Chippewa

Il padre del capo apparteneva al “Reindeer clan”, e apparteneva alla divisione settentrionale della tribù. Spostatosi con la sua banda, dal Grand Portage a “Shaugha-waum-ik-ong”, si sarebbe distinto anche come un abile cacciatore e avrebbe partecipato attivamente alla battaglia di Point Prescott, dove i Sioux subirono una devastante sconfitta. Poi, avrebbe sposato una donna nativa di La Pointe che, alcuni anni prima, era stata maritata con un leader dei Dakota, con il rinnovarsi della guerra fra le due tribù, aveva dovuto separarsi dal marito e dai suoi due figli, uno dei quali sarebbe diventato molto famoso fra i Sioux, divenne un capo importante chiamato “Wabasha”, ben noto sia nelle tradizioni Dakota che in quelle Chippewa. “Ma-mong-e-se-da” (“Big Feet”, “Grande Piede”), era invece il figlio del cacciatore del “Reindeer clan”, sarebbe diventato un potente leader dei Chippewa; spesso, con la sua gente entrava nelle terre Sioux per cacciare sul fiume Chippeways, dove si stabiliva in un insediamento ritenuto molto grande.


Dipinto di Paul Kane

Trovandosi sempre nelle zone di confine tra il Mississippi e il Lago Superiore, le tradizioni ricordano che, “… una mattina, una banda Dakota sparò contro il suo villaggio”, alla seconda scarica di colpi venne ferito “uno dei suoi uomini”, “Ma-mong-e-se-da prese il suo fucile, uscì dalla tenda e ad alta voce pronunciò il suo nome in lingua Dakota”, il capo chiedeva se fra gli assalitori vi era “suo fratello Wabasha”. Il “fuoco cessò immediatamente, e dopo una breve pausa di silenzio, una alta figura, ornata con un abito da guerra e con la testa coperta da piume d’aquila”, si fece avanti tra le fila dei Dakota “presentando la sua gente”. Era il suo fratellastro Wabasha, il quale “lo invitava ad entrare nella sua tenda”, e Ma-mong-e-se-da accettò l’invito “nello stile di un capo”. Dopo il fallimento dell’opposizione indiana alle armi inglesi (1764), Ma-mong-e-se-da, sarebbe entrato in contatto con Sir William Johnson, abbracciando la causa inglese. Alla sua morte gli sarebbe successo il figlio Waub-o-jeeg, un grande e valoroso capo di guerra che divenne ancor più importante del padre. Ma-mong-e-se-da morì nel 1793, mentre il figlio e successore “Waubojeeg” sarebbe morto di tubercolosi lo stesso anno del padre. L’Alexander Henry menzionava anche “Ke-che-wash-keenh” (“Great Buffalo”) di La Pointe, il quale, con altri capi di Sault St. Marie, concedette alcune terre agli inglesi. Come abbiamo visto in precedenza, i Chippewa, sotto la guida di Bi-aus-wah, avevano combattuto strenuamente contro i Sioux per controllare le aree dell’Upper Mississippi, almeno fino all’anno 1768. Questo gruppo occupava quasi stabilmente le zone del Sandy Lake, cacciando nelle terre vicine alla sorgente del Mississippi, ciò avrebbe provocato numerosi scontri con i Sioux, fra i quali molto importante fu la battaglia combattuta presso la confluenza del Crow Wing River con il Mississippi. La fonte più attendibile sembra essere quella data da un venerabile capo dei Chippewa, “Esh-ke-bug-e-coshe”, il quale ottenne notizie precise dal nonno “Waus-e-ko-gub-ig” (“Bright Forehead”, “Fronte Luminosa”), uno dei capi guerrieri che parteciparono allo scontro. La tradizione diceva che, alla fine, i “M’dé-wak-anton Dakotas” dovettero evacuare i loro grandi villaggi del Mille Lacs e del Knife Lake, per stabilirsi lungo le rive del Rum River. I Dakota, ormai in piena ritirata, volevano riconquistare i loro vecchi territori, erano determinati ad unirsi ad altri gruppi per fronteggiare l’avanzata nemica. Dopo essere stati riforniti di armi da fuoco dai commercianti francesi, i Dakota potevano ora meglio difendersi, così, numerose spedizioni vennero organizzate nei vari villaggi Sioux, poi, i guerrieri si sarebbero ritrovati alle Falls of St. Anthony. I Dakota riunirono circa 500 guerrieri che, “imbarcati sulle canoe”, si mossero lungo il Mississippi senza incontrare nemici; infine giunsero alla confluenza del Crow Wing con il “Father of the Rivers” (“Padre dei Fiumi”). I Dakota ben conoscevano il territorio, tutti i fiumi e i laghi, i “portages” e le zone di caccia, esplorarono le terre dei laghi Gull, Leech, Cass e Winnepegosish, poi discesero il Mississippi partendo dalla fonte, l’obiettivo era quello di assalire il villaggio dei Chippewa occidentali posto sul Sandy Lake. La spedizione avrebbe poi risalito il corso dei fiumi Crow Wing e Gull, per entrare nel Gull Lake; sull’estremità settentrionale del lago attraversarono il primo “portage”, si caricarono sulle spalle le loro canoe per circa due miglia, per imbracarsi nuovamente nel Lake Sibley; infine, dopo un altro “portage”, raggiunsero il White Fish Lake (“Ud-e-kum-ag”), e dopo una serie di laghetti, attaccarono un solitario Chippewa che stava cacciando presso il “Wab-ud-ow” Lake (dal nome del cacciatore ucciso, “Wab-ud-ow”, “White Gore”). Continuando, i guerrieri Sioux entrarono nel Gauss Lake, dove sotto i loro colpi perirono un cacciatore Chippewa, la moglie e i figli. Con grande euforia la spedizione si mosse nuovamente dirigendosi verso il Little Boy Lake (“Que-wis-ans”), dove i guerrieri sorpresero e uccisero tre bambini Chippewa impegnati nella raccolta del riso selvatico, mentre i loro genitori riuscirono a sfuggire alla presa dopo aver sentito gli spari. I Dakota entrarono allora nel Leech Lake e, attraverso un “portage”, giunsero al Cass Lake, dove iniziarono a discendere il Mississippi. Sopra le “Falls of Puk-a-gum-ah”, si spostarono sulla terraferma e marchiarono alcuni alberi di pino, che poi i Chippewa chiamarono “Mun-zin-auk-wi-e-gun” (“tree picture marks”). Ad una certa distanza dalle “Puk-a-gum-ah” Falls, vi erano due cacciatori Chippewa su una canoa di betulla, quando avvistarono i nemici cercarono di fuggire lungo il fiume, inseguiti dai Sioux intenzionati ad attaccare il villaggio del Sandy Lake. I fuggitivi riuscirono a dare l’allarme durante la notte, ma si resero conto che un gruppo guerriero aveva da poco disceso il corso del Mississippi, mentre gli altri avevano bevuto in abbondanza i liquori commerciati con i traders di Mackinaw e Sault St. Marie. L’allarme venne comunque dato, anche se, “gli uomini più anziani erano già fuori dalla lotta per gli effetti dei liquori”. Alcuni scouts andarono in avanscoperta con le canoe, i nemici vennero avvistati, le loro canoe erano cariche di uomini pronti a combattere, ma il grosso dei Sioux stava avvicinandosi a piedi. Uno scouts venne scoperto e dovette fuggire in canoa, “… sbarcò su una isola, trascinò la sua canoa e poi remò velocemente dall’altra riva per sfuggire i nemici”, la manovra riuscì perfettamente e gli inseguitori furono distanziati, anche perché facevano uso di canoe ben più pesanti. Nel frattempo, la spedizione Sioux, appiedata, sorprese un gruppo di donne Chippewa che stavano “raccogliendo mirtilli”, vennero circondate e “catturate facilmente”, erano “trenta giovani donne di cui molte non sposate”. Poco dopo i Sioux attaccarono il villaggio, me vennero respinti dopo una lotta furiosa, i guerrieri Chippewa ubriachi combatterono valorosamente grazie all’apporto delle donne del villaggio che fecero passare loro la sbornia immergendoli nella fredda acqua lacustre. I Dakota si ritirarono sulle loro canoe con i loro prigionieri e discesero il corso del Mississippi per tornare nei loro villaggi; “erano comunque condannati per la loro temerarietà, pagarono a caro prezzo il loro coraggio”. I Chippewa, sotto la guida di “Waus-uk-o-gub-ig”, procedettero lungo il Mississippi su velocissime canoe di betulla, era loro intenzione distruggere i nemici. Nel territorio Sioux lasciarono le canoe e si diressero verso un accampamento del Crow Wing e, dopo aver esplorato il territorio, si posizionarono a breve distanza dal fiume, appostandosi in agguato per intercettare gli incursori che avevano catturato le loro donne. Non lasciarono nulla al caso e costruirono trincee, erano pronti a combattere e avevano razioni alimentari sufficienti per parecchi giorni, gli scouts avvistarono allora i primi Dakota. « Una mattina, dopo il completamento dei preparativi, apparvero i Dakotas, scendevano tranquillamente il Mississippi lungo la riva. Non temevano alcun attacco e mentre portavano le loro mani alla bocca per bere, un guerriero si rese conto del pericolo incombente e, istintivamente, si gettò sulla riva strisciando inosservato sulla terraferma ». Il guerriero Dakota avvistò i nemici appostati e, velocemente, avvisò gli altri guerrieri che si prepararono allo scontro, così, nelle vicinanze della foce del Crow Wing, i Dakota scesero a terra e, incuranti del pericolo, “accesero il fuoco e vi appesero i loro bollitori sopra per cucinare il pasto mattutino”, con loro vi erano le donne catturate, i Chippewa videro i guerrieri nemici “disporsi in cerchio per ballare, urlare e gioire con i loro scalpi; bruciavano di rabbia, lì vi erano le loro donne, mogli, sorelle e figlie”. Attesero con impazienza il momento in cui i Dakotas sarebbero stati a tiro dei loro fucili e delle loro frecce, sembrava che non si rendessero conto dell’imminente pericolo, il capo era infuriato, i suoi giovani e temerari guerrieri si stavano impegnando “nelle orge con le giovani Chippewa”. Improvvisamente, “con un rumore tremendo”, il “Jeen-go-dum” venne acclamato dai guerrieri, era un particolare grido dei guerrieri Dakota che avevano ucciso un nemico. I Dakota risalirono sulle canoe e continuarono a discendere il fiume, “una flottiglia compatta e gioiosa che la corrente portava sempre più giù, li avrebbe portati nel luogo dell’agguato”. Il “tempo era giunto” e, “ai fischi dei loro capi di guerra”, i Chippewa scagliarono “un volo di frecce spinate e proiettili”, a ranghi serrati i Dakotas non poterono opporsi e molti valorosi guerrieri, “figure piumate importanti”, caddero sotto i colpi nemici. Il grido di guerra dei Chippewa colpiva duramente i Sioux, e “le loro paure”, il “sas-sak-way” (“grido di guerra”) accompagnava “le armi letali che falcidiavano i nemici”, e molti guerrieri raggiunsero così “la terra degli Spiriti”.


Tipico “portage”, dipinto di Paul Kane

Tra i Dakota la confusione era totale, l’improvviso attacco aveva avuto un ruolo determinante, “i prigionieri rovesciarono le canoe mettendole una contro l’altra, con i guerrieri che cercavano di reimbarcarsi”, molti feriti urlavano in acqua e fra questi molti annegarono. Alcuni guerrieri fuggirono sulla sponda opposta, dove si riunirono per “vedere i loro compagni morire sotto i colpi sicuri dei Chippewa”, altri si lasciarono trascinare dalla corrente per “ritrovarsi circa un miglio al di sotto del luogo dell’attacco, dove poterono recuperare qualche canoa”. La maggior parte dei prigionieri riuscirono a ricongiungersi ai Chippewa, altri preferirono combattere e si unirono immediatamente ai guerrieri. I Chippewa continuarono ad attaccare, mentre i Sioux soffrirono terribilmente il fatto di combattere senza alcuna protezione. Con il calar della notte i Dakota si ritirarono dal campo di battaglia con notevoli perdite. I Chippewa udirono distintamente “i lamenti dei loro nemici” ma, al primo bagliore di luce mattutina, i Dakotas, “assetati di vendetta”, tornarono all’attacco e, “con grande cautela e maggiore diffidenza”, si avvicinarono alle difese Chippewa “scavando buche e facendo argini di terra o di tronchi”. Ormai le due linee nemiche erano così vicine che “si poteva scagliare facilmente una pietra da una buca all’altra”, tanto che, stando alle tradizioni, un giovane guerriero – il futuro capo “We-esh-coob” (“Sweet”) – “ricevette un colpo tremendo sul volto, che gli avrebbe rotto la mandibola”. Molti guerrieri si fronteggiarono in spietati corpo a corpo, armati di coltelli e bastoni; durante lo scontro un Chippewa venne ucciso per “aver combattuto avventatamente”, il suo corpo sarebbe poi stato scalpato. I Sioux attaccavano furiosamente, “non si perdevano d’animo”, ma trovarono una “ostinata resistenza” dei Chippewa, i quali riuscirono a respingerli con gravi perdite; i Sioux si ritirarono disordinatamente, ma ancora i vincitori non si sentivano al sicuro, temevano la vendetta nemica e nuovi attacchi ai loro villaggi. Dopo questa epica battaglia i “M’dé-wak-an-ton” evacuarono le terre del Rum River per trasferirsi sul fiume Minnesota. Alcune leggende Dakota sono ancor oggi ricordate dai loro discendenti, molte di queste ricordano il capo Waub-o-jeeg (“White Fisher”), il quale aveva vissuto la sua giovinezza presso i Sioux, “imparando perfettamente la loro lingua”. Un giovane guerriero Dakota si sarebbe unito ad una spedizione di guerra che si stava riunendo presso le “St. Anthony’s Fall”, loro intenzione era quella di spazzare via dall’alto Mississippi le varie bande Chippewa. Il giovane “aveva preso in moglie una bella ragazza, che amava teneramente ed era ricambiato… non volle ascoltare le parole della sua donna, le sue carezze non dovevano influenzarlo, stava andando a combattere, rinunciare significava far ridere tutta la sua gente”. Il giovane doveva guadagnare grande fama, “le lacrime della giovane moglie non gli fecero cambiare idea”, la donna disse che, “il mio cuore ha capito che non ritornerai”, ma il giovane era sicuro di avere “l’appoggio degli Spiriti”. La separazione fu “triste e in lacrime e lei non riusciva nemmeno a partecipare alla cerimonia di partenza dei guerrieri che continuavano ad arrivare”. La giovane donna cominciò “a contare i giorni dell’assenza del marito, giorni che aumentavano sempre più, ma con impazienza attendeva il suo ritorno”; la spedizione non tornava, e le donne attendevano con ansia il loro ritorno. Le “mogli e le fidanzate si erano addobbate con raffinatezza”, ma la moglie del giovane guerriero, “una mattina presto, si sedette sulle rive erbose del Mississippi, aveva splendidi capelli e lunghe trecce”, attendeva il suo giovane marito e aveva “ricordato il suo nome agli Spiriti”. Il tempo “scorreva silenziosamente e mentre gettava gli occhi sulla pigra corrente del fiume, vide uno scuro oggetto galleggiante sotto la superficie delle acque”; i vortici del fiume portarono l’oggetto “ai suoi piedi e, con un urlo di leggera sorpresa e un brivido freddo, riconobbe una figura umana”. La giovane donna, “istintivamente balzò in avanti, prese il corpo per un braccio e lo tirò a terra”, fu allora che la donna riconobbe il suo giovane marito, “una freccia spinata e piumata gli aveva trafitto il cuore e la sua punta fuoriusciva dal suo petto”. Gli “abitanti del villaggio udirono un grido disperato, corsero al fiume e scoprirono il corpo senza vita del giovane guerriero” che aveva combattuto nella battaglia di Crow Wing. Il giovane guerriero era stato probabilmente ucciso alla prima scarica, quando le canoe Sioux vennero rovesciate, sarebbe stato colpito nel fiume, il quale poi lo avrebbe condotto dalla sua giovane donna. I resti della spedizione sarebbero ritornati lo stesso giorno, ma la giovane donna, che “aveva presagito la morte del marito”, sarebbe morta poco dopo, “felice di ricongiungersi nella terra degli Spiriti”. L’anno dopo la battaglia di Crow Wing, i Chippewa si organizzarono per vendicarsi dell’attacco Sioux contro i loro insediamenti dell’alto Mississippi. Nella primavera successiva un forza guerriera di circa 200 uomini si riunì per portare guerra ai loro nemici; la spedizione si mosse in canoa, “remando vigorosamente contro la corrente del Mississippi per raggiungere le terre nemiche”. Nessun indizio indicava la presenza dei Sioux e, dopo aver raggiunto la foce del Crow River, a circa 30 miglia dalle “St. Anthony Falls”, i guerrieri lasciarono le canoe e procedettero fino al corso del Minnesota, dove scoprirono un villaggio presso la confluenza con il grande fiume. In questo frangente le fonti sono discordi, ma le tradizioni Chippewa, al contrario di quelle Sioux, parlano di un esito positivo, un vero successo tanto che i guerrieri sarebbero ritornati trionfanti ai loro insediamenti e con grandi quantità di scalpi nemici. Stando ai ricordi del capo Waub-o-jeeg (“White Fisher”) – che intorno al 1850 guidava ancora i Chippewa del Mississippi -, e il cui nonno, No-ka, fu uno dei leader della spedizione, fu una grande vittoria, anche se il Warren sembra astenersi dal dare giudizi precisi visti i troppi punti oscuri e spesso mescolati con dettagli innaturali e spirituali.


Dipinto di S. Eastman

Alcuni anni dopo l’incursione di No-ka, i Chippewa organizzarono un’altra spedizione composta da circa 120 uomini e, sotto la guida di Ke-che-waub-ish-ashe (“Grande Martora”), un importante guerriero che, grazie all’apporto di Bi-aus-wah, seguì il corso del Mississippi. La flottiglia giunse a breve distanza dalla foce dell’Elk River, quando gli scouts poterono udire nella foresta “indiani che ridevano, cantavano e parlavano la lingua Dakota”; dopo aver riferito ai capi, i Chippewa si avvicinarono silenziosamente, e “videro una lunga fila di guerrieri Dakota”, il loro numero era di poco superiore al loro, “… camminavano tranquillamente lungo il sentiero che li portava ai loro villaggi”. La spedizione attese che fossero “a portata di tiro”, poi “i guerrieri fuoriuscirono dalla foresta e il loro grido di guerra risuonò nella prateria”; si ebbe un rapido scambio di colpi da entrambe le parti, “raffiche successive con i corpi in continuo movimento, le piume sulle teste si agitavano avanti e indietro, e i guerrieri pronunciavano il loro feroce e acuto grido di guerra. Avevano un aspetto selvaggio e bellicoso”. I Dakota reagirono, ma continuavano “a vedere guerrieri Chippewa che uscivano urlanti dalle foreste”, pensavano fossero in molti e allora decisero di ritirarsi; i Dakota “correvano e, di tanto in tanto, si giravano per sparare raffiche contro gli inseguitori”. La lotta si protrasse e i Chippewa inseguirono i nemici, per circa tre miglia, “sparando e urlando”, ma la situazione sarebbe mutata quando un grosso gruppo Dakota raggiunse il Minnesota River; surclassati dal numero, i Chippewa dovettero allora retrocedere, “da cacciatori stavano diventando prede”, finché decisero di “posizionarsi in un boschetto di querce presso le rive dell’Elk River”. La lotta continuò a lungo ma, alla fine, i Sioux abbandonarono la partita, avevano subito perdite pesantissime, “ricorsero allora ad un espediente singolare”. Un forte vento soffiava da sud, ed essendo in primavera, “la prateria era ancora coperta dell’erba secca dell’anno precedente”; i Sioux dettero fuoco alla prateria e “il vento spinse le fiamme contro i Chippewa”, i guerrieri fuggirono nell’interno delle foreste, ma quelli feriti vennero “divorati dalle fiamme o catturati”. I Chippewa fuggirono “nel denso fumo della prateria in fiamme”, si buttarono nelle acque del Mississippi e si posizionarono su un isolotto del grande fiume, si diceva che “la bava alla bocca degli stanchi guerrieri restava attaccata alle labbra”. I Dakota inseguirono i nemici, ma “non osarono attaccarli sull’isola dove avevano cercato rifugio”, allora “entrambe le parti sarebbero ritornate ai loro villaggi”; i Chippewa, stando alle loro tradizioni, perdettero otto guerrieri, con altri tre catturati o periti tra le fiamme, ma ricordavano che i loro nemici avevano subito perdite molto pesanti. I Dakota riferivano invece di aver perso tre guerrieri e di aver colpito duramente gli avversari. L’anno successivo 60 guerrieri Chippewa procedettero lungo il corso del Mississippi e si posizionarono nello stesso punto dell’anno precedente. Anche per questo evento il Warren sembra non sbilanciarsi, ma riferiva che i Sioux sarebbero stati circa 400, un numero piuttosto elevato. I Chippewa, sotto la guida di un capo di guerra del “Big Marten clan”, avvistarono i nemici ma preferirono non impegnarsi avventatamente in battaglia, scavarono ancora profonde buche, in questo modo intendevano resistere al prevedibile attacco Sioux, i quali, ben consci della superiorità numerica, avrebbero attaccato la mattina successiva. I due gruppi guerrieri si fronteggiarono in una battaglia senza mai giungere al corpo a corpo, mantenendosi sempre al riparo e sparando contro le postazioni avversarie. Dopo le prime ore di scontri, però, alcuni coraggiosi uscirono dai ripari e combatterono contro altri coraggiosi. Verso sera, il leader dei Chippewa cadeva sotto i colpi mortali dei Sioux, ed allora i guerrieri, scoraggiati, si ritirarono durante la notte per tornare ai loro insediamenti del Sandy Lake. Il luogo dove vennero combattute queste due battaglie, tra i fiumi Elk e Mississippi, sarebbe stato chiamato “Me-gaud-e-win-ing”, o “Battle Ground”, dai Chippewa. “Ke-che-waub-ish-ash”, il capo caduto in battaglia, come abbiamo visto in precedenza, apparteneva al clan “Marten” e fu contemporaneo di Bi-aus-wah, essendo il suo braccio destro; questo leader fu indiscutibilmente il capo militare dei Chippewa dell’Upper Mississippi, mentre Bi-aus-wah ne era il capo civile. Nello stesso periodo si sarebbe conclusa anche la lunga e sanguinosa guerra Chippewa contro i Fox; questi indiani erano stati costretti, dai francesi e dai loro alleati nativi, ad evacuare le loro terre poste sui fiumi Fox e Wisconsin, per raggiungere il Mississippi e “porsi sotto la protezione degli Osaugees” (Sauk). La tribù aveva subito perdite notevoli ed era stata fortemente ridimensionata dai loro numerosi nemici, ora però cercava vendetta e i Chippewa erano per loro grandi antagonisti. I Fox ascesero in canoa il corso del Mississippi, era loro intenzione unirsi agli alleati Dakotas, così procedettero verso il St. Croix ma, mentre attraversavano il “portage” del fiume, nelle vicinanze delle cascate, si trovarono di fronte una spedizione Chippewa, “… e qui, tra le rocce e i massi del St. Croix, gli Odugamies combatterono la loro ultima battaglia tribale”. La data approssimativa di questo scontro sembra essere l’anno 1770, come affermavano il Warren e lo Schoolcraft. Le tradizioni Chippewa ci vengono in aiuto. Il capo Waub-o-jeeg (“White Fisher”), e il padre Ma-mong-e-se-da, parteciparono allo scontro, ma sembra che il loro obiettivo erano i Dakotas. Secondo lo Schoolcraft, “Ma-mong-e-se-da” sarebbe morto nell’anno 1793 e Waub-o-jeeg gli sarebbe succeduto al potere anche prima della morte del padre, quindi una pratica inusuale presso questi indiani. Circa 300 guerrieri si riunirono a La Pointe (“Shaug-a-waum-ik-ong”) sotto la guida di Waub-o-jeeg. La lunga carovana di canoe si mosse salendo il ramo sinistro del Bad River (“Mush-kee-se-be”) per raggiungere la sorgente, dopo un lungo “portage”, entrarono nel Long Lake e, dopo altri “portages” entrarono in un ramo del St. Croix, il “Num-a-kaug-un”, dove i Chippewa erano ben consci di essere nelle terre dei loro nemici. I capi inviarono subito scouts in avanscoperta, “temevano imboscate”, ma procedettero velocemente e, “dopo sei giorni di viaggio”, giunsero alla foce dello Snake River, dove attesero con ansia l’arrivo di altri guerrieri provenienti dai villaggi del Sandy Lake e del Mille Lac. Waub-o-jeeg attese vanamente l’arrivo dei rinforzi, e allora i suoi guerrieri si posizionarono alla testa delle St. Croix Falls dove, la mattina seguente, vennero avvistati guerrieri Dakota e “Odugamies” ai “piedi delle cascate”. I Chippewa, “fortemente eccitati”, si prepararono a combattere e i più giovani, vennero “spinti in acqua per togliere la vernice nera che denotava il loro primo combattimento”; i “guerrieri afferrarono le borse della Medicina e, in fretta, adornarono i loro volti e il nudo corpo con pitture di guerra … altri mettevano piume d’aquila sulle loro teste o sui copri capi, ciò indicava che avevano ucciso nemici o preso scalpi in combattimento”, molti guerrieri avevano il “pe-na-se-wi-am” e si consideravano “invulnerabili”, altri portavano “bracciali e cinture d’oro”. Il capo di guerra “chiedeva a gran voce la protezione del Grande Spirito e il successo per i suoi guerrieri”, poi, rivolgendosi ai suoi seguaci, li “esortò alla battaglia”, “siate forti nel cuore e non piangete per la perdita di vostri compagni”. Dopo lunghi preparativi si mossero, ma anche gli scouts dei Dakota e dei Fox ben conoscevano la loro posizione e, “dopo aver valutato la loro limitata consistenza numerica”, si posizionarono nel “bel mezzo del portage”, dove la lotta divenne “bestiale”. La battaglia che ne seguì fu molto cavalleresca e viene raccontata in numerose tradizioni tribali. Gli “Odugamies” erano intenzionati a reggere da soli il peso dello scontro, “si fidavano della bravura dei loro numerosi guerrieri e, si dice che abbiano chiesto ai Dakota, di non partecipare allo scontro, dovevano soltanto testimoniare la loro grande vittoria e il gran numero di scalpi che avrebbero raccolto”. I Dakota si misero da parte e riempirono con calma le loro pipe per assistere allo scontro. Le tradizioni ci dicono che durante la battaglia si ebbero molti “atti di grande valore personale”, le “voci dei capi risuonavano sopra il crepitio delle fucilate e delle grida dei loro guerrieri, li invitavano a mantenere la loro posizione e non voltare le spalle al nemico”. In effetti, la natura del terreno dove si combatteva era “quasi impraticabile e molto difficile sarebbe stato ritirarsi”, si doveva combattere fino alla fine. Era un territorio roccioso, “tagliato da numerose gole profonde, attraverso il quale una rapida corrente impediva i movimenti”, nelle vicinanze vi era un bosco che si “univa alle rocce”, era questo l’unico punto dove i guerrieri potevano ritirarsi.


Falls St. Anthony, dipinti di S. Eastman

Waub-o-jeeg si era assicurato questa posizione, in caso di pericolo poteva servire per una rapida ritirata. Erano queste le St. Croix Falls descritte dallo Schoolcraft. Verso mezzogiorno, “dopo aver combattuto con grande disperazione”, i Fox iniziarono a perdere terreno e si dettero alla fuga nella “confusione più totale”, soltanto l’intervento dei Dakota impedì la loro distruzione, un “nuovo grido di guerra sarebbe corso in aiuto dei loro alleati”. I Chippewa, a corto di munizioni, dovettero retrocedere e ben pochi “avrebbero raccontato la triste storia della sconfitta e la morte di uomini coraggiosi”, erano in pochi, ma continuavano a resistere agli attacchi nemici. Fu allora che, “nel momento opportuno”, arrivarono i guerrieri “tanto attesi”, erano “freschi e baldanzosi e volevano mostrare il loro coraggio in battaglia”, “desiderosi di combattere, si precipitarono sul campo di battaglia”, i Dakota e i Fox non seppero resistere all’urto, “si dettero alla fuga” e, “si dice che molti di loro caddero in battaglia, molti vennero sbattuti sulle rocce dalla furia dell’acqua, altri precipitarono nei vortici del fiume”. Altri ancora, nel tentativo di “saltare sulle strette canoe, si capovolsero nelle rapide”; “ogni fessura delle scogliere avrebbe contenuto un nemico morto o ferito”, i Chippewa subirono notevoli perdite e fra i morti vi era il fratello di Waub-o-jeeg, ma lo stesso capo si trovò sul corpo “i segni della grande lotta combattuta, tra i quali spiccava una profonda ferita al petto”. I resti dei Fox fuggirono velocemente, ma sul terreno avevano lasciato un gran numero di morti. La battaglia delle St. Croix Falls venne ricordata in varie tradizioni Chippewa, il capo che aveva guidato i guerrieri era Waub-o-jeeg, un leader ben noto che pose fine alla potenza dei Fox, antichi nemici della sua gente. Le tradizioni Chippewa ci dicono che questo leader avrebbe condotto la sua gente in sette vittoriose battaglie contro i Sioux e gli “Outagamies” (Fox), dove era stato ferito per ben tre volte, alla coscia, alla spalla destra e, l’ultima volta, nel fianco e nel petto. Quando, durante l’ultima spedizione, Waub-o-jeeg, guidò i Chippewa nella battaglia del St. Croix, lo Schoolcraft ci è venuto in aiuto. Lo studioso non menziona i circa sessanta guerrieri provenienti dai villaggi del Sandy Lake, ovvero quelli che decisero le sorti della battaglia; le tradizioni di questo epico scontro riguardano principalmente quelle dei gruppi dell’alto Mississippi, i quali appresero “dalle labbra dei loro padri presenti allo scontro”, le gesta eroiche della tribù.
Dopo la battaglia del St. Croix, il capo aveva forse una ventina d’anni, ma già era ben noto come abile commerciante, avrebbe allora incontrato “un giovane signore di una rispettabile famiglia dell’Irlanda del nord…”, questi, John Johnston, avrebbe sposato sua figlia nel 1792 e avrebbe vissuto nelle zone di La Pointe per circa un anno. Comunque, Waub-o-jeeg sarebbe morto ancora giovane, probabilmente all’età di soli 45 anni; la data della sua morte riconduce all’anno 1793 nel suo villaggio di “Chagoimegon”. I suoi discendenti furono molto numerosi, alcuni di sangue misto, e tutti “connessi con famiglie importanti del nord-ovest”, lo Schoolcraft avrebbe sposato una donna del suo clan, “una moglie educata in Irlanda, una moglie amabile e amorevole”. Nell’anno 1781, una grossa banda Chippewa prese definitivamente possesso delle zone del Leech Lake, questa banda venne poi conosciuta con il nome di “Pillagers”, ovvero “Muk-im-dua-win-in-e-wug”, o “Madandwewiniwag” (“gli Uomini che Prendono con la Forza”). Questo gruppo avrebbe continuato per lunghi anni a guerreggiare contro i Dakotas, per togliere loro ampi territori di caccia, “ogni uomo capace di portare armi divenne un guerriero”; erano una banda bellicosa e di “spirito audace e indipendente”. La banda si sarebbe formata da gruppi provenienti dai clan “Bear” (Orso) e “Catfish” (Pesce Gatto, “A-waus-e”), e probabilmente composta da almeno un centinaio di guerrieri. Le bande dei laghi Red, Cass e Winnipeg, e sul fiume Pembina, sarebbero invece diventate note come “Northern Chippewa”. I Pillagers, nonostante le continue guerre contro i Sioux, si sarebbero sempre più rinforzati numericamente, divenendo una delle più importanti bande della nazione. Le tradizioni dei vecchi Pillagers raccontano il perché vennero conosciuti con questo nome. « Durante l’estate la banda del Lago Leech si mosse verso il ricco territorio di caccia dei Dakotas, accampandosi presso l’ingresso di una piccola insenatura del Crow Wing River, circa 10 miglia sopra la sua confluenza nel Mississippi. Molti preparativi furono fatti per svolgere il grande rito del medawe, quando una grande canoa giunse dalla parte inferiore del Mississippi, era presidiata da uomini bianchi e carica di mercanzie … Il capo dei bianchi era molto malato (Mr. Berti) e non fu in grado di barattare con gli ansiosi indiani. Molta merce era bagnata dalla pioggia ed era esposta al sole per asciugare … Gli indiani erano ansiosi, avevano molte pellicce ed erano pronti a festeggiare … Non vi era un piano concertato e nessuna intenzione di saccheggiare i bianchi. Un certo numero di giovani, donne e bambini stavano intorno e ammiravano i beni che erano stati esposti ad asciugare, desideravano di possederli … ma ben sapevano che vi erano uomini bianchi molto avari … gli uomini bianchi avevano notato le pelli di castoro e furono disposti a barattare … Un giovane Chippewa prese un panno e altri seguirono il suo esempio portando via camicie, tessuti per coperte e altre mercanzie che portarono come trofei alle loro logge. I saccheggi divennero effettivi e tutti, uomini, donne e bambini, si assicuravano la maggior quantità di prodotti possibili. Un barile di acqua di fuoco venne scoperto, ciò aggiunse eccitazione e gli uomini divennero pericolosi, così i bianchi si imbarcarono sulla vuota canoa e lasciarono l’inospitale campo dei Chippewa per salvarsi la vita ». Si dice che il capo dei traders sia morto della malattia di cui era affetto alle Sauk Rapids, sul Mississippi. Nello stesso periodo, le bande dell’Upper Mississippi non commerciavano ancora regolarmente con i traders, gli indiani erano obbligati a spostarsi a La Pointe, Sault St. Marie e Mackinaw durante i periodi estivi, alfine di procurarsi i vettovagliamenti e le armi a loro necessarie. Pochi commercianti bianchi si spingevano così a ovest ma, in genere, si fermavano sulle rive del Lago Superiore. Per compensare la cattiva condotta dei Pillagers, ed anche prevenire conseguenze spiacevoli, parecchi gruppi Chippewa raccolsero un gran numero di balle di pellicce di castoro e le portarono a Mackinaw per consegnarle alle autorità britanniche. Tutti i Chippewa che ricevettero regali dagli inglesi “si ammalarono rapidamente, uno dopo l’altro, e morirono”. La malattia si diffuse rapidamente in diversi villaggi, i morti furono numerosi e le varie bande devastate dall’ennesima epidemia di vaiolo; molti indiani ancor oggi ritengono che il vaiolo venne portato dai bianchi “per punirli dell’attacco ai commercianti”. Era una “cattiva Medicina” ed anche il Douglas Houghton ne sentì parlare, tanto da segnalarla allo stesso Schoolcraft nel 1832, la datazione da lui data per il tragico evento era l’anno 1770. Le fonti del Warren sembrano comunque essere ben più attendibili. « Un gruppo di guerra composto da Kenistenos, Assineboines e Chippewa si riuniva presso un grande villaggio sul Dead River, posto nelle vicinanze del Northern Red River ». La spedizione procedette verso ovest fino al “Ke-che-pe-gan-o” (Missouri), dove si sarebbe imbattuta in un grande villaggio degli indiani “Gi-aucth-in-ne-wug” (“Gros Ventres”, “Hidatsa”). I guerrieri circondarono l’insediamento e poi attaccarono, rendendosi ben presto conto che la resistenza degli nativi era troppo debole per impensierirli. I razziatori si “assicurarono un gran numero di scalpi, ma scoprirono molte logge piene di cadaveri, di cui non si poteva sopportare la puzza”; i Chippewa, e i loro alleati, si ritirarono velocemente dopo “essersi assicurati gli scalpi dei nemici che avevano ucciso, tra i quali vi era il cuoio capelluto di un vecchio che doveva essere un gigante di grandi dimensioni, si diceva che il suo cuoio capelluto era grande come una pelle di castoro. Al loro ritorno a casa, per cinque notti consecutive, questo cuoio capelluto era stato attaccato ad un corto bastone ma, la mattina dopo, venne trovato inclinato verso ovest. Questo semplice caso avrebbe suscitato timori nei superstiziosi Chippewa, e quando, il quarto giorno, uno di loro morì, gettarono via lo scalpo e procedettero verso casa velocemente”.

Nel frattempo, l’epidemia iniziava a mietere vittime, molti indiani “si ammalarono e morirono”, il vaiolo avrebbe attaccato diversi insediamenti e la malattia continuò a mietere vittime. Questi tragici eventi colpirono anche i Cree e gli Assiniboin, i quali chiamarono “Ne-bo” il Death River, il “Fiume della Morte”. Alexander Henry, “il Giovane”, avrebbe attraversato questo fiume il 17 agosto 1800, scrisse che il nome gli venne dato dopo che una spedizione di guerra Sioux aveva assalito un piccolo accampamento di indiani Cree, portando alla morte un gran numero di uomini, donne e bambini; la maggior parte dei guerrieri Cree era impegnata nei commerci e per gli aggressori fu particolarmente facile attaccare il campo. Nel tentativo di sfuggire l’epidemia, i Chippewa di questo villaggio si spostarono ancor più a nord-ovest, ma il contagio si era ormai diffuso sul Rainy Lake, dove perirono molti indiani; poi si sul Pigeon River e, infine, negli insediamenti del Lago Superiore, per poi, dal Grand Portage a Fond du Lac, proprio nel momento in cui i Pillagers entravano in contatto con gli inglesi di Mackinaw. L’epidemia sarebbe allora stata portata al Sandy Lake e ai villaggi del Leech Lake dove, a quanto sembra, avrebbe gradatamente perso forza. E’ accertato che il grande villaggio Chippewa del Sandy Lake abbia subito pesantemente l’epidemia di vaiolo e, a quanto sembra, il grande villaggio si ridusse a sole sette capanne abitate. La massiccia epidemia del 1780-82 avrebbe anche raggiunto il fiume Mississippi. Sembra che le perdite fra le tribù alleate – Chippewa, Cree e Assiniboin – siano ammontate a diverse migliaia di anime; per quanto riguarda i Chippewa si parlava dai 1.500 ai 2 mila morti. Negli ultimi anni del XVIII secolo, i castori, i bisonti, le alci e i cervi e altri animali stavano ormai scomparendo dalle terre dei laghi Leech e Sandy, fu allora che le bande Chippewa di queste terre dovettero mettersi in movimento alla ricerca di nuovi territori di caccia. Alcuni gruppi avrebbero raggiunto il Gull Lake e la confluenza del Crow Wing con il grande Mississippi, per poi spostarsi sempre più all’interno del territorio dei Dakota. In quel periodo, la Long Prairie era il territorio invernale preferito dalle bande Dakota poi conosciute come “Warpeton e Sisseton”. Gli scontri con i Chippewa erano però all’ordine del giorno e, spesso, “guerrieri solitari rientravano carichi di scalpi nemici”. I capi degli accampamenti Dakota e Chippewa ma, soprattutto gli anziani, “deprecavano questo stato di cose”, alla fine venne “fumato il calumet della pace” e, per lunghe settimane “la caccia si svolse amichevolmente e molte visite ai campi nemici si sarebbero susseguite senza alcun timore”. Una pace temporanea serviva a rinsaldare la tribù, ma anche a trovare nuovi amici negli accampamenti un tempo nemici, ora era importante creare il “pin-dig-o-daud-e-win”, un termine nativo significante “Quelli che Entrano nelle Logge degli altri”. I capi Chippewa “marciavano senza paura verso i campi dei Dakota, questi, circondati da donne e bambini, pensavano alla sicurezza dei loro cari, con i loro cuori probabilmente pieni di fiele e di vendetta … ma salutavano con il lancio di armi l’arrivo dei nuovi amici”. Poi la “pipa della pace” aveva il sopravvento e gli scambi di visite amichevoli divennero sempre più frequenti, “spesso si scambiavano regali, e spesso un capo Dakota, o viceversa, adottava un bambino Chippewa come fratello”. Questi legami venivano contratti anche per rinvigorire e riempire un vuoto numerico all’interno di una famiglia allargata; spesso, nelle guerre fra le due tribù, un fratello adottato venne salvato da morte sicura. Nel corso della loro storia, vi erano comunque molti casi in cui la pace temporanea veniva rotta da gesti compiuti da “giovani sciocchi”, le dirette conseguenze riportavano i tempi in cui le tribù si combattevano aspramente. Un capo dei Pillagers, “Esh-ke-bug-e-coshe”, avrebbe avuto un ruolo importante nel corso della storia dei Chippewa, avrebbe riportato alle fonti notizie estremamente interessanti. Esh-ke-bug-e-coshe era figlio del capo Wa-son-aun-e-qua (“Yellow Hair”), ma non fu un leader che aveva ereditato la carica, anzi, aveva dovuto guadagnarsela, viste le sue grandi doti di oratore, cacciatore, guerriero e uomo di Medicina. Capelli Gialli “aveva grande temperamento, ma era anche molto vendicativo e assetato di vendetta … Si diceva che le persone che gli dettero dispiaceri perdevano la vita in maniera improvvisa e inspiegabile”; il suo popolo “lo temeva ma aveva di lui grande considerazione”. Un guerriero “War-pe-ton” (Wahpeton), richiese a Capelli Gialli (“Yellow Hair”) di “diventare suo fratello”; la richiesta venne subito accettata e “i due guerrieri si trattarono vicendevolmente come fratelli”, Capelli Gialli imparò la lingua Dakota, poi prese in moglie una donna Sioux prigioniera, “imparando la lingua con maggiore facilità”. Le due tribù si incontravano spesso sul Mississippi durante l’estate e l’inverno. Capelli Gialli stava cacciando nella Long Prairie, “il suo campo era costituito da sole quattro logge, si trovava sulle rive boscose di un piccolo lago che, in parte, entrava in una profonda foresta; l’altra estremità del lago si estendeva nella aperta prateria”. Le tradizioni ci dicono che, “i ragazzi delle quattro logge erano abituati ad andare a giocare sul lago ghiacciato … i genitori li lasciavano andare perché non avevano nulla da temere”. Una mattina Capelli Gialli si spinse nella foresta a cacciare, “la madre dei suoi figli stava facendo i suoi doveri nella loggia, quando un gemito lamentoso si udì improvvisamente, la madre, correndo via, vide il ragazzo più vecchio che strisciava dolorosamente verso casa in mezzo alla neve, era sanguinante e scalpato”. Il ragazzo, stremato, “sono stati i Dakota!”, “l’angoscia della madre piangente si trasmise anche alle logge vicine”, gli altri corsero velocemente sulla riva del lago, “tre bambini giacevano morti e straziati, il tomahawk dei Dakota aveva colpito”. Il “cacciatore Chippewa” giunse verso sera al campo, “giusto in tempo per sentire il suo ragazzo che stava morendo”, avrebbe ascoltato in silenzio il suo racconto, “aveva il cuore straziato, ma nessuna lacrima gli rigava il volto”. La mattina successiva “il campo venne tolto” e gli indiani si trasferirono sul Leech Lake “portandosi dietro i cadaveri dei figli assassinati”; Capelli Gialli sarebbe ben presto ritornato indietro alla ricerca degli assassini, al suo fianco vi erano cinque guerrieri. Nelle zone del Crow Wing “trovarono i Chippewa del Sandy Lake”, i quali accusarono apertamente i Dakota delle Praterie e non sicuramente i “Warpeton” (o “Lower Dakotas”). I capi dei Chippewa del Sandy Lake invitarono Capelli Gialli ad un Consiglio, cercarono vanamente di impedirgli di scendere “sul sentiero di guerra”, volevano continuare a vivere in pace. Capelli Gialli era inflessibile, accettò i regali dei capi del campo e poi, con i suoi cinque uomini, si mosse verso casa “fingendo di aver accettato i loro consigli”. Infine si diresse verso la Long Prairie. Giunti al Sault Lake scoprirono tracce che si diramavano in varie direzioni, continuando la marcia si imbatterono in due logge, i guerrieri “capirono che stavano avvicinandosi velocemente alle loro prede”, erano “desiderosi di combattere e volevano dimostrare il loro coraggio”. Sull’alto corso del Crow River, Yellow Hair aveva finalmente raggiunto “i suoi nemici”, ed ora era pronto a colpire. Alle prime luci dell’alba i Sioux vennero svegliati dal grido di guerra dei Chippewa, dopo i primi momenti di sorpresa, “i Dakotas reagirono al fuoco nemico e la lotta infuriò vorticosamente”, durante “un intervallo di fuoco”, una voce “ferita” chiamò gli assalitori, “Ahimé! Perché volete che io muoia? Pensavo che la mia strada fosse libera e che cieli senza nuvole fossero sopra di me. La mia gente vive in queste terre e il sangue non è nei miei pensieri”. Yellow Hair riconobbe la voce del guerriero, era “suo fratello di sangue, ma ora il suo cuore era diventato duro come la selce”, capì le sue parole e rispose, “Fratello mio, anche il cielo sopra di me era senza nuvole, ho vissuto senza paura, ma un lupo ha distrutto i miei figli … Fratello mio, si può morire anche per questo”. Fratello mio, “io non lo sapevo”, rispose il Dakota, “nessuno della mia gente si aspettava l’arrivo dei lupi della prateria”, ma la battaglia continuò fino a coprire le voci dei guerrieri. Dopo questo primo tragico scontro la lotta riprese furiosamente, Yellow Hair si spinse all’attacco, i guerrieri entrarono nel piccolo accampamento e il capo entrò nella loggia di “suo fratello”, questi, benché ferito, trovò la forza di sparare con il suo fucile, il colpo venne sviato e Yellow Hair lo uccise, poi, con i suoi guerrieri riprese la via del ritorno. La vendetta era stata completata. Nel 1783, il vecchio capo dei Pillagers, “Esh-ke-bug-e-coshe”, raccontava che quando era ragazzino fu presente ad un incontro con i traders sulla confluenza del Partridge River (“Pe-na”, in Chippewa “biné”) con il Crow Wing River, quando la sua gente venne attaccata da una “grande spedizione di guerra dei Dakotas”. Un “trading house” era stato costruito da un commerciante che gli indiani conoscevano come “Ah-wish-to-yah” (“il Fabbro”), il quale, “avventurosamente” si era spinto in quelle terre pericolose, dove Pillagers e Sioux si combattevano strenuamente. Alcuni giorni prima dieci cacciatori si erano spinti nelle zone di caccia per “mettere trappole per i castori”, una notte, mentre gli indiani “dormivano tranquillamente”, improvvisamente apparvero i Dakotas, “erano circa 200 guerrieri”.


Dipinto di Dough Hall

I “dieci cacciatori, il giorno precedente, scoprirono le tracce del nemico, si dirigevano verso il loro campo, le loro narici odoravano ancora il profumo del tabacco dei Dakotas, il loro senso acuto delle narici distinguevano i grandi cacciatori”. La direzione dei nemici portava al campo indifeso, allora si mossero velocemente procedendo verso il “trading house” del francese, evitando il campo nemico, i cui guerrieri stavano riposando durante la notte. Marciarono tutta la notte e giunsero alla postazione prima dell’arrivo nemico, “rafforzarono le barriere difensive intorno alla casa …, mentre le donne e i bambini si rifugiavano all’interno dell’abitazione”. I cacciatori, e il commerciante, affiancati da alcuni “coureurs du bois”, ammontavano a circa 20 uomini, ma erano pronti a combattere duramente contro i numerosi nemici. Fece allora la sua comparsa il nemico, erano “sulla riva opposta del fiume e stavano preparandosi alla battaglia, si adornavano con piume, ornamenti e colori vari” e, “facendo affidamento sul loro numero, attraversarono coraggiosamente il torrente ghiacciato, poi iniziarono a scagliare frecce accompagnate da terrificanti grida di guerra”. Le frecce nemiche furono innocue, ma la risposta dei traders e dei cacciatori Chippewa fu tremenda, “proiettili di morte mietevano vittime e i Dakotas che si avvicinavano alla palizzata pagavano duramente la loro temerarietà”. I “Dakotas delle praterie avevano ben pochi fucili, forse dodici in tutto”, combatterono con archi e frecce ma vennero respinti, “però molte frecce cadevano all’interno dei recinti e sulle teste dei difensori, alcuni dei quali furono costretti a ritirarsi nei ricoveri … le frecce spinate cadevano come fiocchi di neve e la battaglia ridiventò cruenta”. Ma i nemici “esaurirono le frecce, erano esausti e avevano perso numerosi guerrieri”, alla fine si ritirarono “trascinando via i loro morti che poi gettarono in buche praticate nel ghiaccio, onde evitare che venissero scalpati”. Dopo la battaglia giunsero altri indiani Chippewa, ormai erano “in circa 40 con i bianchi”, questi, verso il tramonto, erano “ansiosi di perseguire i nemici in piena ritirata”, fu il commerciante francese a dissuaderli dall’impresa, ed allora rinunciarono ai loro intenti.
Intorno al 1792 saliva alla ribalta John Baptiste Cadotte, un trader spesso menzionato nelle narrative di Alexander Henry. Il Cadotte, educato in un collegio di Montreal (1773-80), avrebbe passato l’inverno nella “Bay of Shag-a-waum-ik-ong”, dove ottenne un gran numero di pelli di castoro da commerciare a Montreal. Nello stesso anno venne segnalato, con il fratello Michel, nelle zone di Sault St. Marie, L’Ance, La Pointe, Folle Avoine, Las Courtes d’Oreilles, Crow Wing e Little Lake Winnipeg. Quando l’Henry gli mise a disposizione un largo equipaggiamento, il Cadotte si sarebbe spostato sull’alto corso del Mississippi, dove i castori erano molto abbondanti. Secondo il Jean Baptiste Perrault, fu nel 1791 che il Cadotte venne equipaggiato dall’Henry per raggiungere il Leech Lake, dove vivevano i Chippewa noti come “Pillagers”. I pochi intraprendenti traders che si avventuravano a ovest rischiavano seriamente la vita, potevano essere uccisi dai Dakotas oppure dai Chipppewa. Il Cadotte avrebbe organizzato una grande spedizione, composta da uomini esperti affiancati da alcuni Irochesi che da lungo tempo affiancavano i traders. Al suo fianco vi erano ben noti personaggi, fra questi spiccavano il Reyaulm, il Pickette, il Roberts e il Bell, tutti “ben attrezzati per commerciare e catturare animali da pelliccia”. Complessivamente la spedizione comprendeva una sessantina di uomini, tra cui Michael, il giovane fratello del Cadotte; questi uomini si raggrupparono a Sault St. Marie nella tarda estate, avevano grandi canoe di corteccia di betulla, che divennero poi famose come le “Canoe du maitre” (“Canoe Maestre”), ben adatte per commerciare pellicce, erano abbastanza leggere e potevano essere trasportate – dai “coureurs du bois” sulle spalle – senza grande fatica lungo i molti “portages” del territorio. La spedizione avrebbe costeggiato le rive meridionali del Lago Superiore, procedendo poi verso Fond du Lac ed entrare nel St. Louis River; poi, dopo nove miglia di accidentato territorio raggiungeva un “grand portage”, per trovarsi di fronte le “tremende rapide del fiume”, ed infine raggiungere il Sandy Lake. Da questa posizione, le informazioni a nostra disposizione differiscono sensibilmente. Alcune ricordano che risalirono il corso del Mississippi fino al Leech Lake, poi al Cass Lake e, dopo un “breve portage”, proseguirono fino al Red Lake, al Red River e, seguendo il corso di un torrente, si sarebbero stabiliti per l’inverno nella “Prairie Portage”, dove incontrarono due traders provenienti dal “Grand Portage” lungo la rotta del Rainy Lake. Uno di questi era il famoso Cameron. Proseguirono lungo il corso del Mississippi fino alla confluenza del Crow Wing River, per giungere infine al Leaf, un fiume che sfocia nel Crow Wing, e dove i trappers scoprirono molte tracce indicanti la presenza di numerosi castori, così, “procedettero verso le terre dei Dakotas. In quel periodo, le terre del Leech Lake erano considerate l’estrema frontiera nord-occidentale del territorio Chippewa, in particolare dei “Pillagers”, i quali, onde evitare attacchi improvvisi, si ritiravano su un’isola del lago. I Dakotas ben sapevano che queste terre erano molto ambite dai traders, dai Pillagers e dai Chippewa del Sandy Lake, allora si posizionavano in accampamenti invernali per poter fronteggiare l’eventuale avanzata degli invasori ma, in alcuni casi, commerciavano liberamente con i bianchi.

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