I protagonisti dimenticati del west

James F. Reed

James Frazier Reed era nato nell’Aranagh County dell’Irlanda settentrionale il 14 novembre 1800. Emigrato negli Stati Uniti dopo la perdita del padre, fece vari lavori, fra cui quello di minatore addetto all’estrazione del piombo. Nel 1831 si stabilì nell’Illinois e quindi fissò la propria dimora a Springfield, una cittadina di oltre 9.000 abitanti, per servire un anno dopo come volontario nella compagnia di Jacob M. Early contro i Sauk e Fox di Falco Nero. In questo periodo strinse amicizia con Abraham Lincoln e sua moglie, Margareth Backenstoe Hayes, familiarizzò con Mary Todd, la consorte del futuro presidente antischiavista.
Reed, che si vantava di discendere da una nobile famiglia polacca di nome “Rednoski” o “Reednoski”, aveva un sogno: raggiungere l’estremo occidente con una carovana, nonostante il parere contrario dei coniugi Lincoln, che cercarono invano di dissuaderlo. Dapprima affascinato dalle fertili vallate dell’Oregon, cambiò idea, preferendo puntare le proprie chance sulla California, la regione che si trovava ancora sotto il dominio del Messico.


La carovana Donner in viaggio

Secondo alcune fonti, sarebbe stato proprio Reed l’ispiratore della spedizione che George Donner allestì nel 1846, tirandosi dietro un eterogeneo gruppo di contadini e artigiani dell’Illinois, in buona parte di origine tedesca.
James Reed partì con la moglie Margareth, le figlie Virginia e Marthe (Patty) ed i figli James jr. e Thomas. Anche la suocera Sarah Keyes, benchè settantacinquenne e paralizzata alle gambe, manifestò il proprio entusiasmo per la decisione e volle seguire la famiglia, ma la sua avventura verso il West si concluse nel Kansas con la morte.
L’episodio che portò all’emarginazione dell’intraprendente irlandese fu la conseguenza della estenuante tensione creatasi fra gli 88 emigranti, che in autunno erano notevolmente in ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista e si erano basati su informazioni imprecise o del tutto errate contenute nel manuale di un certo Lansford Hastings.
Un colono, John Snyder, litigò con Reed per futili motivi e lo prese a frustate sul corpo e sul viso: l’irlandese reagì impugnando un coltello e uccise il rivale conficcandoglielo nel petto. Com’era d’uso fra le carovane, lontane da città e villaggi, si istruì un processo che di obiettivo non aveva nulla, nel quale pesarono enormemente la simpatia che il giovane Snyder si era creato fra i compagni e l’avversione che molti pionieri provavano verso Reed, da alcuni definito ironicamente “L’aristocratico” perché si vantava spesso delle proprie origini nobiliari. Sebbene l’imputato fosse riuscito ad evitare l’impiccagione, reclamata da diverse persone, egli venne messo al bando, consentendogli di tenere con sé soltanto il proprio cavallo. Un suo amico, Walter Herron decise comunque di unirsi a lui. Fortunatamente per Reed, non appena egli si fu allontanato dal gruppo, la figlia dodicenne Virginia lo raggiunse di nascosto e gli portò un fucile, munizioni e provviste.
Da quel momento i componenti della carovana Donner, avviati verso il loro tragico destino sulla Sierra Nevada, non avrebbero più avuto notizie di lui, ma l’intrepido pioniere e il suo compagno seguirono il fiume Humboldt, lasciando per i famigliari numerose tracce del proprio percorso per rassicurarli, spargendo le piume delle oche selvatiche che riuscivano ad abbattere lungo il tragitto. Intanto, alla fine di ottobre gli emigranti raggiunsero le rive del lago che oggi viene chiamato Donner Lake, ma il maltempo aveva già ricoperto il suolo con 20 centimetri di neve e la carovana stava per andare incontro ad una sosta forzata che ne avrebbe deciso l’atroce sorte.
Proprio il giorno in cui l’avanguardia di quella colonna di disperati aveva raggiunto il Prosser Creek, sulla pista diretta al Truckee Pass, Reed ed il suo compagno raggiunsero Fort Sutter, l’avamposto fondato da John Sutter, un tedesco che aveva ottenuto dal Messico un’ampia concessione di terra nel 1834.
Era il 28 ottobre 1846 e da quel momento, James Reed cominciò a svolgere il suo infaticabile lavoro per convincere le autorità a portare immediato soccorso ai Donner. Il 31, insieme a William Mc Cutchen, un altro membro della spedizione che lo aveva raggiunto, mise insieme cavalli e provviste ed iniziò a risalire la Sierra, ma il gruppo riuscì ad arrivare soltanto a venti chilometri dal passo, nella Bear Valley, perché la neve era salita a 40 centimetri. Allora i due ripiegarono su Fort Sutter e cercarono disperatamente di convincere i suoi occupanti ad organizzare una nuova colonna di soccorso. Sutter, conosciuto come “L’Imperatore della California” si mostrò scettico, dicendo che fino a febbraio sarebbe stato sconsigliabile un tentativo del genere.


Ancora la carovana Donner

Deluso ma non vinto, Reed si recò allora a Yerba Buena, un borgo che sorgeva nella Baia di San Francisco e riprese la sua insistenza presso le autorità locali. Per sua sfortuna, gli Stati Uniti erano entrati in guerra con il Messico, i coloni di lingua inglese si stavano arruolando nelle file di John Charles Frèmont e nessuno gli diede retta. Anche Reed non trovò di meglio, per il momento, che unirsi ai rivoltosi, partecipando alla battaglia di Santa Clara, vinta dagli Americani come tutti gli altri combattimenti di quel conflitto. Quindi presentò all’autorità militare di San Francisco, rappresentata dal governatore e comandante in capo delle truppe americane, commodore R.F. Stockton, una richiesta sottoscritta da diverse persone di San Josè e di altre località, con il solito sconfortante esito. Le autorità americane della California, che si era liberata dal dominio messicano, risposero che avrebbero dovuto ottenere un’autorizzazione da Washington, cosa che avrebbe richiesto diversi mesi.
Per niente intenzionato a desistere, l’ostinato personaggio lanciò allora una petizione fra la popolazione, raccogliendo 1.300 dollari e l’offerta di aiuto di parecchi volontari. Il 5 febbraio 1847, la nuova missione di soccorso era pronta a muoversi, proprio quando era giunta una notizia allarmante. Una ventina di giorni prima, 7 membri della carovana erano riusciti ad arrivare al Johnson’s Ranch, a nord di Fort Sutter, raccontando che gli emigranti bloccati sulle montagne dalla neve stavano letteralmente morendo di fame. Mentre un’altra spedizione di 15 persone lasciava il Johnson’s Ranch alla volta del passo maledetto, il 21 febbraio 1847 Reed si avventurò ancora sulla Sierra con una decina di compagni e ingenti provviste, pregando Dio di essere ancora in tempo per salvare la propria famiglia e gli ex compagni di viaggio.
Il 27 egli stesso annotò nel proprio diario: “Lasciato il campo con una neve sottile e resistente e, proseguito per quattro miglia, ho incontrato quei poveri diavoli quasi morti di fame… Poco dopo abbracciai mia moglie e due dei miei figli: altri due erano ancora sulle montagne. Non posso descrivere l’aspetto dei sopravvissuti.” (Sergio Solmi, “Il diavolo sulla sierra”, Rizzoli, Milano, 1978, p. 131).
Dopo 135 giorni di lotta disperata, l’uomo era riuscito a raggiungere il suo scopo.
Organizzata una spedizione di ritorno, della quale si aggregarono anche tre figli di George Donner ed un’altra quindicina di persone, Reed si mise alla loro testa, dopo che diversi emigranti ancora in vita non vollero muoversi. Erano talmente deboli e rassegnati che sapevano di non avere possibilità di scampo. Alcuni altri perirono lungo il viaggio di rientro, per le troppe privazioni subite. Il ritorno non fu meno drammatico dell’andata, perché gli animali selvatici avevano divorato una parte delle provviste nascoste da Reed lungo il percorso.


Persi nella tormenta di neve

Durante i mesi di dicembre e gennaio, si era consumata la tragedia della carovana Donner, rimasta senza provviste e costretta a cibarsi di qualunque cosa capitasse. L’estrema soluzione, determinata dalla disperata voglia di sopravvivere, fu il cannibalismo sui cadaveri, che fecero della vicenda la più drammatica in assoluto fra tutte le storie di emigranti verso il West. Quando gli orrori ebbero fine e i superstiti – 40 degli 88 originari – furono messi in salvo, si moltiplicarono le inchieste e si tennero dei processi, che videro fra i principali imputati il tedesco Ludwig Keseberg, accusato di avere ucciso per procurarsi carne umana. L’uomo venne tuttavia assolto.
Fra i sopravvissuti, James Reed ebbe la gioia di ritrovare sia la moglie Margareth che i quattro figli. Durante la sosta al campo assediato dalla neve, fu visto dare aiuto e cibo a tutti gli infelici che la morte aveva risparmiato, dimenticando che alcune di quelle persone avevano invocato la sua impiccagione pochi mesi addietro.
I Reed poterono riprendere una vita normale e beneficiare di molti anni ancora. La gente commentò che il Cielo avesse ricompensato quell’uomo giusto per la magnanimità dimostrata nel portare soccorso anche alle persone che l’avrebbero voluto morto.
James Reed si spense il 24 luglio 1874, quasi settantacinquenne.
Per le traversie che aveva passato e l’epoca in cui era vissuto, si trattava di un’età considerevole.

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