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Niente Oscar per Il Grinta (True Grit)!

A cura di Domenico Rizzi

Il tanto atteso remake dei fratelli Joel e Ethan Coen è arrivato anche sugli schermi italiani, accolto dal giudizio più che favorevole delle migliaia di appassionati del western ed anche di chi non conosce quasi nulla del popolare genere cinematografico.
Il film, “True Grit” nella versione originale, prodotto nel 2010 dalla Paramount Pictures, si avvale dell’eccezionale interpretazione di Jeff Bridges (figlio di quel Lloyd Bridges scomparso nel 1998 che interpretò il vicesceriffo di Gary Cooper in “Mezzogiorno di fuoco”, nel lontano 1952) Matt Damon, Josh Brolin e soprattutto della giovanissima Hailee Steinfeld, nata a Tarzana, vicino a Los Angeles, l’11 dicembre 1996. L’attrice è stata ingaggiata per il personaggio di Mattie Ross quando era ancora tredicenne, dimostrando di non avere nulla da invidiare alle colleghe più mature e senza far rimpiangere troppo Kim Darby, interprete del medesimo ruolo nel film diretto da Henry Hathaway nel 1969.
E in quel film, lo ricordiamo, arrivò l’Oscar alla carriera a John Wayne.
La Steinfeld, decisamente più graziosa, è sembrata maggiormente “nella parte” rispetto alla Darby, che di anni ne aveva già 22 e si era appena sposata quando venne scelta dalla produzione per lo stesso ruolo. Anche la notevole differenza di età, tenuto conto che Hailee è ancora adolescente, avrebbe dovuto pesare sul parere della giuria, se proprio non si voleva considerare la bravura di Bridges, la stupenda fotografia del film, l’ottima colonna sonora di Carter Burwell e la perfetta aderenza della trama al contesto storico epocale.


Un intenso primo piano di Jeff Bridges

Senza contare la maggior fedeltà della narrazione dei Coen al romanzo di Charles Portis e la suggestiva inquadratura finale della donna sulla collina, autentico, struggente ritratto di un’epopea al tramonto.
Giornali e critici avevano anticipato le ampie possibilità di questo film, destinatario di ben 10 nominations: miglior film, miglior attore (Bridges) miglior attrice non protagonista (Hailee Steinfeld) miglior sceneggiatura, miglior fotografia, miglior scenografia, migliori costumi, miglior montaggio del suono, miglior sonoro in diretta. Il risultato, come si sa, è stato assai deludente. E’ bene aggiungere comunque, per buona pace degli amanti del western e dei cinefili in generale, che le aspettative erano più che legittime. Senza nulla voler togliere ai meriti degli altri lavori in concorso, né ai loro registi, attori e tecnici, “Il Grinta” dei fratelli Coen almeno 3 Oscar li meritava davvero. Giudicando da un punto di vista personale, i premi sarebbero dovuti andare alla Steinfeld per le ragioni già esposte, a Bridges per il livello della sua recitazione ed alla fotografia per la suggestione di alcune scene girate nella natura incontaminata. Non si comprende, dunque, quale criterio di valutazione sia stato usato. Sebbene vi sia sempre un notevole scarto fra il numero di premi proposti ed assegnati – “Balla Coi Lupi” di Kevin Costner ebbe 14 proposte, ma ottenne 7 Oscar; “Gli spietati” di Clint Eastwood partì con 11 nominations, per guadagnare 4 Oscar – c’è da rimanere allibiti dinanzi alla sconcertante decisione adottata per questo film che oggettivamente vale.


La bravissima Hailee Steinfeld in azione

Anzi, è uno dei migliori western prodotti dai tempi della travolgente affermazione di Costner e di Eastwood. Non deve sorprendere che la versione precedente de “Il Grinta” abbia fatto ottenere l’Oscar a John Wayne, un attore lungamente sottovalutato, le cui idee cozzavano spesso contro il muro di una critica mal disposta nei suoi confronti. L’assegnazione dell’Oscar al “Duca” di Hollywood fu più una riparazione per le precedenti dimenticanze che una ricompensa alla sua recitazione nel film di Hathaway, che rimane pur sempre di altissima levatura, ma non più di altre sue interpretazioni. Analizzando la carriera dell’attore, Wayne avrebbe meritato il premio per la toccante parte del capitano Nathan Brittles in “I cavalieri del Nord Ovest (“She Wore a Yellow Ribbon”, John Ford, 1949) dell’avventuriero Ethan Edwards in “Sentieri selvaggi” (“The Searchers”, John Ford, 1956) e del ranchero Tom Doniphon in “L’uomo che uccise Liberty Valance” (“The Man Who Shot Liberty Valance”, John Ford, 1962) tralasciando altri ruoli in pellicole altrettanto famose (“Red River”, Il Fiume Rosso, 1948 di Howard Hawks; “A Quiet Man”, Un uomo tranquillo, 1952 di John Ford). Ad ogni modo, se neppure alla prima edizione de “Il Grinta” vennero riconosciuti dei meriti, almeno l’attore ebbe una gratificazione e la sua bravura nei panni di Rooster Cogburn rimane fuori discussione.
Premesso ciò, Jeff Bridges non gli è affatto da meno nella moderna riproposizione e riesce a suscitare nel pubblico quella bonaria comprensione che supera la viscerale ripugnanza del primo impatto. Il suo Cogburn è duro come legno stagionato, fradicio di whisky e probabilmente maleodorante come una puzzola, ma nell’unico occhio che possiede si può leggere il suo cuore. Per continuare con i paragoni, Hailee Steinfeld appare invece decisamente superiore all’attrice che interpretò lo stesso ruolo oltre quarant’anni fa. E’ più spontanea, meno frenata nei comportamenti, paradossalmente meno bambina della Darby nonostante la giovanissima età.


Matt Damon nei panni di un Texas Ranger

E’ una vera ragazza cresciuta nel West, che non ha paura a dormire in un obitorio, ad attraversare a cavallo un fiume minaccioso o a battagliare con un adulto per sostenere le proprie ragioni. Il suo scopo è catturare l’assassino del padre, per la soddisfazione di vederlo penzolare da una forca eretta nella pubblica piazza. Mattie è il simbolo delle piccole donne della Frontiera che spesso a 14 anni avevano già patito dolorose vicende familiari – genitori o parenti uccisi, morti di stenti, a causa del colera o del morso di un serpente velenoso, dilaniati dagli artigli di un orso grizzly – abbattuto e scuoiato animali selvatici, montato un cavallo riottoso o sparato ad un Indiano ostile. La sua immagine sullo schermo è una proiezione del West non ancora completamente colonizzato – siamo verso la fine degli Anni Settanta – quando i Pellirosse scappavano dalle riserve per compiere razzie e i “desperados” erano sempre in agguato sulle accidentate piste occidentali. La Mattie impersonata dalla Steinfeld somiglia a tante fanciulle passate alla leggenda con i nomi di Calamity Jane, Susan Shelby o Annie Oakley, capaci di percorrere migliaia di miglia su un carro Conestoga – come le protagoniste di “Westward the Women” (Donne verso l’ignoto) celebre film pionieristico diretto da William A. Wellman nel 1951 – tenere testa ad un gradasso ubriaco in un saloon e respingere un pretendente indesiderato.
Esaminando le due diverse edizioni di “True Grit”, si trovano molti punti di convergenza. La successione delle scene è pressoché identica, tranne nel finale che risulta notevolmente modificato, ma è anche maggiormente aderente all’opera letteraria a cui si ispira.


Il vecchio Grinta impersonato da John Wayne

La figura del Ranger texano La Boeuf (Glenn Campbell nel film di Hathaway, Matt Damon nel più recente) non si discosta granchè nelle due pellicole, suscitando la stessa antipatia tanto nel protagonista Cogburn quanto nel pubblico. Pressochè identiche molte scene d’azione, da quella dell’attraversamento del fiume da parte della ragazza, alla caduta di quest’ultima nella fossa dei serpenti. Anche lo scontro fra il Grinta e i quattro banditi di Tom Chaney, è memorabile e spettacolare in entrambe le edizioni e riporta alle immagini classiche del miglior western. I Coen aggiungono spietatamente un dettaglio che inquadra meglio la mentalità razzista dell’epoca e della sua gente. Nella sequenza iniziale dell’impiccagione dei tre banditi, mentre a due di essi è concesso di parlare alla folla prima dell’esecuzione, al terzo, un Indiano, viene messo subito il cappuccio nero. Una sequenza drammaticamente realistica, perchè la Frontiera non concedeva ai Pellirosse la stessa dignità dei Bianchi.
Dove il racconto si differenzia è soprattutto nell’epilogo. Nel primo film, La Boeuf muore dopo aver salvato Cogburn, consentendo a quest’ultimo di liberare Mattie dalla mortale minaccia dei crotali. I Coen preferiscono infine, alla trionfale uscita di scena del Grinta, che si congeda dalla ragazza saltando un’alta staccionata con il suo cavallo, una conclusione meno scontata. Mattie, quarantenne rimasta nubile e priva di un braccio come conseguenza del morso di un serpente, va in cerca dei suoi antichi salvatori, Cogburn e La Boeuf. Siamo nel 1903 e il West ormai esiste soltanto nelle rappresentazioni circensi del colonnello Cody; il Grinta è morto da poco tempo, mentre del Ranger, che è ormai un anziano, si sono perse le tracce. I due uomini che danno a Mattie la notizia della recente scomparsa del primo sono attori che lavorano nel Wild West di Buffalo Bill. Uno di essi è il famigerato Cole Younger, ex membro della banda di Jesse James, che cesserà di vivere nel 1916: un richiamo a figure storiche rese patetiche dal trascorrere del tempo, impietosa allusione all’inesorabile declino del protagonista, che ha probabilmente terminato la sua vita avventurosa esibendosi in uno spettacolo da circo.


Una delle sparatorie del film

Il film si conclude con l’inquadratura della donna che sale lentamente sulla collina dove si trova una tomba. E’ finita un’epopea eroica, di uomini veri come “True Grit”, di selvagge praterie dove la ragione seguiva la legge del più forte. Con essa, si è consumata forse inutilmente anche l’esistenza di Mattie Ross, il cui futuro è affidato soltanto al ricordo.
Ma forse alcune sfumature di straordinaria bellezza che il film possiede non sono state colte appieno dalla critica. Soprattutto, non si è compreso il contesto in cui la storia si svolge, nè il mirabile sforzo revisionista di far rivivere una Frontiera senza miti. Ancora oggi, purtroppo, il western viene spesso considerato un genere secondario e nonostante gli Oscar attribuiti a “Mezzogiorno di fuoco”, a “Balla Coi Lupi” e “Gli spietati” soffre ancora di qualche discriminazione. Eppure l’America affonda innegabilmente le proprie radici nell’antica Frontiera di cow-boy e Pellirosse, di banditi e cacciatori, di intrepidi esploratori e donne agguerrite e l’esplosione delle frastornanti metropoli moderne come New York e Miami non possono far dimenticare le parole dello storico statunitense Frederick Jackson Turner nel 1893: “Il punto di vista vero per capire la storia di questa nazione non è la costa che guarda l’Oceano Atlantico, è il grande West.”