Truppe italiane nella Guerra Civile Americana
A cura di Pietro Costantini
L’origine della presenza di numerosi soldati del disciolto Esercito delle Due Sicilie nelle file confederate è riconducibile alla relazione tra Chatham Roberdeau Wheat e Giuseppe Garibaldi.
Il primo, un ex-capitano dello US Army e avventuriero, originario della Virginia, aveva conosciuto Garibaldi a New York nel 1850. Dieci anni dopo aveva partecipato alla campagna per l’unificazione italiana, con azioni militari come le battaglie del Volturno e del Garigliano, e l’assedio di Capua, col grado di generale conferitogli da Garibaldi; qui era stato raggiunto dalle notizie riguardanti l’imminente conflitto civile nella madrepatria. Il reclutamento iniziò con l’arrivo a Napoli di Roberdeau Wheat il 14 ottobre 1860 a bordo della nave “Emperor”, assieme ai 650 uomini della legione britannica.
Nell’esercito confederato.
Il Gen. Wheat aveva come aiutante il Capitano Bradford Smith Hoskiss, veterano dell’esercito britannico. Alla notizia dell’elezione di Lincoln a presidente negli Stati Uniti, Wheat, come sostenitore dell’altro candidato Breckinridge, era cosciente che se fosse avvenuta la secessione degli Stati del Sud, come preannunziata, la guerra civile sarebbe divenuta una concreta possibilità.
Doveva dunque far qualcosa per aiutare la Virginia. Pertanto fece richiesta a Garibaldi di poter reclutare prigionieri e sbandati dell’Esercito Borbonico da inviare in Luisiana. Garibaldi, alle prese con l’enorme problema rappresentato dal crescente numero di prigionieri proveniente dai campi di battaglia, ed evidentemente felice di togliere forze nemiche dal campo, acconsentì. Davanti all’alternativa di essere internati nelle carceri del nord (in particolare nel forte di Fenestrelle), molti soldati accettarono. Venne incaricato Liborio Romano (ex ministro degli Interni del regno delle Due Sicilie, che era rimasto in sella anche con il cambio di regime, avendo tradito il suo ex sovrano Francesco II) di assistere il Cap. Hoskiss nel reclutamento. In quel momento i prigionieri borbonici erano in gran numero, ed era stata perfino avanzata l’ipotesi di deportarli in Australia. Anche gli sbandati costituivano un problema, pertanto la soluzione di sbarazzarsene era vista di buon occhio.
In realtà, si trattava di 189 veterani, soldati borbonici che avevano capitolato nella fortezza di Capua dopo la sfortunata battaglia del Volturno. Certo, costoro – come del resto tutta la gente dell’ex Regno delle Due Sicilie – erano legatissimi alla loro terra d’origine, al punto da temere più la lontananza da casa che il plotone d’esecuzione (come dovrà ammettere lo stesso Visconti Venosta). Tuttavia, a determinarne la scelta non fu soltanto la volontà di sottrarsi alle durissime carceri dell’epoca, situate in buona parte in Piemonte e quindi lontano da casa. Su di loro agì essenzialmente il rifiuto di arruolarsi nell’esercito piemontese subentrato a quello garibaldino: un giuramento di fedeltà a Vittorio Emanuele II avrebbe comportato l’insopportabile abiura di quello prestato in precedenza al re napoletano.
A partire dal dicembre del 1860, e per alcuni mesi del 1861, circa 1800 ex soldati borbonici furono trasportati a New Orleans con le navi Elisabetta, Olyphant, Utile, Charles & Jane, Washington e Franklin. La navi giunsero a New Orleans da gennaio a maggio 1861, prima che il blocco navale del Nord riducesse considerevolmente il traffico di bastimenti ai porti del Sud. Le partenze furono poi sospese a seguito della protesta al governo di Cavour del console statunitense a Napoli, Joseph Chandler.
Una volta sul posto, questi soldati furono inizialmente inquadrati a caso nei reparti della Louisiana. Successivamente, tuttavia, nell’ambito della riorganizzazione delle truppe confederate, furono raggruppati in un’unità di effettivi quasi tutti italiani. Essendoci tra i volontari anche molti oriundi Francesi ed Inglesi, su pressione dei rispettivi Consoli, conte Valjean e George Coppel, il governatore della Luisiana Thomas Moore dovette raggiungere un accordo con le rappresentanze consolari. Pertanto dal luglio 1861, gli stranieri residenti a New Orleans furono organizzati in battaglioni e reggimenti con riferimenti al paese di origine dei soldati, al comando del Generale belga Paul Juge. L’unità italiana fu inizialmente denominata Garibaldi Guards – Italian battalion Louisiana Militia.
Zuavo del Battaglione Italiano della Louisiana
La dolorosa ritirata era stata imposta dall’incalzare del “macellaio” Benjamin Franklin Butler, un tempo simpatizzante sudista, che comandava una colonna nemica. Nella circostanza, i nostri compatrioti seppero mantenere l’ordine in una città, piombata in preda al terrore dell’imminente occupazione ed esposta alle violenze degli immancabili sciacalli.
Zuavi e Cacciatori di Louisiana
Il 10th Regiment, Louisiana Infantry si guadagnò fama di unità particolarmente valorosa. Questo reggimento fu immediatamente inviato in Virginia al fronte, ed ebbe un ruolo primario nella vittoria confederata di Manassas del 1862 (seconda battaglia di Bull Run), ove i Nordisti furono messi in rotta. Lì, rimasti a corto di pallottole, gli ex borbonici si ricordarono forse della battaglia di Calatafimi, dove s’erano trovati in analoga situazione di difficoltà, e lanciarono sassi contro il nemico. L’episodio è uno tra i più famosi di tutta la guerra civile americana, ritratto poi da parecchi pittori. I soldati della Brigata della Louisiana del generale William E. Starke (che comprendeva anche il 10th Louisiana) facevano parte del Corpo di Jackson e tenevano un tratto di una ferrovia incompiuta presso Manassas (Agosto 1862). Resistettero all’ultimo attacco dei nordisti valorosamente, finché vennero rinforzati dai virginiani della brigata di Field. In realtà quella linea non fu mai in serio pericolo, ma l’episodio fece così scalpore che divenne uno dei più ricordati ed acclamati.
Quindi, aggregato al mitico generale Thomas Jonathan Jackson, detto Stonewall (“Muro di pietra”), il 10° Louisiana partecipò a tutta una serie di scontri vittoriosi. Ottenne l’onore delle armi dal generale Grant, insieme con il resto della gloriosa Armata della Virginia di Lee. Il 10° reggimento fanteria della Louisiana aveva un totale di 976 effettivi nel 1861. Nelle varie battaglie uscì però sempre più falcidiato nei ranghi, tanto che, al momento della resa del Generale Lee ad Appomatox, il 10 aprile 1865, restavano in piedi solo 18 sopravvissuti, fra cui Salvatore Ferri, nativo di Licata, già del 2 reggimento di linea del regio esercito Borbonico, unico sopravvissuto della compagnia I.
Purtroppo, le drammatiche vicende finali della guerra americana portarono alla distruzione (spesso voluta dalle stesse autorità al momento della capitolazione) dei ruolini militari. Ciò ci impedisce di conoscere ancor oggi il numero esatto e molti dei nominativi di questi soldati italiani in terra straniera.
I Confederati lanciano sassi nella Seconda Battaglia di Bull Run (Manassas)
Una menzione ulteriore meritano pure i volontari ex borbonici, che furono inquadrati nella compagnia H del 22° reggimento della Louisiana. L’unità venne assegnata alla brigata Thomas della divisione Mouton-Polignac. L’8 aprile 1864, essa partecipò al vittorioso scontro di Mansfield vicino Sabine Crossroad. In quella circostanza, il generale Richard Taylor, che la guidava alla testa di circa 9.000 uomini, giunse a disattendere le disposizioni del comando. Poiché le sorti del conflitto erano ormai compromesse, gli ordini imponevano ormai di tenersi inevitabilmente sulla difensiva a causa della disparità di forze col nemico. In quel frangente le colonne del generale nordista Nathaniel P. Banks erano forti di 25.000 soldati ottimamente armati e stavano seminando indisturbate il terrore nel cuore della Louisiana. Gli Unionisti erano sicuri di non avere ostacoli, sicché l’attacco di sorpresa, portato da Taylor attraverso la fitta foresta di pini che copriva la zona, inferse loro un’inattesa e dura lezione. Purtroppo, l’effetto della vittoria fu vanificato dai contrasti con il generale Kirby Smith, il quale arrivò a negare a Taylor un distaccamento di rinforzi del Texas, con cui avrebbe potuto riconquistare New Orleans.
Fante italiano del 39° New York Volunteer Infantry Regiment
Quando venne concordato a fine battaglia uno scambio di prigionieri, quelli italiani del 39° reggimento New York furono scortati da quelli del Decimo Reggimento che li avevano catturati. Il generale “Stonewall”, vedendoli sfilare, chiese allora al capitano Antonio Santini chi fossero quegli italiani che indossavano la divisa blu dei nordisti. “Sono solo degli yankees cresciuti in casa nostra”, fu l’ironica risposta.
Documentazione raccolta presso il Museo di Civitella del Tronto (TE)
Il primo è Giovanni Battista Vaccaro (cognome probabilmente trascritto male da Vaccarro o Baccaro), che assunse, negli Stati Uniti, il nome di Abraham Baptista Vaccaro. Era nato vicino a Genova e giunse nel Tennessee nel 1851, prendendo residenza a Memphis. Allo scoppio della guerra, si arruolò nel 3° Reggimento Cavalleria del Tennessee, sotto il comando del Colonnello Nathan B. Forrest. Prese parte, tra le altre, anche alla battaglia di Shiloh.
Giovanni Battista Vaccaro
Nel luglio 1862 il suo ruolo come soldato di prima linea ebbe termine, in quanto venne trasferito al Dipartimento del Quartier Generale, dove rimase fino alla fine della guerra. Si arrese quale componente dell’Esercito del Tennessee, e venne rimesso in libertà il 26 aprile 1865. Morì a Memphis nel 1919.
Il secondo nominativo di ascendenza ligure è quello di Anatole Placide Avegno. Avegno è una località dell’entroterra di Recco e da lì partì Giuseppe Avegno alla volta di New Orleans. Ebbe 10 figli e morì tre giorni prima dell’inizio della guerra Civile. Uno dei suoi figli, il ventiseienne Anatole Placide Avegno, formò un battaglione di fanteria composto di sei compagnie (che, assieme ad altre quattro compagnie, diventeranno il 13° Reggimento Fanteria Louisiana). Non si sa il perché, ma forse fu perché egli non aveva sufficiente esperienza militare, il comando del battaglione venne assegnato al francese Gerard Aristide. Ad Anatole venne conferito il grado di Maggiore, quale comandante in seconda, ma il battaglione sarebbe rimasto noto per sempre come gli “Avegno’s Zouaves”. Tra i militari presenti nelle sei compagnie originarie erano parecchi figli di Italiani, che a quell’epoca erano definiti con il termine spregiativo di “Dagoes”, parola coniata inizialmente in spregio agli individui di lingua spagnola. Il 6 e 7 aprile 1862 gli Zuavi parteciparono alla battaglia di Shiloh, combattendo strenuamente e subendo parecchie perdite. Il Maggiore Avegno fu colpito ad una gamba il secondo giorno di battaglia; subì l’amputazione dell’arto ma morì due o tre giorni più tardi.
Avegno Zouaves alla Battaglia di Perryville – 1862 – dipinto di ZvonimirGrbasic
Un dipinto raffigurante la C.S.S. Alabama
La U.S.S. Kearsarge
Nell’esercito unionista.
Stando ad un documento del Ministero dell’interno del Regno d’Italia del 23 giugno 1863, per la nostra penisola partivano in incognito schiere di emissari nordisti. Essi avevano il compito di “adescare” i giovani con false promesse e di “portarli a New York, dove sarebbero stati costretti a prendere le armi”. Come si vede, era un tipo di arruolamento forzato e fondato sull’inganno. Ai primi del 1863 venne individuata sul suolo italiano una delegazione di emissari del Governo degli Stati Uniti con l’incarico di arruolare giovani per l’esercito nordista che si scontrava con le truppe della Confederazione degli Stati d’America.
Interessanti i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Caserta Pref. Gab. B. 248 F. 2517, riportati da Angelo D’Ambra nel libro “Il brigantaggio postunitario in Terra di Lavoro”:
Ministero dell’Interno del Regno d’Italia – Torino addì 23 Giugno 1863
Si è sparsa voce che emissari americani percorrano l’Italia in cerca di reclute per l’esercito federale del Nord e adoperino inganni per adescare la gioventù e portarli a Nuova York dove poi sarebbero costretti a prendere le armi, magnificando l’esuberanza del lavoro in quelle regioni, facendo promesse di lussuosi impieghi e somministrando i mezzi necessari per il viaggio.
Importa questo Ministero di conoscere al più presto cosa vi abbia di vero in simili voci, e che nel casi si avessero a verificare arruolamenti nel modo surriferito, siano prontamente repressi a senso dell’art. 177 del Codice penale e a senso delle altre disposizioni del Codice penale medesimo se si tratta di reato di frode. La S.V. vorrà pertanto essere cortese di fare sollecite indagini in proposito e posticiparne il risultato a questo Ministero, non omettendo ove occorra di provvedere in conformità delle precisate disposizioni penali e mettere in avvertenza gli inesperti, quando si presentano per domandare il passaporto, o in qualunque altro modo crederà migliore, inoltro le indicazioni di chi sarebbero vittime.
L’unica risposta conservata in Archivio è quella proveniente dal distretto di Nola, il più piccolo di Terra di Lavoro, risposta che forse tranquillizzò il Ministro:
Sottoprefettura del circondario di Nola – 1 Luglio del 1863
Nessun emissario dell’esercito federale del nord è penetrato in questo Circondario di mio carico, né corre alcuna voce di reclutazione sotto qualsiasi forma o pretesto, né si è rilasciato alcun passaporto per Nuova York. Ho disposto intanto la debita vigilanza nel caso che si dovessero avverare simili tentativi e non mancherò impedirli ne modi legali e con le debite insinuazioni per disingannare i delusi. Riscontro con la riverita nota al margine.
Il sottoprefetto Pino
La Garibaldi Guard sfila davanti al Presidente Lincoln
Tra i generali unionisti vi fu anche il siciliano Enrico Fardella che, dopo aver combattuto a capo di una brigata dell’Esercito meridionale a fianco di Garibaldi, si trasferì in America e organizzò un corpo di fanteria di volontari. Il Reggimento Fardella, con 1040 volontari, combatté nell’Armata del Potomac. Nel 1864 creò un nuovo reggimento di fanteria, l’85° Volontari di New York. Sconfitto e reso prigioniero nella battaglia di Plymouth, fu rinchiuso nella prigione di Andersonville, per poi tornare libero il 3 agosto in seguito a uno scambio di prigionieri. Nella primavera del 1865 venne promosso generale da Abramo Lincoln. Il 28 maggio 1861 si formò un’unità di volontari italiani, la “Garibaldi Guard 39th New York Infantry Regiment”, che usava la bandiera italiana usata nel 1848 da Garibaldi in Lombardia e nel 1849 a Roma.
Il 39° “Garibaldi Guard,” reclutato nella città di New York, era composto di tre compagnie ungheresi, tre tedesche, una svizzera, una italiana, una francese, una spagnola e una portoghese; molti questi arruolati avevano già prestato servizio attivo. I soldati del reggimento indossavano come parte dell’uniforme, il cappello dei Bersaglieri e alcuni fucilieri erano uomini di colore, appena liberati dalla schiavitù.
Italiani del 39° Reggimento Fanteria “Garibaldi Guard”
Il reggimento lasciò New York il 28 maggio 1861, il 1 giugno arrivò a Washington, D. C. e il 13 luglio 1861, fu aggregato alla “1st Brigade, 5th Division, Army of Northeastern Virginia”. Iniziò a combattere il 21 luglio, nella prima battaglia di Bull Run.
Durante il servizio, il reggimento subì le seguenti perdite umane:
- Morti in azione: 5 ufficiali, 62 soldati;
- Morti da ferite ricevute in azione: 3 ufficiali, 49 soldati;
- Morti di malattia e altre cause: 1 ufficiale, 158 soldati;
- Fatti prigionieri: 762 (530 solo ad Harpers Ferry)
In totale, 9 ufficiali, 269 soldati, 278 aggregati (dei quali 1 ufficiale e 99 soldati morirono nella mani del nemico).
Attacco della Garibaldi Guard sul ramo destro del Potomac
Nel settembre 1861, gli Unionisti furono nuovamente attaccati dalle truppe di Jackson, ora circa 26.000 uomini, e, circondati ad Harper’s Ferry, si arresero, distruggendo le proprie armi.
Buona parte del 39th New York Volunteer Infantry Regiment fu fatto prigioniero in quella circostanza, insieme a quasi tutta la guarnigione unionista di 12.000 uomini e inviato in campo di prigionia. Ottennero la libertà tre mesi dopo, grazie a uno scambio di prigionieri. Dopo il rilascio, il 39th New York Volunteer Infantry Regiment venne costituito in brigata con altri reggimenti di New York, il 111th, il 125th e il 126th, che si erano tutti arresi ed erano stati fatti prigionieri ad Harper’s Ferry. L’intera brigata ricevette quindi il soprannome di “Vigliacchi di Harpers Ferry”. Il 39th New York Volunteer Infantry Regiment prestò successivamente servizio con onore in numerose battaglie, comprese Gettysburg e Wilderness, subendo perdite.