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E’ morto Joe “Medicine” Crow

Joe “Medicine” Crow
Alla veneranda età di 102 anni, è morto Joe “Medicine” Crow, l’ultimo capo guerra di indiano vivente ad avere mai avuto quel prestigioso titolo.
Joe “Medicine” Crow era un veterano della Seconda Guerra mondiale. Il Presidente degli USA, Barack Obama, nel 2009 lo aveva insignito con la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti, la Medaglia della Libertà.
Come abbiamo detto, Joe “Medicine” Crow era l’ultimo capo di guerra delle tribù delle grandi praterie americane, Joe “Medicine” Crow, leader del popolo Crow, nella cui riserva di Lodge Grass, in Montana, aveva vissuto quasi tutta la vita dopo esser stato cresciuto dai nonni in una casa di tronchi d’albero. E lì, a Billings, nel Montana, si è spento.
Joe “Medicine” Crow si era arruolato nell’esercito Usa durante la Seconda Guerra mondiale, e – come tutti i suoi antenati ai loro tempi – mostrò un coraggio straordinario in azioni belliche dietro le linee tedesche.
Sottrasse cavalli e vettovaglie e quando un milite della Wehrmacht lo sorprese ingaggiò un combattimento corpo a corpo vincente, risparmiandogli infine la vita invece che prenderne lo scalpo come forse si aspettava l’atterrito tedesco. Per questo e altro Joe si guadagnò il titolo di ‘capo-di-guerra’. Dopo il conflitto, divenne storico dei popoli indigeni e uno dei massimi sostenitori dei diritti dei nativi americani tanto che nel 2009 era stato insignito da Obama con la Medaglia della Libertà alla Casa Bianca.


Joe “Medicine” Crow in una foto recentissima

Crow è stato in particolare uno dei massimi storici della famosa battaglia di Little Big Horn, la più grande vittoria dei nativi sull’esercito degli Stati Uniti. Suo nonno era stato uno scout indiano del comandante del distaccamento del 7° Cavallaria, il famoso George Armstrong Custer. I Crow, originari della zona a ovest del lago Eire, furono spinti a ovest dai coloni europei fino al Wyoming e Montana nella prateria settentrionale. Erano tradizionalmente amici dei Kiowa, ma non dei Sioux. A Little Big Horn, nel Montana, un forza combinata di Lakota-Sioux, Cheyenne e alcuni manipoli di Arapaho annichilirono il reparto dell’ambizioso tenente colonnello Custer il 25 giugno 1876 sterminando il 7°; 260 furono i caduti. Fra i pochi sopravvissuti, l’italiano Giovanni Martini, naturalizzato John Martin, tamburino reduce garibaldino della battaglia di Mentana, al quale Custer aveva ordinato di tornare indietro per chiedere rinforzi. Fra i 90 “immigrati” non-americani dell’unità di Custer del resto erano una dozzina gli italiani, fra i quali Felice “Felix” Vinatieri, il torinese direttore della banda musicale del reggimento; il libraio genovese Agostino Luigi Devoto, il romano Giovanni Casella, il napoletano Francesco Lombardi, e poi Alessandro Stella, Giuseppe Tulo, Francesco Lambertini e altri di cui si è oggi persa memoria.
Si è persa perfino quella del nobile bellunese Carlo Di Rudio la cui vita fu un romanzo d’avventure: patriota italiano, aveva partecipato con Garibaldi e Mazzini alla lotta della Repubblica romana del ’49 ed era stato condannato in Francia per aver partecipato (secondo i procuratori) con Felice Orsini al complotto per il regicidio di Napoleone III che ne era stato il repressore. Condannato all’ergastolo, era riuscito a fuggire dal bagno penale della Cayenna molto prima di Henry Charriere, l’autore di Papillon. Nella Guyana britannica gli inglesi lo imbarcarono per Londra.
Braccato in Europa dalla polizia francese e austriaca non riuscì a unirsi alle ultime battaglie del Risorgimento e nel 1860 decise di emigrare negli Stati Uniti. Continuò invece a partecipare alle “guerre indiane” arruolato nell’esercito degli Stati Uniti. Morì a Pasadena nel 1910 circondato dalle figlie Roma, Italia e America. Veterano di Little Big Horn, commilitone dell’avo di “Medicine”: quando si dice l’alea della Storia.

Sulla sua straordinaria storia di vita è uscito nel 2007 il documentario The War.