppo della tribù che i Chiricahuas chiamavano Bedonkohe (Bidandèkoi).