I frati nella storia della conquista del nuovo mondo

A cura di Domenico Rizzi

Dopo che Hernàn Cortès ebbe abbattuto il regno degli Aztechi nel 1520, la Spagna proseguì nella conquista dei territori che formano oggi l’America Latina, inviando nel Nuovo Mondo un numero sempre maggiore di colonizzatori. Lo stesso Cortès, espugnata Tenochtitlan nell’agosto 1521, si spinse in seguito verso nord, assoggettando nuove regioni alla corona di Spagna e nel 1535 piantò la sua bandiera in California. Nel 1574 gli Spagnoli presenti nel Nord, Centro e Sud America ammontavano già a 220.000 persone. Al loro seguito, vi furono fin dagli inizi centinaia di missionari cattolici e lo stesso Cristoforo Colombo si era fatto accompagnare nella sua seconda traversata da Fra’ Bernardo Boil e da altri religiosi.
Nel 1559 il Messico ospitava 380 Francescani, 210 Domenicani e 212 Agostiniani, che avevano creato oltre 150 missioni, spingendosi anche molto a settentrione del fiume Rio Grande, nelle regioni che corrispondono oggi agli Stati della California, del Texas, del New Mexico e dell’Arizona.
I primi frati di San Francesco erano sbarcati a Vera Cruz nel 1524.
Il loro obiettivo principale risiedeva nella catechizzazione degli Indios, nell’assistenza e istruzione delle popolazioni più povere, nonchè nell’arginare la corruzione di costumi che era diventata dilagante. Sul cattivo esempio dello stesso Cortès, che coltivava relazioni con diverse concubine – una di esse la famosa Malinche o Malintzin, la ragazza azteca prigioniera dei Maya che l’aveva aiutato nella vittoria contro Montezuma – e del suo luogotenente Pedro de Alvarado, donnaiolo scatenato oltre che ladro di idoli d’oro, si stavano infatti diffondendo in maniera preoccupante fra i conquistadores le pratiche della poligamia e del concubinaggio con donne indigene pagane. Armati del coraggio della fede, i frati sostennero fieramente la loro battaglia, perseguendo tutti gli scopi con caparbia determinazione.
A poco a poco raggiunsero le terre più estreme della Nuova Spagna, mettendo solide radici in aree abitate soltanto da tribù indiane. Non portavano armi, ma soltanto il sorriso della loro convinzione religiosa e furono quasi sempre bene accetti dagli indigeni.


Frati in cammino in terra di frontiera

Si deve indubbiamente a loro la posa della prima pietra di conventi destinati a trasformarsi nelle metropoli di oggi. Dopo che Francisco Vasquez de Coronado ebbe esplorato inutilmente l’Arizona nel 1540 alla ricerca delle Sette Città d’Oro di Cibola, delle quali gli aveva parlato il francescano Marco da Nizza, gli Spagnoli si spinsero ad oriente, fondando Villa Real de la Santa Fè, attuale Santa Fè nel New Mexico. L’armata di Coronado, composta di 335 spagnoli, 1.300 Messicani e 4 Francescani, fra i quali padre Juan de Padilla, si spinse nel Texas e nell’Oklahoma, muovendo poi verso il Kansas. Il conquistador ricevette l’ordine di ritornare nel Messico nel 1542, ma un paio di frati chiesero di rimanere nelle nuove terre. Soltanto Marco da Nizza venne rimandato nella colonia messicana con biasimo, per il colossale abbaglio delle Città d’Oro, che consistevano in realtà in sette miseri villaggi di adobe abitati dai Pueblo, ma il ruolo da lui avuto nella vicenda ha parecchio incuriosito gli storici. Perché Frate Marco avrebbe dovuto prendere un simile abbaglio? Aveva prestato fede ai racconti dei nativi senza accertare di persona l’esistenza delle favolose città oppure il suo era stato un semplice stratagemma per indurre il vicerè spagnolo Antonio de Mendoza a promuovere la spedizione?


Frate Francisco Palou (francescano, 1723-1789)

Quest’ultima ipotesi sembra possedere la maggiore consistenza. Non erano forse convinti, i veri Cristiani, che le vie del Signore sono infinite? Quale altro motivo, se non la possibilità di mettere le mani su ingenti quantità di metallo prezioso, avrebbe potuto indurre gli Spagnoli ad allestire la spedizione che poi Coronado condusse realmente nei territori a nord del Rio Grande? Dunque lo scopo del nizzardo poteva trovare giustificazione nell’esigenza di estendere il dominio di Carlo V per fare opera di evangelizzazione degli Indios, un piano che indirettamente funzionò nel corso dei decenni successivi. Infatti il dominio spagnolo si protrasse fino al 1821 e durante i quasi tre secoli che precedettero la rivoluzione messicana di Iturbide centinaia di frati costruirono missioni un po’ dovunque, introducendo la parola di Dio fra le popolazioni ritenute pagane.
All’insediamento di Santa Fè ne seguirono negli anni molti altri.
Per citarne solo alcuni, San Antonio de Bexar, nel Texas (oggi San Antonio, la 9^ città degli USA) cui sarebbe stato annesso nel 1724 il celebre convento di El Alamo, dove nel 1836 gli insorti texani si immolarono per l’indipendenza combattendo l’armata del generale messicano Lopez de Santa Anna, fu costruita nel 1691 in onore Sant’Antonio da Padova; Los Angeles in California, originariamente “Nuestra Senora de Los Angeles”, venne fondata nel 1769 dai frati Junipero Serra e Juan Crespi; San Francisco, dedicata al santo di Assisi, sorse nel 1776.


Padre Junipero Serra

È merito dei frati provenienti dal Messico se la pianta della vite trovò larga diffusione in California, ma inizialmente fu coltivata per produrre il vino che serviva all’eucaristia. Dopo aver preso possesso della regione, fu lo stesso Cortès a ordinare di piantare 1.000 viti per ogni 100 Indiani e intorno al 1600 i missionari gesuiti, francescani e domenicani avevano esteso tali colture a quasi tutte le missioni della California, dell’Arizona e del Nuovo Messico. Risulta che soltanto nel circondario di Los Angeles, nel 1818 esistevano oltre 53.000 viti e nel 1849 la casa vinicola fondata dal francese Jean Louis Vignes nella sua tenuta di El Aliso (Los Angeles) produceva già 150.000 bottiglie di vino.
Spesso i frati si trasformarono anche in esploratori delle selvagge distese del West.
I francescani Silvestre Velez de Escalante e Francisco Atanasio Domínguez, partiti da Santa Fè nel 1776 con 2 ufficiali e 5 soldati per raggiungere Monterey in California, fecero la prima scoperta di un “mare interno” chiamato Timpanogos dagli indigeni Ute, il Gran Lago Salato dell’Utah che tuttavia Bernardo Vieira y Pacheco, cartografo della comitiva, omise di segnare sulle mappe. Il grande specchio d’acqua sarebbe stato poi raggiunto nel 1824 da una spedizione guidata da Etienne Provost e Jim Bridger.


La vecchia missione di Oraibi

L’opera dei Francescani e dei Domenicani portò alla conversione di migliaia di Indiani, che in seguito avrebbero dovuto proteggere dall’invadenza sia degli Spagnoli che dei successivi conquistatori di lingua inglese, impossessatisi fra il 1836 e il 1848 del Texas, di parte del Colorado, del New Mexico, dell’Arizona, di Utah e Nevada meridionali e della California. Dovunque, il loro impegno fu assunto e portato avanti con grande abnegazione e molti di essi non esitarono a rischiare la propria vita per difendere popolazioni inermi dallo sterminio, attuato sia dagli antichi conquistadores che dai nuovi colonizzatori europei e americani.
Forse i loro nomi sono meno conosciuti rispetto a quelli di grandi esploratori come Meriwether Lewis, William Clark, Jim Bridger e Kit Carson, di condottieri famosi e di coloro che colonizzarono il continente, ma il contributo sommerso che essi diedero alla diffusione della civiltà e della fede è incalcolabile.

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