Nueva Vizcaya

Il 7 maggio 1624 alcuni capi dei Tobosos si dichiararono sudditi della Corona e ricordarono che gli indiani Noñojes, o Cochames Chicos (probabilmente un ramo dei Chisos), con alcuni gruppi dei Tepehuanes e dei Salineros avevano combattuto gli spagnoli per circa 20 anni, durante i quali “non avevano ricevuto una istruzione cristiana”.


Un Cibolero

Il 30 aprile 1625 si presentava al governatore un emissario del Sinaloa occidentale, Pedro Coronado, era stato inviato dal capitano Diego Martinez de Urdaide, e doveva contattare il Vesga per riferirgli la situazione della Provincia. Le truppe stavano allora combattendo duramente contro gli indiani Soes, Calimones e altri gruppi alleati; il Coronado riferiva che le operazioni militari dell’Urdaide si erano concentrate soprattutto contro i Soes, una bellicosa popolazione stanziata a circa quattro leghe dal Presidio e dalla missione gesuita di Montesclaros. La tribù era guidata dal bellicoso capo noto come Jocopillo, il quale, avuto l’appoggio dei Calimones e degli Apacales guidati da un altro “bellicoso capo chiamato Huechuri”. Gli indiani avrebbero avuto l’intenzione di uccidere i padri gesuiti, il Castin e il Julio Pascual, ma anche i neofiti e tutti “i cristiani del territorio”. I due missionari riuscirono a salvarsi fuggendo nelle missioni vicine, mentre “otto capi cristiani vennero uccisi al pueblo di Vaca perché non volevano appoggiare la rivolta”. Nel frattempo, gli indiani Calimones presero le armi, dettero “fuoco alla città” e sfidarono apertamente gli spagnoli che, guidati dall’Urdaide, si riunirono pronti alla battaglia; “Un messaggero che era stato inviato dai ribelli, con certe richieste, venne ucciso, arrostito e mangiato”. Il capitano Urdaide scese in campo con 48 spagnoli “ben armati” e “cinquecento indiani amici”. La campagna sarebbe durata dodici giorni e i ribelli, dopo alcune devastanti sconfitte, furono costretti ad asserragliarsi tra le rocce della zona, resistettero a lungo e l’assedio durò ben 30 giorni, al termine del quale gli spagnoli, divisisi in vari gruppi armati, portarono l’ultimo assalto alla roccaforte indiana. Gli ostili perdettero circa 150 uomini, molti furono i feriti, mentre una quarantina di uomini e donne vennero catturati; i pochi gruppi superstiti preferirono poi dileguarsi nelle Sierras. Gli spagnoli avevano avuto soltanto il ferimento di quattro soldati, ma una trentina di indiani alleati avevano perso la vita combattendo. Prima di tornare vittoriosamente a Montesclaros, l’Urdaide fece impiccare 20 ribelli, con altri 26 “criminali e assassini, banditi dalla Provincia o condannati a servizi personali”, fra questi anche il bellicoso guerriero Tacanuri. Qualche decennio dopo, sotto il governatorato di Antonio de Oca Sarmiento (1666-70), si ebbero altri problemi, sia amministrativi che militari, dovuti soprattutto alla “negligenza” del suo predecessore, don Francisco de Gorraez. Quando il Sarmiento giunse a Durango venne informato della ribellione degli indiani Salineros, Tonoza, Yacoclames e altri gruppi alleati. Due settimane dopo i ribelli assalivano una carovana guidata dal capitano Pedro de Andrade a circa 70 leghe da El Parral, tutti gli uomini erano stati uccisi e tra questi anche il militare.


Una tipica abitazione Tepehuanes

Il Sarmiento dovette intervenire organizzando una spedizione punitiva, gli indiani vennero intercettati e costretti alla fuga, il territorio venne esplorato e devastato dalle truppe, mentre i Conchos vennero accusati di mettere a repentaglio i commerci con le province del New Mexico e del Sinaloa, partendo dalle loro basi poste sulle montagne. Le indagini del Sarmiento portarono anche alle condanne di un gesuita espulso dall’Ordine, don Francisco de los Rios, e di un civile di nome don Francisco Samosa; il Samosa venne arrestato, mentre il frate fu allontanato dal territorio. La successiva amministrazione fu quella di don Martin de Revollar, morto a El Parral il 19 novembre 1676, proprio quando nuove rivolte indiane si abbatterono sulla Nueva Vizcaya con “molti omicidi e altre atrocità commesse da undici nazioni di indiani ostili che vivevano nelle catene montuose delle zone di Guadiana ed El Parral”. Per far fronte alla situazione venne nominato Governatore don Lope de Sierra Osorio (1676-78), che giunse ad El Parral in gennaio. L’Osorio passò subito all’offensiva con il risultato che, in pochi giorni, “33 indios ostili” erano stati uccisi durante un attacco a sorpresa delle truppe. Nel 1688 gli spagnoli furono impegnati a pacificare le tribù che vivevano nelle terre lungo la strada che da El Parral portavano nella Sonora; il Governatore dovette organizzare parecchie campagne con ben pochi successi, tranne una vittoriosa campagna contro i ribelli Pimas. Nel frattempo giungevano notizie allarmanti, i francesi stavano avvicinandosi a La Junta de los Rios così, il Pardiñas, già impegnato dalle attività bellicose dei “Tobosos, Salineros, Cabesas, Chizos, Chichitames e Cholemes”, il 2 novembre 1688, ordinava al Retana di spostarsi a La Junta con 90 uomini ben armati. In riferimento agli indiani ribelli, il generale era stato incaricato di condurre una vigorosa campagna per “punirli duramente”.


Una fortificazione spagnola del XVII-XVIII secolo

Un altro compito del Retana era quello di salire a nord del Rio Grande per trattare condizioni di pace favorevoli con gli indiani del territorio, in modo da “prevenire una possibile alleanza tra loro e i francesi”. Il Retana avrebbe anche esplorato le coste texane e, durante il ritorno a La Junta de los Rios, avrebbe punito tre gruppi indigeni accusati di razzie e riprendendo parecchi cavalli che erano stati rubati agli spagnoli. Giunto a destinazione, ebbe modo di incontrare il “capo principale dei Cibolos” di ritorno dal Texas; era un “vecchio amico degli spagnoli” ed era conosciuto come Sabeata o Juan Xaviata. Il leader nativo informò il generale che i “mori” (i francesi) erano già morti, “erano stati assaliti e uccisi dalle nazioni confinanti”. Qualche anno dopo, nella primavera del 1693, la situazione peggiorò notevolmente nel Sinaloa, i gravi problemi furono causati da una epidemia di morbillo, subito seguita da una prolungata siccità. La situazione era gravissima, il lavoro nei campi era fermo e gli indiani, spinti dalla fame, accusavano il “Dio degli spagnoli” di essere il responsabile, così, molti fuggirono sulle alte Sierras, ben prima di un’altra “epidemia bovina”. Anche molti soldati erano gravemente malati così, due settimane dopo, gli indiani rinnovarono le depredazioni e, all’inizio di aprile, molti bianchi perdettero la vita e varie haciendas vennero depredate dei cavalli. Dovette intervenire il governatore Castillo, il quale inviava sul posto il capitano Juan Bautista Escorza con 35 soldati. Questi, rinforzato con altri 15 militari, si mosse immediatamente (2 maggio), aveva con sé 50 soldati e 24 scouts indiani e si mosse verso la Sierra del Diablo. La spedizione non avrebbe alcun esito positivo, gli “ostili” preferirono evitare scontri con le truppe e si dileguarono nel nulla. Notizie inquietanti provenivano anche dalla Sonora, allora il viceré decise di inviarvi altre truppe al comando di don Domingo Jironza Petriz de Cruzate, ex Governatore del Nuovo Messico. Nel frattempo, il capitano Escorza era infuriato per non aver intercettato i ribelli, l’Escorza dichiarava che gli indiani ostili appartenevano alla nazione Tobosos, spinti alle razzie per “necessità” e costantemente alla ricerca di nuovi alleati fra le tribù del territorio. Anche altri distaccamenti erano impegnati a contrastare le incursioni sempre più pressanti, gli indiani Chizos erano in subbuglio ed allora si mosse nuovamente il Retana.

Il 19 luglio, entrava a Los Posalmes, poi incontrava un capo dei Sunigugliglas che era accompagnato da don Nicolas, “governatore e capo dei Cibolos”; il leader si disse disposto a mantenere la pace. Alcuni capi delle tribù della zona espressero anche il desiderio di vivere in pace nel territorio, gli “ostili” lo avevano abbandonato da parecchio tempo per rifugiarsi sulle alte Sierras, inoltre si dissero disposti a condurre le truppe nelle rancherias dei ribelli Chichitames, Guazapayogliglas e Sisimbles. Il Retana rimase soddisfatto e dette grandi doni ai vari leader tribali dei “popoli amici del basso corso del fiume”. Il 28 luglio il comandante organizzava una spedizione contro i Chizos, gli ostili dovevano essere assaliti all’alba nelle loro roccaforti del Peñol de Santa Marta; al suo fianco avrebbero combattuto almeno 200 indiani alleati e tre Cibolos. L’attacco venne portato all’alba del 29 luglio, ma i Chizos riuscirono a sfuggire alla morsa per ritirarsi nella parte “più inaccessibile del Peñol”. Il Retana non mollò la presa e sferrò ancora tre o quattro assalti che risultarono inefficaci, soltanto un Chizos perse la vita negli scontri, mentre gli spagnoli ebbero quattro feriti con 10 degli indiani alleati. I ribelli non avevano comunque assorbito il colpo e cercarono di trattare la pace, si dissero disposti a scendere dal Peñol anche se “dovessero essere impiccati”. L’offerta venne accettata e il comandante inviò padre Gabriel Montes de Oca sulle roccaforti, doveva accompagnare i ribelli, ma i Chizos “non mantennero la parola” e si spostarono nelle vicinanze di una sorgente ai piedi della Sierra. La mattina seguente dei ribelli non vi era alcuna traccia, erano fuggiti durante la notte “attraverso una pista insanguinata”, una ricognizione spagnola ai piedi del Peñol avrebbe trovato i corpi di 22 uomini e 8 donne. Quando gli spagnoli distrussero la rancheria dei ribelli, vi trovarono i frutti dei loro saccheggi provenienti dal territorio del Coahuila. Secondo le testimonianze di un giovane ribelle catturato (30 luglio), i Chizos e i loro alleati erano guidati da “due vecchie donne indiane fuggite dal Coahuila”, inoltre riportava che, otto giorni prima, gli indiani avevano attaccato una missione uccidendo 10 persone, tra cui un capo indiano.
Continuando, il prigioniero riferiva che una ragazza spagnola era stata catturata, uccisa e poi “mangiata dalle donne più anziane”; poi rincarava la dose dicendo che “alcuni giorni prima” i Sunigugliglas avevano ucciso cinque Chizos durante uno scontro, li avrebbero costretti alla fuga e avrebbero recuperato parecchi cavalli razziati in precedenza.
Due giorni prima gli spagnoli avevano assalito una grande rancheria dei Chizos infliggendo loro gravissime perdite, così qualche settimana dopo, il 5 settembre, il Retana ricevette alcune delegazioni indiane a San Francisco de Conchos. Gli indiani si sottomisero e tra loro vi era don Santiago, un potente capo dei Chizos, era proprio il leader che aveva partecipato agli scontri sul Peñol de Santa Maria; gli spagnoli appresero allora che gli “Hijos de la Tierra” (“Figli della Terra”), i Las Piedras e gli Acoclames si erano uniti per dedicarsi alla coltivazione in una “pozza d’acqua sulle montagne”, nelle vicinanze di Encinillas. Questi indiani erano stati minacciati dai Chizos che temevano una loro possibile alleanza con gli spagnoli; inoltre, il Retana venne a sapere che i Cocoyomes, e i loro alleati, sotto la guida di don Francisco Tecolote, Lorencillo, Contreras e altri leader, avevano raggiunto la Sierra de Las Xacue e le regioni di Acatita, La Grande e Guapague; fu allora che i capi proposero di unirsi agli spagnoli per attaccare questi gruppi. Dalle fonti sembra che le bande del gruppo Chizos (o Conchos in generale) – da alcuni studiosi ritenuti dei Tobosos -, cioè gli Osatayogliglas, i Guazapayogliglas, i Chichitames e i Sisimbles avessero rispettivamente 42, 38, 30 e 54 guerrieri “armati di archi e frecce”. Nel novembre 1693 i risultati delle campagne del Retana dettero i suoi frutti, “quattro delle nazioni Chisos”, cioè i Chichitames, i Satapayogliglas, i Guazapayogliglas e gli Osatayogliglas, avevano deposto le armi; ma altri “ostili”, guidati dai Cocoyomes, continuavano a compiere incursioni contro gli insediamenti coloniali. Ormai era guerra all’ultimo sangue contro i Cocoyomes. Il Retana scese nuovamente in campo con 80 soldati e forniture sufficienti per quattro mesi di campagna; altre due squadre militari, sotto la guida del capitano Juan de Escorza e Martin de Ugalde, avrebbero attaccato i ribelli da altre direzioni. Della campagna abbiamo ben poche le notizie, ma l’esito fu comunque positivo. Nell’agosto 1693 il governatore Castillo inviava il capitano Juan de la Fuente nella Sonora, dove gli indiani Pimas stavano creando seri problemi. Il de la Fuente raggiunse Janos e, affiancato da alcuni coloni armati, si mosse verso la Sierra de Chiguicagui, ma i ribelli non furono individuati.


Nueva Galicia Map

Un rapido sguardo dobbiamo darlo anche alla regione messicana nota come “Jalisco”. Il Jalisco coloniale spagnolo non rappresentò sicuramente una singola entità politica, esso faceva parte del Regno della Nueva Galicia, un vasto territorio che dall’Oceano Pacifico raggiungeva le fasce pedemontane della Sierra Madre occidentale. Oltre al Jalisco, la Nueva Galicia comprendeva anche le regioni di Aguascalientes, Zacatecas, Nayarit e l’angolo nord-occidentale di San Luis Potosi. In questi immensi territori vivevano molte popolazioni indigene, alcune delle quali furono incontrate dai primi esploratori nell’anno 1522. Domingo Lazaro de Arregui, nel 1621, annotava che nella Nueva Galicia venivano parlate ben 72 lingue indigene. Quando gli spagnoli entrarono nel territorio vi trovarono numerosi gruppi nomadi di indiani Chichimecas. La distribuzione indigena di queste genti fu dovuta a diversi fattori. Il primo fu sicuramente dovuto alla campagna del Beltran de Guzman (1529-30), questi, “Con una grande forza di spagnoli, alleati del Messico e schiavi Tarascan, organizzò una campagna rapida e brutale che si sviluppò dal febbraio al giugno 1530. Il Guzman terrorizzava i nativi e spesso li faceva uccidere brutalmente, li faceva torturare e li schiavizzava”. Anche se il Guzman venne arrestato e imprigionato nel 1536, il suo regno del terrore avrebbe portato a vari spostamenti di popolazioni native, specialmente nel Jalisco. Un altro fattore fu rappresentato dalla “Mixtan rivolta” (1541-42), questa sollevazione fu un disperato tentativo degli indiani Cazcanes di cacciare gli spagnoli dal territorio; sarebbe intervenuto il viceré Mendoza con circa 450 soldati e quasi 30 mila alleati Aztechi e Tlaxcalan. La rivolta venne soffocata nel sangue e avrebbe provocato “migliaia di morti”. Un altro fattore che influenzò l’evoluzione del Jalisco fu rappresentato dalle relazioni spagnole con i loro alleati indiani. La natura etnica del territorio sarebbe mutata velocemente con l’arrivo di numerose famiglie messicane, alleate dei bianchi. Il Powell osservava che “gli indiani formarono il grosso delle forze che combatterono contro i guerrieri Chichimecas; erano combattenti, portatori, interpreti, esploratori ed emissari”. Entro la metà del XVI secolo i Tarascan, gli Aztechi, i Cholultecans, gli Otomis, i Tlaxcalan ed anche i Cazcanes si erano uniti alle forze spagnole. Con il tempo i Tarascan e gli Otomis in particolare avevano già sviluppato “una notevole esperienza di guerra al fianco degli spagnoli”, essi erano i “principali ausiliari impiegati contro i Chichimecas”; inoltre, questi indiani “incoraggiavano una graduale assimilazione dei Chichimecas”.

Nell’anno 1590 numerosi coloni di lingua Nahuatl, originari di Tlaxcala e della Valle del Messico, si stabilirono nel Jalisco fungendo da “milizia di frontiera” e con una forte influenza “civilizzatrice”. Con il raggiungimento della pace, gli indiani del Jalisco furono impiegati nelle haciendas e scomparvero velocemente come entità etniche ben definite. Un altro fattore importante fu dovuto alle malattie portate dai bianchi, il vaiolo, per esempio, comparve nel Messico nell’anno 1520 e, durante il primo secolo della conquista, gli indios messicani subirono ben 19 epidemie. Gli indiani furono esposti al vaiolo, alla varicella, alla difterite, all’influenza, alla scarlattina, al tifo, alla peste, al morbillo, alla parotite e a varie malattie emorragiche. Se nell’anno 1520 vi erano circa 855 mila indios nella Nueva Galicia, la conquista avrebbe portato le genti indigene alla perdita di più della metà della popolazione. Successivamente gli indios dell’altopiano furono deportati nelle piantagioni di cacao ed entro il 1560, dei circa 320 mila indiani degli altopiani ne restavano soltanto 20 mila. La peste del 1545-48 avrebbe ucciso più della metà degli indios superstiti degli altopiani. Nell’anno 1550 si ritiene che nella Nueva Galicia vi erano circa 220 mila indiani. Vediamo ora di dare almeno una conoscenza di base dei gruppi indigeni del Jalisco. I Cazcanes (Caxcanes) vivevano nella parte settentrionale dello Stato in gruppi seminomadi aventi numerosi centri religiosi, la loro lingua era parlata nella parte centro-settentrionale dello Stato, lungo i confini con lo Zacatecas. Come gruppo etnico i Cazcanes sarebbero scomparsi dalla scena storica nel corso del XIX secolo; anche lo Swanton menziona questa popolazione affermando che era una tribù Nahuatlan (Aztecoidan) di etnia Uto-Aztecan, lo studioso ricordava inoltre che i “Cazcan” veri e propri vivevano nella parte settentrionale di queste terre, mentre gli affini Tecuexes vivevano più a sud e i Cocas a ovest del lago Chapala.

I Cocas occupavano la parte centrale del Jalisco. Quando gli spagnoli entrarono nelle loro terre, questi indiani furono guidati dal capo Tzitlali, il quale preferì spostare la sua gente in una piccola valle circondata da alte montagne, in una terra che venne chiamata “Cocolan”. I Cocas erano gente pacifica, non opposero alcuna resistenza e gli spagnoli li lasciarono tranquilli nelle loro vallate. Lo Swanton li riteneva una divisione dei Cazcanes stanziata a ovest del lago Chapala (Jalisco), come i Tecuexes stanziati a nord del lago Chapala (Jalisco). Questi Tecuexes occupavano una vasta regione del Jalisco, a nord di Guadalajara e a ovest di Los Altos. Gli indiani Coras erano stanziati nel Nayarit e nella parte nord-occidentale del Jalisco; questa popolazione non si è estinta ed ancor oggi occupa le stesse terre. I Coras sono stati studiati da diversi storici e archeologi, fra cui lo Swanton, il quale afferma che si definivano “Nayarit” o “Nayariti”, e rappresentavano una divisione Taracahitian della famiglia linguistica Uto-Aztecan. Lo studioso ricordava anche le suddivisioni: i Coanos dell’estremo sud; gli Huaynamotas del ramo orientale del Rio Grande de Santiago; e gli Zayahuecos, stanziati a sud e a sud-est delle terre dei Coras. Gli indiani Cuyutecos parlavano la lingua Nahuatl degli Aztechi ed erano stanziati nel Jalisco sud-occidentale; questi indiani vennero distrutti dalle prime epidemie del Cinquecento e il nuovo popolamento sarebbe avvenuto con l’immigrazione di indios provenienti da altre parti del Messico. Per lo Swanton, i “Cuyutecas” erano di sconosciuta affiliazione linguistica. I Guachichiles, di tutti gli indiani “Chichimecas”, occupavano il territorio più esteso; divennero noti per la loro grande e valorosa resistenza all’avanzata coloniale spagnola durante la “guerra Chichimeca” (1550-90). Questi indiani vivevano nelle aree di Lagos de Moreno, Arandas, Ayo el Chico e Tepatitlan nella regione di Los Altos (Jalisco nord-orientale). Considerati particolarmente bellicosi, i Guachichiles vagavano anche nello Zacatecas; il loro nome, “Guachichile”, nelle lingue messicane significava “Teste Dipinte di Rosso”, in riferimento all’uso di dipingersi il corpo, il viso e i capelli di rosso.

Dopo la fine della “guerra Chichimeca”, vennero rapidamente assimilati per scomparire come entità etnica. Lo Swanton affermava che questi indiani erano probabilmente un gruppo di tribù connesse con gli Huichol, e classificati come degli Atzecoidan appartenenti al ceppo Uto-Aztecan. Gli Huicholes sarebbero discesi dai precedenti nomadi Guachichiles, ma si sarebbero spostati più a ovest nel Jalisco nord-occidentale, per stabilirsi e dedicarsi ad un certo tipo di agricoltura. Questi indiani rimasero isolati nelle loro terre e quindi sono riusciti ad evitare l’estinzione, oggi occupano le isolate regioni della Sierra Madre occidentale; la loro lingua è parlata nella parte settentrionale del Jalisco. Anche lo Swanton li ritiene affini ai Guachichiles e, con loro, rappresentano un ramo Aztecoidan (Nahuatlan) della famiglia Uto-Aztecan. Gli Otomis erano una “nazione Chichimecas” stanziata nel Queretaro e nel Jilotepec; grandi alleati degli spagnoli, questi indiani furono privilegiati ed esentati dal pagamento di tributi, con una certa autonomia dei loro villaggi. Nel 1550-90 gli Otomis combatterono i Chichimecas, poi si stabilirono in zone strategicamente importanti della Nueva Galicia. Lo Swanton ricorda che gli Otomis erano la principale tribù della famiglia Otomian, occupante gran parte del Queretaro e del Guanajuato, ma anche nella parte nord-occidentale dell’Hidalgo e in alcune zone dello Stato de México.


Un indiano Tarahumara

Una divisione settentrionale era conosciuta come “Serrano”, mentre un piccolo gruppo viveva sulle coste del Pacifico, a ovest del Colima; inoltre, gli indiani Mazahua (dello Stato de México e del Michoacan) sono considerati una loro suddivisione. Gli indiani Purepecha (Tarascans), anche conosciuti come Tarscos o Porhes, abitavano le terre del Michoacan e, anticamente, vantavano un potente Impero che rivaleggiava con quello degli Aztechi durante il XV e l’inizio del secolo successivo. La loro lingua viene classificata come isolata, essa era parlata nel Jalisco meridionale e nelle zone adiacenti al confine del Colima.

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