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La prima ferrovia transcontinentale

A cura di Sergio Amendolia


Il 1° luglio 1862 il Presidente Abraham Lincoln, dopo decenni di dibattiti e disaccordi, diede vita con un tratto di penna sul “Pacific Railroad Act” ad uno dei progetti umani più ambiziosi ed avventurosi degli ultimi secoli: la creazione di una immensa strada ferrata in grado di unire il sistema ferroviario degli Stati della costa atlantica con la California e l’oceano Pacifico.
Nei successivi 6 anni la ferrovia transcontinentale avrebbe conquistato, metro dopo metro, gli sterminati territori ad Ovest del fiume Missouri, superando le grandi pianure erbose, le alte montagne innevate ed i profondi canyons rocciosi, scontrandosi con indiani bellicosi e banditi di ogni risma.
Decine di migliaia di operai, in prevalenza cinesi e irlandesi, ma anche italiani, tedeschi e polacchi avrebbero lavorato eroicamente anche 12/15 ore al giorno in condizioni spesso difficili e pericolose, sotto la guida di meticolosi ingegneri ed esperti esploratori e con la protezione di veri e propri eserciti pagati dalle compagnie ferroviarie.
Un lungo piano di lavoro sarebbe passato senza remore attraverso l’intero continente e avrebbe calpestato chiunque si fosse trovato sul tragitto dei binari, rincorrendo l’agognato spirito di unità profondamente minato dalla devastante guerra civile.

Il richiamo dell’Ovest.

L’idea di riunire il territorio degli Stati Uniti con la Costa dell’Oceano Pacifico nacque già nel 1830, ma l’esigenza si fece più pressante nel 1848, con la scoperta del primo filone aurifero in California, in seguito al quale più di 300.000 persone si riversarono tra la zona di Sacramento e le montagne della Sierra Nevada, lungo l’American River, alla ricerca del prezioso metallo.


Il Pacific Railroad Act

Fino ad allora, infatti, per raggiungere la “terra promessa” dagli Stati dell’Est erano infatti necessari mesi e mesi di cammino seguendo il corso del fiume Platte e superando pianure e montagne, con il rischio di agguati, fame e malattie. Le due alternative erano la circumnavigazione del Continente meridionale superando Capo Horn (18.000 miglia marine ad alta probabilità di naufragio) ovvero imbarcarsi su un battello a vapore da New York fino alla foce del fiume Chagres a Panama e da lì, rischiando di contrarre malaria e malattie tropicali, raggiungere in qualche modo Panama City da dove, con un altro battello, era possibile risalire la costa ovest in direzione San Francisco (risale infatti al 1855 la Panama railway, tecnicamente il primo tratto transcontinentale lungo appena 48 miglia).

I percorsi possibili.

Era chiaro che solo una ferrovia transcontinentale avrebbe potuto collegare in modo efficace la California al resto della Nazione ed il Congresso degli Stati Uniti ne era ben cosciente tanto che, nel 1850, avviò un’indagine sui possibili percorsi da seguire. Tra le diverse opzioni in campo, le più importanti risultarono:
– un passaggio a Nord, attraverso il Montana fino all’Oregon, lungo i fiumi Mississippi, Missouri e Columbia, seguendo indicativamente il tratto di territorio esplorato dalla spedizione Lewis e Clark, una rotta che però fu subito considerata impraticabile per le copiose nevicate invernali che caratterizzavano quelle latitudini;
– un tracciato “centrale” che partendo dal Missouri avrebbe risalito i fiumi Kansas e Arkansas fino al Great Salt Lake, per poi concludersi a San Francisco in California, con la grande incognita della Sierra Nevada, catena montuosa impervia e difficoltosa da superare;
– l’itinerario del 35° parallelo, che da Memphis nel Tennessee avrebbe attraversato le Montagne Rocciose nelle vicinanze di Santa Fe e, superando i territori Apache e Mohave si sarebbe spinto fino a Los Angeles;
– la tratta del Sud che, con inizio a New Orleans e attraverso il Texas, sarebbe giunta a Yuma e San Diego, sicuramente l’itinerario più breve e con minori rischi sia per l’impatto climatico che per le problematiche connesse alla traversata del territorio indiano.


Pacific Railway Act – Clicca per ingrandire la mappa

Tuttavia, i molteplici interessi economici in gioco divisero il Congresso determinando uno stallo che per oltre un decennio impedì la scelta di uno dei percorsi individuati, rispettivamente perorati ora dai politici del nord, ora da quelli del sud. Uno dei più attivi nel senso fu il Senatore Democratico Jefferson Davis (poi divenuto l’unico Presidente Confederato), già eletto nelle liste del Mississipi e divenuto Ministro della Guerra sotto la Presidenza Pierce negli anni ‘50, interessato a far approvare la tratta meridionale comprendente un’estesa area che il Governo americano avrebbe dovuto acquistare dal Mexico. Tra i contrari spiccava invece il Senatore Democratico dell’Illinois Stephen A. Douglas, titolare di parecchi interessi terrieri ad Ovest di Chicago che sarebbero divenuti strategici con l’approvazione di un tracciato centrale da originare in Omaha (Nebraska) e/o Council Bluffs (Iowa). Tali interessi, peraltro, convergevano con quelli del rivale Repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti Abraham Lincoln, anch’egli dell’Illinois e già avvocato delle ferrovie.
Lo scoppio della guerra civile nell’aprile del 1861 e la successiva elezione di Lincoln alla Presidenza finalmente sbloccò la situazione e la legislatura dell’Unione, ormai libera dalle obiezioni dei sudisti, decise di accelerare lo sforzo economico al progetto Transcontinentale, assicurandosi così facendo di ottenere l’importante appoggio bellico alla causa del nord degli Stati Americani più occidentali, secondo la più stretta logica militare.
Il percorso approvato era quello ideato da Theodore Judah, un ingegnere civile conosciuto da Lincoln e ossessionato dall’idea di costruire una strada ferrata lungo il 41° parallelo già percorso dai Mormoni e dai Pony Express, attraverso Nebraska, Wyoming, Utah, Nevada e California, collegando Omaha a Sacramento.


I lavori di costruzione della ferrovia

Il Congresso, non potendo sostenere in toto l’opera faraonica, approvò a seguito del Pacific Railroad Act tutti gli atti ufficiali (1862 e 1864) che elargivano enormi prestiti agevolati in denaro alle società private che avessero accettato la grande sfida: 16.000 $ per ogni miglio di rotaia costruito in pianura, 32.000 $ sui fondi collinosi e 48.000 $ nei tratti di montagna, oltre al libero attraversamento dei territori demaniali ed al diritto di proprietà su 20 miglia quadrate di terreno ubicato al margine della ferrovia. Le opportunità commerciali per gli investitori erano così allettanti da far dimenticare i numerosi rischi che l’impresa avrebbe comportato. Fu così che per le due società vincitrici della gara la parola d’ordine divenne macinare miglia di ferrovia nel più breve tempo possibile ed a qualsiasi costo.
Due furono le Compagnie che da quel momento avrebbero condotto l’avventura: la “Central Pacific Railroad” che sarebbe partita dalla città californiana di Sacramento con un percorso attraverso le montagne della Sierra Nevada in direzione est e la “Union Pacific Railroad”, che da Omaha in Nebraska avrebbe percorso le grandi pianure in senso inverso.

Central Pacific Railroad: la Sierra Nevada.

Il progetto dell’ingegnere Theodore Dehon Judah venne sottoscritto e finanziato da 4 ambiziosi uomini d’affari californiani, poi divenuti noti come “the Big four”: il negoziante neo eletto governatore della California Leland Stanford, il commerciante con il pallino della politica Charles Crocker ed i soci proprietari di un emporio Collis Huntington e Mark Hopkins, tutti privi di qualsiasi esperienza precedente con le ferrovie, l’ingegneria o le costruzioni, ma ben determinati a sfruttare tutte le possibili scappatoie per ottenere i fondi messi a disposizione dal Governo.
La società nacque ufficialmente il 28 giugno 1861 con Stanford presidente, ma ci vollero quasi due anni per dare l’inizio ai lavori, avvenuto il 9 gennaio 1863.


La mappa della Central Pacific Railroad – Clicca per ingrandire

I problemi si fecero subito pungenti: oltre alla morte, avvenuta pochi mesi dopo per febbre gialla, dell’ingegnere capo Judah, la posa in opera della ferrovia procedeva a rilento a causa della mancanza di manodopera, sia a causa delle operazioni belliche ad est e sia per la vicinanza con le miniere del Nevada, molto più allettanti per i lavoratori della zona. Inoltre una volta arrivati in prossimità della Sierra Nevada le difficoltà aumentarono, le condizioni di lavoro diventarono proibitive e gli operai disertavano i cantieri scappando. Il tentativo di Crocker di avvalersi di 5.000 prigionieri confederati in una sorta di “lavori forzati” non venne avallato dal Governo, così come non ebbe fortuna la richiesta di sfruttare i giovani afroamericani appena liberati da Lincoln. Fu allora – si racconta – che il servo cinese di Crocker suggerì al proprio padrone di assumere manodopera cinese. L’idea si rivelò subito vincente: i nuovi operai si dimostrarono abili lavoratori, pazienti e miti di carattere, non dediti all’alcool e in grado di affrontare qualsiasi privazione, riuscendo addirittura a risparmiare parte del salario, notoriamente basso e sottopagato, anche un terzo in meno rispetto ai colleghi bianchi. Anche le attrezzature costavano meno poiché i cinesi non usavano esplosivi moderni ma solamente pala, sega, piccone e, all’occorrenza, polvere da sparo. Contrariamente al loro aspetto, spesso gracile e apparentemente inadatto ai lavori manuali, i figli del sol levante compirono gesta incredibili: ostacolati da metri di neve e temperature proibitive riuscivano a far saltare massi di solido granito lavorando appesi in ceste di fortuna su alti strapiombi rocciosi.


Neri al lavoro nella tratta gestita da Charles Crocker

Si stima che tra il 1865 e l’inizio del 1867 circa 14.000 operai di origine cinese abbiano contribuito con l’80% della forza lavoro a superare la Sierra Nevada, costruendo viadotti, gallerie e lasciando sul campo un alto numero di vittime. In un recente discorso commemorativo alla Camera dei Rappresentanti l’impresa è stata definita “… Un grande esercito che assediava la Natura nella sua più forte cittadella. Le aspre montagne sembravano stupendi formicai, dove gli operai spalavano, perforavano e brillavano rocce e terra, scrutando dai loro occhi spenti sotto gli immensi cestini –cappello, come fossero ombrelli…”.
Superato nel 1868 l’incredibile ostacolo della Sierra, la Central Pacific poteva finalmente proseguire velocemente verso est, attraverso le aride pianure del Nevada, in direzione di Salt Lake City.

Union Pacific Railroad: Le grandi pianure.

Il 1° dicembre 1863, undici mesi dopo l’inizio dei lavori da parte della Central Pacific, venne inaugurata presso la Stazione di Omaha, in Nebraska, la tratta della Union Pacific Railroad che tuttavia, sotto la direzione occulta del suo maggiore azionista Thomas Clark Durant, finanziere e faccendiere del Massachusetts che aveva fiutato la possibilità di arricchirsi con gli stanziamenti pubblici, tardò a partire a causa delle speculazioni e delle difficoltà finanziarie, a lui riconducibili.
I primi binari vennero posati, infatti, solo nel luglio 1865 (il Presidente Lincoln che fortemente aveva voluto l’avvio del progetto era stato ucciso da poco) ma da lì in poi l’avventura divenne reale e, nel giro di due anni, la Union Pacific aveva già coperto il quadruplo della distanza rispetto alla Central Pacific.
Il merito dell’impresa è in gran parte da attribuire all’Ingegnere Capo, Generale dell’Unione Grenville Dodge, già impegnato contro i pellerossa delle pianure ed esperto dei territori indiani dove sarebbero stati posati i binari. Egli si avvalse della collaborazione del Generale Casement, quale Direttore dei Lavori, assumendo migliaia di veterani della guerra ed immigrati, specialmente di origine irlandese.


Locomotiva della Union Pacific Railroad

Ben conoscendo i rischi della difficile impresa volle, inoltre, al proprio fianco, uno dei migliori esploratori dell’Esercito e straordinario topografo del West: Jim Bridger, diventandone il biografo ufficiale. Di lui, anni dopo, l’Ufficiale scrisse “Bridger non era un uomo colto, ma sapeva descrivere in maniera intelligente qualsiasi zona sconosciuta, era in grado di mappare minuziosamente ogni territorio percorresse, segnando fiumi, montagne e ostacoli di ogni tipo, in modo da renderlo comprensibile a chiunque … capì a fondo il carattere dei popoli nativi, le loro peculiarità e le superstizioni … come guida credo non avesse un suo pari sulle pianure”.
Non c’era pericolo che potesse rallentare la Union Pacific attraverso gli sconfinati scenari del Wyoming. I contingenti della cavalleria degli Stati Uniti, unitamente alle guide Pawnee, scortavano le colonne di geometri ed operai, essi stessi armati e chiamati a difendersi dai numerosi attacchi delle tribù Sioux, Cheyenne ed Arapaho, dai furti di bestiame e delle attrezzature, persino dalle mandrie di bisonti sospinte sulla prateria come “bombe” per far deragliare le locomotive.
La Compagnia arrivò perfino ad assumere un vero e proprio esercito di cacciatori di bisonti, fonte primaria di cibo per gli indiani e costante minaccia fisica per la ferrovia. Fu creato appositamente un cuneo appuntito di sbarre di ferro, collocato nella parte anteriore delle locomotive con lo scopo di sollevare e spingere il bisonte a lato dei binari, evitando così il deragliamento del convoglio.
Nei territori indiani ad Ovest di Cheyenne, nella parte meridionale del Wyoming, al confine con il Colorado lungo le Laramie Mountains le cittadine, i saloons, gli alberghi nascevano attorno alla ferrovia e scomparivano man mano che i lavori procedevano.
Promontory summit.


La ferrovia attraversa i territori degli indiani

Agli inizi del 1869, dopo oltre 1000 miglia di strada ferrata in soli due anni, la Union Pacific entrava nello Utah arrivando da est ed annunciando a colpi di telegrafo il record di posa dei binari pari ad 8 miglia al giorno da parte degli operai irlandesi mentre per tutta risposta, da Ovest, la Central Pacific si avvicinava macinando nuovi record compiuti a loro volta dai lavoratori cinesi. La costruzione era divenuta una vera e propria sfida, velocizzata anche dai generosi incentivi in termini di terreno demaniale. Le due compagnie non avevano quindi alcun interesse a fermarsi ed aspettare la congiunzione del tracciato e le due linee ferroviarie continuavano ad avanzare rischiando di sovrapporsi, non essendo stato stabilito dal “Pacific Railroad Act” alcun punto di incontro.
Ci volle una convocazione dei funzionari delle due società a Washington da parte del Presidente Ulysses S. Grant e la minaccia di quest’ultimo di ritirare i fondi federali, per addivenire finalmente ad un punto d’incontro, stabilito nel “Promontory Summit” a nord del Gran Lago Salato, vicino alla cittadina di Ogden nello Utah.
Il 10 maggio 1869, ore 12.57 ora locale, a Promontory Point – esattamente 689 miglia da Sacramento, coperte interamente della Central Pacific e 1.086 miglia da Omaha, tracciate dalla Union Pacific – la locomotiva a legna rosso/oro proveniente da Ovest avanzò lentamente in direzione dell’estremità del proprio troncone fino a fermarsi faccia a faccia alla locomotiva a carbone verde/oro che proveniva analogamente dalla direzione opposta. L’ultima leggendaria ribattitura della chiavarda da rotaia, la “Golden Spike”, sanciva simbolicamente a colpi di martello l’unione della Nazione americana.
Le bande suonavano e Lelan Stanford dei “Big Four” inviò immediatamente un telegramma al Presidente Grant. Fu l’inizio contemporaneo di manifestazioni solenni da un oceano all’altro, in tutto il Paese: la ferrovia Transcontinentale, a prezzo di enormi sacrifici, era stata completata.


L’incontro a Promontory Point – Clicca per ingrandire

La Nazione era finalmente unita ed il “Destino Manifesto” era una realtà. Ogni singolo cittadino americano da quel giorno avrebbe potuto partire su un treno da New York ed arrivare in California in una settimana, invece che in sei pericolosi mesi a bordo di un conestoga.
Il treno diventava così ancor più uno dei grandi protagonisti della Storia americana, anche se il West era ancora lontano dall’essere domato, anzi, nell’ultimo quarto del XIX secolo lo scontro tra il vecchio mondo selvaggio della frontiera e la modernizzazione dei territori portata dal “cavallo di ferro” continuò ad essere cruento, i numerosi attacchi ai carri postali, le rapine ai viaggiatori, gli agguati, i deragliamenti e tutto ciò che sarebbe entrato a pieno titolo a far parte dell’epopea del Far West.