- www.farwest.it - https://www.farwest.it -

Il ragazzo-pietra

A cura di Ginetta Rocchi

All’interno di una capanna sudatoria
La leggenda del Ragazzo Pietra ha molte versioni e ad ogni versione ognuno di noi dà un significato diverso. Questa versione fu udita da Cane Corvo, nella riserva del fiume Cheyenne. Cane Corvo ascoltava questa leggenda dai narratori, riuniti attorno al fuoco.
Nei lontani giorni degli Indiani, una fanciulla ed i suoi cinque fratelli vivevano insieme. La gente in quei tempi doveva procurarsi il cibo; era questa la loro principale preoccupazione.
Così, mentre la sorella cucinava e cuciva abiti, i fratelli trascorrevano il tempo cacciando.
Accadde una volta che questa famiglia trasferisse la sua tenda in fondo ad un canyon. Era uno strano e silenzioso posto, ma vi era acqua nel fiume e la selvaggina abbondava.
Il canyon era fresco d’estate e riparato dal freddo in inverno. Quando i fratelli erano fuori a cacciare, la fanciulla era sempre in ansia per loro. Attendendo ed ascoltando, le pareva di udire dei rumori. Spesso pensava che fossero i loro passi, ma quando guardava fuori, non c’era nessuno.
Accadde che una sera soltanto quattro dei cinque fratelli tornassero dalla caccia. Essi e la sorella rimasero svegli tutta la notte, cercando di immaginare quello che poteva essere accaduto all’altro fratello. Il giorno seguente i giovani andarono a caccia, ma solo tre tornarono a casa. Di nuovo la sorella e loro rimasero svegli tutta la notte a fantasticare. La sera successiva soltanto due tornarono a casa, ed essi e la sorella ebbero paura.
In quei lontani giorni gli Indiani non avevano cerimonie sacre o preghiere che potessero guidarli, per questo no era facile per la sorella ed i suoi due fratelli osservare, nella notte in quel posto spettrale.
Il mattino i fratelli uscirono ancora, ma solo uno ritornò durante la notte.

Indiani che fumano la pipa rituale
Indiani che fumano la pipa rituale

Subito la fanciulla si mise a gridare ed a pregarlo di restare a casa. Ma dovevano mangiare, così al mattino il suo ultimo e più giovane fratello, quello che lei amava più di tutti, usci a cacciare.
Come gli altri, non ritornò. Ora non v’era più nessuno che potesse portare cibo e acqua alla fanciulla, o proteggerla.
In lacrime, la fanciulla lasciò il canyon e si arrampicò sulla cima della collina. Avrebbe voluto morire, ma non sapeva come farlo.
Ad un tratto vide una pietra rotonda che giaceva sul terreno. Credendo che l’avrebbe uccisa, la raccolse e la ingoiò.
Rasserenata la fanciulla tornò alla tenda. Bevve dell’acqua e sentì uno strano rimescolio dentro di sè, come se la pietra le stesse dicendo di non preoccuparsi.
E benché non potesse dormire per l’assenza dei fratelli, nondimeno si sentì confortata.
Il giorno dopo scoprì che non le era rimasto nulla da mangiare , tranne del pemmican e delle bacche. Si propose di mangiarli e di bere dell’acqua del fiume, ma si accorse di non aver fame. Si sentiva come se fosse stata ad una festa e camminava intorno cantando da sola. Il giorno seguente, poi, si svegliò così felice come non le era mai accaduto prima..
Il quarto giorno da quando era rimasta sola, avvertì dolore. “È la fine”, pensò. “Ora morirò”. Non gliene importava; ma invece di morire diede alla luce un bimbo.
“Cosa ne faccio di questo bimbo?”, fantasticava. “Come è arrivato? Deve essere stata quella pietra che ho ingoiato”.
Il bimbo era forte ed aveva gli occhi che brillavano. Benchè la fanciulla si sentisse per un momento debole, tuttavia dovette prendersi cura di quella nuova vita, di suo figlio.
Lo chiamò Iyan Hokshi, RagazzoPietra, e lo avvolse negli abiti dei suoi fratelli. Giorno dopo giorno cresceva, dieci volte più in fretta che gli altri bimbi, e con un corpo assai più ben fatto.
La madre sapeva che il suo bimbo aveva grandi poteri. Un giorno, giocando fuori dalla tenda, il bimbo costruì, tutto da solo, un arco e delle frecce. La madre fu sorpresa nel vedere le punte in pietra delle sue frecce e si domandava come avesse potuto farle. E pensava: “Forse sa di essere una pietra che ho ingoiato”. “Deve essere certamente fatto di pietra”.
Il bimbo crebbe così in fretta che ben presto fu in grado di camminare. I suoi capelli divennero lunghi ed a mano a mano che cresceva la madre temeva ogni giorno di più di perderlo come aveva fatto con i suoi fratelli. Sovente ella piangeva e benchè egli non ne domandasse il perchè, sembrava lo sapesse.
Ben presto egli fu grande abbastanza per andare a caccia, e quando la madre lo capì, pianse più di prima. Ragazzo Pietra entrò nella tenda e le disse: “Madre, non piangere”.
“Tu avevi cinque zii”, gli disse, “ma andarono a caccia ed uno dopo l’altro non ritornarono più”. E gli raccontò come era nato, come era andata sulla cima della collina e l’aveva ingoiato, e come aveva sentito qualcosa muoversi nel suo grembo.
“Lo sò”, le disse, “e vado a cercare i tuoi fratelli, i miei zii”.
“Ma se non torni”, singhiozzò, “che cosa farò?” “Tornerò”, le disse. “Tornerò con i miei zii. Resta nella tenda sino al mio ritorno”.
Così al mattino seguente Iyan Hokshi cominciò a camminare e a cercare. E fece così fino all’imbrunire, quando alla fine trovò un buon posto per dormire. Vagò per quattro giorni, ed alla sera del quarto giornò annusò del fumo. Ragazzo Pietra ne seguì il profumo ed arrivò ad una tenda dalla quale, dal foro centrale ne usciva del fumo.
La tenda era brutta e cadente. All’interno Iyan potè vedere una vecchia anch’essa brutta.
Essa lo vide passare e, chiamandolo per nome, lo invitò a mangiare ed a restare per la notte. E benchè fosse agitato nei suoi pensieri ed un pò timido, Ragazzo Pietra entrò nella tenda. Si guardò intorno e vide cinque fagotti che erano ritti contro la parete della tenda. E cominciò a pensare cosa mai contenessero.
La vecchia stava cucinando della carne e quando fu pronta egli la mangiò, malgrado il suo gusto non fosse granchè. Più tradi essa distese un vecchio sporco mantello di buffalo affinchè egli potesse dormirci sopra, ma egli, intuendo il pericolo, rimase completamente sveglio.
“Ho male alla schiena”, disse la donna. “Prima che tu vada a dormire, desidererei che me la frizionassi camminandoci su e giù. Sono vecchia e sola, e non ho nessuno che mi aiuti ad alleviare il dolore”.
Si mise distesa e ragazzo Pietra cominciò a camminarle sulla schiena. Mentre camminava sentì che sotto il vestito di pelle di daino della donna v’era qualcosa di appuntito, qualcosa di aguzzo come un coltello od un ago, o la punta di un giavellotto. “Forse ha usato questo attrezzo tagliente per uccidere i miei zii”, pensò, “Forse ne ha intinto la punta con del veleno di serpente. Sì, deve essere proprio così”.
Iyan, dopo aver riflettuto, fece un salto in aria, tanto alto quanto gli fu possibile, e cadde giù sulla schiena della vecchia con gran fracasso. E saltò e saltò sino a che non fu esausto e la megera non giaceva morta con la schiena rotta.
Quindi Iyan andò dove i cinque fagotti giacevano legati insieme con delle rozze cinghie ed avvolti in pelli di animali. Li srotolò e vi trovò cinque cadaveri, secchi come carne essiccata al sole, e che non parevano nemmeno esseri umani. “Questi devono essere i miei zii”, pensò, ma non sapeva come farli resuscitare.
Fuori della brutta tenda c’era un cumulo di pietre, pietre rotonde e grigie. Si accorse che stavano parlando e gli parve di poter comprendere ciò che dicevano. “Iyan Hokshi, Ragazzo Pietra, tu sei uno di noi, sei della nostra specie, tu vieni da Tunka, tu vieni da Iyan. Ascolta; fai attenzione”.
Seguendo le loro istruzioni, costruì una piccola capanna a forma di cupola, con dei bastoncini di salice ricurvi. La ricoprì con le pelli di buffalo della vecchia e vi mise i cinque cadaveri rinsecchiti. Fuori all’aperto accese un fuoco, vi mise le pietre a scaldare e vi gettò pure la vecchia a bruciare. Quando le pietre furono incandescenti, Ragazzo Pietra, con l’aiuto di un ramo di corna di cervo che aveva trovato nei dintorni, le tirò fuori dal fuoco e ad una ad una le portò dentro la piccola capanna che aveva costruito. Raccolse la sacca dell’acqua della vecchia, una vescica di buffalo decorata di aculei lavorati e la riempì d’acqua. La tirò per le grezze cinghie che la tenevano insieme e portò anche quella dentro la capanna. Mise quindi i cinque corpi rinsecchiti in circolo intorno a lui.
Iyan chiuse l’ingresso della sua piccola casetta con un lembo di pelle di buffalo, affinchè l’aria non potesse nè entrare e neppure uscire. Quindi, versando dell’acqua dalla sacca sulle pietre e disse: “Voi mi avete condotte fino qui”. Per quattro volte versò l’acqua e per quattro colte aprì e rinchiuse l’apertura della capanna.
Ogni volta parlava alle pietre e loro rispondevano. A mano a mano che versava, il piccolo riparo si riempiva di vapore così denso da non lasciargli vedere nient’altro che una bianca foschia nell’oscurità. Quando versò l’acqua per la seconda volta, avvertì qualcosa che si agitava. Quando la versò per la terza volta, cominciò a cantare. E quando la versò per la quarta volta, quelle cose morte e secche cominciarono anch’esse a cantare e a parlare-
“Credo che siano tornati a vivere”, pensò Iyan, ragazzo Pietra. “Ora voglio vedere i miei zii”. Aprì il lembo di pelle per l’ultima volta, ed osservò il vapore uscire fuori e salire al cielo come una soffice nube. Le luci del falò e della luna rischiaravano la piccole dolce capanna e per mezzo di quelle riuscì a vedere cinque bei giovani che sedevano all’interno di essa. Gli disse: “Hou, lekshi, voi dovete essere i miei zii”. Essi sorridevano e ridevano, felici di essere tornati a vivere.
Iyan disse: “Questo è ciò che mia madre-vostra sorella- voleva. Questo è ciò che desiderava”. Ed aggiunse: “Le pietre mi hanno salvato ed ora hanno salvato voi. Iyan, Tunka – pietra – Tunka, Iyan. Tunkashila, lo spirito Antenato , impareremo a venerarlo. Questa piccola capanna, queste pietre, l’acqua, il fuoco, tutto ciò sarà sacro; d’ora in poi useremo tutte queste cose che abbiamo fatto qui per la prima volta: per purificarci, per vivere, per wichosani, per la nostra salute. Tutto questo ci è stato dato affinchè noi possiamo vivere. Noi saremo una tribù.”