John Wyane, attore ormai affermato

A cura di Domenico Rizzi

Speciale a puntate: 1) John Wayne, un gigante del cinema western 2) La lunga gavetta di John Wayne 3) John Wayne: la ripresa del western 4) John Wyane, attore ormai affermato 5) Altri film di John Wayne 6) Strada aperta per John Wayne 7) Il meglio di John Wayne 8) Strade diverse 9) Alamo, un trionfo a caro prezzo 10) Uomo d’azione 11) Eroe nell’ombra 12) Gli anni del cambiamento 13) Il lento declino 14) La solitudine dell’eroe

Ai dirigenti della Republic, la casa di produzione con la quale Wayne aveva girato nel 1938 “Red River Range” sotto la regia di George Sherman, “Ombre Rosse” non piacque molto. Abituati ad un western prevalentemente d’azione, senza troppi approfondimenti psicologici, lo definirono statico, con inquadrature e dialoghi troppo insistiti e qualcuno non esitò a definirlo noioso. Non avevano compreso che il genere, essendo ormai lontani i tempi in cui era stato innalzato da registi come David Griffith e Thomas H. Ince stava facendo un nuovo salto di qualità e neppure si rendevano conto che John Wayne si veniva affermando come un vero protagonista dello schermo.
Tuttavia, il decollo dell’attore era soltanto iniziato.
Dal 1939 al 1947, anche durante il conflitto mondiale, il Duca si sarebbe buttato a capofitto in una serie di pellicole che ne avrebbero tenuta alta la popolarità. Infatti girò 32 film, per la maggior parte di impronta western, ma impegnandosi anche in parti diverse con attrici famose: per esempio, interpretò nel 1940 “Seven Sinners” (La taverna dei sette peccati) prodotto dalla Universal, per la regia di Tay Garnett, al fianco di Marlene Dietrich.
Con la Republic fece nel 1942 il celebre film di guerra “Flying Tigers” (I falchi di Rangoon, regia di David Miller) e con la RKO “La signorina e il cow-boy”, di William A. Seiter, nel quale ebbe come partner l’attrice Jean Arthur. Nel ’44 Wayne tornò alle avventure sugli oceani con “The Fighting Seabees” (I conquistatori dei sette mari, produzione Republic) diretto da Howard Lydecker ed Edward Ludwig, con la dolce Susan Hayward come protagonista femminile.
Poi, siccome era in corso l’aspro conflitto contro i Giapponesi, John interpretò due pellicole che ricalcavano il medesimo tema: “Back to Bataan” (Gli eroi del Pacifico, 1945) di Edward Dmytrik e “They Were Expendable” (I sacrificati di Bataan, 1945). Con quest’ultimo tornò ad essere diretto da John Ford, dopo una pausa durata cinque anni. Infatti, poco tempo dopo “Ombre Rosse”, l’originale regista irlandese l’aveva impiegato nel film “The Long Voyage Home” (Il lungo viaggio di ritorno).
Ma da Ford era lecito che Wayne si aspettasse molto di più, perché di lì a poco, terminato il periodo bellico, sarebbe stata prodotta la trilogia destinata a lanciare il Duca nell’olimpo del cinema western.
Sebbene fosse ormai indiscutibile la sua consacrazione come attore di rilievo, John aspettava di vedersi nuovamente alla ribalta con un grande successo che ripetesse “Stagecoach”.


Un’immagine tratta da “Red River”

“Il massacro di Fort Apache”, “Rio Bravo” ed “I cavalieri del Nord-Ovest”, inframmezzati da un capolavoro come “Il Fiume Rosso” di Howard Hawks, avrebbero assecondato questa sua aspirazione.
Lo spunto derivava dal racconto “Massacre”, di James Warner Bellah, sul quale Frank S. Nugent imbastì una solida sceneggiatura. Il riferimento appariva inequivocabilmente alla battaglia del Little Big Horn: il personaggio principale, almeno quello negativo, sembrava in tutto e per tutto una caricatura del Custer disprezzato dalla tradizione e condannato dagli storici, ma inquadrato nell’arido contesto del Sud-Ovest anziché nelle verdi distese del Montana.
Neppure gli Indiani erano gli stessi che avevano annientato il Settimo Cavalleria. Ancora una volta (in “Ombre Rosse” l’assalto alla diligenza era stato guidato da Geronimo) Ford preferì gli Apache di Cochise ai Sioux di Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Lo fece certamente anche per un motivo paesaggistico: dare risalto alle aspre solitudini della Monument Valley in Arizona – già teatro di “Ombre Rosse e “Sfida infernale” – nella quale il suo rapporto con la tribù dei Navajo era diventato familiare ed improntato alla reciproca collaborazione.
In questo film, prodotto dalla RKO, John Wayne non emerse inizialmente come il personaggio principale della vicenda, imperniata sulla figura del colonnello Owen Thurday (nella versione italiana Turner) interpretato da Henry Fonda, nel quale Ford riponeva un’alta considerazione. Infatti l’aveva diretto in “My Darling Clementine” (Sfida infernale, 1946) parodisticamente rievocativo della notissima sfida all’O.K. Corral, della cui dinamica reale non conteneva tuttavia nulla.
Ma Wayne, il capitano Kirby York alle prese con un superiore cocciuto e intollerante, rappresentava l’eroe positivo e senza ambiguità, votato ad una causa da difendere anche quando gli sembrasse manifestamente sbagliata. Sebbene la sua parte apparisse in ombra rispetto al carisma dominante di Fonda, sul “New York Times” Bosley Crowther avrebbe definito ugualmente l’attore “bravissimo, potente, schietto e genuino” (Alan G. Barbour, “John Wayne”, Milano, 1979, p. 90)
Se Thursday imitava un borioso Custer, la figura di Wayne era stata modellata sul clichè dell’ufficiale saggio e capace e poteva richiamare quella storica del capitano Frederick Benteen, l’uomo che aveva scongiurato il disastro dei reparti e salvato l’onore del reggimento a Little Big Horn.
In realtà, il punto di forza del film risiedeva per buona parte nei caratteristi, che riuscivano ad arricchire magistralmente il contesto militare ideato da Ford.
Infatti lo scenario si animava di attori che il pubblico avrebbe rivisto anche nei successivi lavori del regista di origine irlandese: John Agar, Victor Mc Laglen, Pedro Armendariz e George O’Brien.
Con “Fort Apache” – distribuito in Italia nel 1948 con il titolo “Il massacro di Fort Apache” – Ford inaugurò un cast destinato ad assicurargli una trilogia di successo.
Soltanto l’attrice Shirley Temple – interprete di Philadelphia Owen, figlia del colonnello – non sarebbe rimasta a lungo sulla scia di Wayne, destinato in futuro a lavorare con la rossa Maureen O’Hara, con Joanne Dru e con la giovanissima Nathalie Wood.


Un’immagine di “Stagecoach”

Pur essendo incontestabile che il fulcro della vicenda fosse il colonnello Thursday, impulsivo e revanscista quanto Custer, il capitano York rappresentava l’elemento d’equilibrio del film, il soldato ligio al dovere, audace e coraggioso senza mai sconfinare nell’azzardo. Le sue qualità umane erano quelle già riassunte da Ringo Kid in “Ombre Rosse”: lo sguardo aperto e leale, insieme alle sue maniere sbrigative e risolute, conquistarono definitivamente il pubblico.
Wayne aveva raggiunto l’età di 41 anni e l’era dei B-movies sembrava ormai lontana: adesso lo attendevano grandi traguardi.
Si stava infatti specializzando nella parte di uomo in divisa, benchè nella vita reale non l’avesse mai indossata. Per questo, il generale Douglas Mc Arthur, l’uomo che aveva costretto il Giappone alla resa, gli fece forse il miglior complimento della sua carriera cinematografica: “Lei è la più tipica figura del soldato americano: più soldato di un soldato autentico!”
Il 1948 fu davvero l’anno della definitiva affermazione di John Wayne.
Howard Hawks era un regista molto apprezzato, alla ricerca di un protagonista per girare un western “adulto”. Quando propose la parte di Tom Dunson a Wayne, questi arricciò il naso. Avrebbe dovuto interpretare la figura di un vecchio ranchero, arcigno e tirannico, all’apparenza privo di sentimenti, arido come la natura delle praterie attraversate dalle mandrie di longhorn che solcavano le piste polverose. Soprattutto, a John non garbava l’dea di apparire nei panni di un anziano, ma Hawks vinse le sue resistenze con una battuta: “Duca, lo diventerai abbastanza presto, perché non fai un po’ di pratica?”
Concluso il contratto, il regista iniziò la lavorazione di uno dei maggiori western della storia. Tratto dal racconto “The Chisholm Trail” di Borden Chase, che ne curò anche la sceneggiatura, il film si intitolò “Red River”, dal nome del fiume che fa da confine settentrionale del Texas.
Il cast era costituito dal bravissimo Walter Brennan (Groot Nadine) e dal giovane Montgomery Clift (Mathew Garth), mentre l’elemento femminile si riassumeva nella grazia di Joanne Dru (Tess Millay). Il commento musicale venne affidato al grande Dimitri Tiomkin, uno specialista che si sarebbe segnalato parecchie volte anche in seguito per le geniali colonne sonore.
La trama sviluppava un tema classico dell’epopea del cow-boy: il tragitto di una mandria di bovini dalle pianure del Texas verso il Missouri, poco tempo dopo la fine della Guerra Civile. Il conflitto che in “Fort Apache” vedeva Wayne dalla parte del giusto contro l’ostinato colonnello Thursday, era rovesciato: l’intrattabile Dunson finiva per inimicarsi sia il saggio Nadine che il figlio adottivo Mathew. Il duello finale assumeva l’aspetto di una scazzottata risolutiva, portando la rappacificazione fra i due uomini al termine di una serie di dure peripezie.


The Chisholm Trail

Nella parte di Dunson, Wayne se la cavò ottimamente, dominando letteralmente lo schermo nonostante la bravura dei suoi co-protagonisti. L’elogio fattogli da Hawks mise indirettamente in risalto l’eccessiva pignoleria di John Ford, che velatamente venne accusato di “trattare Wayne come un principiante”, nonostante l’adorazione che il Duca nutriva per lui. “Ford fu l’unico uomo” dichiarò senza mezzi termini lo stesso Hawks in un’intervista “a poter abusare di Wayne e a passarla liscia, mentre io lo trattavo alla pari”.
L’opinione del regista sul Duca non cambiò mai più: “Wayne era maledettamente bravo, altrimenti non sarebbe stato sulla cresta dell’onda così a lungo” Ma Hawks scoprì un’altra grande qualità di John, quella di saper improvvisare dialoghi e azione. “Wayne non leggeva mai i copioni che gli davo. Voleva sempre che fossi io a raccontarglieli…Sapeva memorizzare due pagine di battute in tre o quattro minuti.” (da: Joseph Mc Bride, “Il cinema secondo Hawks”, Pratiche Editrice, Parma, 1992, pp. 144-47).
Ma anche l’esigente Ford aveva scoperto le capacità dell’attore e dopo “Fort Apache” gli stava preparando una parte da protagonista assoluto in un film dal romantico titolo: “She Wore A Yellow Ribbon” (Lei portava un nastro giallo) che in Italia sarebbe uscito come “I cavalieri del Nord-Ovest”.
Wayne aveva sperimentato con grande successo ne “Il Fiume Rosso” la parte di un vecchio.
Quando vestirà i panni del capitano Nathan Brittles alle soglie della pensione stupirà tutti per l’eccezionalità della sua interpretazione.
Ma non erano i tempi in cui gli Oscar venivano assegnati facilmente.
Per un attore di western, a quell’epoca l’impresa sarebbe stata addirittura impossibile.

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