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La battaglia di Horseshoe Bend

A cura di Denis Giotta


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Nella primavera del 1814, una mortale e decisiva battaglia si svolse sulle sponde del Tallapoosa River, in Alabama, nella quale morirono più nativi americani che in ogni altro scontro avvenuto in America nel corso della storia.
Allo scoppio del conflitto anglo americano (1812-1815), la grande e potente Nazione Creek si trovava divisa in due fazioni, coinvolte in una sanguinosa guerra civile. I Creek (o Muskogee) Settentrionali erano in maggioranza e osteggiavano apertamente l’espansione americana nei loro territori del Sud Est, in Georgia e Alabama.
I loro guerrieri erano noti come Bastoni Rossi, un nome che probabilmente deriva dall’antica usanza muskogee di delimitare il territorio dei loro villaggi con pali dipinti e disposti lungo i confini.


Indiani Creek

Il loro capo riconosciuto era un mezzo sangue di illustre famiglia, originario del villaggio di Coosada e appartenente al clan materno del Vento (Hutalgalgi). Suo padre era un influente mercante scozzese e la stessa madre creek, Sehoy, aveva sangue misto, vantando tra i suoi progenitori un comandante francese di Fort Toulouse e un grande capo creek di origini mezzo scozzesi, Alexander McGilliwray. I bianchi lo chiamavano William Weatherford, ma lui preferiva il suo nome nativo, Lanochabee (Aquila Rossa) ed era fiero del titolo onorifico che aveva conquistato grazie al suo coraggio in battaglia e all’abilità di comando, Hopnicafutsahia o Colui che Dice il Vero.
Dall’altra parte della barricata c’erano i Creek Meridionali, i quali erano favorevoli alla politica americana e si erano meglio assimilati alla cultura dei bianchi. Il loro capo, William McIntosh di Coweta, era in ottimi rapporti con l’Agente Indiano americano, Bamjamin Hawkins. Anche lui mezzo sangue del clan del Vento, era chiamato Taskanugi Hatke (Guerriero Bianco) dai Creek.


William McIntosh

Quando il grande capo shawnee Tecumseh visitò i Creek, nell’Ottobre 1811, i Bastoni Rossi furono entusiasti della sua politica anti americana e favorirono l’alleanza con gli inglesi, iniziando a razziare le fattorie dei bianchi nella regione. I capi dei Creek Meridionali punirono questi atti ostili e, in conseguenza, la nazione fu scossa da una feroce e violenta guerra civile.
Nel tardo Luglio 1813, un gruppo di Bastoni Rossi tornava da Pensacola con un carico di polvere da sparo, munizioni e rifornimenti, acquistati presso gli spagnoli della Florida. Mentre erano accampati sul Burnt Corn Creek, nell’Alabama meridionale, furono attaccati da 180 miliziani del Mississippi (un vasto territorio che comprendeva anche l’attuale Alabama), in maggior parte sangue misto, riuscirono a respingerli ma persero la maggior parte dei cavalli e della polvere, oltre a numerose casse di proiettili di piombo. In risposta a questo grave smacco, Aquila Rossa guidò i suoi guerrieri contro l’avamposto americano di Fort Mims, il 30 Agosto dello stesso anno, compiendo un massacro nel quale furono uccise almeno 500 persone, tra Creek Meridionali, coloni americani e schiavi neri, comprese donne e bambini. Anche le perdite dei Bastoni Rossi furono ingenti, sommando almeno un centinaio di morti nelle loro file.


L’assalto a Fort Mims

Questo massacro indulse gli americani a radunare forze nella zona, provenienti dai territori del Tennessee, della Georgia e del Mississippi, aprendo tre fronti d’attacco nei confronti dei Bastoni Rossi. L’autunno e l’inverno successivi furono teatro di numerosi scontri, razzie dei Creek nelle colonie americane e attacchi americani contro i villaggi degli ostili. Il Generale Andrew Jackson fu incaricato dal Governatore del Tennesse di comandare la milizia del Tennesse nel territorio Creek, nel Marzo 1814, rinforzata da soldati della fanteria americana e un contingente di guerrieri Nativi, 500 Cherokee e un centinaio tra Creek alleati e Choctaw. Il 26 Marzo, alla testa di 3,300 uomini, Jackson si accampò poche miglia a Nordovest dell’Horseshoe Bend, sul Tallapoosa River, nell’Alabama centro orientale.
In questo luogo, un’ansa del fiume dalla caratteristica forma a ferro di cavallo, era stato edificato un villaggio dei Bastoni Rossi, chiamato Tohopeka. Dal mese di Dicembre vi erano convenuti un migliaio di guerrieri e almeno 350 tra donne e bambini, esuli da numerosi villaggi che avevano subito attacchi da parte degli americani, come Newyaucau, Oakfuskee, Oakchaya, Eufaula e Hillabee. L’insediamento contava circa 300 capanne di tronchi ed era protetto da un formidabile bastione difensivo, costituito da un terrapieno lungo più di 350 metri attraverso lo stretto collo dell’ansa, sormontato da una robusta palizzata di tronchi. Alla guida dei Bastoni Rossi c’era Menawa (Grande Guerriero), uno dei principali luogotenenti di Aquila Rossa. Era originario di Oakfuskee e il suo vero nome era Hothlepoya, essendo Menawa un titolo onorifico ricevuto quando raggiunse lo status di capo militare.


La mappa della battaglia – clicca per INGRANDIRE

La tattica del generale era semplice: circondare l’avversario per impedirne la fuga, sfiancarlo a cannonate e finirlo con un attacco frontale. Dal canto suo, Menawa pensava di potere resistere a lungo in caso di assedio, almeno per permettere la fuga dei non combattenti lungo il fiume e garantire una sicura ritirata ai guerrieri. Uno dei tanti profeti creek dell’epoca, Monahee, garantiva la salvezza del villaggio di fronte all’attacco degli americani. Sarà ucciso dallo stesso capo, quando furono esplosi i primi colpi della battaglia. Al mattino del 27 Marzo, Jackson divise la sua forza, ordinando al Generale John Coffee di guidare un gruppo di 700 fucilieri a cavallo e tutti i 600 alleati indiani attraverso il Tallapoosa River, appena a valle del villaggio e circondarlo, mentre i restanti 2,000 uomini, al suo stesso comando, prendeva direttamente la via dell’insediamento creek, attaccando la palizzata costruita nel collo dell’ansa.
Dalle 10.30 del mattino e per un paio d’ore, Jackson bombardò la palizzata di legno con un intenso fuoco dei suoi due piccoli cannoni, con lo scopo di aprire un varco per le sue truppe. L’impresa si rivelò più ardua del previsto e lo stesso Generale fu costretto ad elogiare l’opera difensiva dei Creek, ricordando in seguito che
“è impossibile concepire una migliore situazione per difendersi di quella che essi scelsero e la competenza che essi manifestarono nella costruzione del loro bastione fu davvero sorprendente. L’opera si estendeva attraverso lo stretto in modo tale che la forza d’attacco era sottoposta al fuoco da due lati, mentre loro stavano comodamente riparati al suo interno. Sarebbe stato impossibile conquistarlo solo con i cannoni, anche se fossimo stati in possesso di una delle estremità”.


Una rappresentazione della battaglia

Nel frattempo, Coffee aveva circondato il villaggio a Sud e alcuni guerrieri cherokee nuotarono attraverso il fiume, rubarono le canoe dei Creek e le usarono poi per trasportare altri combattenti alla base del villaggio, attaccandolo sul lato indifeso. Alle 12.30, Jackson vide il fumo della battaglia che si stava svolgendo dall’altra parte del villaggio e lanciò a sua volta l’attacco, impegnando il nemico in uno scontro corpo a corpo che durò almeno sei ore. I Bastoni Rossi erano soverchiati nel numero e non avevano molte armi da fuoco, ma resisterono con furore. Combattimenti all’arma bianca si svolsero davanti alle capanne incendiate, dove decine di Indiani preferivano morire piuttosto che arrendersi alla milizia. Molti cercarono la fuga lungo il fiume, con il risultato di finire tra le braccia di Coffee che rivolse su di loro il fuoco dei suoi fucilieri.
Alla fine dello scontro, più di 800 Bastoni Rossi erano morti, 557 nel villaggio e 300 lungo il fiume. Le donne e i bambini furono presi prigionieri dai Cherokee e dai Creek alleati. Jackson ebbe solo 49 perdite e gli indiani alleati 23. Il capo Menawa, ferito parecchie volte durante la battaglia, rimase nascosto tra i morti fino al calare della notte, riuscendo poi a fuggire su una canoa, dopo avere ucciso un soldato e ricevuto un ulteriore fucilata in faccia. Dopo la battaglia, i soldati di Jacson si abbandonarono a pratiche di inaudita violenza, confezionando redini per i cavalli usando strisce di pelle strappata ai corpi dei guerrieri deceduti. La conta dei caduti fu compiuta tagliando il naso delle vittime e i vestiti degli Indiani furono donati come souvenir alle dame del Tennessee.


Il trattato firmato dai Creek il 9 Agosto 1814

La battaglia dell’Horseshoe Bend sancì la fine della Guerra Civile Creek e fece di Jackson un eroe a livello nazionale, favorendo la sua promozione a Maggior Generale dell’Esercito Americano. Gli Stati Uniti, con il trattato firmato dai Creek il 9 Agosto 1814, guadagnarono un nuovo territorio di 23 milioni di acri. Nel Gennaio seguente, Jackson comandò con successo le sue truppe contro gli inglesi a New Orleans, determinando la sconfitta finale dell’esercito di Sua Maestà. Queste vittorie gli valsero l’elezione a Presidente degli USA nel 1828. L’Alabama diventò uno Stato dell’Unione nel 1819.
Sam Houston, futuro governatore del Tennessee e presidente della Repubblica del Texas, aveva allora 21 anni e partecipò alla battaglia come giovane luogotenente di Jackson. Anni dopo descrisse la battaglia scrivendo che:

“Il sole stava per tramontare sulle rovine della Nazione Creek. Dove poche ore prima stavano un migliaio di coraggiosi guerrieri che affrontavano gli aggressori e la morte con sguardo fiero, ora non c’è più nulla da vedere, solo nuvole di fumo denso che grava pesantemente sui cadaveri dipinti e sulle rovine in fiamme delle loro fortificazioni.”