La disfatta di St. Clair

A cura di Renato Ruggeri

Il pomeriggio del 3 Novembre 1791 faceva molto freddo. Il Generale St. Clair, uno scozzese che si era guadagnato una buona reputazione durante la Rivoluzione Americana, era a colloquio con alcuni suoi ufficiali.
St. Clair era stato inviato nelle terre selvagge del Northwest Territory (il vecchio nord-ovest) per sconfiggere una coalizione Indiana che terrorizzava gli insediamenti bianchi lungo il fiume Ohio e i cui villaggi si trovavano dove i fiumi Saint Joseph e Saint Mary si riunivano per formare il Maumee. Ma si era perso.
Presumeva che l’armata, che era formata da circa 1400 uomini, avesse passato gli affluenti del Miami River e fosse in procinto di attraversare il crinale che separava il Miami dal Saint Mary River. Invece si trovava vicino a un ramo del fiume Wabash. St. Clair ordinò di fermarsi, intendendo far accampare l’esercito. L’ordine era appena stato dato quando arrivarono, al galoppo, l’Aiutante Denny e il Quartermastro Hodgon che avevano completato una ricognizione alcune miglia più avanti.
Denny si avvicinò a St. Clair e lo informò di aver trovato, a circa 2 miglia, un terreno rialzato, asciutto, sulla riva di un corso d’acqua largo circa 20 metri, presumibilmente un ramo del fiume St. Mary.
Sebbene fosse metà pomeriggio e l’armata avesse già coperto 6 miglia, St. Clair ordinò di riprendere la marcia. Alle 4 l’avanguardia, un gruppo di rangers della milizia del Kentucky, arrivò al luogo designato. Guadarono il fiumiciattolo e scoprirono le tracce fresche di circa 15 cavalli indiani. Il primo segno del nemico. Era quasi buio quando anche la retroguardia raggiunse il luogo dell’accampamento, che era posto sulla riva orientale del corso d’acqua. Non fu stabilito un perimetro difensivo, nè costruita una rudimentale palizzata. Gli uomini erano troppo stanchi e non mangiavano dal mattino.


Il vecchio nord-ovest americano

Il terreno rialzato era circondato, da ogni lato, da terreno paludoso, e così l’accampamento era appena sufficiente a contenere l’intero esercito.
Quando entrambi il lati dell’accampamento furono formati, con le reclute di Butler a ovest, vicino al fiume, e gli uomini di Darke e il Secondo Reggimento degli Stati Uniti in retroguardia a est, si trovarono separati da una distanza di soli 70 metri. La compagnia di fucilieri di Faulkner fu mandata sul fianco destro, a nord, e una truppa di cavalleria a sinistra, a sud, Fu stabilito un perimetro difensivo a alcune centinaia di metri, con circa 220 sentinelle.
La milizia del Kentucky fu inviata avanti, come avanguardia, oltre il corso d’acqua.
Quattro pezzi di artiglieria furono, poi, disposti al centro delle linee di Butler e Darke, e puntati, rispettivamente, a ovest e est chiudendo, così, lo schieramento. Ancora una volta non furono costruiti ripari di tronchi a protezione.
All’interno dell’accampamento alcune centinaia di servitori e non combattenti montarono le loro tende. Intirizzita per il freddo e esausta per la lunga marcia, l’armata consumò le magre razioni e bivaccò per una notte senza riposo.
All’arrivo del buio, si udirono sporadici spari provenienti dai picchetti di sentinella, mentre St. Clair, dolorante per la gotta, discuteva con i suoi ufficiali il piano per il giorno seguente.
Convinto di essere, ormai, a sole 15 miglia dal Miami Village, informò il Maggiore Ferguson che si sarebbero fermati qui ad aspettare il First United States Regiment.


Kekionga era il centro strategico delle tribù dell’Old Northwest

Non fu dato peso agli spari che provenivano dalle sentinelle, St. Clair presumeva che gli uomini avessero scoperto alcuni razziatori Indiani intenti a rubare i cavalli dispersi.
Alle 10 St. Clair andò a letto, mentre alcuni ufficiali si recavano alla tenda del Generale Butler per rivedere i piani per il mattino seguente.
Edward Butler era il più giovane dei 3 fratelli Butler e non aveva la reputazione di Richard e Thomas, che erano usciti dalla Rivoluzione con una considerevole fama. Ma era il più aggressivo, e il più risoluto.
Preoccupato dalla sporadica sparatoria, Edward si recò presso la tenda del suo comandante di Reggimento, il Colonnello George Gibson e gli disse di ritenere che una piccola pattuglia avrebbe avuto, probabilmente, successo nel catturare alcuni dei razziatori che stavano tentando di rubare i cavalli dell’armata. I cavalli erano stati lasciati liberi nei boschi a causa della scarsità di foraggio.
Presente nella tenda di Gibson vi era il Capitano Jack Slough, un giovane ambizioso. Quando sentì il piano di Butler, chiese di poter comandare la pattuglia. Butler reclutò 23 volontari, per la maggior parte sergenti, e alle 10 Slough lasciò il campo. Si fermò, dopo aver attraversato il fiume, presso la tenda del Comandante della milizia, il Colonnello William Oldham, che stava riposando vestito. Oldham disse a Slough di essere preoccupato. Pensava che l’armata avrebbe potuto subire, presto, un attacco.
a notte era molto buia, nonostante le chiazze di neve, e Slough avanzò per circa 1 miglio lungo la pista Indiana che conduceva oltre il campo della milizia. Dispose i suoi uomini in 2 gruppi, su entrambi i lati del sentiero. I soldati si accucciarono nel bosco, coi moschetti carichi, aspettando e osservando.
Erano passati pochi minuti quando, a 15 metri sulla sinistra, furono scoperti 6 o 7 Indiani che si avvicinavano. Una scarica di fucileria partì dai soldati nascosti e un Indiano fu visto cadere.
Slough e i suoi uomini ricaricarono le armi e rimasero in silenzio, mentre una strana quiete pervadeva la boscaglia.


L’accampamento di St. Clair

Quindici minuti dopo un altro gruppo di nativi, più numeroso, si avvicinò fino a una distanza di circa 50 metri. Un Indiano si mise a tossire, sperando di provocare il fuoco dei soldati e così capire la loro posizione. “Pensai a una trappola”, scrisse più tardi Slough. Fu ancora più allarmato quando scoprì un altro numeroso gruppo di nemici che si muovevano tra gli alberi sull’altro lato del sentiero. Si consultò, a gesti, con gli uomini e decise di ritornare al campo. Diede istruzione ai soldati di ritirarsi in singola fila e di non sparare nel caso di attacco, ma di usare la baionetta.
Tornarono indietro, ansiosi e impauriti, lungo il sentiero e finalmente, a mezzanotte, raggiunsero sani e salvi il campo della milizia. Slough andò direttamente alla tenda di Oldham, lo informò della sua esperienza, e gli disse di credere che l’armata sarebbe stata assalita il giorno seguente. Il Colonnello Oldham, immediatamente, invitò Slough a informate il Generale Butler, che era il vice comandante delle truppe, di quel che aveva visto. Richard Butler stava trascorrendo una notte senza riposo. Solo qualche ora prima, brindando con i suoi compagni, aveva esclamato “Mangiamo, beviamo e stiamo allegri, perchè domani potremmo essere morti”. Sarebbe stato un buon profeta. Incapace di dormire, era in piedi vicino a un fuoco quando Slough si avvicinò. Parlando a bassa voce, così da non farsi sentire dalle sentinelle, Slough informò Butler su quanto aveva visto. Butler lo ascoltò con attenzione, senza parlare. Se il Generale lo riteneva opportuno, continuò Slough, si sarebbe personalmente recato da St. Clair.
Butler ci pensò per un istante. Poi disse no, il Generale era affaticato e preferiva lasciarlo riposare. Esausto e convinto, ora, di aver portato a termine la missione, Slough ritornò alla sua tenda.
Richard Butler conosceva gli attacchi di collera di St. Clair quando era afflitto dalla gotta, e così decise anche lui di tornare alla sua tenda senza riferire il messaggio.
Venti da Nordest avevano spazzato via le nuvole dal cielo sopra l’accampamento. La mattina del 4 Novembre sarebbe stata chiara, fredda e senza nebbia.
Me-she-kin-no-quah non aveva ancora 40 anni, ma il suo nome era già una leggenda tra i villaggi indiani dell’Ohio.
Sebbene meglio conosciuto tra i mercanti Inglesi come Little Turtle, il capo dei Miami era alto più di 1 e 80 ed era un uomo sensibile e profondo, considerato dai suoi contemporanei come un leader di straordinaria saggezza e coraggio.
Il 28 Ottobre Little Turtle dei Miami e Blue Jacket degli Shawnee avevano condotto i loro guerrieri fuori da Miami Town incontro agli Americani. Erano avanzati di 50 miglia in 4 giorni e avevano aspettato l’arrivo di St. Clair vicino al Wabash River, in un territorio considerato tra i più selvaggi della regione. Il campo indiano si trovava a circa 2 miglia da quello Americano, e così Little Turtle aveva dovuto passare la notte del 3 Novembre cercando di controllare l’impeto dei suoi giovani guerrieri. Molti di loro stavano vagabondando nei boschi nel tentativo di razziare il bestiame e i cavalli che erano stati lasciati liberi in cerca di foraggio.
Little Turtle
Prima dell’alba il piano finale fu delineato. I Wyandots avrebbero combattuto sulla destra, gli Shawnees, i Miamis e i Delawares avrebbero attaccato al centro, gli Indiani dei Laghi, Ottawas, Chippewas e Potawatomis sarebbero avanzati a sinistra. Disposti in una formazione a mezzaluna, con cui contavano di accerchiare rapidamente l’accampamento, Little Turtle e i suoi guerrieri, circa 1040, furono in posizione prima dell’alba.
Tra i Wyandots era presente, come war leader, anche Simon Girty, il famoso rinnegato bianco.
Nel campo Americano, l’acuto suono dei pifferi e il rullo dei tamburi riempirono l’aria circa mezz’ora prima dell’alba del 4 Novembre. Quindici minuti dopo fu chiamato l’usuale appello mattutino, ma il Lt Colonnello Darke si era lamentato per il freddo sofferto dai suoi uomini durante la notte, e così i soldati furono esentati dalla solita parata.
Nel campo avanzato della milizia, le sentinelle erano radunate intorno ai bivacchi. Gli oggetti erano assai poco visibili nel grigio del mattino.
Robert Bradshaw, un ranger della milizia, era in piedi accanto al fuoco e stava parlando con un compagno, quando vide apparire una dozzina di Indiani che si muovevano, furtivamente, tra gli alberi. Pensando che fosse un war party intento a sorprendere e catturare il posto di sentinella avanzato, imbracciò il fucile e sparò. Il fumo del moschetto non si era ancora diradato, disse Bradshaw, quando una terrificante sparatoria e un terribile urlo si alzarono dal sottobosco. Dagli alberi circostanti, una moltitudine di selvaggi dipinti si riversò verso l’avamposto dei rangers e il campo della milizia. Bradshaw si voltò per fuggire, e inciampò sul corpo dell’uomo con cui stava conversando qualche istante prima. Con un brivido, vide che era stato colpito alla tempia.
Un altro ranger, William Kennan, sparò e si sdraiò nell’erba per ricaricare. Ma, vedendo il gran numero di nemici, gettò il fucile scarico e fuggì, appena avanti agli Indiani che lo inseguivano. Zigzagando tra gli alberi, Kennan si arrampicò su un tronco caduto e si lasciò cadere nel letto del fiume Wabash.
Senza fiato, ma salvo, raggiunse l’accampamento principale dove regnava già la confusione più assoluta.
Nel campo della milizia, di fronte, si vedevano gli uomini correre in tutte le direzioni, inseguiti da circa 300 Indiani. Robert Bradshaw, mentre tentava di fuggire, si unì a un gruppo di miliziani, schierati in fila, che stavano sparando, in modo disordinato, contro i guerrieri rossi. Poi, terrorizzati, gli uomini abbandonarono i fucili e corsero dentro il fiume e poi sulla riva verso il campo dell’Esercito.
In breve, i 270 uomini della milizia si erano dispersi, nel disordine più totale.
Nell’accampamento di St. Clair, il Maggiore Thomas Butler stava conversando con uno dei soldati di Slough che aveva partecipato alla pattuglia notturna. Preoccupato dal racconto, stava pensando che Slough avrebbe dovuto catturare un prigioniero.
Improvvisamente, si udirono alcuni spari e un rumore particolare che immobilizzò gli uomini.
Arthur St. Clair
Un civile, Wintrhop Sargent, che fungeva da aiutante di St. Clair, stava ritornando dal campo della milizia quando sentì quello che definì “il rumore più dannato che si possa immaginare”. Lo descrisse come simile a 10000 campanelle. Per altri fu un suono confuso, come l’ululato dei lupi. Ma tutti realizzarono che il tumulto era provocato da grida di guerra indiane.
Subito il furioso rullo dei tamburi mise in allarme l’accampamento.
Gli ufficiali corsero fuori dalle tende per radunare gli uomini, che avevano le armi a portata di mano dopo l’appello mattutino. Erano passati solo 5 minuti dall’inizio della sparatoria, di fronte al campo della milizia, quando i miliziani, in rotta, entrarono correndo all’impazzata nel campo principale, portando l’inferno. I 3 battaglioni di reclute che stavano cercando di formare una prima linea di difesa furono travolti dall’arrivo di questi uomini, terrorizzati e con gli occhi spiritati. Erano passate le 6, disse un ufficiale, e a est il sole stava cominciando a salire in un cielo sereno e senza nuvole. Illuminate dai primi raggi che filtravano tra gli alberi, le schiere dei guerrieri sembravano riempire l’intera riva del fiume.
Improvvisamente, un urlo da spaccare i timpani risuonò dal terreno più rialzato che fronteggiava la riva orientale del Wabash.
Avvolti da una densa nube di fumo, provocata dagli spari, i soldati scrutarono oltre la foschia, solo per scoprire che il nemico li stava circondando. La marea rossa si spostava dietro ai tronchi e agli arbusti e sparava, con effetto micidiale contro gli uomini della fanteria, schierati in linea.
L’artiglieria che fronteggiava il fiume Wabash, 4 cannoni (nel testo chiamati 6-3 pound smoothbore guns) e gli artiglieri comandati dal Maggiore Ferguson, entrò, subito, in azione, creando un tremendo frastuono. Ma i cannoni, che avrebbero dovuto avere un terribile effetto sul morale degli Indiani, portarono solo un beneficio momentaneo.
Un capo che indossava una giubba rossa, forse Blue Jacket degli Shawnees, fu intravisto, in mezzo al fumo, incitare i suoi guerrieri. Come gli Indiani spiegarono in seguito, i soldati occupavano la sommità di un terreno rialzato, e il fuoco fu troppo alto. Le cannonate colpirono gli alberi 30 metri sopra le teste dei nativi, e il fumo oscurò la visuale dei soldati. Sotto questa cappa solforosa, i guerrieri avevano cominciato la loro tattica di accerchiamento. Mentre il fuoco delle armi si intensificava, in rapida successione, lungo il perimetro esterno dell’accampamento, una triste consapevolezza iniziò a pervadere l’armata. Assaliti da un nemico il cui numero era stato stimato tra 1000 e 2500 guerrieri, le stupefatte truppe di St. Clair presto compresero che stavano combattendo una battaglia letale, preparata a tavolino, contro un nemico senza pietà, dentro un perimetro ristretto da cui non si poteva fuggire.
L’aiutante di campo Ebenezer Denny raccontò come, in pochi minuti, il nemico riuscì a circondare completamente il campo, uccidendo le sentinelle e avanzando di albero in albero, nascosto dal fuoco delle stesse armi dei soldati.
“L’avvicinarsi della battaglia alla zona occupata dai non combattenti mi ricordò uno di quei temporali che arrivano rapidamente”, scrisse un miliziano, Robert Bradshaw. “Regnava la confusione più selvaggia. Le donne e i bambini erano in stato di completo shock. Alcune correvano qua e là. torcendosi le mani per la disperazione e gridando di terrore, altre erano in piedi, immobili, senza parlare, pietrificate dall’orrore, con gli occhi fissi sulla lotta ormai vicina. Alcune donne erano inginocchiate in preghiera, e chiamavano Dio a protezione, molte semplicemente singhiozzavano e si lamentavano, abbracciate. Altre erano collassate per la paura e giacevano sul terreno come morte”.


Fanteria dell’esercito americano (1794)

Per St. Clair l’agonia di quel giorno era già un incubo. Incapace di muoversi senza dolore, il Generale era così menomato dalla gotta, che era rimasto a letto, svestito, quando la sparatoria era iniziata. Con indosso solo un ruvido cappottone e il tricorno, cercò di montare il primo dei suoi 4 cavalli. L’animale era spaventato dagli spari, e così, nonostante l’aiuto di 4 uomini, St. Clair non riuscì a issarsi in sella. Poi, improvvisamente, il cavallo fu colpito alla testa e stramazzò. Fu portato un secondo destriero e preparato per ricevere il suo cavaliere. Ma prima che il Generale riuscisse a montare, il cavallo e un soldato che teneva le redini furono colpiti e uccisi. Dicendo che non poteva più aspettare, St. Clair, finalmente, raggiunse a piedi la linea del fuoco.
Il punto focale del combattimento era centrato intorno all’artiglieria, che era in azione i mezzo alle 2 linee. St. Clair arrivò, zoppicando, coi capelli bianchi al vento, tra gli artiglieri. Qui una pallottola di moschetto lo colpì di striscio, portandogli via una ciocca di capelli. “I miei dolori furono dimenticati, scrisse St. Clair, che in seguito ricordò come, da quel momento, fu in grado di camminare con grande energia.
Il Maggiore William Ferguson comandava l’artiglieria che fronteggiava il Wabah.
I 4 cannoni erano manovrati con abilità, ma il loro tiro sembrava inefficace, poichè gli Indiani si riparavano dietro agli alberi, offrendo uno scarso bersaglio.
Al contrario, il preciso fuoco dei nativi stava decimando i cannonieri, che erano senza protezione. William Wells, un prigioniero bianco che era diventato leader di guerra, disse che il suo gruppo di guerrieri Miamis, sparando da un riparo di tronchi e dai rami degli alberi, impilò i corpi dei bianchi fino all’altezza dei cannoni. Gli Indiani concentrarono il fuoco sugli ufficiali, e tra i primi a cadere ci fu il Maggiore Ferguson, colpito mortalmente. Preoccupato dalla crescente pressione del nemico sul fianco sinistro, St. Clair pensò di sostenere il settore ordinando una carica alla baionetta. Inviò il suo aiutante, il Visconte di Malartie, con l’ordine dell’attacco, ma Malartie fu ferito, e il suo cavallo ucciso, durante il tentativo.
Simon Girty
William Wells fu uno dei più famosi uomini di frontiera. Era stato catturato dai Miamis e fu adottato dalla famiglia di Little Turtle ma, a differenza di Girty, cambiò parte, ritornando tra gli Americani. Fu scout e interprete per il Generale Wayne a Fallen Timbers, e morì nel 1812, in quello che viene chiamato il massacro di Fort Dearborn, ucciso dai Potawatomis.
Nello stesso momento, in assenza di ordini, il comandante della retroguardia, il Lt Colonnello Darke, vedendo che il nemico stava diventando sempre più aggressivo e si avvicinava alla bocca dei cannoni, aveva ordinato una carica alla baionetta. “Gli Indiani erano intorno a noi, fitti come vespe”. Darke radunò circa 300 uomini e 26 cavalieri comandati dal Capitano Alexander Truman.
Con un urlo, gli uomini caricarono in direzione Sudovest, verso un piccolo torrente, conosciuto, poi, come “bloody run”, e poi attraverso il Wabash.
La carica sembrò riuscire, anche se la cavalleria rimase indietro, ostacolata dal fitto sottobosco, e i guerrieri rossi si ritirarono fuori dalla vista dei soldati, che avanzarono per circa 400 metri. Gli indiani in questo settore erano Wyandots e tra loro vi era Simon Girty. A una distanza di 30 metri, si nascosero tra gli alberi e continuarono a sparare verso le truppe di Darke, che si erano frammentate.
Improvvisamente, dalla direzione dove era cominciata la carica, arrivò il suono di una pesante fucileria. Gli Indiani si erano avvicinati, dopo la sortita, e ora stavano attaccando nel vuoto lasciato nel perimetro difensivo. “Se ritorniamo e li prendiamo alle spalle, suggerì un uomo dei boschi, riusciremo a sconfiggerli. “Ripieghiamo”, urlò Darke, e i soldati iniziarono a correre verso il punto da cui provenivano gli spari e le urla.
Quando raggiunsero l’accampamento avvolto dal fumo, gli uomini di Darke trovarono il settore meridionale in completa confusione.
Durante la loro assenza, un’orda di guerrieri aveva sopraffatto l’artiglieria di retroguardia e catturato molte tende dei non combattenti. “I cadaveri giacevano a mucchi”, disse un testimone. “Vi erano circa 30 ufficiali e artiglieri sparsi sul terreno, tra i cannoni. Mi sembrò che i selvaggi se la fossero presa comoda, dato che i corpi erano tutti scalpati”.
Un veterano osservò la scena e vide orrori che non avrebbe più dimenticato. La posizione era rimasta in mano al nemico per 5-10 minuti, ma le atrocità erano dappertutto. Uomini feriti erano stati scalpati e gettati sui fuochi del campo. I lamenti dei mutilati e degli agonizzanti erano terribili, scrisse un miliziano, che corse via ignorando le suppliche di aiuto e acqua.
Un guerriero Shawnee
Gli Indiani erano calati sulle donne e i bambini, e le atrocità inflitte scioccarono un giovane luogotenente. “Le donne giacevano svestite, alcune tagliate in due, coi seni strappati, sembravano morse dai lupi, altre erano state bruciate vive sui nostri stessi fuochi”.
Darke e i suoi uomini ebbero poco tempo per pensare. Avevano appena raggiunto l’accampamento quando gli Indiani sciamarono intorno a loro, fitti come vespe. “Erano così numerosi che sembrò non potessimo fare nulla”, scrisse un rifleman. “Carica”, urlò Darke e gli uomini corsero con le baionette alzate verso il centro del campo.
St. Clair, osservando la situazione, si rese conto della gravità del momento, e inviò un distaccamento di reclute comandate dal Lt Colonnello Gibson verso il fianco sinistro, il più minacciato, allo scopo di evitare il collasso dell’intera linea.
Avanzando, di corsa, tra gli Indiani, gli uomini di Gibson attenuarono la pressione sulle truppe di Darke. Combattendo valorosamente fianco a fianco, i 2 distaccamenti riuscirono a liberare una porzione dell’accampamento.
“I selvaggi combatterono come demoni infernali”, scrisse un soldato. Darke fu ferito alla tibia, suo figlio, un capitano, ebbe la mandibola fratturata da una palla di moschetto.
“Vorrei descrivere la battaglia”, raccontò un rifleman, “ma non ne ho il potere. Sembrò come un sogno orribile in cui bianchi e selvaggi si erano mescolati nel fumo, nel fuoco, tra gemiti e sangue, urla, strilli, imprecazioni e invocazioni, il cozzare dell’acciaio e il crepitio delle armi, il tutto mescolato in un continuo e fragoroso ruggito”.
La marea rossa fu respinta e l’accampamento, momentaneamente, liberato, ma il fuoco nemico rimase costante, come raccontò un soldato. Presto gruppi di uomini cominciarono a raccogliersi al centro del campo. Tutte le esortazioni degli ufficiali, che cercavano di riorganizzarli, furono vane.


La battaglia in un fumetto

Gli stessi ufficiali, inoltre, ben riconoscibili nelle loro uniformi, venivano decimati con spaventosa rapidità.
Senza più nessuna guida, gruppi sparsi di combattenti si spostavano in massa, in maniera confusa, da un capo all’altro dell’accampamento, e subivano pesanti perdite ogni volta che si fermavano.
Il Secondo Reggimento degli Stati Uniti, pur decimato dalla carica di Darke, sembrava l’unico corpo in grado di opporsi alla crisi che stava travagliando la linea che fronteggiava il Wabash. Qui la pressione sulla sottile linea blu aveva prodotto un vero massacro. Vi erano così tanti morti tra i cannoni che erano stati chiamati dei volontari per caricare le armi.
La perdita dell’artiglieria sembrava, ormai, inevitabile. In questa situazione disperata, fu decisa una seconda carica alla baionetta. Il Secondo Reggimento fu affidato al Maggiore Heart, il Maggiore Thomas Butler si unì con il suo battaglione di reclute della Pennsylvania.
Caricando direttamente nel centro della mezzaluna indiana, gli uomini di Heart e Butler furono investiti da un tremendo fuoco. Heart fu, subito, colpito e ucciso, Thomas Butler, a cavallo, fu un bersaglio facile e cadde, ferito, dopo pochi passi. “Il terreno era letteralmente copeto dai cadaveri”, scrisse il Lt Denny.
L’agguato
Poi la carica si esaurì e gli Indiani si ritirarono fuori dalla portata delle baionette. Scese una pace improvvisa, e i pochi soldati superstiti ne approfittarono per ritirarsi, di corsa, verso l’accampamento. Erano solo le 9 del mattino e l’armata sembrava, ormai, sull’orlo del collasso.
In mezzo al campo St. Clair, impietrito, osservava la devastazione intorno a lui. La sparatoria era misteriosamente cessata da alcuni minuti e St. Clair si rallegrò con il Lt Denny. “Abbiamo respinto il nemico”.
Ma queata calma irreale durò solo per poco. “Fu come l’intervallo di un tornado, che prelude a un orrore più profondo”, scrisse un soldato. Improvvisamente, la rinnovata pressione nemica sulla linea blu che fronteggiava il Wabash divenne enorme. Qui il Generale Richard Butler, secondo in comando, stava camminando su e giù incitando i soldati. Qualcuno gli portò un cavallo e Butler, pur ferito a un braccio, montò in sella. Voleva dare l’esempio ai suoi uomini. Ma divenne un facile bersaglio e fu subito colpito a un fianco. Quattro soldati corsero verso il Generale caduto, lo deposero su una coperta e lo portarono in mezzo al campo.
Il Generale provava così tanto dolore che chiese di essere appoggiato al tronco di una quercia, in posizione seduta, sorretto da 2 zaini.
Quando arrivò più tardi il Capitano Edward Butler, portando il Maggiore Thomas, gravemente ferito, era ormai chiaro che la posizione sarebbe caduta. Gli Indiani erano così vicini che le frecce cadevano in mezzo al campo. Edward, miracolosamente, era riuscito a trovare il fratello Thomas durante la breve calma che era seguita all’ultima carica. Richard, indebolito dalla perdita di sangue, disse a Edward di salvare Thomas. “Sono mortalmente ferito”, mormorò, “lasciami al mio destino e fuggi”. Non vi era possibilità di discussione. Il Generale diede il suo anello, l’orologio e la spada al Maggiore Gaither e chiese una pistola carica. Poi gli ufficiali se ne andarono.
Sulla linea del fuoco i soldati stavano combattendo, ormai, ognuno per sè. Gli ufficiali erano morti o feriti e le munizioni stavano finendo.
La raccolta del bottino
L’armata si era totalmente frammentata quando i guerrieri di Little Turtle caricarono l’artiglieria ancora in azione. In piedi, vicino a un cannone, erano rimasti il capitano Hannah e il soldato Shaumburgh. Spararono l’ultimo colpo e fuggirono. In un attimo l’artiglieria fu persa e gli Indiani raggiunsero la prima fila di tende. L’intera armata si ritrasse come un sol corpo e cessò di esistere. Ormai era solo una folla terrorizzata.
Fu a questo punto che St. Clair, convinto che il suo esercito fosse stato sconfitto da un nemico superiore in numero, decise la ritirata. Il suo comando era stato spinto nell’angolo Nordest del campo e sembrava completamente circondato. Sebbene alcuni soldati avessero già tentato di rompere le linee Indiane e di raggiungere la strada costruita dall’armata, il sentiero sembrava, ora, pieno di indiani.
Un tentativo di raggiungere il sentiero fu organizzato dai soldati di Darke. Caricando in direzione dell’artiglieria abbandonata di retroguardia, attraversarono un terreno completamente coperto di morti e agonizzanti. “Le teste scalpate fumavano e, nel gelido freddo mattutino, sembravano come zucche in un campo a Dicembre. Un soldato, il Lt McDonough, vide un capitano scalpato, seduto, la cui testa fumava come una ciminiera. la sortita fallì, Darke disse di non essere riuscito a controllare, nel fragore della battaglia, gli uomini.
Finalmente George Adams, un veterano della campagna di Harmar, gridò a alcuni soldati del suo reggimento “ragazzi, apriamoci la via e andiamo a casa”. Altri uomini, alcuni terrorizzati e senza armi, si unirono. “Non vi era alternativa”, raccontò Denny, “il ritardo era la morte”.
La carica non fu diretta, questa volta, in direzione della strada, ma verso gli alberi a Nord, lungo un corso parallelo. I guerrieri ne furono sorpresi e si divisero, aprendo un sentiero nella foresta. St. Clair fu issato su un cavallo e lasciò il campo di battaglia, sconfitto e disperato.


Un momento della terribile disfatta

Aiutata dalla mancanza dell’inseguimento Indiano, i guerrieri erano infatti intenti a razziare le tende e uccidere i feriti, le donne e i bambini, la colonna in fuga si inoltrò nella foresta. Erano le 9 e 30.
Richard Butler aspettava, appoggiato a una quercia, solo e infreddolito, l’inevitabile. Due guerrieri Shawnee si avvicinarono in mezzo al fumo. Butler alzò la pistola e fece fuoco. Stava cercando di ricaricare quando una palla di moschetto lo colpì alla testa. Identificato da Girty come un importante ufficiale, fu scalpato e il suo cuore, estratto, venne diviso in tanti pezzi quante erano le tribù presenti alla battaglia e mangiato. Il corpo fu lasciato ai corvi e ai lupi.
Ci furono altre, tragiche conseguenze lungo le rive del Wabash quel giorno.
Molti soldati e non combattenti, presi prigionieri, subirono la tortura.
Teste, arti e organi sessuali furono tagliati. Persone ancora vive furono gettate sui fuochi. Una donna fu legata al suolo e pali delle dimensioni di un braccio furono infilati nel suo corpo.
Resi euforici dal trionfo, gli Indiani iniziarono a razziare le tende e i corpi dei morti, frugando tra i bagagli e gli effetti personali. Il bottino era enorme. Due carri di provviste, 393 tende, circa 1200 moschetti e baionette, 163 asce e 8 cannoni, 2 dei quali erano stati presi al Generale Cornwallis nel 1781.
Alcuni barili di liquore furono trovati e aperti e molti Indiani iniziarono a bere.
Così gran parte dei guerrieri si dimenticò dei superstiti dell’armata che stavano fuggendo, nel panico più completo, attraverso la foresta.
“La ritirata delle truppe”, scrisse St. Clair, “fu precipitosa. Fu, infatti, un volo”. Un pugno di guerrieri, una ventina secondo un ufficiale, inseguì i soldati, terrorizzandoli con grida selvagge, e molti uomini gettarono gli zaini e le armi e corsero via più in fretta che potevano.
Per circa un miglio e mezzo la colonna dei soldati attraversò, ciecamente, la foresta, prima di raggiungere finalmente il sentiero tracciato dall’armata.


St. Clair sotto attacco

La scena era incredibile. Uomini esausti, in stato di quasi incoscienza, inciampavano e cadevano. Vi erano cavalli che portavano 3 o 4 persone. Una donna, Catherine Miller, conosciuta come Nance la rossa, abbandonò il figlio per meglio fuggire. Fu una delle sole 3 donne scampate alla battaglia.
Gli indiani abbandonarono l’inseguimento dopo 4 o 5 miglia, ma il panico e il caos continuarono.
Per l’armata di St. Clair, sconfitta e umiliata, la fuga verso Fort Jefferson, distante 29 miglia, fu una terribile odissea. Il ghiaccio, spesso come la lama di un pugnale, lastricava il sentiero, coperto anche da un sottile strato di neve, e molti uomini, senza scarpe, ebbero i piedi tagliati e congelati, mentre sul campo di battaglia, i guerrieri di Little Turtle iniziavano a comprendere l’enormità della vittoria. Al prezzo di 21 uomini uccisi e 40 feriti, avevano annientato un’armata superiore in numero.
Furono macellati alcuni manzi e gruppi di guerrieri, dopo aver mangiato e bevuto, attraversarono il desolato accampamento gridando e sparando, vestiti con le divise degli ufficiali morti. Erano arrivate anche le donne, che cominciarono a scalpare i cadaveri. Lo scalpo di Richard Butler venne seccato e inviato a Joseph Brant, che non aveva voluto aderire all’alleanza.
Nel tardo pomeriggio del 4 Novembre i primi fuggiaschi raggiunsero le mura di Fort Jefferson. La scena era caotica e orribile oltre l’immaginabile. Un soldato arrivò senza scalpo, col cranio diviso in due da un tomahawk. In serata arrivò anche St. Clair, ponendo fine alla tragica giornata.
Il 9 Novembre il Generale prese in mano la penna e scrisse al Segretario Knox, annunciandogli il disastro. Infatti la disfatta di St. Clair fu la peggior sconfitta di un esercito degli Stati Uniti di fronte agli Indiani.
I morti e i dispersi furono 630. Delle 1400 persone presenti sul campo di battaglia, meno di 500 rimasero illese, per la maggior parte non combattenti.
Il corpo ufficiali fu ridotto alla metà. Sessantanove dei 124 ufficiali rimasero uccisi, feriti o dispersi. I feriti furono circa 280. La perdita di equipaggiamento e materiale militare valutata a 33000 dollari.
Era la più grande vittoria Indiana.

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