John Wayne, un gigante del cinema western

A cura di Domenico Rizzi

Speciale a puntate: 1) John Wayne, un gigante del cinema western 2) La lunga gavetta di John Wayne 3) John Wayne: la ripresa del western 4) John Wyane, attore ormai affermato 5) Altri film di John Wayne 6) Strada aperta per John Wayne 7) Il meglio di John Wayne 8) Strade diverse 9) Alamo, un trionfo a caro prezzo 10) Uomo d’azione 11) Eroe nell’ombra 12) Gli anni del cambiamento 13) Il lento declino 14) La solitudine dell’eroe

John Wayne
John Wayne si è spento l’11 giugno 1979 in una clinica di Los Angeles, per un male incurabile. Aveva cavalcato per l’ultima volta in “The Shootist” (Il pistolero) di Don Siegel, recitando la parte di malato senza speranza che la vita gli aveva realmente imposto. I necrologi del grande “Jake” si sprecarono su tutta la stampa mondiale, anche se i giudizi non furono univoci. Purtroppo per alcuni Wayne rappresentava un’America disprezzata da molti, quella del trionfalismo e dell’apologia dell’avventura vietnamita cantata ne “I Berretti Verdi”. Premesso ciò, in questa serie di articoli parleremo soprattutto dell’attore e di ciò che ha rappresentato nella lunga storia del cinema western. E’ una rassegna necessariamente ristretta, rivolta essenzialmente alle opere più selezionate del grande attore.
Ciò che si può dire innanzitutto di John Wayne è di essere stato a lungo incompreso e accomunato talvolta, da chi intendeva fare di tutte le erbe un fascio, ai protagonisti di “B movies” come Ronald Reagan e Audie Murphy.
Del resto si sa fin troppo bene che il western è stato ritenuto a lungo un genere di seconda classe e i suoi interpreti non furono quasi mai gratificati dalle parti assunte nelle pellicole di Indiani e cow-boy. Solo in tempi recenti la critica si è infatti sbilanciata a suo favore in maniera quasi esagerata, concedendo 7 Oscar a “Balla Coi Lupi” di Costner e 4 a “Gli spietati” di Eastwood.
Seguendo tale logica discriminatoria, a John Wayne venne assegnato l’Oscar alla carriera per “Il Grinta”, che non era stato certo il suo film migliore. Un contentino finale per la lunga militanza sulle scene di un attore eccezionale e versatile, capace di improvvisare sul set la maggior parte delle sue interpretazioni senza leggere le battute del copione, come gli riconobbe il regista John Ford. Durante i suoi 49 di carriera, in oltre 250 film John – “The Duke”, come venne soprannominato – impersonò figure di sceriffi, pistoleros, militari, poliziotti, ufficiali di marina, allevatori di bestiame e gente comune, come nello stupendo ritratto irlandese di “Un uomo tranquillo”.


Un’immagine tratta da “Il Grinta”

John Wayne avrebbe meritato assai più di un Oscar, per “I cavalieri del Nord-Ovest” soprattutto, ma forse anche per altri western come “Sentieri selvaggi” e “L’uomo che uccise Liberty Valance”.
Ma la giustizia degli uomini, si sa, è imperfetta e spesso intempestiva. Se dobbiamo affidare “ai posteri l’ardua sentenza”, ebbene, considerato il livello di molti film attuali e le manciate di riconoscimenti che vengono talvolta attribuiti ad essi, il nostro caro John è da considerarsi veramente grande.
Fra i giganti della cinematografia di tutti i tempi, detiene senz’altro un posto di primo piano, che gli spettava quand’era in vita e gli spetta tutt’ora.

L’uomo

John Wayne – vero nome Michael Marion Morrison, era nato il 26 maggio 1907 a Winterset, nello Iowa, primogenito di Clyde e Mary Morrison, ma nel 1913 la sua famiglia si trasferì a Palmdale, in California, dove si occupò di un ranch ai limiti del Mojave Desert. Un paio d’anni dopo, i Morrison, praticamente falliti, si trasferirono nuovamente, questa volta a Glendale, dove Michael poté frequentare la High School (scuola superiore). Al conseguimento del diploma, il giovane tentò di accedere all’Accademia Militare della Marina di Annapolis, ma nella selezione preliminare non riuscì a spuntarla sugli altri concorrenti. Si iscrisse perciò all’Università della Southern California, avvalendosi di una borsa di studio ottenuta per meriti sportivi come giocatore di football americano. Mentre il padre Clyde cambiava per l’ennesima volta lavoro, lasciando la farmacia che aveva gestito a Glendale per passare alla produzione di gelati – attività che gli sarebbe costata un nuovo fallimento – Michael, a corto di soldi, si diede a svolgere i lavori più disparati per raggranellare il denaro necessario al proprio mantenimento. Fu Howard Jones, suo allenatore sportivo, ad assecondarne la richiesta di lavorare negli studi cinematografici. Presentò il giovane a Tom Mix, un attore famosissimo, che ne parlò favorevolmente al regista George Marshall. Questi lo assunse come costumista e attrezzista con un compenso di 35 dollari la settimana, uno stipendio davvero elevato per quei tempi. In breve, Michael passò alle dipendenze di un altro regista che avrebbe fatto la sua fortuna: John Ford. Con lui continuò a svolgere il lavoro di attrezzista, ma ottenne anche le sue prime parti come comparsa.


Un’immagine tratta da “Rio Bravo”

La sua prima apparizione sugli schermi in un ruolo marginale è nel film “The Drop Kick”, prodotto dalla Warner Brothers nel 1927 per la regia di Millard Webb. Ma prima che il giovane riuscisse ad ottenere un ruolo da primario, dovettero trascorrere altri tre anni.
Come la maggior parte degli attori, John Wayne ebbe una vita sentimentale movimentata. Si sposò nel 1933, quando non era ancora affermato, con Josephine Saenz, figlia di un console panamense. Anche se la donna lo rese quattro volte padre – due maschi, Michael e Patrick e due femmine, Toni e Melinda – l’unione naufragò dopo nove anni, a causa dell’eccessivo impegno di John nel cinema, che indusse la moglie ad abbandonarlo.
Nel 1942, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti con Giappone, Germania e Italia, Wayne insistette per arruolarsi nell’esercito, ma a causa dell’età – aveva 35 anni – e del numeroso carico familiare, le sue reiterate richieste furono respinte. Per ironia della sorte, nel cinema John avrebbe dato il meglio di sé proprio nelle parti di soldato, ma al momento dovette accontentarsi di visitare ospedali militari e caserme per risollevare il morale delle truppe.
Terminato il conflitto, mentre si trovava nel Messico, conobbe Esperanza Bauer, figlia di un diplomatico e all’inizio del 1946 convolò con lei a nuove nozze, ma la seconda esperienza matrimoniale si concluse peggio della prima. Nel 1953, dopo continue discussioni e aspri litigi, la coppia si separò definitivamente. A John non restò altro che dedicarsi anima e corpo alla propria carriera, che dopo “Ombre Rosse”, “Il massacro di Fort Apache”, “Rio Bravo” e “I cavalieri del Nord-Ovest” aveva imboccato la parabola ascendente.
La Battaglia di Alamo
Fu durante un viaggio nel Perù, mentre era alla ricerca dell’ambientazione per il film che aveva in cantiere – “La battaglia di Alamo”, da lui prodotto, diretto e interpretato – che l’attore conobbe Pilar Palette, un’attrice sudamericana della quale si invaghì immediatamente. Alla fine del 1954, ottenuto il divorzio dalla Bauer, Wayne si sposò dunque per la terza volta. L’ultima moglie gli avrebbe dato altri tre figli: Aissa, Ethan e Marisa.
La sua vita privata, favorevolmente influenzata anche dai numerosi successi cinematografici di quegli anni, trascorse in maniera esaltante per circa un decennio, durante il quale il nome e la fama di John Wayne fecero il giro del mondo.
Poi, nel 1964, i medici gli diagnosticarono un cancro ai polmoni, che richiese il ricovero in una clinica di Los Angeles. Dopo l’intervento e le terapie, John sembrò essere ritornato l’uomo di sempre e nel 1969 guadagnò il suo primo ed unico Oscar. Ma il male che aveva minato il suo fisico apparentemente incrollabile, proseguì la sua lenta opera in maniera strisciante. “Il pistolero”, nel 1976, fu la sua ultima apparizione sugli schermi, straordinaria e commovente com’era stata la sua esistenza.
Ma forse John aveva incominciato a spegnersi qualche anno prima, quando il western – dopo l’irruzione di Sergio Leone – si era rapidamente trasformato.
Ormai non c’era più posto per il taciturno Ethan, né per il patetico capitano Brittles,. Clint Eastwood, Lee Van Cleef e Charles Bronson avevano lanciato un altro clichè, quello del pistolero spietato dallo sguardo di ghiaccio, che agisce per denaro o per vendetta.
Il vero addio, John l’aveva già dato nel 1962 con “L’uomo che uccise Liberty Valance”, quando il roccioso Tom Doniphon si era dovuto arrendere ad un uomo che non portava con sé la pistola, ma dei libri di legge.
Il West cedeva il posto all’ordine e al progresso. Ai rudi conquistatori delle sue polverose e inospitali praterie, non rimaneva che rifugiarsi malinconicamente nella leggenda.

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