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Alamo, un trionfo a caro prezzo

A cura di Domenico Rizzi

Speciale a puntate: 1) John Wayne, un gigante del cinema western 2) La lunga gavetta di John Wayne 3) John Wayne: la ripresa del western 4) John Wyane, attore ormai affermato 5) Altri film di John Wayne 6) Strada aperta per John Wayne 7) Il meglio di John Wayne 8) Strade diverse 9) Alamo, un trionfo a caro prezzo 10) Uomo d’azione 11) Eroe nell’ombra 12) Gli anni del cambiamento 13) Il lento declino 14) La solitudine dell’eroe

L’idea di produrre un film celebrativo della storica battaglia di Alamo – combattuta fra il 23 febbraio e il 6 marzo 1836 fra l’esercito messicano del generale Santa Anna e 188 volontari che difendevano la causa del Texas indipendente – era venuta a John Wayne nel 1949.
Herbert J. Yates, direttore della Republic Pictures, lo aveva autorizzato ad iniziarne le riprese, salvo poi rimangiarsi la parola per una serie di problemi tecnici e probabilmente perché non credeva fino in fondo a quel progetto. Dieci anni dopo la United Artists recepì invece la proposta e il Duca potè iniziare le riprese del film.
Scelse per l’ambientazione la località di Brackettville, nel Texas meridionale, per l’affinità che poteva presentare con lo scenario reale della vicenda – l’antica missione francescana costruita nel 1724 e ormai abbandonata, di Alamo, impropriamente ribattezzata “Fort Alamo” da letteratura e cinema, si trova nei pressi della città texana di San Antonio – creando un set che sarebbe stato utilizzato anche per altre pellicole: una di queste, fu “Cavalcarono insieme” di Ford.
Con l’appoggio della Republic Pictures, Wayne decise di finanziare di tasca propria l’opera attraverso la Batjac Production, da lui fondata nel 1952. Ovviamente lo sforzo finanziario risultava, dai preventivi, quasi insostenibile per l’attore, che tuttavia non si perse d’animo. Dopo avere investito 12 milioni di dollari nell’impresa, fu costretto ad ipotecare la Batjac per ricavare la somma ulteriore di 1.250.000 dollari che servivano alla produzione.
Le riprese iniziarono il 9 settembre 1959 e si conclusero il 15 dicembre dello stesso anno.
Il cast messo insieme per la lavorazione era davvero eccezionale. Oltre al Duca, vi partecipavano Richard Widmark nella parte dell’avventuriero Jim Bowie – scelta obbligata dal fatto che Charlton Heston, in contrasto con Wayne, aveva rifiutato l’ingaggio – Lawrence Harvey (tenente colonnello William Barrett Travis, comandante della guarnigione di Alamo) Richard Boone (generale Sam Houston) Ken Curtis (capitano Almeron Dickinson) Joseph Calleia (capitano Juan Seguin). Nel film compaiono anche Patrick Wayne, figlio di John, nel ruolo del capitano Bohmann e il giovane cantante di lontana origine italiana Frankie Avalon (Francis Thomas Avallone, nato a Philadelphia nel 1939) che avrebbe acquistato grande notorietà cantando il motivo conduttore del film: “Green Leaves of Summer”.

I ruoli femminili, dato il tema trattato, ebbero un rilievo minore, ma non del tutto insignificante. Wayne ingaggiò l’attrice Linda Cristal per l’interpretazione di Flaca – una sua ipotetica fiamma nella vicenda – e Joan O’Brien nella parte di Susannah Dickinson, moglie di un ufficiale e fra le poche superstiti della battaglia.
Per la sceneggiatura venne scelto James Edward Grant, già collaboratore di Wayne in una dozzina di progetti – fra i quali “Angel and the Badman” del 1947 – mentre la colonna sonora fu opera del solito Tiomkin, che rappresentava più che una garanzia di successo.
Wayne si assunse la veste del principale protagonista, quella dell’eroe nazionale Davy Crockett (1786-1836) il personaggio “mezzo orso e mezzo alligatore”, come lo chiamavano dalle sue parti, che simboleggiava il vero frontiersman americano. Dopo essere stato cacciatore di pellicce, scout dell’esercito, combattente contro gli Indiani della Vecchia Frontiera sotto il generale Andrew Jackson e deputato alla legislatura del Tennessee e al Congresso degli Stati Uniti, Crockett affrontò nel 1836 la sua impresa più rischiosa, che gli sarebbe costata la vita. La somiglianza fra l’attore e il personaggio storico – fra l’altro, l’attore aveva suppergiù la stessa età anagrafica del famoso trapper – era trascurabile, nel senso che solo la statura e la prestanza fisica potevano essere considerati dei tratti comuni. Qualche affinità esisteva invece, se si analizza la biografia del vero Davy, a livello caratteriale.
Il campione del Tennessee era sfrontato e trasgressivo, formidabile bevitore, gran corteggiatore di donne, sfrontato e facile alle risse nelle taverne. In pratica, riassumeva in sé molte qualità dell’uomo del Sud di quell’epoca: intrepido, avvezzo a misurarsi con qualsiasi tipo di avversario e decisamente razzista. Non a caso Crockett rivelò, nel corso di una campagna elettorale, di “averle sempre suonate” sia ai confinanti del Kentucky, che al proprio padre.

Rappresentare sullo schermo una figura tanto popolare nel West, quanto discussa e zeppa di difetti, senza intaccarne l’aureola eroica, non poteva essere considerata un’impresa da poco. John Wayne riuscì perfettamente a coniugare gli eccessi dell’uomo con le sue aspirazioni ideali, modellando un eroe in cui i pregi superavano le carenze. Accentuò la sua insofferenza verso i “damerini” come William Travis, esponenti della cultura del Sud più colto e aristocratico, ma esaltò le connotazioni più nobili del personaggio: l’abnegazione e la capacità di sacrificarsi per la giusta causa dell’indipendenza texana. La vicinanza e i suggerimenti di John Ford durante la lavorazione del film contribuirono senz’altro ad arricchire una vicenda prettamente militare, aggiungendovi quel pizzico di humour che nei film del regista di origine irlandese era sempre presente.
Il Davy Crockett interpretato dal Duca risultò alla fine come il pubblico si aspettava, non mancando fra le sequenze una love story virtuale con una bella senora di lingua spagnola. Anche tutti gli altri protagonisti erano convincenti, dal Jim Bowie di Richard Widmark – del quale Wayne mise in risalto soltanto gli aspetti positivi, trattandosi di un ex contrabbandiere e trafficante di schiavi nel Golfo del Messico – al Travis impersonato da Lawrence Harvey, fino al generalissimo Santa Anna, spietato dittatore del Messico quanto rispettoso di un certo codice d’onore.
“La battaglia di Alamo” (titolo originale: “The Alamo”) fu dunque un colossal di un certo livello, che aggiunse lustro e credibilità all’attore Wayne e ne confermò le apprezzabili doti di regista. Non per niente questa edizione del famoso episodio storico non trovò mai in seguito un remake appropriato. Nel 2004, ad oltre 40 anni di distanza, il regista John Lee Hancock tentò un secondo esperimento del genere, presentando dei protagonisti molto più somiglianti ai personaggi reali – ad esempio Davy Crockett interpretato da Billy Bob Thornton, truccato in modo da apparire quasi uguale al vero eroe del Tennessee – ma senza riuscire a convincere il pubblico come aveva fatto Wayne ai suoi tempi.

Il motivo risiede probabilmente nella marcata “fordianità” della figura impersonata dal Duca, la cui eccentricità si riassume soprattutto nei suoi comportamenti da uomo della Frontiera, rozzo e intollerante quanto generoso ed estroverso. Fra l’altro, il film di Hancock, prodotto da Ron Howard, è risultato uno dei più grossi flop commerciali della storia, recuperando soltanto un settimo dei 140 milioni di dollari spesi per la sua realizzazione, ma a sua difesa stanno moltissime attenuanti. Innanzitutto, quando venne girato il western era diventato un genere di nicchia, ormai poco seguito dal grande pubblico, i cui gusti erano più orientati verso il filone drammatico e la commedia; in secondo luogo l’opera non è stata compresa, soprattutto nei risvolti innovativi che essa contiene, non ultimo la passione di Crockett per il violino e la sua sfida finale nei confronti dei Messicani. Le esagerazioni sono invece quelle comuni a tanti film – soprattutto del genere “peplum” moderno – che pretendono di rispolverare la storia e i suoi eroi con trovate sempre più fantascientifiche ed irreali. La morte del Crockett-Thornton è sicuramente in sintonia con l’estrosità del personaggio, quella del Crockett-Wayne appare invece umana. E non occorre aggiungere altro.
La resa economica del film fu all’inizio abbastanza dleudente, poiché la produzione si aspettava non solo di compensare largamente le spese, ma anche di realizzare un ottimo margine di profitto. Invece “La battaglia di Alamo” stentò alquanto a recuperare il budget investito, ma riuscì a rifarsi successivamente anche con la vendita dei diritti alla televisione e con il noleggio, ricavando circa 8 milioni di dollari. Ebbe 8 nomination all’Oscar e ne vinse uno per la miglior colonna sonora, che ottenne anche il Golden Globe nel 1961. Il National Board of Review Award lo inserì fra i 10 migliori film del 1960, piazzamento più che prestigioso, se si considera che quell’anno furono distribuite 546 pellicole e che, fra le 19 dirette concorrenti western, vi erano “Gli inesorabili” di John Huston, “I magnifici sette” di John Sturges, “Cimarron” di Anthony Mann e “I dannati e gli eroi” di Ford. Probabilmente Wayne ci rimase male ugualmente, aspettandosi qualche riconoscimento in più, dato che fra le nomination vi era anche quella per il miglior film, ma John Ford, che amava spesso andare contro la critica, non esitò a definire il suo lavoro “il più grande film che io abbia mai visto”.

Recuperate per buona parte le spese e rilanciato da questo che fu comunque un exploit, il Duca si preparava ad interpretare nuovi ruoli.
Sarebbe stato un simpatico procacciatore di fidanzate per i minatori nella commedia “Pugni, pupe e pepite”, per tornare a parti più serie in “I Comancheros” e “L’uomo che uccise Liberty Valance.”
Dopo trent’anni di carriera da protagonista, Wayne stava per iniziare il suo ultimo glorioso periodo, girando un’altra trentina di film.
Di questi, 19 sarebbero stati naturalmente di ispirazione western.