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Le mille ipotesi sull’avventurosa vita di John Colter

A cura di Gualtiero Fabbri

John Colter incontra gli indiani
John Colter nacque nel 1774 o nel 1775 ad Augusta County (Virginia) da Joseph Colter ed Ellen Shields e morì il 7 maggio 1812. Sulla data della morte esiste anche l’ipotesi del 22 novembre 1813. L’incertezza sulle date è strettamente collegata all’assenza, a tutt’oggi, di prove certe che avvalorino un’ipotesi piuttosto che un’altra.
Nel 1780 la famiglia si trasferisce in Kentuky nei pressi dell’odierna Maysville e qui, forse, Colter per un certo periodo ha servito nei Rangers di Simon Kenton.
Null’altro si conosce di lui fino al 1803, quando si arruola nell’esercito degli Stati Uniti. Nel 1804 è di stanza a Camp Dubois, dove è registrata a suo carico una punizione di dieci giorni di cella per insubordinazione inflittagli dal sergente Ordway.
Lo stesso anno, nelle vesti di soldato semplice, prende parte alla famosa spedizione di Lewis e Clark (1804-1806) per uno stipendio di 5 $ mensili.
Nonostante la sua inguaribile indisciplina, che lo porterà vicino alla radiazione, ben presto si dimostrerà uno dei migliori cacciatori della spedizione ed un valente scout e sarà utilizzato dalla spedizione per la ricerca di selvaggina e di piste percorribili. Dall’agosto 1805, John Colter viene utilizzato anche in qualità di staffetta di collegamento quando la spedizione si divide in due gruppi distinti che procedono separatamente.
Che i suoi servizi fossero apprezzati da Lewis e Clark lo dimostra il fatto che proprio loro, durante la spedizione, battezzarono un corso d’acqua con il suo nome, il Colter Creek, che oggi si chiama Potlach e si trova nella Contea dei Nez Perce.
Durante il ritorno , il giorno 11 agosto 1806, al campo di sosta di Little Kreek Knife, la spedizione incrocia due viaggiatori, Forest Hancock e Joseph Dickson, che chiedono ed ottengono dalla spedizione informazioni circa il territorio adatto alla caccia del castoro, attività a cui intendono dedicarsi. I due, riforniti di munizioni, ripartono il giorno dopo.


La spedizione di Lewis e Clark

Colter, non ancora soddisfatto di quella vita selvaggia, chiede il congedo e si unisce ai due e per una stagione si dedica con loro alla caccia al castoro lungo lo Yellowstone River. A questo punto sembra che a seguito di un diverbio o una malattia, Dickson sia stato abbandonato dai compagni di caccia che rientrano ognuno per conto proprio verso Saint Louis.
Complessivamente Hancock, Dixon e John Colter rimasero assieme sei settimane.
Dickson, lasciato solo, riuscì a cavarsela passando l’inverno sepolto in una specie di tana per poi fare rientro alla base di partenza con le proprie forze l’anno successivo.
Clark, il 15 agosto 1806 annotò nel suo diario: “Colter, uno dei nostri uomini ha espresso il desiderio di associarsi ad alcuni cacciatori… che gli hanno offerto di diventare loro socio nella cattura con le trappole; l’offerta è stata molto vantaggiosa per lui. Gli è stato permesso di andare a condizione che nessun altro chieda di ottenere tale permesso e tutti sono stati d’accordo.”
Nel viaggio di ritorno Colter si imbattè in una spedizione di una cinquantina di persone guidata da Manuel Lisa, futuro fondatore della St. Louis Missouri Fur Company, e da questi fu arruolato come guida capace di guidarli al fiume Yellowstone dove, non lontano dalla foce del Big Horn, costruirono Fort Raymond.
Lasciato Dixon al suo destino, come è stato detto, i due continuarono assieme fino alla primavera del 1807, poi si separarono; Colter iniziò il viaggio di ritorno verso St Louis in canoa. Arrivato alla foce del fiume Powder incontrò la spedizione di Manuel Lisa di cui facevano parte diverse conoscenze del trapper, alcuni erano anche stati assieme a lui nella spedizione di Lewis a Clark: G.Druillard, Le Page Jean Baptitste, John Potts, P. Weiser, R.Windsor. In seguito furono raggiunti anche da Hancock.
John Colter tra i lupi
Nell’ottobre 1807 Colter lasciò il forte da solo per un viaggio verso i campi invernali degli indiani a cui, su incarico di Lisa, avrebbe dovuto dare l’annuncio della presenza del nuovo Forte e la possibilità per loro di recarsi a commerciare pellicce.
Nell’inverno 1807-1808, Manuel Lisa mandò fuori quattro uomini, con diversi itinerari, per riuscire a contattare i nativi e per informarli della possibilità di commercio col nuovo insediamento. Partirono Edward Rose, Weiser, Drouillard, e Colter, ognuno con uno zaino di una trentina di chili di merci varie, oltre alle munizioni, l’immancabile fucile, un tomahawk e un coltello. I quattro procedettero quasi sempre con le racchette ai piedi per via della neve alta che ricopriva ogni pista.
Non si conosce l’esatto percorso compiuto in pieno inverno (con il freddo che toccava punte di -30°C) da Colter con la sola compagnia del suo fucile ed un paio di indiani, ma sembra abbia percorso circa 500 miglia attraversando i monti Wind River e i Grand Teton, passando per il Jackson Hole e arrivando al lago di Yellowstone, diventando probabilmente il primo bianco a vedere (e poi descrivere) quei luoghi, compreso quello che diventerà in seguito il Parco di Yellowstone.
L’anno dopo, rientrato al Forte descrisse le meraviglie viste nel suo viaggio, meraviglie fatte di grandi getti di vapore che scaturivano da sottoterra e fango che bolliva senza fuoco, suscitando però l’incredulità degli ascoltatori. Ad ogni buon conto, la zona visitata si guadagnò il suo primo nome, Colter’s Hell, l’Inferno di Colter.


John Colter nello Yellowstone Park

Drouillard fece un viaggio di trecento miglia e rientrò al forte, uscendo poi per un altro viaggio di ulteriori duecento miglia. Al rientro dal primo descrisse le sorgenti calde di Yellowstone a Lisa, quindi la palma di primo bianco a visitare Yellowstone toccherebbe a lui; quando tornò anche Colter e descrisse le stesse cose furono costretti a crederci, almeno in parte, e a lui toccò la paternità della scoperta.
Dalle mappe disegnate da Clark, su indicazione di Colter, anche se rozze ed imprecise, viene dimostrato che questi ha sicuramente attraversato il Jackson Hole, il bacino dei Teton (Pierre’s Hole) e Yellowstone; dimostrano che è uscito dal Jackson Hole via Teton Pass e che è arrivato alle sorgenti in ebollizione di Cody, nello Wyoming, allora ancora attive, ed alcuni suppongono che il Colter’s Hell sia riferito alla zona in cui si trovano queste ultime piuttosto che allo Yellowstone.


Colter accampato nella neve

Non c’è comunque certezza sull’esatto itinerario compiuto da Colter e ogni ricostruzione viene oggi rimessa in discussione da un rinvenimento che, se autentico, modifica in parte certe convinzioni.
Nel 1931 un contadino di nome William Beard, arando un campo a circa cinque miglia da Tetonia, in Idaho, trovò una pietra alta tredici pollici, con fattezze rozzamente umane con inciso il nome di John Colter e la data 1808; la portò a casa dove rimase per due anni appoggiata in un angolo del portico, fino a che un vicino, un certo A. C. Lyon la acquistò in cambio di un paio di stivali usati. A sua volta Lyon la donò al Grand Teton National Park nel 1934 dove il Geologo Fritiof Fryxell, primo naturalista del parco, concluse che le iscrizioni erano state esposte agli agenti atmosferici in coerenza con la data 1808 e che, quindi, il reperto era autentico.
Altre sei pietre furono trovate nell’arco degli anni; due, sicuramente false, portavano il nome di Clark e data 1805 – l’esploratore non passò mai di là -; altre due con data 1811 e 1818 avevano iscrizioni con indicati altri nomi o cose.
Quale fu l’itinerario esatto tenuto dal Trapper? Nessuno può dirlo con certezza! La maggior parte degli storici è concorde nell’affermare che arrivò alla zona dell’odierno Yellowstone Park transitando per il Jackson Hole. Esiste però una molteplicità di ulteriori e diverse ipotesi.
Ormai la verità non si potrà più conoscere… sarà entrato nello Yellowstone dalla valle di Jackson Hole o dal Teton Pass?
Sempre nel 1808 Colter ripartì in compagnia di un altro Trapper, John Potts, che aveva fatto parte anche lui della spedizione “Lewis e Clark”.
I due si misero a “trappolare” castori in Montana nella zona di Three Forks che era molto ricca di prede, ma anche in pieno territorio dei Blackfoot, i quali erano già praticamente in guerra con tutti i bianchi… I due, sapendo di rischiare moltissimo, erano costretti a lavorare di notte mentre durante il giorno se ne stavano ben nascosti. Nonostante le molte precauzioni prese, un giorno furono individuati dagli indiani e nello scontro che seguì furono entrambi feriti, riuscendo a salvarsi solo con una fuga precipitosa verso Fort Raymond.


Una spedizione di trapper

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un episodio di cui esiste anche un’altra versione, secondo la quale sembra che i due trapper si fossero aggregati ad una banda di Crow e Flathead quando avvenne la battaglia coi “Piedi Neri”.
Secondo questa versione, Colter uscì per un’altra spedizione nella primavera e nella zona delle Three Forks del Missouri entrò in contatto con una tribù di almeno ottocento Crow ed anche alcuni gruppi di Flathead; assieme a loro si diresse verso Fort Raymond, ma quando arrivarono in zona, videro che il forte era sotto attacco da parte di una forte banda di Blackfeet. I Crow e i “Teste Piatte” attaccarono i Piedineri, mettendoli in fuga.
Il generale J. Thomas, presente al forte, avrebbe in seguito ricordato che Colter, ferito ad una gamba, continuò a sparare “tranquillamente riparato” da alcuni cespugli!
L’anno dopo i due ardimentosi trapper ritentarono la sorte, ma questa volta furono meno fortunati e in un altro scontro con i Blackfoot Potts fu ucciso e John Colter catturato. Accadde tutto mentre stavano cacciando su un ramo del Missouri detto Jefferson Fork’s. Mentre si dirigevano in canoa verso le trappole, furono intercettati dagli indiani che li attaccarono subito, cercando anche di catturarli. Colter e il suo amico provarono a sfuggire, ma alcuni guerrieri entrarono in acqua cercando di trascinare a riva la canoa. Uno di questi riuscì a strappare il fucile a Potts, ma Colter, recuperò il fucile dalle mani del Blackfoot e lo lanciò al socio che fece subito fuoco. Fu una reazione inutile che lo espose ad un fitto lancio di frecce che lo uccise quasi subito.
Colter fu catturato e, forse per il suo gesto di coraggio, ebbe momentaneamente salva la vita. Era solo una breve pausa, dato che per lui gli indiani avevano pensato ad un gioco crudele quanto atroce. Lo denudarono e lo spinsero a correre nella prateria in direzione del vicino fiume. John Colter restò persino incredulo, ritenendo che la cosa potesse chiudersi fin troppo positivamente.
Infatti, indicando una lunga cicatrice nella gamba, fece credere di non essere un grande corridore ottenendo perciò un vantaggio di 400 metri.
Era diventato la preda di una terribile “caccia all’uomo” organizzata dai guerrieri Blackfoot. La sua fortuna fu che la prestanza fisica e la sua resistenza, unite ad una grinta ed una determinazione non comuni, lo trasformarono in una preda alquanto coriacea e difficile da catturare.


I Blackfoot

In una folle corsa tra le spine che gli laceravano le gambe, dopo circa sei miglia, sputando sangue nello sforzo, Colter riuscì ad arrivare quasi al fiume, avendo distanziato di molto tutti gli inseguitori, tranne uno armato di lancia. All’improvviso Colter si voltò e a braccia allargate corse verso l’unico inseguitore. Questo, colto di sorpresa, provò a fermarsi ma inciampò e cadde a terra. Nella caduta la lancia si spezzò e il trapper raccolse il mozzicone con la punta e con quello uccise l’indiano. Poi dopo avergli preso la coperta si tuffò nel fiume, andando a nascondersi tra i rami semisommersi di un isolotto fatto di alberi e detriti galleggianti (o, forse, una diga di castori). Nel frattempo arrivarono anche gli altri inseguitori che lo cercarono inutilmente sulle due rive del fiume per tutto il giorno. Gli indiani sospettarono anche che si fosse nascosto nella massa galleggiante e Colter li sentì chiaramente che parlavano di incendiarla per stanarlo, poi però non ne fecero nulla e verso sera se ne andarono.
Calata la notte Colter si lasciò trascinare dalla corrente più lontano possibile, poi fuggì a piedi percorrendo le duecento miglia (per alcuni 100, per altri 300) fino al Forte (Fort Raymond oppure Fort Manuel Lisa, a scelta) in undici giorni (alcune versioni dicono sette altre dieci). Mangiando corteccia e radici, riparato solo dalla coperta indiana, John Colter arrivò quasi in fin di vita, ma riuscì a sopravvivere e a riprendersi.
In genere si è ritenuto opportuno prendere per buona la versione delle trecento miglia percorse in sette giorni, ma noi proviamo a ragionarci su. Quattrocentoottantadue chilometri in sette giorni fanno quasi tre chilometri all’ora, per ventiquattro ore ininterrotte, per sette giorni consecutivi! Il tutto in condizioni assolutamente disperate, nudo, mangiando corteccia e coi piedi dilaniati…
Un soldato di fanteria, in piena forma e con calzature adeguate marcia alla velocità di circa quattro chilometri e mezzo all’ora e marciando dieci ore al giorno in sette giorni sarebbe stato solo a due terzi del cammino. Accettando tutto il racconto è logico che Colter sia giunto al forte in fin di vita!
Se non ci fossero le imprese “impossibili” di Hugh Glass, di Boone Helm, di Jed Smith, di Jeremiah Johnston, di Portugee Phillips, avrei detto che quella di John Colter fosse una “bufala” da bivacco. Già potrebbe apparirci improbabile che un uomo possa essere sfuggito nudo, disarmato e a piedi ad una tribù di Blackfoot inferociti mi sembra abbastanza improbabile, figuriamoci poi aggiungerci anche una poderosa corsa di giorni e giorni per centinaia di chilometri.
La grande corsa
La prima volta che Colter raccontò la morte di Potter e la sua “corsa” fu nel settembre del 1809, quando in un villaggio Mandan incontrò Drouillard alla guida della spedizione di P. Chouteau che stava rientrando dopo aver portato Capo Sheheke in visita al Presidente Jefferson.
Il dottor W. H. Thomas riportò poi una breve nota dell’avventura di Colter nel suo diario del viaggio, ”Three years among the indians and mexicans”, apparso a puntate sul “Missouri Gazette” ed in seguito sul “Pittsburgh Gazette”. Il racconto era molto succinto, fuorviante e con notevoli imprecisioni, ma fu l’inizio di una leggenda tra le più note e ripetute del folkore americano
Una seconda versione fu ascoltata dalla bocca del protagonista e trascritta – questa volta con dovizia di particolari – dal naturalista inglese J. Bradbury, che la inserì nel suo libro di memorie, “Travels in the interior of America in the years 1810 and 1811”, uscito a Londra nel 1817:
“Quest’uomo è venuto a Saint Louis nel maggio del 1910, in una piccola canoa, lungo il corso del Missouri da una distanza di tremila miglia percorse in trenta giorni, ero presente al suo arrivo, ho ricevuto da lui un resoconto della sua avventura…”
Nel 1810 John Colter accettò di guidare un’altra spedizione della “Missouri Fur Company” fino alle Three Forks del fiume Missouri e anche questa volta la squadra fu attaccato dai Piedineri.
Era la spedizione guidata da P. Menard, un socio di Lisa, per la costruzione di Fort Lisa a Three Forks. Il forte fu terminato in aprile. I Blakfoot lo attaccarono mentre Colter era assente e nell’assalto persero la vita due trapper e altri tre furono catturati… Colter ne ebbe abbastanza e disse: “Se Dio mi lascerà un attimo di respiro, domani partirò subito e che io sia dannato se rimetterò ancora piede in questi posti!”
Il mese dopo anche Drouillard fu ucciso a Three Forks mentre cacciava in compagnia di due Delaware.


Le famose pietre di Colter

Al rientro a Saint Louis, dopo sei anni di vita selvaggia, John Colter decise di averne abbastanza e con i soldi ricavati con il traffico delle pellicce si comprò una fattoria a New Haven, in Missouri, vicino alla fattoria del vecchio Daniel Boone. Si sposò con una donna di nome Sally (ma alcuni hanno scritto che si chiamava Sarah) e da lei ebbe un figlio, Hiram, che lo spinse decisamente a fare la tranquilla vita dell’agricoltore.
Colter mantenne buoni contatti con il suo vecchio capo William Clark che aiutò nella stesura delle mappe e nella descrizione dei nuovi territori esplorati, mentre ebbe molti problemi con l’altro capo della spedizione, Meriwether Lewis, che come tesoriere della spedizione non lo aveva ancora pagato, al punto che dopo il suicidio di quello dovette intentare una causa civile all’amministrazione per avere riconosciute le sue spettanze. Doveva riscuotere 559 dollari, ma alla fine del procedimento giudiziario, il 28 maggio 1811, ne ottenne appena 377,60.
Nel 1812 gli Stati Uniti entrarono in guerra contro la Gran Bretagna e Colter si arruolò nelle file dei Rangers di Nathan Boone, figlio di Daniel.
La data precisa della morte di Colter dovrebbe essere quella del 7 maggio 1812. Il giorno prima i Rangers di Boone si erano radunati per l’inizio delle operazioni.
Con tutte le occasioni che aveva avuto di morire, prima per mano dei nativi ed ora degli inglesi sembra che il povero Colter sia morto in servizio ma… di itterizia.
La notizia è del dottor Thomas Jamesche nelle sue memorie (Capitolo 2) disse che Colter morì di ittero che a quel tempo era ritenuta una malattia, non essendo ancora noto che era solo un sintomo di affezioni diverse, quali epatite, malattie del fegato, o alcuni tumori.
Ma quando uno è destinato all’avventura lo sarà per la vita e oltre!
La salma fu rispedita in Missouri alla moglie, ma la donna non aveva denaro bastante a garantire una degna sepoltura e perciò lasciò la cassa nella rimessa della fattoria, poi partì per andare da suo fratello, dove aveva programmato di stare per qualche tempo.


Un trapper a caccia

Per motivi che ignoriamo la signora Colter non tornò più a casa e la salma del trapper se ne stette nella cassa finché, col passare degli anni, la rimessa cominciò a cedere crollando poco alla volta addosso sulla feretro. Col tempo si ridusse ad un mucchio di rovine.
Nel 1926 durante una bonifica del terreno dove sorgeva la fattoria, rimuovendo le macerie furono rinvenute e riconosciute le ossa grazie ad una borsa di cuoio su cui vi era il nome di John Colter.
I poveri resti furono finalmente sepolti a New Haven in una tomba nei pressi del fiume Missouri.
Un’altra versione dice che John Colter è sepolto nel cimitero della chiesa Battista di Bridgeton, Missouri, dove in un registro sta scritto “John Colter, commerciante di pellicce con Manuel Lisa”.
Nel cimitero, invece, se c’era qualcosa che marcava la tomba ora non c’è più.
La terza versione nota lo vuole sepolto in un cimitero su una collina di Dundee. Sembra che nel 1926 la Missouri Pacific Railroad, per migliorare il percorso, tagliò nel mezzo la collina e lì furono notati resti di ossa umane e di rozze bare… Erano le ossa di John Colter! Ora riposa lungo la massicciata della ferrovia.