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Theodore Roosevelt, il presidente a cavallo

A cura di Domenico Rizzi

Speciale a puntate: 1) Theodore Roosevelt, il presidente a cavallo 2) Roosevelt, presidente da battaglia
Fra i tanti personaggi che incisero il loro nome negli annali della Frontiera americana, ve ne furono alcuni destinati ad occupare la massima carica pubblica del loro Paese. Tanto Andrew Jackson quanto Abraham Lincoln avevano calcato i selvaggi sentieri dei territori in via di colonizzazione, misurandosi sul campo con i Pellirosse. Il primo aveva partecipato, con l’uniforme di capitano della milizia dell’Illinois, alla guerra contro i Sauk e Fox di Falco Nero; il secondo, poteva vantare, quando portava i gradi di generale, una serie di sfolgoranti vittorie contro i Creek del mezzosangue Aquila Rossa, più conosciuto con il suo nome inglese di William Weatherford.
Theodore Roosevelt non prese mai parte a campagne contro i nativi, ma condivise la dura vita dei cowboy per alcuni anni, lasciando alcuni interessanti scritti e prendendo poi parte attiva alla campagna di Cuba del 1898, nella quale si distinse per due travolgenti cariche a cavallo condotte dai suoi Rough Riders.
Se non gli fosse stata rifiutata, a causa dell’età e della salute malferma, la domanda di arruolamento nel 1917, avrebbe partecipato anche alla Prima Guerra Mondiale in Europa.
Nato a New York il 27 ottobre 1858, era il secondogenito dei 4 figli che Elliott Roosevelt – un repubblicano progressista di origine olandese – aveva avuto da Martha Stewart Bulloch, chiamata affettuosamente “Mittie”. La donna, che vantava antenati in Scozia, Inghilterra e Francia, era nativa di Hartford nel Connecticut, ma fin da bambina era cresciuta in una piantagione della Georgia. Per questo, conoscendo la realtà del profondo Sud e le problematiche di un ambiente fortemente ancorato allo schiavismo, era di idee piuttosto conservatrici.
Theodore non ebbe un’infanzia molto felice, perché, oltre ad una generale gracilità del corpo e ad una vista debole, fu afflitto per alcuni anni da una fastidiosa asma. Reagendo caparbiamente alla propria condizione di inferiorità fisica, decise di dedicarsi allo sport, che praticò per parecchio tempo, irrobustendo la sua costituzione e rafforzando il proprio carattere in vista dei grandi impegni che, presagiva, avrebbe ricoperto in futuro.


Theodore Roosevelt all’età di 4 anni

Dopo avere ultimato le scuole superiori nel 1876, il ragazzo si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza presso la prestigiosa Università di Harvard, nel Massachussets, senza però trascurare le discipline sportive. Infatti dedicò particolare cura alla pratica del canottaggio e volle cimentarsi nella difficile arte del pugilato. Naturalmente portato per la geografia, la biologia e le scienze naturali, aveva imparato discretamente il Francese e il Tedesco, ma sembrava refrattario alla matematica e alle lingue classiche. Alla Columbia University, che frequentò in seguito, riuscì ottimamente anche nelle materie giuridiche, ma si accorse di non provare eccessivo interesse alla professione dell’avvocato e di amare invece la storia del proprio Paese. Questa sua passione si tradusse in un approfondita ricerca delle cause e della dinamica del conflitto fra Stati Uniti e Canada del 1812-14, che più tardi egli avrebbe riassunto in un libro.
Nell’ottobre 1880, giorno del suo ventiduesimo compleanno, che cadeva a due anni dalla perdita del padre, Theodore sposò Alice Hathaway Lee, una ragazza di buona estrazione sociale, l’unica a cui avrebbe permesso, in tutta la sua vita, di chiamarlo affettuosamente “Teddy”. Purtroppo, alla nascita della loro unica figlia, il 12 febbraio 1884, seguì una doppia tragedia familiare, perchè sua madre Martha morì di febbre tifoide a due giorni di distanza dal lieto evento e la moglie si spense 11 ore più tardi a causa di un’insufficienza renale. Fu la sorella di Theodore, Anna, a prendersi cura della piccola Alice Lee, mentre l’uomo, sprofondato in una cupa depressione, scrisse sul suo diario: “La luce si è spenta nella mia casa”.
Nel frattempo, però, il giovane aveva iniziato la sua ascesa politica nelle file del nuovo Partito Repubblicano, al quale si era iscritto nel 1880, ottenendo, due anni dopo, l’elezione a deputato alla Camera dello Stato di New York. Nel 1883 Theodore aveva compiuto un viaggio che ne avrebbe fortemente influenzato il modo di pensare quanto le successive tappe della vita e della carriera politica. Infatti si era recato nel North Dakota, ancora unito al South Dakota a formare un unico Territorio. Rimasto vedovo, volle ritornarvi e – conquistato da quella regione e probabilmente desideroso di vivere per un po’ in solitudine – andò alla ricerca di un ranch per allevarvi del bestiame. Riuscì ad acquistarlo a Elk Horn, circa 35 miglia a nord della cittadina di Medora. Il North Dakota, con una superficie di 183.000 chilometri quadrati, aveva avuto un fortissimo incremento demografico dopo la fine delle campagne contro i Lakota Sioux, passando dai 2.500 abitanti del 1872 ai 40.000 dell’epoca in cui Roosevelt vi si era stabilito. Nonostante ciò, disponeva di immense aree disabitate e si prestava all’allevamento. Il futuro presidente degli Stati Uniti vi trascorse tre anni, interrotti soltanto da qualche viaggio all’Est, conducendo per propria scelta la vita dei mandriani, dei quali condivise rischi e difficoltà. Fece la conoscenza di uomini celebri, quali Seth Bullock (1849-1919) mitico sceriffo di Deadwood, la città in cui era stato assassinato il famoso Wild Bill Hickok. Il lawman e Theodore, che avevano familiarizzato durante una caccia ad una banda di ladri di cavalli, scongiurando anche un tentativo di linciaggio, instaurarono in quell’occasione un’amicizia che sarebbe durata per sempre.


Roosevelt nei territori del Dakota

L’esperienza del Dakota servì a Teddy per stendere i suoi diari sulla pericolosa esistenza del cowboy, una figura dalla quale sarebbe rimasto sempre affascinato ed attratto. Dopo giornate di intenso lavoro alle prese con le mandrie – che lo impegnavano anche 15 ore consecutive – l’infaticabile uomo trascorreva molte ore della notte a scrivere il libro che sarebbe uscito con il titolo “Hunting Trips of a Ranchman, Ranch Life and the Hunting-Trail, and The Wilderness Hunter”, pubblicato a varie riprese fra il 1885 e il 1893. Dal 1889 al 1896, traendo ispirazione dalla medesima esperienza, avrebbe scritto anche “The Winning of the West”.
L’avventura nell’Ovest non aveva tuttavia strappato il cordone ombelicale che legava Roosevelt alla sua terra d’origine. Mentre conduceva la sua vita nei pascoli, nel 1885 aveva infatti commissionato la costruzione di una nuova casa a Sagamore Hill, nella Oyster Bay di New York. Dopo il suo ritorno definitivo nell’Est civilizzato, si meritò l’appellativo di “Cowboy dei due Dakota”, che lo accompagnò nella campagna elettorale del 1886, quando si candidò alla carica di sindaco di New York. Alla fine risultò soltanto terzo con 60.000 voti contro le 90.000 preferenze ottenute del vincitore, ma la sua popolarità era cresciuta considerevolmente. Nel frattempo, Theodore aveva ristabilito i rapporti con Edith Kermit Carow, una sua amica d’infanzia, con la quale si fidanzò quasi subito. La sposò a Londra, nel corso di un viaggio oltre oceano, il 2 dicembre 1886, trascorrendo la luna di miele in giro per l’Europa. Dalla nuova consorte avrebbe avuto i 5 figli Theodore, Kermit, Ethel, Archibald e Quentin.
Mentre viaggiava per l’Europa insieme alla nuova consorte, fedele al suo temperamento audace e sprezzante del pericolo Roosevelt volle aggregarsi ad una spedizione britannica che intendeva scalare il Monte Bianco, raggiungendone la vetta e ottenendo l’inserimento, quale membro onorario, nella British Royal Society.
Al ritorno in patria lo aspettavano gli impegni politci, che Theodore si sarebbe assunto volentieri, rendendosi protagonista attivo della campagna presidenziale del 1888, nella quale sostenne, durante una serie di comizi nel Midwest, il repubblicano Benjamin Harrison. Questi, ottenuta l’elezione alla Casa Bianca, gli dimostrò la propria riconoscenza nominandolo alla Commissione per i Servizi Civili. Ormai Roosevelt si era creato la fama di persona onesta, “irreprensibile, combattiva ed entusiasta” secondo una definizione che gli diede il “New York Sun”.


Roosevelt e i soldati nel Canale di Panama

Nel 1895 ottenne la nomina a presidente della Commissione per la Polizia di New York, mandato che aveva un durata biennale. Roosevelt dovette riformare il corpo abbastanza radicalmente, essendo il Dipartimento di Polizia di New York uno dei più corrotti. Intervenendo con il necessario vigore, egli tagliò diversi rami secchi, ripristinò la disciplina e introdusse la meritocrazia, istituendo premi e riconoscimenti per i funzionari e poliziotti più diligenti e attivi. Fra costoro, vi era anche l’agente italo-americano Joe Petrosino – da lui fatto avanzare al grado di sergente – che avrebbe dato un contributo insostituibile, pagando con la propria vita, persa in un agguato tesogli a Palermo nel 1909, alla lotta contro la Mano Nera, come veniva chiamata la mafia di allora.
Nel 1897 il nuovo presidente repubblicano William Mc Kinley lo incaricò quale sottosegretario alla Marina nel dicastero assegnato a John D. Long, ma intanto stavano maturando eventi che avrebbero costretto gli Stati Uniti ad uscire dal loro “splendido isolamento”. Era dalla conclusione della Guerra Civile che il Paese non si impegnava più in un conflitto e dai tempi della Guerra Anglo-Americana del 1812-14 contro gli Inglesi del Canada, gli Stati Uniti non avevano più incrociato le armi con una potenza europea. Dal 1865 in poi, le Giubbe Blu dell’esercito si erano scontrate soltanto con le tribù ostili delle Grandi Pianure e delle aree semidesertiche occidentali, senza che tali operazioni assumessero mai l’aspetto di una vera e propria guerra. Infatti, dal 1865 al 1891 le perdite militari ammontavano soltanto a 919 morti, mentre quelle subite dai loro avversari pellirosse in oltre 900 scontri venivano stimate in 5.283 dal Dipartimento della Guerra, sebbene fossero assurdamente giudicate più basse dai racconti di testimoni indiani.
Nell’aprile 1898 le tensioni fra gli Stati Uniti e la Spagna, che occupava ancora Cuba e Portorico, si acuirono rapidamente fino a sfociare in aperto conflitto.
L’esplosione della corazzata Maine, ancorata in un porto cubano e la morte dei suoi 266 marinai venne interpretata come un attentato e la stampa americana vi diede grande risalto, invocando una risposta armata. In seguito a tali accuse, la Spagna inviò il 23 aprile la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti e questi si comportarono nello stesso modo due giorni dopo. Convinto che servire la patria fosse prioritario rispetto a qualsiasi incombenza politica, Roosevelt non tardò a prendere una decisione drastica, rassegnando le dimissioni dal suo incarico per cooperare, insieme al colonnello Leonard Wood, alla creazione di un corpo di volontari da sbarcare nell’isola caraibica. La formazione andava sotto il nome di Primo Reggimento Volontari di Cavalleria, ma entro breve tempo assunse la pittoresca denominazione di “Rough Riders” per la sua eterogenea composizione di uomini particolarmente duri e determinati.


Roosevelt e i “Rough Riders”

Theodore si incaricò personalmente del loro reclutamento, scegliendoli soprattutto a Las Vegas (New Mexico) in Arizona, Oklahoma e nel Texas, essendo dichiaratamente schierato a favore della gente del selvaggio West, avvezza alle difficoltà e ai pericoli di ogni genere. Infatti, nonostante le sue origini da cittadino dai “piedi teneri”, era stato conquistato dalla lunga permanenza nell’Ovest, dove la gente viveva un’esistenza assai meno confortevole rispetto ai connazionali degli Stati orientali.
Roosevelt dedicò grande attenzione all’allestimento del reparto che avrebbe guidato personalmente. Lo stile dell’uniforme ricalcava quello ancora in uso ai reparti di cavalleria che avevano combattuto gli Indiani, con una camicia di flanella blu, un fazzoletto annodato intorno al collo, pantaloni marrone, stivali di cuoio e un cappello a larga tesa, Per l’armamento la base era fornita dai fucili Springfield modello 1892-1898, ma egli si diede da fare per ottenere una dotazione di Krag-Jorgensen di cui si serviva la cavalleria regolare. L’ammirazione della gente per il cowboy newyorkese si manifestò tangibilmente con l’intervento di un imprenditore che regalò al costituendo reparto a cavallo 2 mitragliatrici Colt-Browning M1895 calibro 7×57 mm. Mauser montate su treppiedi.
Il reggimento entrò presto a far parte della divisione di cavalleria affidata al generale Jospeh Wheeler, un ex ufficiale confederato. Il colonnello Wood ne ebbe il comando e Roosevelt fu nominato tenente colonnello. Non appena avuta la nomina, il bizzarro personaggio si fece confezionare una divisa ad hoc, su cui spiccavano i fregi di foglia di quercia argentata che indicavano il suo grado. Essendo molto miope, con un occhio rimasto lesionato durante un incontro di pugilato, prese con sé quattro paia di occhiali di ricambio, nell’eventualità tutt’altro che improbabile di perdere in combattimento quelli a pinz-nez che portava. Le avrebbe tenute nelle tasche della camicia azzurra che indossava nella battaglia di Kettle Hill.
I Rough Riders – 1.060 uomini con 1.258 cavalli e muli – si mossero il 29 maggio 1898, viaggiando a bordo di un treno della Southern Pacific Railroad, con il quale raggiunsero Tampa, in Florida. Da qui salparono il 13 giugno alla volta di Cuba, per approdare a Daiquiri il 23 e iniziare la loro marcia su Siboney. Per una serie di problemi organizzativi, Roosevelt non riuscì a trasportare nell’isola il suo intero contingente e dovette privarsi di parecchi uomini, oltre a moltissimi cavalli e muli. La spedizione fu resa ancor più problematica da un’epidemia di febbre gialla che colpì il contingente, falcidiato dai decessi appena dopo lo sbarco.
All’impresa militare presero parte vari corpi degli Stati Uniti. Fra questi vi erano il Nono e il Decimo Reggimento Cavalleria, conosciuti come “Buffalo Soldiers” o “Soldati-Bisonte” in tutta l’America, la cui truppa era interamente composta di Neri. In quella missione, gli Stati Uniti avrebbero messo in campo complessivamente circa 300.000 uomini, fra regolari e volontari, questi ultimi in numero preponderante. Ad essi si affiancarono molte migliaia di insorti cubani – si stima circa 30.000 – che da parecchio tempo miravano a sottrarsi al gioco spagnolo. Alcuni dei generali che assunsero il peso del comando nell’impresa avevano alle spalle una lunga carriera militare, iniziata durante la guerra di secessione e proseguita nelle campagne contro i Pellirosse. Fra tutti, il più noto era Nelson Appleton Miles, generale di brigata e di divisione onorario nel conflitto antischiavista, l’uomo che aveva disperso e sospinto verso l’esilio canadese gli Hunkpapa di Toro Seduto e Gall dopo il massacro di Little Big Horn e costretto alla resa gli Oglala di Cavallo Pazzo, i Nez Percè di Capo Joseph e la residua banda degli Apache di Geronimo. Il 29 settembre 1895 era diventato maggior generale dell’esercito regolare, subentrando al pari grado John M. Schofield nel comando supremo dell’esercito americano.


Il Generale Shafter (sinistra) e il Generale Miles a San Juan Hill, Cuba

Insieme a lui, la spedizione era guidata dal brigadier generale William Rufus Shafter, soprannominato “Pecos Bill” – anch’esso combattente contro i Sudisti e, alla testa del 24° Fanteria di truppe afro-americane stanziato nel Texas, contro Comanche, Cheyenne del Sud, Kiowa e Kickapoo – e dall’ammiraglio George Dewey. Fra gli altri nomi celebri delle Guerre Indiane, figurava pure Henry Ware Lawton che, al tempo in cui era capitano del Quarto Cavalleria, aveva servito agli ordini di Miles in Arizona contro gli Apache di Geronimo. Ora, nominato generale, dirigeva una brigata di volontari coordinata da Shafter.
Tutti, o quasi tutti, questi uomini avevano alle spalle una brillante carriera militare, sia nel conflitto secessionista che nella guerriglia contro le tribù delle Grandi Pianure e dei deserti sud-occidentali e lo stesso Roosevelt, che di Indiani non ne aveva mai affrontati, aveva svolto per anni l’impegnativo lavoro del mandriano nelle selvagge solitudini del Dakota. La sua ammirazione verso di loro era, naturalmente, assai elevata, come sconfinata era la gioia di poter combattere al loro fianco.