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Sam Peckinpah

Sam Peckinpah
Come diavolo può essere finito nella lista dei migliori registi della storia del cinema? Molti critici ancora se lo chiedono. Lui che ha abbandonato la quiete della vita per un’esistenza da pirata inquieto, annebbiato dall’alcool, dal fumo e dalla cocaina, umiliato da anomale manie psicotiche e con tre pacemaker, si è messo in viaggio oltre i confini del mondo, usando le urla di un uomo dalle mani callose, al posto della voce stentorea di un regista comune, per decantare il mondo dei perdenti e un sogno americano che definiva ancora “imballato”. Negava la fatalità della vita, vedeva di buon occhio le forze distruttive dell’uomo, applaudiva e consacrava una civiltà disgregata dall’individuo che coinvolgeva, con le sue stragi, prede e cacciatori, prigionieri e carcerieri, patrioti e vili. Erano i bagni di sangue a eguagliare tutti, e quindi la morte.
Affascina la sua visione del tempo perduto e del fallimento, temi che ricorrono nelle sue ricostruzioni cinematografiche, dove si fa sapientemente largo uso del ralenti, dove si sprigionano armonie cromatiche e si mette in scena una violenza pittorica e barocca, quasi ritualistica.
Sovvertitore di vecchie mitologie americane e creatore invece di nuove seducenti utopie, crudo realista, malinconico e crepuscolare narratore pieno di nostalgia e rimpianto per un mondo rurale e virile, schiacciato dal progresso, è con i suoi film “duri e puri” che si è segnalato alla critica come uno degli autori più interessanti della nuova generazione di registi americani.
Di origine indiana, nato nell’assolata California, in un paese sonnolento circondato da verdi pinete, il giovane Samuel era un tipo solitario, largamente influenzato dalla presenza del nonno, giudice e membro del Congresso, nonché rappresentante della Sierra Nevada. Una volta raggiunta la maggiore età, Sam serve il corpo dei Marines durante la Seconda Guerra Mondiale ma, con sua enorme delusione, non vedrà né parteciperà mai alle azioni belliche. Frequenta il Fresno State College e la University of Southern California, sposandosi poco più che ventenne e ancora senza un titolo di studio con l’attrice Marie Selland, a Las Vegas, nel 1947. Dalla Selland, dalla quale divorzierà nel 1960, avrà tre figli attori: Sharon, Kristen e Matthew Peckinpah.


Sam Peckinpah e William Holden in “The wild bunch”

Sceneggiatore televisivo, comincia però la sua carriera come attore in pellicole come: Dial Red O (1955) di Daniel B. Ullman, I cadetti della III Brigata (1955) di Don Siegel (che lo rivorrà con la moglie ne L’invasione degli ultracorpi, 1956) e Wichita (1955) di Jacques Tourneur. Il mestiere di regista lo aspetta quando comincia a realizzare serie tv come Lo sceriffo di Dodge City, trasmesse anche dalla RAI, o Trackdown (1957) e The Westerner (1960). Dopo aver firmato l’adattamento per il film di Marlon Brando I due volti della vendetta (1961), passa ai lungometraggi con La morte cavalca a Rio Bravo (1961), e dopo un breve ritorno al piccolo schermo firmando un episodio del serial Route 66, continua a descrivere un asciutto e polveroso western con Sfida nell’Alta Sierra (1961). Nel 1965, sposa Begoña Palacios, dalla quale avrà la sua quarta figlia, la costumista Lupita Peckinpah. Per le feroci lotte con i produttori (che hanno puntellato la sua carriera dall’inizio alla fine, dal 1965 al 1969 viene relegato a sceneggiatore di secondo piano (firma Doringo! e Viva! Viva Villa!) e deve accettare lavori di completamento, chiedendo soldi in prestito o sbancando il lunario alla radio. Tutta colpa del massacratissimo Sierra Charriba (1965), che venne tagliato gravemente dalla Columbia Pictures. Un film che è rimasto maledetto perché, durante la lavorazione del film, ci fu un’ondata di caldo afoso che invase il Messico, esacerbando il consumo di alcol e marijuana di Peckinpah e provocando le ire dell’attore Charlton Heston. Tale inaffidabilità sul lavoro, gli costò la perdita di Cincinnati Kid (1965) che venne diretto da Norman Jewison, dopo appena otto giorni di riprese. Anche perché oltre ai disaccordi sulla concezione di questo film, si aggiunse una vera e propria baruffa fra lui e il produttore Martin Ransohoff.


Una scena tratta da “The ballad of Cable Hogue”

Neanche il suo capolavoro, Il mucchio selvaggio (1969), storia un gruppo di banditi falliti che si rifugiano in Messico in balia dell’esercito che ha già messo a tacere una rivoluzione, non cambiò in meglio la sua vita disordinata, che rimase segnata da un irriscattabile sentore di sconfitta, lo stesso dei suoi eroi. L’Academy snobbò la sua visionaria ed eccezionale regia, troppo “barocca” per i loro gusti e troppo violenta in alcune scene. Lodando solo musica e sceneggiatura (nominate all’Oscar) di uno dei più memorabili e romantici western della storia del cinema.
La ballata di Cable Hogue (1970), ma soprattutto Cane di paglia (1971) sono teatro spettacolare della sua poetica morale e individuale. Due i film con Steve McQueen: L’ultimo buscadero (1972) e il più commerciale Getaway!(1972) e poi, odiato da Stanley Kubrick per un disguido progettuale, firma Pat Garrett e Billy The Kid (1973) con James Coburn e Kris Kristofferson, due dei suoi attori più amati che vestiranno i panni del leggendario due di banditi. Con i pochi soldi in tasca, acquista una roulotte e si ferma a Paradise Cove, a Malibu, dove organizza party, riunioni di lavoro, ricevimenti con amici. Mangiava pochissimo bevevo fin dalle prime luci del giorno vodka e ingoiava pillole eccitanti. Fu salvato da Kay Barker, la sua segretaria che lo curò, salvandogli la vita e spingendolo a tornare sul set, dove firmerà il suo film più violento Voglio la testa di Garcia(1974), per il quale riceverà il soprannome di “Bloody Sam”.
Alla macchina da presa
Dopo aver diretto Robert Duvall in Killer Èlite (1975), firma un contratto per girare il film Cukoo’s Progress, tratto dal libro dello scrittore svedese Sture Dahlström, che tratta di un uomo la cui unica ambizione è ingravidare tutte le donne della terra. Peccato che morì prima che il film fosse girato. La croce di ferro (1977) e Convoy – Trincea d’asfalto (1978) sono gli ultimi film degli anni Settanta. Poi reciterà in Italia per Monte Hellman e Antonio Brandt in Amore, piombo e furore (1978), con Fabio Testi e Franco Interlenghi, e per Giulio Paradisi nel mediocrissimo Stridulum (1978), film di fantascienza che raccoglieva nel cast nomi illustri come Shelley Winters, Mel Ferrer, Glenn Ford e John Huston.
La lavorazione del suo ultimo film, Osterman Weekend (1983), fu attraversata da ritardi e impuntature e i produttori alla fine gli strapparono il lavoro dalle mani, allontanandolo pure dalla fase del montaggio. Solo nell’ultimo periodo della sua vita, cercò di disintossicarsi da alcol, droghe e medicinali, dirigendo un videoclip per Julian Lennon, figlio di John.
Morì d’infarto in Messico all’età di 59 anni, e le sue ceneri furono sparse al vento sul Pacifico, al largo di Malibu. Specializzato in pellicole mozzafiato, uomo d’azione infernale, astuto, demoniaco, perverso, Sam Peckinpah è il violento cantore di un cinema sporco e brutale, che ha trasformato in epopea il degrado e il disfacimento di un mondo e di una frontiera nei quali vincitori e vinti hanno lo stesso destino. I suoi dirty western sono stati definiti, di volta in volta, e non senza qualche contraddizione, geniali o pazzi.
Il regista pensoso
Resta il fatto che quest’uomo è stato il più grande innovatore cinematografico degli anni Sessanta/Settanta. Bugiardo, egocentrico, anarchico di destra, alcolista con un sacco di talento, ma uomo leale con i suoi veri amici, ha fatto entrare, spingendo, lo spettatore in alcune delle scene più corrotte e infernali che si siano mai viste, dove si narra il disfacimento e la morte, l’oltraggio e la sottomissione della dimensione umana. Il tutto in assoluto contrasto con lo struggente concezione western di John Ford, ma con un maggior tributo ai temi dell’amicizia e della vecchiaia.
Peckinpah è come un’alba che si è bloccata e rimane a irradiare, da dietro le radure, la sua luce calda, incerta se sorgere o ritornare a tramontare nel crepuscolo. È una spiaggia deserta, con molte orme sulla sabbia, ma senza nessuno nei paraggi. Ha rincorso il tempo dell’uomo ed è morto da uomo solo in una notte senza fine. Forse ancora corre selvaggiamente, fra le stelle, pensando che comunque fra qualche anno, nessuno si ricorderà di lui. Nessuno saprà di questo perdente che si è smarrito fra viaggi sconvolgenti e splendenti, e che ancora conserva quel viso invecchiato dal sole e i capelli bianchi come la luna. Sì, Peckinpah ancora corre e arranca, inseguendo un bellissimo angelo, con una bottiglia di vodka fra le mani.

I film western di Sam Peckinpah
La fama di Sam Peckinpah, almeno per quanto riguarda noi appassionati di storia del west, è strettamente legata ai suoi film western, anche se il regista non si limitò solo al genere a noi caro.

La morte cavalca a Rio Bravo (1961). Rio Bravo è la destinazione di un quartetto di avventurieri e disperati: una ballerina di saloon che va a seppellirvi il figlioletto morto in una sparatoria, un pistolero, un ex sergente che vuole vendicarsi dell’uomo che lo scotennò qualche anno prima e un vecchio ubriacone che si rivelerà come lo scotennatore. Molte sparatorie.

Sfida nell’alta sierra (1965). Ai primi del Novecento, quando il selvaggio West sta diventando un ricordo, un vecchio sceriffo male in arnese riceve il compito di andare a ritirare un carico d’oro in un paesino sperduto. Sono con lui un vecchio compagno e un amico di questi che, in realtà, pensano d’impadronirsi del prezioso carico; poi si unisce anche una ragazza che fugge dal padre bigotto. Il vecchio sceriffo sventerà il complotto e anche il vecchio imbroglione si redimerà e si vedrà affidare dall’amico morente la custodia dell’oro e della ragazza.

Sierra Charriba (1965). A capo di un’armata di delinquenti e prigionieri sudisti sta il maggiore Dundee dell’esercito nordista. Egli ha l’incarico di catturare il capo indiano Sierra Charriba che razzia la regione. Dundee però, eseguita la missione (Sierra Charriba muore comunque quasi per caso, ucciso da un giovane trombettiere), cade in una imboscata in territorio messicano. Durante lo scontro perde la vita Tyreen, luogotenente di Dundee e suo amico-nemico per tutto il film.


Una scena tratta da “The wild bunch”

Il mucchio selvaggio (1970). L’azione si svolge al confine messicano durante la rivoluzione di Pancho Villa. Un gruppo di banditi accetta di depredare per denaro un carico di armi destinate ai ribelli. Il colpo riesce sennonché uno dei malviventi, scoperto mentre nasconde una cassa del prezioso carico, viene torturato e ucciso. I suoi compagni, per vendicarlo, sparano sui regulares uccidendoli, ma rimanendone anche vittime. Il regista ha dipinto un affresco anticonformista descrivendo una realtà di miseria e squallore, lasciando parlare i peones messicani con il loro dialetto. Film importante; uno dei manifesti del tramonto del western.

La ballata di Cable Hogue (1970). Un anziano cercatore d’oro conosce una prostituta, scopre una sorgente d’acqua e il profitto. È forse l’operazione più lucidamente e criticamente dissacratrice che un regista americano abbia compiuto nei confronti dell’epopea western. Impiegando in chiave grottesca gli schemi del western e della mitologia del “self-made man”, Peckinpah fa la radiografia della loro ossatura capitalistica, facendo emergere l’anima reale del pionierismo e la realtà sottesa alla leggenda. È ancora una volta la storia di un perdente e di una sconfitta.

Pat Garrett e Billy The Kid (1973). Verso il 1880, nel Nuovo Messico, il latifondista John Chisum ha condotto una guerra spietata contro i suoi rivali servendosi di vari pistoleri fra cui Pat Garrett e Billy Bonney, detto Billy Kid. All’inizio del film, però, Chisum si è accordato col governo federale e ha cessato le ostilità; Billy, ingenuo, non ha capito e continua ad uccidere mentre Garrett, più anziano e realista, diventa sceriffo e accetta l’incarico di eliminare l’altro che un tempo era suo amico.