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Carlo di Rudio, da Garibaldi al West (con Custer)

A cura di Walter Musizza e Giovanni De Donà

Carlo di Rudio
Di lui lo storico americano Charles K. Mills scrisse che fu un sopravvissuto nato. Ed in effetti, a colpire della vita del conte Camillo Carlo di Rudio è anzitutto il turbine di avventure vissute, in un caleidoscopico susseguirsi di pericoli corsi e di morti scampate, in cui è difficile distinguere spesso il valore dalla fortuna. Ma su una cosa tutti dobbiamo concordare: tra i tanti personaggi, grandi e piccoli, che pullulano nell’epopea garibaldina e in quella, altrettanto mitica, del Far West americano, il nostro ha saputo ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto. E non si tratta solo di quantità di imprese compiute, ma soprattutto di qualità delle stesse, in virtù di un coraggio smisurato, baciato sempre da una fortuna incredibilmente benigna nei suoi confronti. Se poi aggiungiamo a tutto ciò una punta di mistero circa i suoi veri rapporti con i potenti, fossero Crispi o Custer, ci accorgiamo di trovarci di fronte a un uomo la cui vita superò ogni immaginabile fiction.
Il conte Carlo Camillo di Rudio, che nella vita si guadagnò diversi epiteti, da “Moretto” a “Carletto”, da “The Count”, a “Seminarista”, nacque a Safforze di Belluno il 26 agosto 1832, dove esiste ancora la vecchia villa di famiglia. Cresciuto tra sani giochi nei boschi e spartane lezioni del nonno, il colonnello Fortunato De Domini, appena tredicenne si iscrisse col fratello Achille al collegio militare di San Luca a Milano. Ma quando divampò nel 1848 la fatidica “primavera dei popoli”, egli assistette a ignobili episodi di violenza da parte dei soldati di Radetzky e maturò un forte sentimento antiaustriaco.
Smessa la giubba bianca dell’Accademia di Graz, corse col fratello a combattere per Venezia agli ordini di Calvi e a fianco di Felice Orsini. Nell’aprile 1849 si arruolò nelle file garibaldine e combatté per la Repubblica Romana, conoscendo Mazzini, Mameli e Bixio. Arrestato dai francesi del Gen. Oudinot, fuggì pugnalando una sentinella e, catturato di nuovo, riuscì ancora ad eludere la sorveglianza e a imbarcarsi per New York. La nave, però, in seguito a una tempesta fu costretta a riparare a Cartagena e da qui il bellunese, vestito da prete, raggiunse a piedi prima Barcellona e quindi Marsiglia. Condannato per sedizione dalla polizia di Napoleone III, riuscì a spacciarsi per inglese e a raggiungere Parigi per combattere sulle barricate coi giacobini.


Carlo di Rudio in dolce compagnia

Riparato in Svizzera, venne arrestato ed espulso, finendo a Londra, dove Mazzini gli trovò lavoro come giardiniere. Rientrato a Belluno, sperò invano in una rivolta antiaustriaca in Cadore, ma poi ritornò in Inghilterra, guadagnandosi da vivere come cantante. Qui conobbe la nobile quindicenne Eliza Booth, che sarebbe divenuta poi sua moglie. Nel gennaio 1858 era a Parigi con Felice Orsini, Giuseppe Pieri e Antonio Gomez per attentare alla vita di Napoleone III, ma dopo il fallimento dell’impresa venne condannato con i complici alla ghigliottina. All’ultimo istante, però, la pena capitale fu commutata nella prigionia all’Isola del Diavolo, nella Cajenna. Dopo un anno d’inferno, di Rudio, con una decina di galeotti, fuggì in barca raggiungendo in modo rocambolesco New Amsterdam, nella Gujana Britannica. Nel febbraio 1860 era di nuovo a Londra accanto alla moglie Eliza, ma per poco.
Nel febbraio 1864 sbarcava a New York per combattere con i nordisti e tale fu il valore dimostrato, che alla fine del conflitto venne assegnato col grado di sottotenente al mitico 7º Cavalleria. E nel nuovo reggimento seppe farsi apprezzare, fino alla tragica giornata del 25 giugno 1876, quando gli uomini di Custer furono sterminati a Little Bighorn dai guerrieri Sioux e Cheyenne. La fortuna ancora una volta fu dalla parte del bellunese, destinandolo in quelle ore esiziali al reparto del Maggiore Reno, che riuscì in parte a salvarsi: di Rudio si nascose nella vegetazione e vagò per due giorni, fino a ricongiungersi ai compagni. Finito davanti alla corte marziale per diserzione, fu scagionato completamente, rimanendo nel 7º fino al 1896, quando, all’età di 64 anni, andò in pensione col grado di Maggiore.


Carlo di Rudio in tarda età

Morì a Los Angeles il 1º novembre 1910, lasciando la moglie Eliza, il figlio Hercules e le tre figlie Italia, Roma e America. La straordinaria avventura di questo bellunese è stata raccontata dal libro di Cesare Marino “Dal Piave al Little Bighorn” (Ed. A. Tarantola, 1996), la cui ristampa è imminente, eppure a 100 anni dalla scomparsa tra gli infiniti meandri della vita di Carlo c’è ancora molto da scoprire ed approfondire. Un filone di ricerca può essere costituito senz’altro dai suoi rapporti con Francesco Crispi, che egli dichiarò essere stato tra i partecipanti all’attentato di Napoleone III. Inutile dire che siffatta rivelazione, capace di creare un autentico incidente diplomatico tra Francia ed Italia, solleva il bellunese agli onori della grande storia e accresce ancor più il nostro interesse verso di lui.