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15 ottobre 1880, Victorio ucciso a Tres Castillos

A cura di Patrizia Ines Roggero


La storia dei Nativi Americani è segnata da guerre, esodi verso terre spesso lontane da quelle natie e fughe dai confini delle riserve. Nemmeno gli Apache Mimbreño di Victorio, ne sono stati risparmiati. Ma chi era questo condottiero?
Probabilmente nato nel 1825 con il nome di Bidu-ya, Beduiat, è conosciuto come Victorio “Il Lupo degli Apache”. Una leggenda narra che fosse di origine messicana, rapito dal Rancho del Carmen e allevato dagli Apache, ma non è così. Era un Mimbreño a tutti gli effetti, così come sua sorella Lozen “Dextrous Horse Thief”, guerriera e profetessa, che Victorio stesso definì “Forte come un uomo, più coraggiosa degli altri. È la mia mano destra. È lo scudo del mio popolo.”
Si dice avesse un fisico aitante, zigomi larghi e una bocca stretta. Un uomo energico e valoroso.
Ebbe una sola moglie che lo rese padre di cinque figli, tre dei quali diedero la vita per il proprio popolo nelle guerre contro i bianchi. A noi è giunto solo il nome dell’ultimo figlio ucciso, Washington, non si sa perché sia stato chiamo proprio così, ma sappiamo che era un guerriero impetuoso, morto poco prima della sconfitta finale a Tres Castillo del 9 ottobre 1880. Gli altri suoi due figli, Istee, il più giovane e la sola figlia femmina, Dilthcleyeh, nuora di Mangas Coloradas, sopravvissero alla guerra soltanto perché al sicuro nella selvaggia Black Range.


Un ritratto di Victorio, guerriero Apache

La vita di Victorio s’intreccia con quella di altri personaggi di spicco nella realtà Apache. A partire da Mangas Coloradas, capo principale dei Mimbreño, che lo nota quando ancora era un giovane guerriero ma già sottocapo agli ordini di Chuchillo Negro. Da lui, Victorio acquisì l’astuzia strategica e tattica, e la capacità di unire forza e saggezza, senza mai lasciar scemare il senso di responsabilità nei confronti della propria gente. Imparò così bene, che alla fine divenne migliore persino del suo istitutore. Questo fece di lui il braccio destro di Mangas Coloradas, un vero e proprio consigliere, prevalendo persino sui più anziani Nana e Delgaito.
Se tra gli Apache il suo nome era ben conosciuto, ai bianchi fu noto solo dopo l’apposizione della sua croce al patto provvisorio del 7 aprile 1853. Insieme a lui, il cui nome fu erroneamente trascritto come “Vitoria”, c’erano anche i capi e sottocapi Ponce, Josè Nuevo, Chuchillo Negro, Josecito, Sargento, Veinte Reales, Rinon, Delgaito Largo, Tusho, Corrosero e Placera. Mancava invece Mangas Coloradas, sebbene all’epoca fosse il più potente condottiero Apache.
Fu proprio dopo l’assassinio di quest’ultimo, avvenuto a Fort McLane nel 1863, che Victorio scatenò una sanguinosa guerra contro i bianchi, spalleggiato da Nana, Cochise e Delgaito. Ciò lo innalzò al rango di capo supremo riconosciuto da tutti i Mimbreño, nonché un punto di riferimento per le molte bande di Mescalero Apache, per i Ndendahe Apache di Juh e Geronimo, spesso cooperando con Cochise, capo dei Chiricahua Apache.
Sei anni più tardi, nell’estate nel 1869 furono avviate le trattative con i bianchi, ma solo nel gennaio dell’anno successivo, Victorio e gli altri capi Mimbreño Loco e Salvador, figlio di Mangas Coloradas, accettarono di stabilirsi nella riserva di Cañada Alamosa. In seguito, nel 1871, si trasferirono a Ojo Caliente, e nel 1872 a Tularosa insieme ai Sierra Blanca e Sacramento Mescalero. Quest’ultima fu una sistemazione di breve durata, il clima di continua tensione li costrinse presto a tornare a Ojo Caliente.
Intorno al 1874, durante il concilio tra gli Apache del New Mexico indetto da Carnoviste, capo di una banda di Guadalupe Mescalero decimata sia dalle incursioni Comanche sia dalle guerriglie con le truppe messicane e statunitensi, Victorio convinse i partecipanti a inviare messaggeri di pace ai Comanche con i quali infine riuscirono a stipulare un’alleanza per resistere ai bianchi, alla quale poco dopo si unirono anche i Kiowa. Nonostante ciò, due anni più tardi, i Mimbreño stanziati a Ojo Caliente, subirono diversi attacchi da parte dei soldati. Il 4 settembre 1876, fu proprio il villaggio di Victorio a essere assalito dal 9° cavalleggeri supportato da uno squadrone di scout Navajo.


Un gruppo di Apache

I bianchi volevano le terre degli Apache e non si sarebbero arresi, per questo presentarono l’ennesimo trattato nella storia tra bianchi e nativi. Questa volta le condizioni prevedevano lo spostamento di Mimbreño, Chiricahuas, Tontos, le bande Eastern e Western Whitemountain e Cibecue dei Coyoteros, e le bande Nednhi e Bedonkohe dei Ndendahe, nella riserva di San Carlos. I Mescalero furono invece sistemati nei pressi di Fort Stanton, e le bande Aravaipa e Pinaleño dei Gileños furono ricollocate lungo il Rio San Pedro, dopo il massacro di Camp Grant del 28 aprile 1871.
La reclusione nella riserva, però, non durò molto per i Mimbreño. Il 2 settembre 1877, Victorio riunì trecentodieci Apache tra Mimbreño, Chiricahuas e Ndendahe e, insieme a Loco, si mise al loro comando. Duecentocinquanta di essi si arresero a Fort Wingate, dopo aver resistito fino allo stremo all’inseguimento dei Texas Ranger e dei collaborazionisti Coyoteros del 10° cavalleggeri, comandati da Diablo. In seguito si arrese anche Loco, mentre Victorio resistette fino a febbraio del 1878 e restò a Ojo Caliente sino all’inizio dell’autunno, quando i militari del 9° cavalleggeri giunsero per deportare i Mimbreño nella riserva di San Carlos. Loco fu arrestato e Nana si rifugiò con la sua gente nella riserva Mescalero di Fort Stanton; invece Victorio fece imbracciare le armi ai suoi uomini e riprese la guerra, consegnandosi a Fort Stanton soltanto nell’anno successivo.
La sua resa avrebbe avuto un’altra volta vita breve. In estate, venne rispolverata una vecchia denuncia che lo vedeva accusato del furto di cavalli, ciò lo costrinse a lasciare di nuovo la riserva. Era il 21 agosto 1879 e, insieme a quattrocentocinquanta Apache tra Mimbreño, Mescalero, Chiricahua e Lipan, tra i quali pare vi fossero solo settantacinque guerrieri, fuggì in Messico. Con ogni probabilità, a loro si unì la banda Chisos dei Limpia Mescalero, orfani del capo Alsate, catturato alla fine nel 1878 insieme a parte dei suoi uomini dalle truppe messicane nei pressi di Ojo de los Apache e deportati nella prigione Acordada a Ciudad de Mexico.


Victorio, Apache Warm Springs

Victorio e suoi uomini lasciarono la riserva due volte, prima di non farvi mai più ritorno. Le loro incursioni preoccupavano molto l’Agenzia in quella che prese il nome di “La guerra di Victorio”, e fu necessario chiamare altre truppe di soldati. Il capo Mimbreño, però non era facile da catturare, diede molto filo da torcere sia ai soldati statunitensi sia a quelli messicani, sui quali vantò una serie di successi. Fu un periodo d’importanti scorrerie in gran parte del Sud-Ovest, e uscì vittorioso dal terribile scontro nel Las Animas Canyon, che ebbe luogo il 18 settembre 1879. La sua capacità tattica gli garantì numerose vittorie, tanto che alla fine l’esercito americano si ritrovò in difficoltà a causa delle continue azioni lampo degli Apache.
Nel frattempo, Alsate era riuscito a fuggire dalla prigione di Ciudad de Mexico ed è probabile che si sia riunito con Victorio guidando con lui i loro Apache fino a quando, nel 1880, il capo Mescalero insieme ai sottocapi Colorado e Zorillo e tutta la banda Chisos, caddero vittime di una trappola a San Carlos e furono catturati dai messicani. In quello stesso anno, fu scovato e attaccato il nascondiglio di Victorio sulle rive del Rio Palomas nel Black Range, una battaglia che durò dal 23 al 25 settembre 1880. Morirono molti uomini, donne e bambini, poi i bianchi si ritirano perché rimasti senza acqua.
Nonostante tutto, Victorio era ancora in piedi e, quando giunse in Texas, prese vita la più grande caccia agli Apache mai vista nel Sud-Ovest. Una collaborazione tra soldati, Texas Ranger, volontari e messicani, mentre Nautzili faceva di tutto per tenere a bada i Mescalero ed evitare che abbandonassero la riserva per unirsi ai Mimbreño.
Victorio, però riuscì a farsi beffa dei quattromila uomini che lo braccavano, compresi i Buffalo Soldiers del 9° e 10° Cavalleria, e gli sperimentanti bianchi del 6° Cavalleria. Insieme al probabile cognato Caballero, al comando dei Mescalero, tenne in scacco l’esercito e i suoi alleati. Dopo le vittorie di Percha River (Rio Pueco) e Anima River, diede dimostrazione del suo coraggio e della sua bravura di condottiero anche nella battaglia di Aleman’s Wells il 3 febbraio 1880, in quella di Hembrillo Canyon il 7 aprile 1880, e attraversando più volte il Rio Grande nonostante fosse stato respinto con sessanta guerrieri a Quitman Canyon il 30 luglio 1880.
Le sue scorribande ebbero fine il 15 ottobre 1880 a Tres Castillos, dove si erano accampati, quando tradito dai Tarahumara, vittime di parecchie razzie Apache, si trovò alla mercé dei militari messicani comandati dal colonnello Adolfo J. Valle, dal colonnello Juan Mata Ortiz, dal colonnello Joaquin Terrazas, fratello del governatore del Chihuaua, Luis Terrazas, e di Rodrigo Garcia. Soli e con poche munizioni, senza poter contare sull’appoggio dei guerrieri di Nana e Mangus, partiti proprio per una missione destinata al furto di proiettili, gli Apache combatterono con coraggio e il solo supporto delle armi bianche.
Morirono ottantasei guerrieri e il loro capo, Victorio. A ucciderlo fu una pallottola sparata dallo scout Tarahumara Mauricio Corredor. La versione degli Apache lo vede invece suicidarsi con il proprio coltello.
Fu l’ennesimo massacro di donne e bambini con il quale imbrattare le pagine della storia. Furono addirittura scalpati.
Di seguito uno stralcio dell’articolo di un corrisponde del Chicago Times presente a Chihuaua City quando le truppe di Terrazas fecero ritorno in città:

“Al segnale, il battaglione avanzò, e allora si scoprì che non si trattava di pennacchi, bensì degli scalpi orrendi dei nemici uccisi, mostrati alla folla, che urlò e gridò, folle di entusiasmo, seguendo i cavalieri. Ogni scalpo era assicurato alla cima di un palo lungo circa tre metri. Alcuni vincitori, in fila per quattro, portavano gli scalpi. Li contammo: erano settantotto, di cui sedici di donne e bambini. Mi ero aspettato di vedere qualche scalpo, naturalmente, ma la lunga fila nera di orribili trofei era di gran lunga più orrenda di quanto avessi previsto: in molti casi era stato strappato l’intero cuoio capelluto, insieme a tutta la chioma. Una folla immensa, composta di uomini, donne e bambini che si spingevano a vicenda, pazzi di esultanza, fu seguita da una banda la cui musica veniva di quando in quando soffocata dalle acclamazioni. Poi arrivò il colonnello Terrazas con i suoi ufficiali, stanchi e sporchi per il viaggio. I prigionieri montavano cavalli e muli: erano soltanto donne e bambini di tutte le età, dall’infanzia alla vecchiaia, tranne un Comanche, che era stato risparmiato dall’esploratore Cruz. I portatori di scalpi e le salmerie seguivano i prigionieri. I volontari erano molto sporchi e imbrattati di sangue, naturalmente, ma sotto questo punto di vista non potevano uguagliare gli Indiani, e quanto all’aspetto torvo, superavano tutto ciò che abbia mai visto o immaginato. Lo scalpo di Victorio, visibilmente tinto di grigio, era portato da colui al quale era riconosciuto il merito di avere ucciso il capo.”

Su Victorio, scrisse Dan Thrapp:

“Il più grande guerrigliero d’America, può essere accomunato a personaggi eterogenei: Francis Marion, la volpe delle paludi; William Clarke Quantrill, famigerato per il massacro di Lawrence; John Singleton Mosby, il grande cavalleggero confederato; Charles Merrill, lo scorridore della Birmania; e molti altri ancora.
Victorio fu un combattente dello stesso stampo, ma con una differenza. Mentre gli altri presero le armi volontariamente e combatterono in risposta a quello che consideravano il richiamo della patria, Victorio s’impegnò nella sua lunga battaglia perché non ebbe altra scelta e per la sopravvivenza di un popolo agonizzante.
Nessun Apache di cui sia rimasta memoria storica, neppure il possente Mangas Coloradas, suo predecessore, e nemmeno l’indomito Cochise, suo amico e compagno, inflissero tali sconfitte al nemico. La sua grandezza stette in questo, e sopratutto nel modo in cui ottenne le proprie vittorie, nonostante le condizioni di svantaggio in cui si venne a trovare. Effettuò tutte le proprie manovre intralciato dalla presenza delle donne, dei bambini e dei vecchi, mantenne unito il suo popolo durante tutte le battaglie, le ritirate, le fughe, le scorrerie per procurare quanto era necessario alla sopravvivenza: non abbandonò mai la sua gente; e con essa, alla fine, fu annientato.
Soltanto per questo sarebbe un condottiero unico. A tutto ciò, però, si aggiunge il fatto che Victorio combatté senza poter contare su nessuna organizzazione di approvvigionamento, se non quella che riuscì a creare con la propria abilità.”

Infine, di lui il generale Crook disse:

“Se fosse stato un bianco, allora sarebbe entrato nella storia come uno dei più grandi generali che l’umanità abbia conosciuto.”

Come dargli torto, viste le imprese che hanno costellato la sua vita?