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“Se ci chiedete da dove veniamo”: origini dei Crow

A cura di Anna Maria Paoluzzi. Un grazie a Gianni Albertoli

Il mito: la creazione
In principio al mondo non c’era nulla, solo acqua. Iichikbaalia, Colui-Che-In-Principio-Ha-Fatto-Tutto, vagando per il mondo, osservò la vasta superficie d’acqua che si stendeva fino all’orizzonte e pensò che era brutto esser solo. Proprio quando aveva deciso di mettersi in cerca di qualcuno con cui parlare, udì delle voci: “Siamo noi gli unici esseri al mondo, sì, ne siamo sicuri”. A parlare erano stati quattro anatroccoli dagli occhi rossi, che nuotavano muovendo agilmente le loro zampette palmate. Iichikbaalia allora li chiamò a sé: “Non siete gli unici al mondo; ci sono anch’io. Piuttosto, credete anche che non ci sia nient’altro al mondo?” Rispose uno degli anatroccoli “No, questo no: crediamo che qualcos’altro al mondo, giù, nel più profondo delle acque ci sia. Lo sentiamo nei nostri cuori”. Iichikbaalia chiese quindi al primo dei tre anatroccoli “Fratellino, immergiti nell’acqua e vai giù; se troverai qualcosa, prendilo nel becco e portamelo”.
L’anatroccolo, a quelle parole, si immerse prontamente, sparendo alla vista di Iichikbaalia e dei suoi compagni.
Passò un bel po’ di tempo e Iichikbaalia cominciò a chiedersi se l’anatroccolo non fosse morto, ma gli altri lo rassicurarono: non era ancora trascorso il tempo massimo in cui le anatre potevano rimanere sott’acqua senza respirare. L’anatroccolo alla fine riemerse, ma dovette confessare di non aver trovato nulla. Il secondo anatroccolo disse allora “Andrò io a vedere cosa c’è laggiù” e si immerse nelle acque. Passò di nuovo un bel po’ di tempo, forse anche più di quanto ne era trascorso quando il primo anatroccolo era andato giù in fondo all’acqua, ma alla fine anche il secondo anatroccolo riapparve in superficie.Iichikbaalia gli chiese se avesse trovato qualcosa, ma l’anatroccolo rispose: “No, sono andato giù finché ho potuto, ma alla fine ero troppo stanco e ho lasciato perdere”. Si offrì allora di andare il terzo anatroccolo; come gli altri che lo avevano preceduto, egli stette a lungo sott’acqua. Quando riemerse, Iichikbaalia gli domandò se avesse trovato nulla e l’anatroccolo rispose: “Sì: ero arrivato quasi sul fondo e ho visto qualcosa, ma a quel punto mi è mancato il respiro e sono dovuto tornar su”.
A questo punto prese la parola il quarto anatroccolo: “I miei fratelli sono troppo grandi e manca loro il respiro prima che possano raggiungere la cosa che c’è in fondo alle acque. Andrò io”. Iichikbaalia rispose “Mi sembri così piccolo e debole: prova pure, ma non chiedere troppo alle tue forze. Non voglio che moriate, siete gli unici compagni che ho al mondo”. Il quarto anatroccolo si immerse e andò giù, sempre più giù, finché non percepì qualcosa di duro col becco. Comprese di aver raggiunto il fondo e iniziò a camminare, usando il becco per sondare la durezza del fondo. A un certo punto il becco gli si immerse in qualcosa di morbido: aveva trovato ciò che cercava! Prese in bocca una palla di quella materia soffice e si affrettò a tornare in superficie. Quando riemerse era così stremato che non riuscì a dire nulla, e si limitò a posare quanto aveva trovato nel palmo disteso di Iichikbaalia. Iichikbaalia sollevò la mano e sorrise “Fango! Fratellini, con questo fango potremo plasmare tutto quanto ci occorre e riempire il mondo”. Gli anatroccoli si raccolsero tutti eccitati intorno a Iichikbaalia che, dopo aver lavorato la palla di fango che teneva in mano, ne utilizzò parte per separare la distesa d’acqua, da una parte e dall’altra e quindi utilizzò il rimanente per plasmare il cielo, le montagne, i fiumi, i laghi, le piante e gli animali.
Iichikbaalia si fermò quindi un istante a riflettere, contemplando il fango che gli era rimasto in mano: quindi, dopo aver modellato quattro figurine di fango, cominciò a cullarle al suono di questo canto:

Alla quarta ripetizione del canto, Iichikbaalia soffiò sulle quattro figurine, che presero vita (ed è per questo che il linguaggio, possibile solo grazie al respiro, è considerato sacro) e le pose in angoli diversi, perché si moltiplicassero e imparassero a parlare lingue diverse. Dopo un po’ Iichikbaalia posò lo sguardo su un gruppo di persone e le condusse presso una fonte, dove mostrò loro l’immagine di un uomo con l’arco teso. Disse quindi loro “Voi siete il popolo degli Apsáalooke; non sarete mai in gran numero e sarete sempre circondati dai nemici, ma io non permetterò a nessun popolo o forza esterna di sopraffarvi o annientarvi”. Fu così che i Crow vennero al mondo. (1)

??Dalle foreste del nord-est alle pianure occidentali: la grande migrazione

Non è un caso che il mito della creazione dell’uomo nella cultura Apsáalooke sia centrato su una grande distesa d’acqua; l’acqua è infatti un elemento indissolubilmente legato alle origini di questo popolo, sia che si voglia partire dalla regione dei Grandi Laghi, sia che si preferisca andare oltre nel tempo e nello spazio, arrivando alla regione proto-Siouan (che includeva la Virginia centrale, i due terzi del North Carolina e la zona nord-orientale del South Carolina) ipotizzata da James Mooney sulla base delle testimonianze orali di alcuni anziani Osage. Queste popolazioni di lingua Siouan iniziarono la loro migrazione verso ovest a causa delle continue pressioni belliche esercitate dalle aggressive tribù algonchine e muskhogean presenti nella stessa area. Non è in ogni caso affatto chiaro se la popolazione Siouan identificata come i proto-Hidatsa/ Apsáalooke sia stata parte di uno degli episodi di queste migrazioni (e certo non fu parte della migrazione che coinvolse le popolazioni di lingua Siouan –Dhegiha come i Kansa-Osage e gli Omaha- Ponca, viste le marcate differenze tra i due gruppi linguistici). Il sottogruppo a cui appartengono le lingue degli Hidatsa e dell’Apsáalooke è un sottogruppo indipendente, il Siouan Occidentale o Siouan del Missouri Superiore, a cui è parzialmente riconducibile (più per prestiti linguistici e somiglianze lessicali che per effettive affinità) soltanto il Mandan. Nei primi decenni del XX secolo, storici e antropologi dilettanti come Frank Linderman si erano spinti al punto di considerare l’area del Florida come il luogo d’origine degli Apsáalooke, sulla base del loro peculiare aspetto fisico e del termine Apsáalooke Biliksaa, che indica “un mostro simile al serpente, con quattro zampe, che nascosto nei letti dei fiumi tende agguati a chi si avventura in acqua”, identificato dagli euro-americani come l’alligatore. Tali indizi appaiono però troppo deboli; inoltre, sono stati recentemente portati alla luce nell’area del Montana fossili di dinosauri che presentano uno scheletro simile a quello di coccodrilli e alligatori. Non è quindi escluso che le popolazioni Apsáalooke abbiano, a suo tempo, rinvenuto fossili simili e da questi aver tratto la figura del Biliksaa.
Oggi, archeologi come Dale R. Henning e Dennis Toom ipotizzerebbero piuttosto l’appartenenza della cultura Hidatsa/Apsáalooke alla cultura Northeastern Plain Village (Villaggi delle Pianure Nord-Orientali), una cultura semi-sedentaria in cui i villaggi erano costituiti da capanne di terra battuta disposte in file orizzontali e i cui siti più importanti (risalenti al 900 D.C.) sono stati rinvenuti nello Iowa nordorientale e nella zona sud-occidentale del Minnesota. (2)
L’antropologo e storico tribale Apsáalooke Joseph Medicine Crow ha tentato di ricostruire la storia della migrazione dei proto-Hidatsa/Apsáalooke dall’area dei Grandi Laghi fino al North Dakota e successivamente quella delle peregrinazioni degli Apsáalooke, ormai una popolazione distinta, fino all’arrivo nella loro terra promessa, l’area compresa tra il Montana meridionale e il Wyoming settentrionale, un lavoro definito dallo stesso Medicine Crow come “interessante, stimolante e allo stesso tempo frustrante” ma anche come “la più grande e drammatica migrazione indiana mai raccontata”. (3)


Joe Medicine Crow

Le tradizioni orali raccolte da Joe Medicine Crow fanno partire la storia della tribù da una “terra di foreste e di grandi laghi”, identificata come l’area a sud del Lago Superiore e a ovest del lago Michigan, dove questi indiani si erano stabiliti in modo semi-sedentario, piantando mais e zucche e allo stesso tempo cacciando la selvaggina presente in quel territorio. La tradizione orale riporta che un anno non ci furono piogge e il paese di questi indiani fu spazzato dai caldi venti del sud, che fecero seccare l’erba. Le colture furono distrutte e la selvaggina sparì. La tribù era affamata e i capi si riunirono per decidere il da farsi. Inviarono quattro gruppi composti ciascuno da quattordici esploratori nelle quattro direzioni per seguire le tracce della selvaggina. I gruppi che si erano recati a nord, a est e a sud ritornarono senza aver trovato nulla, ma il gruppo che era andato a ovest riportò grandi quantità di carne di bisonte. Interrogati su quanto avevano trovato, gli esploratori raccontarono di essersi diretti a ovest e di essere a un certo punto usciti dalla foresta per ritrovarsi in una pianura sterminata, con verdi pascoli, dove pascolavano mandrie di bisonti. Si ritiene che il posto dove gli esploratori degli Hidatsa- Apsáalooke incontrarono il bisonte fosse l’odierna area di St. Paul nel Minnesota. A questo punto, l’intera tribù decise di spostarsi ad ovest, stabilendosi infine tra il Minnesota Settentrionale e il Manitoba meridionale.


Area della cultura Northeastern Plain Village

Questo racconto, che a prima vista sembrerebbe semplicemente un’affascinante leggenda, è stato in gran parte confermato dagli studi archeologici di Henning e Wood, che confermano una migrazione di alcune popolazioni appartenenti alla cultura Northeastern Plain Village verso l’area del Missouri probabilmente alla ricerca di condizioni migliori per la coltura del mais e selvaggina in un periodo compreso tra il 900 e il 1200 d.C. Le stesse testimonianze archeologiche rivelano, in questo periodo, contatti tra la cultura Northeastern Plain Village e la fiorente cultura Mississippian, testimoniata dal ritrovamento di perline fatte con conchiglie e da tratti culturali come l’introduzione di una variante del gioco del “chunkey” (originario della regione di Cahokia, uno dei siti più fiorenti della cultura Mississippian), in cui i giocatori tentavano di gettare bastoni o lance il più possibile vicino a una pietra tonda. Varianti di questo gioco furono notate poi dai primi esploratori euro-americani non solo tra gli Apsáalooke e gli Hidatsa, ma anche tra i Mandan.


Pietra per il “chunkey” rinvenuta in un sito archeologico Crow nell’area del Little Big Horn, Montana


Indiani Hidatsa che giocano a “chunkey”

La tradizione orale Crow prosegue il racconto della grande migrazione affermando che i proto-Hidatsa/ Apsáalooke lasciarono la loro terra di laghi e foreste, alla ricerca di una patria più accogliente e adatta alle loro esigenze intorno al 1500 d. C. Il primo esodo di questo popolo non fu certamente rapido né privo di difficoltà: la tribù, uomini, donne e bambini, si spostava a piedi, fronteggiando le asprezze del clima e le incertezze del cammino in terre in cui nessuno di loro si era mai addentrato così a lungo. Ma quando finalmente raggiunsero la prima dello loro tante mete?
Nei suoi studi sulle migrazioni degli Apsáalooke e delle antiche tradizioni orali Crow e Hidatsa, Joe Medicine Crow ha intervistato diversi anziani di entrambe le tribù; la testimonianza più importante raccolta in questo senso fu quella resa nel 1932 da Cold Wind (Vento Freddo), un vecchio Apsáalooke allora novantenne. Cold Wind, raccontò di aver visitato, negli anni della sua giovinezza, la tribù sorella degli Apsáalooke, gli Hidatsa, nella loro terra in North Dakota. Da lì proseguì il suo viaggio, diretto ancora più a est e dopo diversi giorni di viaggio giunse presso un’altra tribù indiana, in una diversa riserva (secondo Medicine Crow, una delle riserve della zona settentrionale del Minnesota, la riserva White Earth, quella del Red Lake o del Leech Lake, abitate da diverse tribù Ojibwa). Tra questi indiani, Cold Wind incontrò un vecchio storico tribale che sembrava conoscere diverse tradizioni sul popolo che poi aveva preso il nome di Hidatsa. Il vecchio condusse Cold Wind in un luogo situato a nord-est del proprio villaggio, una vallata lungo un fiume dove si potevano ancora distinguere le fondamenta delle capanne di terra tipiche degli Hidatsa, disposte a formare quello che sembrava un villaggio. Il vecchio mostrò quindi a Cold Wind un’area leggermente scostata, su una specie di terrazza naturale, dove si distinguevano ancora i cerchi dei tepee che un tempo l’avevano occupata. Il vecchio disse quindi a Cold Wind: “I depositari delle nostre tradizioni dicono che i vostri padri una volta abitavano qui. Quest’area, dove vedi i segni lasciati dai tepee era abitata da una parte delle tribù che in estate preferiva cacciare il bisonte e vivere in tende, mentre gli altri vivevano per tutto l’anno nel villaggio delle capanne di terra presso il fiume, coltivando le piante che crescevano qui. Un giorno, entrambi i gruppi raccolsero i loro beni e se ne andarono, diretti a sud-ovest. Non tornarono mai più”.
A questo punto, Cold Wind iniziò quello che Joe Medicine Crow ha definito “il secondo episodio” della storia della migrazione degli Hidatsa/Apsáalooke, una narrazione più accurata e precisa, in cui comparivano nomi di luoghi e di persone la cui esistenza era provata e rintracciabile. Risalendo indietro nel tempo, Medicine Crow ha individuato il sito visitato da Cold Wind nell’area del Lago Winnipeg, in Canada e fissato la partenza degli Hidatsa/ Apsáalooke di cui parlava il vecchio informatore di Cold Wind intorno al 1550. Quasi certamente, il motivo della partenza dell’intera tribù aveva a che fare con i conflitti con i Cree e gli Ojibwa, che allora dovevano aver acquisito un certo vantaggio grazie alle armi di recente ottenute dai nuovi arrivati europei.
La tradizione orale Apsáalooke prosegue quindi con il nuovo esodo della tribù riunita in direzione sud-ovest. Diversi anni dopo (1580?) la partenza dalla loro bella terra di foreste, gli Hidatsa/ Apsáalooke si trovarono di fronte una nuova distesa d’acqua, che ancora oggi chiamano Acque Sacre (il Devil’s Lake nel North Dakota). Le differenze tra gli stili di vita dei due gruppi principali della tribù a quanto pare avevano portato profondi contrasti e i due capi principali delle divisioni, due fratelli di nome No Vitals (Senza Interiora), capo del gruppo “nomade” e Red Scout (Scout Rosso), leader dei “nomadi”, decisero di digiunare per ottenere una visione e sapere cosa esattamente Iichikbaalia volesse da loro. Al loro ritorno, i due fratelli riportarono ognuno due cose diverse. Red Scout aveva una pannocchia di mais: Iichikbaalia gli aveva detto di stabilirsi dove la pianta sarebbe cresciuta e che da essa sarebbe dipesa l’esistenza del suo popolo.
No Vitals riportò invece degli strani semi: Iichikbaalia aveva dato loro la sacra pianta del tabacco (Nicotiana multivalvis) non come nutrimento per il corpo, ma per lo spirito e che essi avrebbero dato forza e coraggio al suo popolo. No Vitals e la sua gente avrebbero dovuto cercare un altro paese, un paese montuoso dove i semi sarebbero cresciuti e la sua gente avrebbe prosperato a lungo. Questa varietà di tabacco, usata a scopi cerimoniali (e chiamata dai Crow oop pu’mite “tabacco basso”) è originaria della penisola californiana, da dove poi si sarebbe diffusa in Idaho e Oregon. La varietà usata dai Mandan e dagli Hidatsa (e usata dai Crow per il fumo “ordinario) è invece una specie differente, originaria del North Dakota, la Nicotiana quadrivalvis (chiamata dai Crow oop’ha’tskite “tabacco alto”).
La separazione tra i due gruppi a quanto pare non avvenne in modo particolarmente netto e drammatico; le due divisioni seguitarono infatti a viaggiare insieme per diversi anni, sempre diretti a ovest finché, intorno al 1600, alcuni esploratori della tribù non giunsero nel punto in cui il Missouri si unisce allo Heart River. Dall’altra sponda del fiume, i nuovi arrivati videro un villaggio di capanne di terra: non potevano saperlo, ma quello sarebbe stato il loro primo incontro con i Mandan. Alla vista degli esploratori, i Mandan compresero che essi “volevano attraversare il fiume” e andarono a prenderli con le loro bull boat, le tipiche imbarcazioni circolari fatte con uno scheletro di legno e una pelle di bisonte. Gli esploratori rimasero per qualche giorno, promettendo di condurre con sé il resto della loro gente. Il resto del gruppo arrivò qualche giorno (o qualche mese dopo) e rimase con i Mandan per circa un anno; negli anni successivi si spostò in un sito proprio, in una vallata presso il Missouri dove rimase per i successivi sette anni. I nuovi arrivati strinsero in quel periodo forti legami con i Mandan che, in memoria del loro primo incontro, iniziarono a chiamarli Minitari o Minitadi, “coloro che vogliono attraversare il fiume”, da cui poi derivò il nome “Minnetaree” con cui i primi trapper ed esploratori euro-americani impararono a chiamare gli Hidatsa.


Karl Bodmer: “Abdih-Hiddisch, capo dei Minnetaree”


(Da “The Crow Indians” di D.McGinnis e F. Sharrock) (10)


(Da D.Harcey, B. Croone, J. Medicine Crow “White Man Runs Him – Crow scout with Custer”, 1995)

Dopo la separazione: l’esodo e l’arrivo nella “terra promessa”

?Altre testimonianze sull’origine dei Crow risalenti al XIX secolo suggerirebbero uno scenario diverso da quello tracciato finora, specialmente per quanto riguarda il periodo precedente all’arrivo degli Apsáalooke nella valle del Missouri.
James Bradley, un tenente dell’esercito USA, nel 1876 raccolse la testimonianza di uno scout Crow di nome Little Face (Piccolo Viso) che affermava di aver udito “da ragazzo” (1840?) che la sua gente “un tempo aveva vissuto sulle sponde di una grande distesa d’acqua” a sud-est della valle dell Yellowstone. A un certo punto la tribù si era spostata nell’area del fiume Arkansas e quindi aveva proseguito il viaggio fino a raggiungere l’area del Missouri. Sempre Little Face disse che suo nonno ricordava l’arrivo degli Apsáalooke nell’area dello Yellowstone: calcolando gli archi di tempo intercorsi tra le tre generazioni, si potrebbe fissare questa data intorno al 1745. Come si vedrà in seguito, la ricostruzione di Joseph Medicine Crow sposterebbe invece la data ai primi anni del XVIII secolo.
Sempre Bradley raccolse poi la testimonianza di un altro scout Crow (rimasto anonimo), che riportò i ricordi di The Poorest (La Più Povera), una donna Apsáalooke morta centenaria nel 1875 che ricordava di aver vissuto da bambina sulle rive del Blue Water River, in Kansas, e che i racconti uditi dagli anziani durante la sua infanzia parlavano di un’antico territorio abitato dagli Apsáalooke e dagli Hidatsa prima della loro separazione, a sud-est del Kansas. Dopo l’interludio sulle rive del Blue Water River, la gente di The Poorest era di nuovo partita per arrivare prima all’area del fiume Platte e per riunirsi infine agli Hidatsa nel Missouri.?? (4)
La tradizione orale Hidatsa riporta diversi miti sulla separazione tra il nucleo sedentario della tribù (gli Hidatsa/Awatixa) (5) e quello nomade (Apsáalooke): il primo parla della separazione di tre popolazioni, ciascuna guidata da uno dei tre figli di una donna Hidatsa: il primo si stabilì nelle biforcazioni del Missouri presso i villaggi Mandan, il secondo risalì il corso del fiume e scomparve nel nulla, mentre l’ultimo si diresse verso le Montagne Rocciose, formando il primo nucleo dei futuri Mountain Crow. Un’altra leggenda Hidatsa collega gli Apsáalooke alle Montagne Rocciose: secondo questo racconto, due fratelli Hidatsa macchiatisi dell’uccisione di alcuni parenti fuggirono in direzione delle Montagne Rocciose, dove presero in mogli alcune donne Flathead, con cui formarono la prima tribù Crow. Una tradizione comune sia agli Hidatsa che ai Crow parla invece di una prima separazione tra gli Hidatsa e i Mountain Crow e una successiva tra Hidatsa e River Crow. Questo gruppo, che era apparentemente arrivato dall’area dello Heart River, si stabilì presso il punto in cui il Knife River si unisce al Missouri, sulla riva nord di quest’ultimo fiume, nel villaggio n.35 dell’area archeologica del Knife River. Il gruppo è anche noto con la denominazione di miro’kac, un termine che sembrerebbe legato al termine Apsáalooke bi’ilukaa, con cui i Crow indicano “noi, la nostra gente”. I due gruppi si sarebbero divisi (o meglio, avrebbero iniziato ad allontanarsi su base stagionale) prima della grande epidemia di vaiolo del 1782, in seguito alla quale gli Hidatsa avrebbbero cominciato a chiamare i River Crow Kixa’icha “Coloro che litigano a causa del ventre” (la tradizione orale riporta che il “casus belli” del primo allontanamento fu una lite per dividersi lo stomaco di un bisonte)
La tradizione riportata da Joseph Medicine Crow, come già anticipato, è leggermente diversa. Questo resocnto orale riporta infatti che, dopo la separazione dal popolo di Red Scout, la gente di No Vitals si diresse di nuovo a nord, verso la zona in cui oggi sorge Alberta, in Canada. Questa popolazione aveva già iniziato ad autodefinirsi bi’ilukaa, “noi, i nostri”. Dopo appena qualche anno, i futuri Crow, stentando ad abituarsi al clima freddo della loro nuova patria, si diressero verso sud, arrivando nell’odierno Utah dove per qualche tempo dimorarono sulle rive del Great Salt Lake. Nuove difficoltà climatiche però li attendevano: il clima troppo secco impediva la coltivazione di qualsiasi pianta, compresi i sacri semi del tabacco e la selvaggiona scarseggiava. No Vitals guidò quindi i suoi ancora più a sud-est, dove si trovarono di fronte uno spettacolo per loro straordinario e terribile: un enorme cratere “nel quale c’era fuoco” (una vena di lava?). Medicine Crow collocherebbe questo luogo in una zona tra il New Mexico e il Texas settentrionale. Dal “luogo del fuoco”, i bi’ilukaa avanzarono fino ad incontrare un fiume, da essi chiamato “Arrowhead River” (Il Fiume a Punta di Freccia – oggi identificato quasi con certezza con il Canadian River in Oklahoma), che risalirono verso est, finché non si ritrovarono in un “paese ricco di foreste”, molto simile alla loro antica patria. Grossi tacchini e “grandi uccelli con ali striate e lunghe penne caudali” caratterizzavano il nuovo territorio, ma i Crow si sentivano infelici: gli alberi davano loro un senso d’oppressione e impedivano loro “di vedere cosa c’era all’orizzonte”. Questo territorio potrebbe essere identificato con l’area della foresta di Ouachita, nell’ Ozark Plateau, un altipiano che si stende tra gli odierni stati del Missouri, Arkansas, Oklahoma e Kansas e che anticamente doveva costituire un’unica, amplissima zona boscosa.

Decisero quindi di ripartire, questa volta cambiando radicalmente direzione e puntando ad nord-ovest: risalendo il corso di un grande fiume (il Missouri?), fecero una breve sosta nell’area del Platte, per poi proseguire ulteriormente a nord-ovest, in quelloa che è il territorio a tra i confini degli odierni stati del Wyoming e nel Montana. Secondo la tradizione, solo allora i semi della sacra pianta del tabacco che Iichikbaalia aveva donato a No Vitals attecchirono. Erano finalmente giunti nella terra promessa, la terra che “Iichikbaalia aveva messo per loro proprio al posto giusto”.


Itinerario della grande migrazione Crow (mappa pubblicata sul sito del Little Big Horn College, riserva Crow)

Villaggi, capanne cerimoniali o fortificazioni? Studi su 3 siti archeologici riconducibili alla cultura Crow Nel volume Beyond Subsistence: Philip Duke e Michael Wilson (6) analizzano 3 siti archeologici (in North Dakota, Canada e Montana) tentando di servirsi delle tradizioni orali della migrazione Crow come chiave di lettura. I siti, sono indicati nella mappa riportata sotto con i numeri 1, 2 e 3.


Il primo di questi siti ad esser stato localizzato è il cosiddetto sito di White Earth Creek, in North Dakota, scoperto da Thaddeus Hecker nel 1938. L’area in questione si presenta come una fortificazione circolare, con un diametro massimo di 128 metri, al cui interno sorgeva una palizzata di legno. All’interno sono totalmente assenti tracce di strutture permanenti, ma all’esterno del perimetro fortificato sono state rinvenute tracce di focolari, pozzi di terra per la cottura e tombe, che farebbero pensare a un assemblemento di tipi o costruzioni abitative non permanenti. La provvisorietà dell’insediamento è confermata indirettamente dal fatto che le poche risorse idriche presenti hanno un alto contenuto di minerali e quindi sono poco adatte all’agricoltura. Il fatto che il sito sia stato individuato su un’altura rocciosa ha fatto pensare sia a un suo scopo cerimoniale, sia a necessità difensive. La totale assenza di articoli di origine euro-americana fa stabilire con certezza che il sito sia antecedente al 1720. Duke e Wilson ipotizzano che White Earth Creek rappresenti, come il sito di Hagen di cui si parlerà fra poco, una “pausa” della migrazione del gruppo di No Vitals che, pur allontanandosi dall’organizzazione fissa del tipico villaggio Hidatsa, sentiva ancora il bisogno di mantenere una struttura centrale che era il centro cerimoniale del gruppo (personalmente, credo piuttosto si trattasse di una rudimentale forma di fortificazione).


il sito di White Earth Creek

La fortificazione semicircolare si ritrova nel sito di Cluny (dal nome della città situata immediatamente a nord dell’area), sulla riva settentrionale del Bow River nell’area di Alberta. Questo sito, più o meno coevo (o leggermente più tardo) di quello di White Earth Creek, presenta una fortificazione costituita da un fosso semicircolare a ridosso del fiume. Parallelamente al fosso, si ergeva una palizzata; nello spazio compreso tra il fosso e la palizzata sono stati rinvenuti 11 pozzi, che non sembrano tuttavia essere basi per costruzioni a uso abitativo. Duke e Wilson enfatizzano il fatto che i pozzi siano stati costruito proprio dietro a delle interruzioni del fosso (costituite da rinforzi in terra) e il fatto che la palizzata non fosse verticale, ma rivolta verso l’interno per introdurre l’ipotesi che il sito fosse destinato a una cerimonia simile alla Danza del Sole. Il ritrovamento di frammenti di ceramiche (affini a quelle tipiche delle culture Middle Missouri, ossia Mandan/Hidatsa) suggerisce che le abitazioni fossero di tipo non permanente (tipi); il clima rigido e la mancanza di utensili agricoli escludono un’economia basata sull’agricoltura, mentre la presenza di frammenti d’ossa di bisonti suggerisce che la caccia fosse il principale mezzo di sussistenza di questa tribù. Duke e Wilson suggeriscono che Cluny sia stata un’altra tappa della migrazione kixa’ica, ma la cosa resta incerta, anche considerando che i Blackfoot della vicina riserva parlarono diffusamente della brevità della permanenza di questa popolazione (chiamata dai Blackfoot Tsawkoyee “quelli che abitano in capanne di terra”) nel loro territorio : “essi conoscevano il cane, ma non il cavallo… vennero da sud, fecero pace con i Blackfoot e si fermarono lì [a Cluny] per un inverno e successivamente si insediarono in altre località [identificate con Axe Flat, Many Shots Flat, Blood Sand Hills, Sun Dance Flat, e Big Tobacco Flat, anche se a tutt’oggi non è stato possibile individuare alcun sito archeologico in queste località] per i successivi cinque inverni. Quando essi tornarono a sud, due capi della nostra gente, Eagle Ribs (Costole d’Aquila) e Big Road (Grande Strada) andarono con loro. Non tornarono mai più”. Anche se questa popolazione mostrerebbe una stretta parentela con i villaggi delle pianure situati sul fiume Missouri (e quindi una provenienza dal North e South Dakota) Guy Gibbon e Kenneth Ames credono che la tribù in questione si sia successivamente integrata con i Blackfoot del Saskatchewan meridionale; un altro fattore che sembrerebbe escludere che tale popolazione Siouan (spesso indicata come cultura One Gun, dal nome del capo Blackfoot che nel 1960 identificò la popolazione che abitava il villaggio come Tsawkoyee) si sia poi riunita con i Crow è la datazione relativamente tarda del sito (1740), che non corrisponde a quella in cui la tradizione orale principale inserisce la fase “canadese” della migrazione Crow. Un’altra ipotesi (sostenuta dall’archeologo Richard Forbis) identifica gli Tsawkoyee come una popolazione di cultura affine a quella del Middle Missouri (Mandan-Hidatsa), spostatosi a nord probabilmente per sfuggire a un’epidemia (verso la metà del Settecento iniziò a diffondersi il vaiolo, a causa dei primi contatti con gli euro-americani) e che, dopo alcuni anni, ritornarono nelle loro terre di origine a sud nella speranza che la pandemia che li aveva costretti a fuggire fosse cessata.


Il sito di Cluny

L’ultimo, e forse il più famoso dei tre siti è il celebre sito di Hagen, situato nel Montana meridionale, presso la città di Glendive. Scoperto nel 1939, è stato studiato a lungo dal famoso archeologo William Mulloy (autore tra l’altro degli studi sulla civiltà di Rapa Nui), che per primo ha ipotizzato che tale sito potesse essere una testimonianza della migrazione Crow successiva alla loro separazione dagli Hidatsa. I frammenti di ceramica ritrovati ricollegano il sito alle culture Middle Missouri di cui si è parlato in precedenza, ma è notevole la distanza (332 chilometri a nordovest) che lo separa dagli altri villaggi di questa cultura. La struttura che richiama la cultura Hidatsa è la combinazione di abitazioni non permanenti (tipi) con altre permanenti (capanne di fango); la presenza di un gran numero di scapole di bisonte (usate dalle culture sedentarie delle pianure come zappe) farebbe pensare a un’economia ancora in parte basata sull’agricolture. Nella tradizione orale Crow è menzionato un villaggio, dal significativo nome di Xoóxaashe Alatshíile Awooshisee “Dove fu piantato il mais che però morì”, situato nello stesso punto del corso dello Yellowstone dove si trova il sito di Hagen. La datazione tradizionalmente accettata per questo sito è compresa tra il 1600 e il 1700.


Il sito di Hagen


Struttura in terra semi-permanente nel sito di Hagen

Le domande che restano sono perciò le seguenti: i siti di White Creek River, Cluny e Hagen appartengono tutti a una stessa cultura (Crow/Hidatsa) o hanno una comune origine culturale? I fossi ritrovati nelle prime due aree avevano scopo cerimoniale o difensivo (i resoconti orali Apsáalooke , come quello della battaglia contro i Cheyenne del 1833 (7) e della battaglia di Pryor Creek (8) parlano dell’uso da parte dei Crow di “trincee” naturali o artificiali usate in battaglia)?

Isaashké, il “grande cane”

La terra dei Crow è una buona terra. Colui-Che-In-Principio-Ha-Fatto-Tutto l’ha messa proprio al posto giusto; chi vive qui vive bene, ma fuori, ovunque si possa andare, si starà peggio. A sud vagano per vaste pianure desertiche; l’acqua è calda, cattiva e c’è il pericolo di febbri malariche. A nord è freddo, gli inverni sono duri e difficili e l’erba è scarsa: bisogna viaggiare con i cani, perché non si possono tenere cavalli lì: e cos’è una terra senza cavalli… La terra dei Crow è proprio al posto giusto; tutto quanto c’è di buono, lo si può trovar qui. Non c’è terra al mondo come la terra dei Crow.
(Sore-belly, 1832)

Il passaggio sopra riportato, tratto dall’appassionato discorso con cui il capo dei River Crow Sore-belly descriveva a un rappresentante della Rocky Mountain Fur Company la terra dei Crow è particolarmente significativo anche per l’enfasi data all’importanza delle condizioni climatiche per l’allevamento e la cura dei cavalli. Il cavallo fu indubbiamente un elemento essenziale dell’economia e della società Crow nel XIX secolo, ma tutti gli storiografi tribali sono concordi nell’affermare che gli Apsáalooke arrivarono nella loro “terra promessa” a piedi. Quando dunque gli Apsáalooke ottennero i loro primi cavalli?
Little Face, l’informatore del tenente James Bradley di cui si è parlato in precedenza, che lo “spirito del cavalli vive nelle acque del fiume Yellowstone, proprio sotto i monti Big Horn e talvolta emerge in superficie. E’color terra, con strisce nere che gli attraversano zampe e corpo e ha un naso scuro”. Al di là della leggenda, Bradley nei suoi appunti riportò che “Little Face mi dice ai tempi di suo nonno i Crow non avevano il cavallo, non sapevano neanche cosa fosse, tranne che per alcune vaghe tradizioni quasi sparite dai ricordi della tribù… Finalmente un giorno, dopo che ebbero raggiunto la valle dello Yellowstone alla fine della loro migrazione da sud-est, ricevettero la visita di un gruppo di Nez-Percés, che videro che i loro ospiti non usavano che cani e raccontarono loro di possedere animali più grandi e migliori di quelli; dissero anche che li avrebbero barattati, se i Crow fossero venuti a far visita al loro campo. Alcuni Crow lo fecero e lì per la prima volta videro le più grandi e le migliori bestie da traino, in apparenza davvero simili alla tradizione secondo cui tali animali erano apparsi loro, emergendo dall’acqua, quand’erano ancora a sud-est. Ne acquistarono alcuni e con essi fecero ritorno al loro accampamento.”
La testimonianza di Little Face, il quale sosteneva che suo nonno avesse fatto parte del gruppo che riportò i primi cavalli dall’accampamento dei Nez-Percés, farebbe pensare che la tribù avesse ottenuto i suoi primi cavalli solo intorno al 1745-50; tuttavia, ad eccezione di Charles Bradley (9), che propone una data compresa tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, gli storici tribali (Joseph Medicine Crow, Barney Old Coyote) sono abbastanza concordi nel fissare la data dell’acquisizione del cavallo tra il 1730 e il 1735. Quello su cui le versioni differiscono è la provenienza degli animali.
?Joseph Medicine Crow propone due versioni diverse: la prima parla di una spedizione di guerra condotta intorno al 1725, in cui dei guerrieri Crow avrebbero rubato un cavallo da un’altra tribù accampata presso il Green River ; secondo l’altra versione, un gruppo di Crow, guidati da Young White Buffalo, avrebbe rubato diversi cavalli da un gruppo di Shoshone accampati nelle vicinanze del Great Salt Lake. Secondo l’antropologo Lewis Henry Morgan, che visitò i Crow nel 1862, i primi cavalli degli Apsáalooke sarebbero stati razziati a un gruppo Comanche stanziato nel Texas, ma è improbabile che i Crow si fossero spinti così a sud, specialmente considerando che tra i più vicini Shoshone c’erano già cavalli da razziare in abbondanza
L’introduzione del cavallo portò anche dei mutamenti a livello di organizzazione tribale: la tradizione vuole che in questo periodo si formò la banda nota come Eerara’piio o “Kicked in the Bellies” (Calciati nel Ventre), anche se l’antropologo Robert Lowie sembrava più incline a considerare questo gruppo come un’unità che aveva acquisito una semi-indipendenza dai Mountain Crow solo in tempi recenti (primi decenni del XIX secolo). Un’altra spiegazione, sostenuta da un gruppo di storici tribali e raccolta da D.McGinnis e F.Sharrock, tende invece a vedere nell’introduzione del cavallo la prima causa della separazione tra i Mountain Crow (in Crow Acarahoo’, letteralmente “Tende numerose”) e i River Crow (Minésepeere, letteralmente “Sterco sulle rive del fiume”): i primi si sarebbero adattati meglio al cavallo, imparandone a sfruttare a fondo le potenzialità e avrebbero quindi optato per insediamenti più stabili nell’area dei monti Big Horn, mentre i secondi avrebbero preferito continuare a dividersi tra il nuovo territorio e l’area del Missouri dove risiedevano i loro parenti Hidatsa, mantenendo così il contatto tra le due tribù sorelle.
In un testo di Lawrence Eugene Sullivan (11), in relazione a questo stesso periodo e nelle schede compilate a cura del Little Big Horn College viene menzionata una quarta suddivisione dei Crow, denominata Bilapiuutche, “Beaver dries Its Fur”, “Il Castoro (che) si asciuga la Pelliccia”, di cui però già nella seconda metà del XVIII secolo si erano perdute le tracce. Alcuni hanno ipotizzato che si trattasse della gruppo menzionato nella leggenda Hidatsa della separazione con i Crow, che “risalì il Missouri e di cui non si seppe più nulla”; altri hanno pensato che questa banda si fosse spostata nelle pianure meridionale già intorno al 1600 insieme ai Kiowa, dai quali poi sarebbe stata progressivamente assimilata.

A proposito dei Kiowa, sarà bene ricordare in breve i rapporti di questa popolazione con i Crow nei primi anni dell’arrivo di questi ultimi nella valle dello Yellowstone. I Kiowa, una popolazione di lingua Tanoan (gruppo linguistico Uto-Azteco) si erano insediati nell’area del Montana meridionale sin dalla fine del XVII secolo (gli indiani “Manroahts” menzionati nei diari di La Salle sarebbero appunto i Kiowa); con l’arrivo degli Apsáalooke e, già intorno agli inizi del XVIII secolo, l’inizio dell’alleanza con questi ultimi (con i quali, a quanto risulta dalle tradizioni orali di entrambe le tribù, non ci furono mai guerre o rivalità), i Kiowa si spostarono nell’area che va dalle Black Hills al Little Missouri. Nonostante Robert Lowie abbia negato l’esistenza di legami particolarmente stretti tra le due tribù, è provato che alcuni tratti culturali Kiowa, come i fantocci cerimoniali usati nella Danza del Sole (le Sundance dolls), la stessa Danza del Sole (che i Kiowa chiamano “processione di ingresso nella capanna cerimoniale”) e i “medicine bundles” (“sacchetti di medicina”, amuleti usati a vario scopo) siano derivati dalla tradizione Crow. Sembra anche un consistente numero di termini Crow fosse ancora in uso tra la popolazione Kiowa nel XVIII secolo; questo potrebbe essere una conseguenza di quanto ricordato nelle sue memorie dal capo di guerra dei River Crow Two Leggings/Due Gambali (12), ossia del fatto che le due tribù seguitarono a scambiarsi visite anche dopo che i Kiowa furono scacciati dalle Black Hills dai gruppi Teton. Two Leggings affermò inoltre che i Kiowa avevano anche l’abitudine di lasciare i loro bambini presso famiglie Crow anche per anni, e questi bambini spesso finivano per sposare donne Crow da adulti (il celebre capo Kiowa Kicking Bird/Uccello che Scalcia era nipote di un guerriero Crow).
Tornando all’impatto sociale ed economico dell’introduzione del cavallo sulle comunità Crow, il nuovo animale modificò radicalmente le abitudini della tribù. La caccia al bisonte venne notevolmente facilitata, gli spostamenti di un intero accampamento resi più comodi: in altre parole, la tribù si trovò sempre meno legata alle abitudini semi-sedentarie del loro gruppo. Il cavallo divenne anche un importante merce di scambio; i Crow, già all’inizio del XIX secolo, erano divenuti il principale canale del baratto di cavalli tra l’area delle Montagne Rocciose a sud (dagli Shoshone) e a nord-ovest (dai Nez-Percés). Per un’idea del numero di animali coinvolti in questi scambi, basti ricordare la visita dei Crow ai Mandan e agli Hidatsa riportata dai diari di Clark (1805), in cui si afferma che il gruppo di Crow arrivò con 250 cavalli da barattare.

Il nome originale del cavalli in lingua Apsáalooke, così come riportato negli appunti di Lowie è Isaa’gye, “grande cane”; il linguista padre Randolph Graczyk pensa tuttavia che il termine sia in realtà una corruzione di isaashké o isaa’wishké, “il suo (di lei o di lui) cavalli” (cfr. il termine Lakota tashunka). In Apsáalooke moderno “cavallo” si traduce con iichiile, che Graczyk individua come il termine originariamente usato per alce, che in Crow moderno è iichiilikaashe “il cavallo primordiale” (13). Ancora oggi la lingua Apsáalooke abbonda di termini riferiti alle varie tipologie di cavallo e persino alle differenti personalità di questo animale, una testimonianza evidente dell’importanza avuta dalla sua introduzione nella formazione della cultura storica dei Crow.

I “beaux hommes” e i primi “occhi gialli”: la spedizione dei fratelli de La Veréndrye??

Si ritiene comunemente che il primo incontro documentato tra gli Apsáalooke e i nuovi arrivati euro-americani, poi definiti dalla tribù baaishtashiile, “occhi gialli”, risalga all’autunno del 1742, con protagonisti due esploratori franco-canadesi, Pierre-Gaultier e Louis-Joseph de La Veréndrye che avevano appena intrapreso una spedizione che, nelle loro intenzioni, avrebbe dovuto portarli dalla terra dei Mandan (l’attuale North Dakota) fino a un ipotetico sbocco sull’oceano Pacifico a sud-ovest. Ecco cosa racconta nel suo resoconto al marchese di Beauharnois lo stesso Pierre-Gaultier de la Veréndrye:
Lasciammo fort La Reine il 29 aprile e arrivammo tra i Mantan (nel testo originale Mantanes) il 19 di maggio. Rimanemmo lì fino al 23 luglio, attendendo l’arrivo del Popolo dei Cavalli (Gens de Chevaux), che ci dicevano previsto da un giorno all’altro. Vedendo che il tempo passava, che ormai eravamo a stagione inoltrata e non volendo assolutamente darci per vinti, cercai tra i Mantan un paio di uomini che ci conducessero nella terra del Popolo dei Cavalli, nella speranza di trovare dei villaggi presso la montagna o nel corso del cammino. Due di essi si offrirono volontari molto generosamente. A quel punto, non perdemmo neppure un istante e partimmo. Camminammo per venti giorni in direzione ovest-sud-ovest, cosa che non prometteva bene per lo scopo del nostro viaggio; non incontrammo nessuno, salvo un gran numero di bestie selvagge. In diversi posti notai della terra di vari colori: azzurra, d’una sfumatura di scarlatto, verde come l’erba, nera lucente, bianca come il gesso e ocra. Se allora avessi saputo che non sari più passato in quei territori, avrei preso diversi campioni di ciascun tipo. Non potevo però appesantirmi, sapendo che un lungo viaggio mi attendeva. L’11 agosto arrivammo alla Montagna del Popolo dei Cavalli. Le nostre guide non volevano spingersi oltre e allora ci apprestammo a costruire una casetta dove attendere i primi selvaggi in cui ci saremmo imbattuti; accendemmo dei fuochi intorno all’intero perimetro a mo’ di segnali, per attrarre l’attenzione di qualcuno, essendo ormai risoluti ad affidarci alle prime popolazioni che si sarebbero presentate a noi. (14)
L’identificazione dei Mantan con i Mandan è abbastanza scontata e non sembra presentare problemi di sorta; qualche perplessità suscita invece quella del cosiddetto Popolo dei Cavalli. Parkman, uno dei primi studiosi a occuparsi del resoconto dei de La Veréndrye, ipotizza che questa tribù possa essere identificata con gli Cheyenne “la cui tradizione sostiene che essi furono la prima tribù della regione a possedere cavalli”. La cosa sembrerebbe però smentita dal fatto che la suddivisione principale degli Cheyenne a quanto pare ottenne i primi cavalli dagli Arapaho, un’altra popolazione di ceppo algonchino. L’identificazione del “Popolo dei Cavalli” con gli Arapaho (che avrebbero ottenuto i primi esemplari dai Comanche agli inizi del XVIII secolo) parrebbe confermata anche dalla provata esistenza di un loro traffico commerciale con gli Hidatsa (alleati dei Mandan); questo spiegherebbe anche la visita attesa di cui parla de la Veréndrye (mentre in quegli anni non pare che i Cheyenne abbiano commerciato o avuto rapporti amichevoli con i Mandan o gli Hidatsa). D’altra parte, è comunque possibile che i Mandan avessero mentito ai de la Veréndrye circa la prevista visita della Gens des Chevaux, allo scopo di trattenerli il più a lungo possibile nei loro villaggi e monopolizzare il traffico di oggetti di derivazione euro-americana.

Ma veniamo al punto (per questa discussione) cruciale:
Il 10 settembre ci era rimasto solo un Mantan; il suo compagno se ne era andato dieci giorni prima per far ritorno al suo villaggio. Ogni giorno andavo, o inviavo qualcuno sulle alture in esplorazione. Il 14 settembre i nostri esploratori scorsero del fumo a sud-sud-ovest della nostra posizione.
Mandai un francese, assieme al nostro Mantan ed essi trovarono un villaggio di Uomini Belli, (Beaux Hommes) che li ricevettero bene. Fecero loro capire, tramite segni, che c’erano altri tre Francesi nel nostro gruppo, accampati a poca distanza da lì. Il giorno seguente i capi inviarono alcuni giovani insieme ai nostri per venirci a prendere. Arrivammo lì il 18 e fummo ricevuti con grandi manifestazioni di gioia .
Il nostro Mantan mi chiese il permesso di andar via, temendo una popolazione che faceva parte dei loro nemici; lo pagai generosamente e gli diedi tutto ciò che potesse essergli utile e necessario per raggiungere il suo villaggio, come avevo fatto in precedenza con il suo compagno.
Rimanemmo con gli Uomini Belli per ventuno giorni. Feci del mio meglio per far comprender loro che volevo che ci accompagnassero a un villaggio del Popolo dei Cavalli. Mi risposero che alcuni dei loro giovani ci avrebbero guidato fino al primo dei villaggi di questa tribù che avremmo incontrato. Feci loro parecchi regali, di cui mi parvero molto soddisfatti. Lasciammo questo villaggio il 9 novembre. Avevamo cominciato a capirli facilmente, almeno quanto necessitavamo. Le nostre guide ci condussero in direzione sud-sud-ovest. Il secondo giorno ci imbattemmo in villaggio di Piccole Volpi (Petit Renards), che, vedendoci, diedero segni di grande gioia. Dopo aver fatto loro qualche regalo, feci dir loro dalle nostre guide che cercavo il Popolo dei Cavalli perché mi conducesse al Mare. Ciò fece sì che l’intero villaggio si mettesse in marcia, mantenendo sempre la stessa direzione. A quel punto ero sicuro che avremmo potuto trovare solo un tratto di mare già noto. Il secondo giorno di marcia incontrammo un villaggio assai popolato della stessa tribù. Si dimostrarono piuttosto amichevoli. Feci loro diversi regali che furono considerati come grandi novità e a cui mi parvero piuttosto sensibili.
Ci condussero a un villaggio di Pioya dove arrivammo il 15. In questo villaggio fummo accolti molto bene. Dopo aver fatto qualche regalo, proposi loro di condurci presso qualche tribù che si trovasse sulla via del mare. Continuammo diretti a sud ovest. Il 17 arrivammo a un grande villaggio della stessa tribù. Feci loro alcuni regali. Marciammo tutti insieme fino al 19 sempre diretti a sud e arrivammo a un villaggio del Popolo dei Cavalli. Erano in condizioni pietose. Non si sentivano che pianti e urla, tutti i loro villaggi erano stati distrutti dal Popolo del Serpente (Gens du Serpent) e pochi erano riusciti a fuggire. Questa popolazione del Serpente è considerata assai audace. Non si contentano, in una spedizione, di distruggere un villaggio com’è costume di tutti i Selvaggi; continuano invece la guerra dalla primavera all’autunno, sono assai numerosi e guai a coloro che si trovano sul loro cammino! Non hanno relazioni di amicizia con nessuna tribù. Si dice che nel 1741 abbiano distrutto diciassette villaggi, ucciso tutti gli uomini e le vecchie e fatte schiave le giovani donne, che hanno barattato presso la costa per cavalli e altra mercanzia.

Sin dalle prime analisi del resoconto dei de La Veréndrye, si è ipotizzato che i Beaux Hommes, gli Uomini Belli incontrati dai due esploratori francesi fossero gli Apsáalooke, che, come affermava Parkman “erano una tribù di statura notevole e grande bellezza, che da tempo considerava quella regione proprio territorio. La zona dove erano arrivati i de la Veréndrye era probabilmente quella del fiume Powder, nel Wyoming settentrionale. Un problema su questa identificazione sembrerebbe dato dalla paura del Mandan che accompagnava gli esploratori francesi “di trovarsi presso una tribù nemica”, cosa che non ci si aspetterebbe considerata l’alleanza tra i Mandan e gli Hidatsa, la tribù “sorella” dei Crow. Probabilmente però, anche se a quanto pare non ci fu mai guerra aperta, degli screzi potevano capitare tra i Mandan e gli Hidatsa e tra i Crow e gli Hidatsa/Mandan: a questo proposito va ricordata la successiva testimonianza di un capo Hidatsa incontrato nel 1805 da Larocque secondo cui i Crow erano “ladri e bugiardi”.
Un problema maggiore è l’identificazione dei Petit Renards, le Piccole Volpi, una tribù che, da quanto riportato sopra, parlava un linguaggio affine a quello degli Uomini Belli e aveva rapporti con i Pioya, una popolazione identificata quasi all’unanimità con i Kiowa. Le Piccole Volpi erano forse la famosa “tribù perduta” dei Crow, i Bilapiuutche , “Il Castoro (che) si asciuga la Pelliccia” menzionati in precedenza? La Veréndrye scrisse infattti: “je leur fis dire par nos guides” “feci loro dire dalle nostre guide” – quindi non con il linguaggio dei segni; questo farebbe pensare quindi che le Piccole Volpi parlassero lo stesso linguaggio o un linguaggio affine a quello degli Uomini Belli (Crow).
Per quanto riguarda la Gens du Serpent, il Popolo del Serpente, sono tutti concordi nell’accettare l’identificazione con i temibili Shoshone, allora la più potente delle tribù dell’area delle montagne rocciose, principalmente per il maggior numero di cavalli a disposizione.

“Figli dell’Uccello dal Grande Becco” o “Gens du Corbeau” ?

Il primo a menzionare gli Apsáalooke con il nome con cui poi sarebbero stati conosciuti dalle popolazioni euro-americane (“Crows” o “Corvi”) fu Jean-Baptiste Trudeau, un viaggiatore e mercante di pellicce canadese, che lasciò il primo resoconto dettagliato sulle popolazioni dell’alto Missouri, frutto delle osservazioni fatte durante un viaggio che lo portò a esplorare quel territorio per ben due anni (1794-96) per conto della “Compagnie Commerciale pour la Découverte des Nations du Haut-Missouri” (15).
La prima volta che Trudeau nomina i Crow nel suo rapporto è in un passaggio in cui descrive la loro inimicizia con un villaggio di Arikara, situato alla confluenza dei fiumi Missouri e Cheyenne, di cui era ospite:
Una spedizione di guerra Arikara, partita durante la primavera, è arrivata il cinque giugno (1795) con uno scalpo. Avevano ucciso un uomo del popolo dei Pados (del Corvo, gente che vive presso la Montagna delle Rocce).
Il termine Pados non ha alcun significato in francese e sembrerebbe piuttosto una storpiatura di Apsalooke, il nome con cui i Crow chiamano il loro popolo (e della cui etimologia si parlerà in seguito); la resa fonetica di un nome indigeno spiegherebbe perciò anche perché Trudeau ritenesse necessaria l’aggiunta di una chiosa.
I Crow vengono poi di nuovo nominati nel rapporto del 21 settembre 1795, quando Trudeau, ospite di un villaggio di Chaguiennes (Cheyenne) ricevette la visita di François Ménard, un altro viaggiatore e impiegato presso la “Compagnie Commerciale”:
Il ventuno settembre, il signor Ménard, che risiede presso i Mandan è arrivato qui accompagnato da due Selvaggi. Mi ha detto che i Francesi e i tutti i Selvaggi di lassù erano assai scontenti non vedendomi arrivare e che li avevano mandati per sapere quali fossero le ragioni che mi trattenevano qui… Molti Selvaggi del popolo del Corvo, che abitano le montagne delle Rocce, hanno atteso a lungo il mio arrivo presso i Mandan quest’estate. Egli (Ménard) ha fatto rimanere alcuni dei loro capi fino al suo ritorno, coltivando il progetto di avviare un commercio presso di loro, se io avessi voluto affidargli delle merci adatte per queste genti che sono, a suo dire, stanziate “al centro [delle pellicce] del castoro”. Dopo aver appreso da diversi Francesi che hanno frequentato quest’uomo della sua buona condotta e della sua onestà e d’altra parte, mi vedo impossibilitato a ritornare di nuovo presso i Mandan quest’anno, sia per l’opposizione che gli Arikara certo farebbero se avessi l’intenzione di abbandonarli per recarmi oltre, sia perché avrei dovuto lasciar loro delle merci e delle persone per commmerciarle, cosa che mi è impossibile non avendo nessuno capace di farlo e avendo troppi pochi uomini per dividerli in due gruppi…
La visita dei “Corbeaux” ai Mandan farebbe pensare a rapporti amichevoli, al contrario di quelli intrattenuti con gli Arikara. Sembrerebbe inoltre che l’area privilegiata dai Crow (molto probabilmente Mountain Crow) fosse quella compresa tra la valle dello Yellowstone e quella delle Rocky Mountains (dove circa 10 anni più tardi li avrebbe ritrovati François Larocque). La conferma dello stanziamento dei Crow nella valle dello Yellowstone è, in un passo successivo, data dallo stesso Trudeau:
A circa cinquanta leghe più giù della terra dei Mandan, si snoda un grande fiume che i selvaggi chiamano Fiume delle Rocce Gialle [lo Yellowstone], parecchio largo e profondo quasi come il Missouri, e le cui acque sono pulite e limpide come quelle dei laghi del nord del Canada. Sulle sue rive si trovano bestie selvagge di tutte le specie (e) un gran numero di fiumiciattoli che vi si immettono, e ci sono castori in abbondanza, al di là di ogni dire. Il popolo del Corvo, uno dei più numerosi di questo continente, presso il quale il signor Ménard ha soggiornato diverse volte, e che è in pace con i Gros–Ventres (Hidatsa) suoi alleati, vive presso le rive di questo grande fiume e più su, nella territorio attraverso il quale si risale alle sue sorgenti, dimorano diverse altre popolazioni a noi ancora sconosciute. Egli (Ménard) mi assicura che il fiume è navigabile in piroga in tutte le stagioni fino a più di cento leghe dalle sue bocche e che nessuna altra tribù ci ostacolerebbe; che un avamposto all’imbocco di questo fiume sarebbe assai proficuo per iniziare un grosso traffico di pelli con le altre popolazioni che vivono sul Missouri, come i Chiouitounes e il popolo del Serpente, che vivono al di qua e al di là delle Montagne delle Rocce, nei territori a ovest del Missouri…
La parte interessante di questo passaggio dei diari di Trudeau sta nel fatto che i Crow sono definiti “una delle popolazioni più numerose del territorio”; in quegli stessi anni, i Kiowa vivevano ancora nell’area delle Black Hills e potrebbe anche darsi che la loro stretta alleanza con gli Apsáalooke li avesse fatti considerare da Trudeau (e Ménard) come un’unica tribù. Il Popolo del Serpente sono chiaramente gli Shoshone, ma a questo punto, con chi vanno identificati i Chiouitounes (pronunciato Sciuitun, molto simile a “Shoshone”)? Con un diverso gruppo Shoshone identificabile con i cosiddetti Sheepeaters, una popolazione che già all’epoca era stanziata nell’area dello Yellowstone?
Altre considerazioni sugli indiani Corbeaux (che, va ricordato, Trudeau non incontrò personalmente ma di cui ebbe notizia tramite François Ménard, che li aveva conosciuti e visitati diverse volte) si ritrovano poi nei resoconti finali dello stesso Trudeau, che in un passaggio propone addirittura dati specifici:
Il grande Fiume delle Rocce Gialle, dove sono stanziate le popolazioni del Corvo, che vivono cinquanta leghe più giù dei Mandan e dei Gros-Ventres (Hidatsa)”.
Qui si parla di “popolazioni del Corvo”; un’altra indicazione sulla gran numero di questa popolazione che evidentemente stava dividendosi in gruppi consistenti (la banda dei Kicked in the Bellies, “Calciati nel Ventre” forse si formò in questo periodo).
Il “Fiume delle Rocce Gialle” è lo Yellowstone, che i Crow chiamano Iichiilikaashaashe, “Fiume dell’Alce”, una denominazione comune anche ad altre tribù (si confronti ad esempio il Lakota Hehaka Wakpa, dove “Hehaka” è “alce” e “wakpa” sta per “fiume”o lo Cheyenne Mo’éheo’hé’e, in cui “mö’e ” significa “alce” e “ó’he’e” sta per “fiume”) Uno dei maggiori studiosi della lingua Apsáalooke, padre Randolph Graczyk, sostiene che il nome euro-americano Yellowstone, “Fiume della Roccia Gialla”, potrebbe esser frutto di un fraintendimento linguistico:
“In origine, il termine Apsáalooke per “alce” era iichilile; il nome del fiume Yellowstone avrebbe dovuto esser quindi Iichiilaashe. Una traduzione letterale di “fiume della roccia gialla” in Crow sarebbe stata biishiilaashe, che in effetti è molto simile foneticamente a iichiilaashe. La mia è naturalmente una semplice speculazione, ma mi chiedo se in effetti il nome “Yellowstone” non sia frutto di un’interpretazione erronea oppure della pronuncia errata del termine Crow iichiilaashe da parte dei primi trapper e mercanti”. (16)
Un’ultima osservazione di Trudeau (o, più che un’osservazione personale, la trascrizione di un’osservazione di Ménard):
Le popolazioni Mandan, Gros Ventres, Halitan e Corvi non hanno le orecchie forate. Indossano tutti delle collane fatte con i fili più grossi a loro disposizione, e dei braccialetti, che portano al polso e al di sopra del gomito.

Un’ultima considerazione sul nome della tribù; si ritiene tradizionalmente che il termine “Crow”, “Corbeaux” sia stato coniato dalle popolazioni che avevano rapporti – amichevoli e non – con gli Apsáalooke, in particolare i Teton. In realtà, il termine Lakota Kangi Oyate, “Popolo del Corvo”, è di formazione relativamente tarda (seconda metà dell’Ottocento) ed è stato evidentemente coniato su influsso dell’inglese. Agli inizi dell’Ottocento, il termine usato dai Lakota era Psaloka, una storpiatura di Apsáalooke; a questo proposito si possono ad esempio vedere un canto in lode dei guerrieri Lakota registrato da Frances Densmore:

Psaloka kin natan ahiyelo
Blota hunka unyan napapi yelo (17)

“Gli Apsáalooke vennero e attaccarono
ma lasciarono il loro capo indietro”

Nel tradizionale linguaggio dei segni “Apsáalooke”o “Crow” è reso semplicemente combinando i segni di “uccello” (simulando un battito di ali) e “indiano”(battendo una mano sull’altra).

Ma cosa significa esattamente “Apsáalooke”? Nell’autobiografia di Plenty Coups raccolta da Frank Linderman, viene implicitamente detto che “Apsáalooke” significhi “discendenti, figli del Corvo”, indicato come “medicina” o “spirito protettore della tribù”. (18) In realtà l’etimologia della parola sembrerebbe essere un composto di apá (naso, becco) + isáa (grande)+ d/láaka (figlio, discendenza), quindi “I figli dell'(uccello) dal grande becco”. La natura di questo questo apisáa (uccello dal grande becco) rimane ancora un mistero: alcuni dicono si tratti di una gazza, altri del corvo, altri di una specie estinta, e di recente sono state avanzate anche ipotesi secondo cui andrebbe identificato con l’aquila o addirittura con l’uccello del tuono. Forse la risposta più corretta sul significato di “Apsáalooke” è ancora oggi quella data da Pretty Shield a Frank Linderman:
E’ stato “Esahcawata”, il Vecchio Coyote a darci questo nome, ma non sappiamo cosa voglia dire. Il Vecchio Coyote non ce l’ha detto. Non ho mai conosciuto nessuno, uomo o donna, che sapesse cosa significhi Apsáalooke. Tu lo sai, Parla-a-Gesti? (19)

Segnali di fumo e cavalli scomparsi: l'”incontro” della spedizione di Lewis e Clark con gli Apsáalooke

Nella vastissima documentazione (diari, lettere, resoconti) della spedizione esplorativa di William Clark e Meriwether Lewis, numerosi sono gli accenni alla “tribù del Corvo” ma, per una curiosa ironia del destino, i due esploratori americani non riuscirono mai a incontrarsi faccia a faccia con i più temuti razziatori di cavalli del nord-ovest, anche se proprio in questo senso l’unico contatto tra gli Apsáalooke e il gruppo di esploratori guidato da Clark portò relativi danni a questi ultimi.
La prima volta in cui i Crow sono menzionati nel diario di Clark è nel novembre 1804:?? (20)
(12 novembre lunedì 1804)… Questa mattina presto Big White (Grande Bianco), capo principale del villaggio inferiore dei Mandan venne giù e preparò circa 100 libbre di carne per noi. Tre dei nostri uomini malati di [illegibile].
Secondo l’interprete, gli anziani del popolo dei Mandan dicono che la loro gente è venuta fuori da un laghetto (sottoterra, dove c’erano dei villaggi e un lago) dove avevano dei giardini. Diversi anni fa vivevano in un gran numero di villaggi giù sul Missouri; il vaiolo ha sterminato gran parte della popolazione, che si è ridotta a vivere su un unico grande villaggio e alcuni più piccoli. Prima dell’epidemia, tutte le altre tribù li temevano; da quando il loro numero si è ridotto, i Sioux e altri indiani hanno mosso loro guerra e ne hanno uccisi parecchi. Si sono quindi spostati, risalendo il corso del Missouri. Gli altri indiani hanno seguitato a far loro guerra e i Mandan si sono spostati sempre più su, finché non sono arrivati nel paese dei Panias (Pawnee) e hanno vissuto per molti anni assieme a questo popolo in amicizia. Hanno mantenuto questa vicinanza finché quella tribù non ha mosso loro guerra e si sono spostati di nuovo fino alla terra dei Watersoon (Awaxawi) e dei Winataries (Minnetaree) dove ora vivono in pace. I Mandan parlano una lingua peculiare e a sé stante… [lacuna]; possono disporre di 350 uomini, i Winetaries di 80 e i Big Bellies (Gros Ventres) di 600 o 650. I Mandan e i Sioux usano la stessa parola per dire “acqua” I Gros Ventres o Winetaries e gli indiani Ravin (Crow) parlano quasi la stessa lingua e si pensa che in origine formassero un unico popolo. Il popolo dei Ravin è composto da 400 tende per un totale di circa 1200 persone e seguono le mandrie di bisonti, vivendo di caccia per le pianure e sulle Court Noi [Cote Noire ossia le Black Hills] e le Rocky Mountains e sono in guerra con i Sioux e gli Snake (Shoshone).
I Gros Ventres e i Watersoon sono in guerra con gli Snake e i Sioux e sono stati in guerra con i Ricares (Arikara) finché pochi giorni fa non è stata stabilita la pace tra le due tribù. I Mandan sono in guerra solo con coloro che si mostrano ostili e desiderano essere in pace con tutte le altre tribù. Di rado sono loro ad aggredire…
Nonostante la natura della spedizione fosse (almeno nominalmente) di carattere scientifico-geografico, indubbiamente Lewis e Clark avevano avuto notizia della favorevole posizione dei Crow rispetto ai centri chiave della “via del castoro” e ritenevano fondamentale un incontro per stabilire rapporti privilegiati con la tribù. Un riscontro di questo atteggiamento è ravvisabile anche nella posizione adottata dai due esploratori nei confronti di un giovane mercante della Canadian North West Company, che fece loro visita il 29 novembre 1804 :??…gli dicemmo di sapere delle sue intenzioni di nominare capi alcuni degli indiani e gli proibimmo di dar loro medaglie o bandiere, ed eglì negò di averne. Acconsentimmo a far parlar per lui uno dei nostri interpreti a condizione che egli si attenesse soltanto alle cose strettamente necessarie ai suoi traffici.
Una delle preoccupazioni di Lewis e Clark era evidentemente la costruzione in territorio Crow di un trading post gestito da una compagnia canadese. Larocque, da parte sua, si limitò ad assicurare di non aver medaglie o bandiere da consegnare ai capi indiani. Il suo sentiero verso le terre degli Apsáalooke sarebbe stato indubbiamente meno tortuoso rispetto a quello dei due esploratori americani.
Dopo più di un anno di viaggio alla ricerca di uno sbocco sul Pacifico dai villaggi Shoshone, nel luglio del 1806 le strade di Lewis e Clark si divisero nella località oggi chiamata Travelers’ Rest (nell’odierno Montana): mentre Lewis si dirigeva a nord, dove avrebbe esplorato un tratto del corso del Marias River, Clark proseguì a sud, nell’area dello Yellowstone. Prima di dividersi, Lewis aveva preparato un discorso che Clark avrebbe dovuto tenere ai capi degli Apsalooke nel caso di un (auspicato) incontro:
Figli miei, vi prendo per mano come figli del vostro Grande Padre, il presidente degli Stati Uniti d’America, che è il grande capo di tutti i bianchi fino alle terre nella direzione del sole che sorge. Figli miei, il vostro Grande Padre, capo di tutti i bianchi, mi ha incaricato di dire ai suoi figli rossi di restare in pace gli uni con gli altri e con tutti i bianchi che verranno nelle vostre terre sotto la protezione della bandiera del Grande Padre….Gli uomini che verranno presso di voi… sono buoni e non dovete far loro del male.
Figli miei, se due o tre dei vostri grandi capi desiderano far visita al vostro Grande Padre, potranno venire con me e far ritorno da voi la prossima estate, carichi di doni e di beni per tutto il popolo…
Figli miei, il vostro Grande Padre, capo di tutti i bianchi vuole costruire una grande casa e riempirla di tutto ciò che potete desiderare, e scambiare queste cose con pelli e pellicce a prezzo molto basso e mi ha incaricato di chiedervi in quale posto sarebbe meglio, a vostro avviso, costruire questa casa.
Nei primi giorni di esplorazione della valle dello Yellowstone, il gruppo di Clark iniziò a scrutare impazientemente i dintorni, in attesa di un incontro con i Crow. I primi segni della presenza di scout Apsáalooke non si fecero attendere; ecco cosa registrò Clark nel suo diario in data 18 luglio 1806:
Alle undici di mattina ho visto del fumo alzarsi a sud-est nelle pianure, nel punto in cui la parte rocciosa della montagna termina (i punti successivi sono coperti di neve). Questo fumo deve esser stato opera degli indiani Crow, o di altre bande che volevano inviarci un segnale. Ritengo probabile che essi abbiano scoperto le nostre tracce e, prendendoci per degli Shoshone (che ora sono in pace con loro) in visita per fare degli scambi, i Crow abbiano fatto questi segnali di fumo per mostrarci la loro posizione. Un’altra spiegazione è che ci abbiano preso per dei nemici e abbiano segnalato la nostra presenza alle altre bande per metterle in guardia. Il giorno successivo, il gruppo si accampò presso Camp Cottonwood (vicino all’odierna Park City) dove vennero fabbricate due canoe con cui risalire lo Yellowstone. La sosta si protrasse fino al 24 luglio, e in questo periodo i Crow segnalarono di nuovo la loro presenza. Il 19 luglio stesso Clark scriveva infatti:
Shabono (Toussaint Charbonneau, il trapper e interprete francese marito della guida Shoshone-Hidatsa Sacagawea) mi ha detto di aver visto un indiano sull’altopiano di fronte alla riva opposta del fiume. Ciò e capitato mentre mi trovavo nel bosco.
I segnali di fumo continuarono nei giorni succcessivi, senza che Clark riuscisse a trovare una spiegazione accettabile. La mattina del 21 luglio si presentò con un’amara sorpresa per l’esploratore americano e i suoi compagni:
Mi è stato riferito che manca la metà dei nostri cavalli (il gruppo disponeva di 49 cavalli e un puledro) …Temo che siano stati gli indiani a rubarli, probabilmente quegli stessi indiani che qualche giorno fa hanno inviato dei segnali di fumo da sud-est.
I timori di Clark circa il furto dei cavalli per mano degli Apsáalooke sembrò trovare conferma qualche giorno dopo, ed esattamente il 23 luglio, data in cui lo stesso Clark scriveva:
Labiche è uscito presto, secondo le indicazioni che gli ho dato ieri sera. Con lui sono andati anche il sergente Pryor e Windsor… Il sergente Pryor ha trovato un mocassino indiano e un brandello di veste. Il mocassino aveva le suole consumate, era bagnato e aveva tutta l’aria di esser stato indossato solo poche ore prima. Questi segni della presenza di indiani sono per me la prova certa che sono stati loro a portarci via i 24 cavalli che abbiamo perso la notte del 20; gli indiani che erano in giro ieri notte stavano quindi cercando di impadronirsi dell’altra metà… Labiche è quindi ritornato, dopo aver esplorato un’area circolare intorno e mi ha detto di aver visto le tracce dei cavalli dirigersi verso le pianure aperte. A giudicare dalla frequenza delle impronte, procedevano molto rapidamente. Gli indiani che hanno preso i cavalli hanno deviato il loro percorso giù per il fiume.
A questo punto il rischio di perdere tutti i cavalli si era fatto piuttosto concreto: Clark ordinò quindi a tre uomini, capeggiati dal sergente Nathaniel Pryor, di sorvegliare il resto degli animali e portarli fino al fiume Big Horn. Il resto del gruppo, guidato dallo stesso Clark, li avrebbe raggiunti lì con le canoe e sarebbero ridiscesi da nord a sud per il corso dello Yellowstone. Il 24 luglio Clark e i suoi raggiunsero in anticipo l’odierna Blue Creek (a sud di Billings) dove si ricongiunsero con il gruppo di Pryor. In quel momento, evidentemente preoccupato all’idea di perdere i cavalli che costituivano una delle merci di scambio principali con le tribù locali, Clark diede nuovi ordini a Pryor:
Diedi istruzioni al sergente Pryor…di portare i cavalli che ci restavano ai Mandan…il sergente Pryor è stato incaricato di lasciare il resto dei cavalli al grande capo dei Mandan, dove resteranno fino al nostro arrivo nel villaggio.
Mentre il gruppo di Clark scendeva giù per lo Yellowstone sulle canoe, Pryor continuò ad avanzare in direzione est. La sera del 25 luglio i cavalli furono lasciati pascolare liberamente presso le rive di un torrente in evidente stato di magra (secondo Helen Medicine Horse si tratterebbe del Fly Creek, conosciuto dai Crow come Baahpuataashe “Il fiume della Mosca”) (21). Uno acquazzone tanto abbondante quanto violento – tale da far alzare considerevolmente le acque del torrente – costrinse Pryor e i suoi uomini a ripararsi dalla pioggia dalle rocce, in un punto da dove potevano a malapena vedere i cavalli. Ma se la sera, tra le rocce e l’acquazzone, era stato difficile tener d’occhio gli animali, farlo la mattina successiva si rivelò impossibile: i cavalli erano spariti!. Pryor tentò di seguire le tracce dei cavalli, ma tutti i suoi sforzi risultarono vani. Non restò loro quindi che uccidere due bisonti e usarne le pelli per costruire due “bullboat” simili a quelle usate dai Mandan per riscendere giù per lo Yellowstone. Il gruppo di Pryor raggiunse Clark e i suoi l’8 agosto, 12 giorni dopo il furto dei cavalli. Ecco come Clark riportò l’incidente, narratogli da Pryor, nel suo diario, alla stessa data dell’8 agosto:Cercando intorno all’accampamento, scoprirono diverse tracce a circa cento passi e le seguirono… scoprirono quindi il luogo da dove gli indiani avevano portato via i cavalli e seguirono le tracce per cinque miglia. A un certo punto gli indiani si erano divisi in due gruppi: seguirono quindi le tracced del più grosso per altre cinque miglia… fino a quando, dopo essersi resi conto del fatto che non c’era la minima speranza di raggiungerli, decisero di far ritorno all’accampamento, dove si caricarono sulle spalle tutto il loro bagaglio.
Il secondo incidente irritò parecchio Clark, evidentemente poco propenso ad accettare la visione indiana secondo cui il furto di cavalli era un atto di coraggio, astuzia e destrezza. Per il severo esploratore americano era semplicemente “rubare”, un atto di disonestà che non mancò di denunciare nella nuova versione del discorso che avrebbe dovuto tenere (e non tenne invece mai) ai capi Crow:
Figli miei, il vostro Grande Padre sarà rattristato quando saprà che avete rubato cavalli ai capi che egli aveva mandato per far del bene ai suoi figli rossi che vivono presso le acque del Missouri… Il Grande Padre mi ha incaricato di dirvi di non permettere ai giovani sconsiderati della vostra tribù di impadronirsi dei cavalli o dei beni altrui, ma di acquistarli secondo giustizia, come fanno gli altri suoi figli rossi che vivono su per il fiume.

Ma erano stati davvero gli Apsáalooke a rubare i cavalli di Clark? Il territorio su cui avvenne il furto (o “coup” che dir si voglia) era certamente quella terra che i Crow ritenevano esser stata donata loro da Iichikbaalia. Il solo membro della spedizione ad aver avvistato indiani durante quei giorni era stato Toussaint Charbonneau, che aveva vissuto a lungo con gli Hidatsa e aveva sicuramente familiarità con i Crow. Barney Old Coyote, uno degli storici tribali più anziani dei Crow, asserisce che non c’è certezza assoluta che gli Apsáalooke fossero gli autori del furto, ma altri storici tribali, come Howard Boggess sostengono che in effetti i Crow si impadronirono dei cavalli, ma non se ne vantarono particolarmente e nemmeno contarono l’azione come un vero “coup” perché “quegli uomini bianchi dormivano troppo e l’intera faccenda era risultata troppo facile”.


Il “petroglifico degli esploratori” nell’area della Thirty Mile Mesa a est di Billings, nell’area in cui Clark e successivamente Pryor persero i cavalli. I personaggi raffigurati sulla barca (la canoa di Clark?) hanno con sé un piccolo animale (un castoro? Seaman, il cane mascotte della spedizione che forse Lewis aveva lasciato a Clark?) e un fucile, cosa che li farebbe identificare come non – nativi. Non nativo è sicuramente il personaggio raffigurato a riva (con il cappello e il fucile – forse Nathaniel Pryor?) a sorvegliare alcuni cavalli.


Petroglifico Crow nell’area di Billings, nei pressi del luogo dove Clark si accampò alla fine del luglio 1806. La scena raffigurata mostra come la zona fosse considerata dai Crow come proprio territorio di caccia.

François Larocque in viaggio con gli “Indiani delle Montagne Rocciose”

William Clark non ebbe probabilmente mai modo di saperlo, ma il giovane mercante della Canadian West Company, che nel novembre 1804 aveva garbatamente chiesto loro una guida nella sua missione presso gli indiani della zona del Missouri, riuscì alla fine, al contrario dell’esploratore americano, ad avvicinare gli elusivi Apsáalooke e ad ottenere molto di più di quanto da lui stesso sperato.
François-Antoine Larocque, all’epoca poco più che ventenne (era nato nel 1784 a L’Assomption, in Quebec) rappresentava la Canadian North West Company presso il dipartimento dell’Upper Red River. Nel novembre 1804, dietro disposizione dei suoi superiori, aveva lasciato Fort Assiniboine insieme ai colleghi Charles Mackenzie, Jean-Baptiste Lafrance e ad altro quattro compagni di viaggio rimasti anonimi per recarsi nei villaggi Mandan sul Missouri e cercare di avviare un commercio di pellicce con gli Apsáalooke, da lui chiamati “indiani delle Montagne Rocciose”. Come già ricordato in precedenza, Larocque si incontrò con Lewis e Clark il 29 novembre presso un villaggio Mandan,senza grandi risultati: anche se i due esploratori americani acconsentirono a riparare la sua bussola e a prestargli temporaneamente i servizi del loro interprete Toussaint Charbonneau, respinsero decisamente la sua richiesta di unirsi a loro e lo diffidarono apertamente dal “consegnare medaglie o bandiere agli indiani e nominare dei capi tra loro”. La freddezza di Lewis e Clark fu abbastanza per far momentaneamente desistere il giovane canadese, che iniziò quindi a riflettere su una strategia alternativa da seguire. Nei mesi successivi, Larocque iniziò ad elaborare una strategia diversa da quella iniziale (commerciare con gli Apsáalooke attraverso la mediazione degli Hidatsa) e, dietro precise disposizioni del presidente della West Company Charles Chaboliez, alla fine di maggio del 1805 iniziò un nuovo viaggio mirato all’allacciamento di rapporti commerciali diretti con “gli indiani delle Montagne Rocciose”, come Larocque chiamava i Crow. Dopo aver raggiunto prima Fort Assiniboine e successivamente Fort Montagne à la Bosse (nell’odierno Saskatchewan meridionale). Da lì, il 2 giugno 1805 iniziò la parte più difficile del viaggio, che comportava l’attraversare i territori dei potenzialmente ostili Lakota e Assiniboine; Larocque e i suoi compagni riuscirono tuttavia a superare la zona senza incidenti e a raggiungere i villaggi Hidatsa situati alla confluenza del Knife River con il Missouri il 12 giugno, appena in tempo per evitare il gruppo di Lewis e Clark che erano partiti solo cinque giorni prima dell’arrivo dei canadesi. La prima mossa di Larocque fu quella di assicurarsi l’appoggio dei capi più influenti del villaggio per avviare un dialogo proficuo con il gruppo Apsáalooke la cui visita nel villaggio era attesa a giorni. Con grande stupore, Larocque si rese conto che gli Hidatsa sin dal suo arrivo avevano iniziato trattative frenetiche per ottenere le mercanzie più rare e pregiate del gruppo francese. Al giovane mercante canadese bastò poco tempo per rendersi conto che gli Hidatsa “volevano privarci di tutta la merce prima dell’arrivo degli Indiani delle Montagne Rocciose, per estrometterci completamente dalle trattative con loro”. A quel punto Larocque si vide costretto ad assumere una posizione radicale: annunciò ai capi Hidatsa che non avrebbe acquistato nulla nei loro villaggi fino all’arrivo del gruppo Crow, che poi avrebbe seguito nei suoi territori di caccia. Avrebbe “fumato con loro la pipa di pace e amicizia” ma nulla più: il suo vero scopo era quello di “accompagnare gli Indiani delle Montagne Rocciose nelle loro terre”. A quel punto gli Hidatsa cambiarono tattica, e iniziarono una sistematica opera di scoraggiamento: (22)
Uno dei capi pronunziò un lungo discorso per dissuadermi dall’andare in quei posti e descrisse gli Indiani delle Montagne Rocciose nel peggiore dei modi, definendoli ladri e bugiardi. Disse inoltre che non sarei arrivato vivo in quei posti perché gli Arikara o gli Cheyenne mi avrebbero ucciso prima.
Larocque si mostrò tuttavia irremovibile: avrebbe seguito gli Indiani delle Montagne Rocciose, anche a costo della vita. Gli Hidatsa cercarono ancora una volta di persuaderlo a vender loro le sue merci, dicendo che l’arrivo degli Apsáalooke era tutt’altro che sicuro, ma Larocque tenne il punto.
Il 25 giugno la sua pazienza fu premiata. Una splendida parata composta da 654 cavalieri Apsáalooke, vestiti di pelli finemente decorate fece il suo ingresso nel villaggio, che attraversarono solennemente fino a raggiungere un ampio terreno dove innalzarono le loro tende, iniziando ad accendere i fuochi, accompagnati dalla generale ammirazione degli Hidatsa che, come annotò Larocque, lasciarono di corsa il loro villaggio “dove non rimasero nemmeno venti persone; uomini, donne e bambini si precipitarono tutti al nuovo accampamento portando grandi quantità di mais che scambiarono con pelli, vesti e carne secca”. Larocque, nonostante l’ostruzionismo degli Hidatsa, proseguì con il suo piano e convocò un concilio con i Crow. A questo punto gli Hidatsa cercarono di cambiare le carte in tavola e di ritagliarsi un ruolo decisivo nell’impresa del mercante canadese. Un importante capo Hidatsa di nome Kokookis (Un Occhio), conosciuto con il nomignolo francese di Le Borgne (Il Guercio), assunse per sé il ruolo di patrocinatore e garante di Larocque:
Rispose alle mie richieste, assicurandomi che gli indiani delle Montagne Rocciose erano brava gente, che nelle loro terre c’era grande abbondanza di castori e che un suo figlio adottivo, che era il più grande dei capi di questi indiani, si sarebbe preso cura di noi dal momento che egli, Le Borgne, gli avrebbe raccomandato di prendersi a cuore la sorte di (noi) bianchi e proteggerci.
Il figlio adottivo di Le Borgne era un leader Crow che fu presentato a Larocque con il nome di “Nakesinia” o “Red Calf” (Vitello Rosso) – padre Randolph Graczyk suggerisce però che la pronuncia corretta del nome fosse Da’ake Shi’ile, “Yellow Calf” (Vitello Giallo). Le Borgne presentò le richieste di Larocque al capo Apsáalooke, che subito convocò un consiglio cui parteciparono gli esponenti principali di entrambe le tribù e che Charles McKenzie, uno dei compagni di Larocque, così descrisse la scena:
La grande pipa del signor Larocque venne fatta passare in cerchio, come una preziosa offerta, e ciascuno dei presenti ne aspirò diverse boccate; a quel punto il signor Larocque offrì a Red Calf una bandiera, una pipa e altre mercanzie…
Larocque presentò poi ai Crow la mercanzia che aveva tenuto da parte per loro:
Erano presenti tutti i capi delle varie bande degli Indiani delle Montagne Rocciose e vennero loro regalate asce, coltelli, pettini d’avorio, tintura rossa, conchiglie “wampum”, anelli, acciarini e pietre focaie, punteruoli, perline blu, piume di gallo, tabacco, polvere da fuoco e proiettili… Mi ringraziarono e mi regalarono sei vesti, una pelle di leone di montagna, quattro casacche, due gonnelle, due pelle d’alce conciate. Rivestii a quel punto il capo degli Ererokas (Apsáalooke) con una bandiera e gli diedi altri “wampum”.
A quel punto Red Calf, mosso da una sorta di obbligo morale, adottò Larocque come “padre” e acconsentì a portarlo con sé nelle terre degli Apsáalooke. “dicendo al suo nuovo padre come avrebbe dovuto comportarsi per mantenersi in amicizia con gli altri e assicurare a tutti un viaggio tranquillo”. Larocque, con una mossa astuta e coraggiosa, dichiarò quindi ai suoi nuovi alleati che il suo superiore in Canada “sapeva in che stato miserabile essi vivessero e che non avevano armi per difendersi dai nemici, ma che qualora essi si fossero dimostrati bravi cacciatori, quello stato di cose sarebbe cessato. Se si fossero comportati bene con noi e avessero ucciso castori, lontre e orsi, in pochi anni sarebbero arrivati dei bianchi nelle loro terre che avrebbero trascorso con loro l’inverno e avrebbero fornito loro tutto ciò che desideravano”. Il desiderio di Larocque si era alla fine realizzato. Il 29 giugno il gruppo Apsáalooke si mise in marcia, diretto verso le proprie terre d’origine, seguito da Larocque e da soli due uomini del suo gruppo (William Morrison e un tale “Souci”); per due giorni, Le Borgne e i suoi Hidatsa li seguirono, per separarsi da loro quando il gruppo prese la strada per le sorgenti dello Heart River. Il viaggio nella “terra del castoro” era iniziato.


Mappa dell’itinerario seguito da Larocque e dai Crow

Man mano che il gruppo di Larocque procedeva in direzione sud-ovest, il giovane mercante non poté fare a meno di notare la particolarità del rapporto che i suoi compagni di viaggio intrattenevano con i propri cavalli e l’importanza che che gli animali avevano nell’economia della tribù. Larocque, che a differenza di molti mercanti aveva una buona cultura, iniziò a tenere un diario in cui registrò osservazioni e considerazioni sui sui nuovi ospiti. A proposito della loro abilità di cavalieri, ecco alcune note significative:
Tutti vanno a cavallo, uomini, donne e bambini. Le donne montano a cavalcioni, proprio come gli uomini. I bambini troppo piccoli per tenersi fermi in sella, vi vengono legati e, se necessario, sono capaci di restarvi tutto il giorno, andando anche al trotto o al galoppo. Adorano i loro cavalli…un uomo non si separerebbe a nessun prezzo da un cavallo prediletto, in cui confida sia durante gli attacchi che nelle le fughe.
…E’ considerato povero chi non possiede nemmeno dieci cavalli prima degli scambi sul Missouri [i.e. nei villaggi Hidatsa] e molti ne posseggono anche trenta o quaranta.

Gli Apsáalooke dissero a Larocque di aver ottenuto i primi cavalli da un gruppo di indiani che viveva a sud; alcuni hanno identificato questo gruppo con i Comanche, anche se è più probabile che i Crow avessero ottenuto i primi esemplari attraverso la mediazione degli Shoshone e più tardi dei Flatheads (Salish). Il prezzo di un cavallo era piuttosto elevato, come scoprì lo stesso Larocque che per ottenerne uno dovette pagare al suo proprietario duecento pallottole, un moschetto, alcuni coltelli e vari capi d’abbigliamento.
I Crow avevano a quell’epoca già conosciuto le armi da fuoco tramite gli Hidatsa e i Mandan. Come Larocque notava:
Sono eccellenti arcieri, ma con le armi da fuoco hanno una pessima mira anche se negli ultimi anni si esercitano quotidianamente, avendo a disposizione più munizioni del solito. Non hanno mai avuto mercanti tra loro e prendono le armi, le munizioni e altre cose dai Mandan e dai Gros-Ventres in cambio di cavalli, vesti, gambali e casacche. Dai Gros-Ventres acquistano anche zucche, tabacco e mais, perché non coltivano affatto la terra.
Mentre lasciavano il territorio del Missouri, Larocque notò che si stavano addentrando in un “mare di erba e cespugli”, che probabilmente non avrebbero attraversato prima di alcune settimane. Dopo aver interrogato i suoi ospiti sulla composizione della tribù, Larocque apprese che:
…essa è formata da circa 2400 persone divise in trecento tende…prima però che una strana malattia arrivasse, la tribù contava 2000 tende che formavano un unico accampamento.
Il gruppo di circa 700 persone che accompagnava Larocque costituiva quindi un terzo dell’intera tribù. La “strana malattia” era sicuramente il vaiolo e l’epidemia, secondo quanto affermato da Raymond Wood sulla base degli studi archeologici di Donald Lehmer (1970), si sarebbe verificata intorno al 1781 (se poi si accetta la teoria secondo cui il sito di Cluny di cui si è parlato in precedenza fosse l’insediamento di una popolazione Siouan emgrata per sfuggire a un’epidemia di vaiolo, la prima pandemia si sarebbe verificata nell’area del Missouri addirittura intorno al 1740-50)
Dalle osservazioni di Larocque, che parla di spostamenti regolari dallo Yellowstone ai villaggi Hidatsa delle intere “due suddivisioni della tribù” è evidente che il mercante canadese si stava spostando con un gruppo di Mountain Crow; non è chiaro invece se l'”altra suddivisione” delle tribù fossero i Kicked In The Bellies, dato che la formazione di questo gruppo viene da alcuni datata poco prima dell’arrivo di Larocque. Lo stesso Larocque parla poi di una “terza divisione”, che viveva a nord dell’area dello Yellowstone e si spostava principalmente nell’area del Missouri superiore: si trattava indubbiamente dei River Crow che, come riportato nei diari del mercante canadese, parlavano la stessa lingua dei compagni di Larocque, ma avevano sviluppato rapporti più stretti con gli Hidatsa e i Mandan dei villaggi vicini.
Man mano che il viaggio proseguiva, Larocque iniziò a notare grandi mandrie di bisonti e, cosa per lui molto più interessante, tracce di castori nei corsi d’acqua della zona. Il 27 luglio il gruppo giunse nell’area del Powder River e la marcia rallentò, per permettere al gruppo di cacciare e procurarsi carne. Larocque non perse tempo e un giorno, dopo aver ucciso due castori, riunì il campo e mostrò agli Apsáalooke come conciarne correttamente la pelliccia. Pochi giorni dopo i Crow cominciarono a includere i castori tra le loro prede e le “donne si dedicarono alacremente alla conciatura delle pelli”.
Non si deve pensare tuttavia che Larocque godesse di un un’esistenza privilegiata; come egli stesso racconta, era stato “assegnato” (adottato) a una famiglia presso la quale rimase per tutta la durata del viaggia; partecipava alle cacce all’alce e al bisonte insieme agli uomini del gruppo ed era soggetto all’autorità del capo dell’accampamento di cui faceva parte la sua famiglia adottiva, un uomo di nome Spotted Crow/Corvo Maculato.
Il 4 agosto cominciarono ad apparire le prime montagne: il gruppo aveva raggiunto l’area dell’odierna Sheridan, in Wyoming e davanti ai suoi occhi stupiti si delinava il profilo maestoso dei monti Big Horn. Gli accampamenti delle altre bande Crow si facevano più vicini e delle strane tensioni iniziarono a percorrere l’accampamento. Il 19 agosto Larocque riportò nel suo diario che “da quando ci siamo avvicinati ai monti, molte donne sono scappate nelle belle tende dei loro amanti, al di là delle montagne” e che “ora la gelosia sembra la più dominante delle loro [Crow] passioni”. Larocque aveva già avuto modo di notare la relativa libertà delle donne Apsáalooke “che stanno di gran lunga meglio rispetto alla misera condizione di quelle che appartengono alle nazioni che vivono nelle foreste” e che “dipendono dagli uomini solamente per il fatto che quest’ultimi posseggono cavalli; altrimenti sono assai più indipendenti delle donne delle tribù vicine”.
Si creò quindi una piccola frattura nell’accampamento di Larocque. Spotted Crow era deciso a inseguire le fuggitive e ad abbandonare l’itinerario originale, ma gli altri capi si opposero, dal momento che simili comportamenti non erano né condannati né tantomeno puniti nella società Apsáalooke. Dopo tre giorni di cammino, in cui le due diverse fazioni mantennero un’incerta separazione, venne convocato un grande consiglio in cui “Spotted Crow rinunciò al suo rango che gli consentiva di decidere il percorso da seguiire e un altro capo assunde l’incarico. Il nuovo capo dichiarò quindi la sua intenzione di seguire l’itinerario originale, che ci avrebbe portati al fiume della Roche Jaune [lo Yellowstone]” La marcia proseguì, con il gruppo che costeggiava il Lodge Grass Creek per poi proseguire lungo il corso del Little Big Horn. Ma i problemi erano tutt’altro che finiti.
Due giorni dopo le “dimissioni” di Spotted Crow uno dei membri della società guerriera incaricata della difesa dell’accampamento segnalò la presenza di tre nemici nelle vicinanze. Trenta guerrieri balzarono prontamente in sella, dirigendosi a gran velocità verso i monti Big Horn. Poche ore dopo, il gruppo fece ritorno segnalando una spedizione di guerra nemica. “In meno di quanto i messaggeri avessero impiegato per riportare la notizia, l’accampamento si svuotò e vi rimasero solo i vecchi e le donne” riportò Larocque. I messaggeri, sventolando delle coperte, indicavano la direzione in cui si muovevano i nemici e, in seguito ai proclami dell'”araldo” dell’accampamento, i guerrieri indossarono le loro vesti migliori, mentre le loro mogli porgevano loro le armi. Quindi “tutti partirono, ciascuno come e quando gli piaceva, inseguendo il nemico secondo quanto gli sembrava meglio”, annotò Larocque, probabilmente disapprovando la mancanza di disciplina e coordinazione militare degli indiani. Il mercante canadese, spinto dalla curiosità, seguì la spedizione Apsáalooke e si trovò davanti una scena che forse avrebbe preferito non vedere. Due guerrieri nemici (forse Assiniboine) erano stati uccisi e scalpati. “Ognuno voleva colpire i cadaveri per mostrare cosa avrebbe fatto loro qualora li avesse incontrati da vivi. In breve i resti di quei corpi non erano più riconoscibili come umani; ognuno dei giovani guerrieri aveva un pezzo della loro carne legato al fucile o alla lancia e con quello fecero ritorno al campo. Quella vista mi fece rabbrividire d’orrore per tali crudeltà e ritornai a casa con uno stato d’animo ben diverso da quello con cui ero partito”. Gli scalpi vennero portati in processione per tutto il giorno e la notte successiva, “impedendomi di dormire anche solo per poco” come ricordò un ben più prosaico Larocque e proseguirono a intermittenza per altri tre giorni, con danze che si susseguirono per tutta la giornata e la notte. ??Verso la fine d’agosto l’eccitazione per l’uccisione dei nemici passò e il gruppo si ritrovò davanti il fiume Big Horn, le cui acque furono definite da Larocque “profonde e limpide”. Gli anziani della tribù dissero a Larocque che la tribù era solita trascorrere la primavera e l’autunno sulle sponde del Big Horn e dello Yellowstone; d’inverno si disperdevano in piccoli accampamenti ai piedi delle montagne e l’estate si riunivano in grandi gruppi che spingevano a cacciare nelle pianure e a commerciare con gli Hidatsa nell’area del Missouri. La bellezza dei luoghi, la varietà e il gran numero delle specie animali che la popolavano non lasciarono che due aggettivi alla descrizione di Larocque: “grandioso” e “impressionante”.
Il primo settembre un nuovo avvenimento causò eccitazione tra i Crow. “Si presentò uno Snake (Shoshone) che era stato assente dalla primavera scorsa quando si era allontanato per incontrarsi con altri Snake che commerciano con gli Spagnoli”. L’improvvisato mercante indiano portò con sé merci nuove: una sella spagnola, un’ascia, una coperta spessa e pesante e una scorta di perline blu che gli Apsáalooke sembrarono apprezzare particolarmente. Quest’ultimo particolare colpì Larocque, che si assicurò un campione delle perline per mostrarle ai suoi superiori della North West Company. Le perline venivano presumibilmente dal New Mexico e dal Texas ed erano una delle merci più importanti del commercio tra spagnoli e Comanche, Kiowa e Shoshone. E’ evidente poi che gli Shoshone anche in questo caso costituivano un importantissimo anello di congiunzione tra le merci europee e gli ancora isolati Apsáalooke. Il 2 settembre Larocque annotò nel suo diario che “le foglie iniziano a cadere” e iniziò a pensare seriamente al ritorno. Le sue scorte stavano terminando ed era da escludere che un’eventuale rete commerciale della North West Company potesse espandersi oltre. Larocque iniziò ad acquistare sempre più pellicce, informandosi presso gli anziani circa i loro piani per l’anno successivo e i luoghi dove poter eventualmente costruire posti di scambio. Quando il 14 settembre il gruppo si accampò presso l’area dell’odierna Billings, Larocque convocò un consiglio, dove annunziò la sua partenza:
Li ringraziai per la loro ospitalità e dissi che sarei tornato entro dodici mesi. In quel periodo di tempo, avrebbero dovuto dar la caccia a castori e orsi e conciarne le pelli come avevo mostrato loro; io poi le avrei acquistate e dato loro in cambio tutto quello che volevano…c’erano molti buoni motivi che dimostravano quanto fosse nel loro stesso interesse fare ciò. Se al mio ritorno non li avessi trovati, sarei andato alla montagna che chiamavano “Amanchabé Chijie” e avrei acceso quattro falò per quattro giorni di seguito ed essi sarebbero quindi venuti in quattro, non di più altrimenti avremmo dovuto difenderci, e se i fuochi accesi fossero stati meno di tre, avrebbero dovuto capire che non eravamo noi, ma dei nemici.
“Amanchabé Chijie” è la resa del termine Awaxaawe chiiche, “la montagna degli scout”, probabilmente corrispondente a un picco dei monti Pryor. Circa un anno dopo, degli esploratori Crow videro dei falò nella zona e risposero, probabilmente pensando che Larocque era ritornato, mantenendo la sua promessa. Il campo era invece quello di William Clark e presumibilmente, non appena i Crow si resero conto che c’erano delle disparità con i segni concordati con Larocque, celarono la loro presenza e alla prima occasione si impadronirono dei cavalli del gruppo.
Larocque da parte sua non fece mai più ritorno nella terra degli Apsáalooke. La North West Company lo trasferì a Montreal, dove più atardi avrebbe inziato un’alterna carriera di commerciante e militare. Anche la North West Company avrebbe rinunciato ai suoi piani d’espansione commerciale nella terra dei Crow, ma la strada si era ormai aperta e sempre più “occhi gialli” sarebbero giunti tra gli Apsáalooke, portando novità e drammatici cambiamenti. L’isolamento dorato del “popolo bello” era definitivamente terminato.


Note esplicative

(1) Questa è la versione del mito della creazione riportata da E.S. Curtis in The North American Indian. Vol. 4 – The Apsaroke, or Crows. The Hidatsa, 1909. Per versioni leggermente dissimili, si veda R.H. Lowie The Crow Indians, 1935
(2) Si veda in proposito quanto riportato in D.L. Toom e D.R. Henning Cambria and the Initial Middle Missouri Variant Revisited, 2003

(3) Per il racconto dettagliato della migrazione Crow dalla regione dei Grandi Laghi fino all’area dello Yellowstone secondo la tradizione raccolta da Medicine Crow, si veda “The Crow Migration Story” in J. Medicine Crow From the Heart of the Crow Country: The Crow Indians’ Own Stories, 2000

(4) Le testimonianze raccolte da Bradley sono riportate in K.Algier The Crow and the Eagle: A Tribal History from Lewis and Clark to Custer, 1993

(5) Secondo la suddivisione di A. Bowers, gli Hidatsa o Minnetaree sono un gruppo composto tra tre divisioni diverse:gli Hidatsa propriamente detti (Hidatsa Proper), gli Awatixa e gli Awaxawi o Amahami. Si veda A.W. Bowers, Hidatsa Social and Ceremonial Organization, 1965

(6) P.G. Duke, M. Wilson Beyond Subsistence: Plains Archaeology and the Postprocessual Critique, 1995

(7) Per il racconto di questo scontro, si veda R.H. Lowie, The Crow Indians, 1935 e E.T.Denig Five Indian Tribes of the Upper Missouri, 1961

(8) Per questa battaglia si veda J. Medicine Crow, From the Heart of the Crow Country; the Crow Indians’Own Stories, 2000

(9) Si veda C.C. Bradley The Handsome People: A History of the Crow Indians and the Whites, 1991

(10) D. K. McGinnis, F. W. Sharrock The Crow People, 1972

(11) L.W. Sullivan, Native Religions and Cultures of North America: Anthropology of the Sacred, 2003

(12) In W. Wildschut, Two Leggings Two Leggings – the Making of a Crow warrior, a cura di P. Nabokov, 1967

(13) Per le osservazioni di Graczyk si veda A. Heidenreich Smoke Signals in Crow (Apsáalooke) Country: Beyond the Capture of Horses from the Lewis & Clark Expedition, 2006

(14) Per questa e le successive citazioni si veda Pierre Gaultier de La Vérendrye Journal en forme d’une lettre au gouverneur de la Nouvelle-France, le Marquis de Beauharnois, (1743), 2003

(15) Per le successive citazioni si veda J.B. Trudeau Voyage sur le haut-Missouri, 1794-96 (1796), 2006

(16) Randolph Graczyk, corrispondenza privata con Adrian Heidenreich, 2005

(17) Si veda F.Densmore, Teton Sioux Music, 1918

(18) In F. B. Linderman, Plenty Coups Plenty Coups, Chief of the Crows (titolo originale American: the Story of a Great Indian), 1930

(19) In F.B. Linderman, Pretty Shield Pretty Shield, Medicine Woman of the Crows (titolo originale Red Mother), 1932

(20) Per questa e le successive citazioni si veda The Journals of Lewis and Clark a cura di B. De Voto, 1953

(21) Per la testimonianza di Helen Medicine Horse e un’analisi dettagliata del furto dei cavalli di Clark, si veda A.Heidenreich Smoke Signals in Crow (Apsáalooke) Country: Beyond the Capture of Horses from the Lewis & Clark Expedition, 2006

(22) Per il resoconto di Larocque si veda F. A. Larocque The Journal of Francois Larocque (1805), 1981