La resa: il Sud cede al Nord

A cura di Renato Panizza

Il generale Ulysses Grant salì rapidamente i pochi scalini che portavano all’ampia veranda bianca che si estendeva, al primo piano, lungo l’intera facciata dell’edificio di mattoni rossi, la casa di Wilmer McLean, nel villaggio di Appomattox Court House in Virginia.
Erano le 13,30 del 9 Aprile 1865. Grant indossava una giacca blu da soldato semplice, con una sola fila di bottoni, che era sbottonata e lasciava intravedere il panciotto sottostante. L’unica evidenza dell’alto grado dell’ufficiale, il più alto nell’esercito dell’Unione di allora, erano le tre stellette da Tenente Generale presenti nelle mostrine cucite sulle spalle.
L’aspetto era dimesso: stivali infangati coi pantaloni infilati dentro, niente spada né speroni, spalle leggermente curve e viso emaciato, per lo stress e la notte trascorsa insonne a causa di una forte emicrania.
Ma l’alta uniforme di Grant, che certamente il Generale avrebbe indossato per rispetto del suo grande nemico, era rimasta nelle retrovie, e ormai non c’era più tempo per farla arrivare.

Grant aprì la porta e si diresse senza esitazione nella stanza dove era atteso, in un salotto arredato con semplicità, ma pulito e ordinato: un caminetto, alcuni quadri, pochi mobili, tra cui un tavolino di marmo, una sedia di paglia di Vienna… Gli ufficiali che lo accompagnavano attesero discretamente nell’atrio d’ingresso.
Il generale Grant
Erano i generali Sheridan, Ord, Williams, Custer e i colonnelli Babcock, H. Porter e Parker (un ufficiale di sangue pellerossa). All’interno del salotto due soli uomini lo attendevano Robert Edward Lee, comandante supremo delle armate confederate e in particolare dell’ Armata della Virginia Settentrionale, e il suo Segretario militare, il colonnello Marshall.
Com’era diverso l’aspetto di Lee!Alto più di un metro e ottanta, indossava la sua migliore uniforme grigia, che sembrava nuova, perfettamente abbottonata; alla cintura, sopra la fusciacca da ufficiale, pendeva una bellissima spada con l’elsa dorata; gli stivali portavano sul bordo superiore una cucitura di filo di seta rossa, e grandi e lucenti speroni ornavano il calcagno. Il cappello era in tono col colore della divisa e il Generale teneva in mano un paio di bei guanti di pelle di daino.
“Generale Lee – esordì Grant- ci siamo già incontrati una volta, quando servivamo nella guerra contro il Messico, e Voi, dal quartiere generale di Scott, eravate venuto a visitare la Brigata Garland, alla quale io appartenevo!” Lee rispose: “Si! Mi ricordo che ci siamo incontrati in quell’occasione, a cui spesso ho ripensato cercando di ricordarmi il vostro aspetto… ma non sono mai stato un grande fisionomista!”
Il generale Lee
I due si sedettero, Lee sulla seggiola di paglia di Vienna, accanto ad un tavolino barocco ricoperto di marmo chiaro, sul quale appoggiò i suoi guanti; Grant si accomodò su una sedia girevole di legno. Lo staff di Grant venne fatto entrare e si posizionò alle sue spalle, in piedi, lungo la parete.
Gravava su tutti un silenzio carico di tensione.
Lee aveva abbandonato Richmond perché ormai riteneva impossibile difenderla, e si era spostato con tutta la sua armata verso Sud, nel tentativo di congiungersi con quella di Johnston, e continuare la lotta. Il 3 Aprile Richmond era caduta, e l’armata del Potomac di Meade aveva iniziato l’inseguimento di Lee, per aggirarlo e bloccarlo. Era iniziata così una gara, come in una partita a scacchi in cui i giocatori cercano la mossa vincente, lo “scacco matto”. Il 7 Aprile, Grant inviò la sua prima lettera a Lee, nella quale lo metteva di fronte alla situazione che non lasciava alcuna speranza per lui, e gli chiedeva la resa.
Il generale Lee e Traveller
Lee gli rispose subito, prendendo tempo: aveva consultato il suo braccio destro, il suo miglior “cavallo di battaglia”, il generale Longstreet; e insieme avevano deciso che qualche speranza ancora c’era, e bisognava giocarsela.I combattimenti continuarono, come le missive tra i due comandanti, che furono ben 6. L’ultima lettera di richiesta di resa fu scritta da Grant alle 5 del mattino del 9 Aprile. Quando si stava dirigendo lungo la strada per Farmville e Lynchburg, per raggiungere il fronte, fu raggiunto dalla definitiva risposta di Lee: erano le 11,30 del 9 Aprile, e come d’incanto (scriverà nelle sue memorie il Generale) il terribile malditesta gli svanì! Lee aveva accettato di incontrasi per ascoltare i termini della resa della sua Armata.


La calorosa stretta di mano tra i due avversari
La scelta era stata ben ponderata, ma mai, neppure per un istante, Lee aveva preso in considerazione l’opzione di “sbandare in armi” i suoi soldati e iniziare praticamente così la guerriglia: ciò, per Lee, avrebbe solo significato il protrarsi, per chissà ancora quanti anni, di sofferenze e perdite umane. Il tutto senza una realistica speranza di successo. No! La guerra era persa!Al soldato Lee non rimaneva che deporre le armi.
Fu Lee a rompere gli indugi: “Quali sono, generale Grant, le condizioni per la resa?”
“Molto bene!” – disse Grant – le scriverò!”


Grant e Lee iniziano a colloquiare
Si fece portare un tavolino, vi appoggiò il suo plico dei fogli per gli ordini, e iniziò a scrivere molto rapidamente: aveva già ben riflettuto nei giorni precedenti sui termini della resa da proporre a Lee. Ad un tratto esitò… si soffermò un istante a osservare Lee. Il Generale sudista era fermo, fiero, in attesa: la sua barba e i capelli bianco-argentei erano ancora folti e solo sulla fronte cominciavano a diradarsi un po’. Dimostrava però più dei 58 anni che aveva e, forse per il fatto che Grant tra i suoi capelli e la sua barba bruna non aveva neanche un solo filo bianco, si sarebbe detto che tra i due ci fossero più dei 15 anni di età che realmente li separavano.


I due generali, uno di fronte all’altro
Osservò la sua bella spada dorata. Gli parve per un momento cattiva cosa umiliare quel nemico che così tanto stimava e ammirava, e non solo per le qualità militari, costringendo lui e tutti i suoi ufficiali, a consegnare la spada. Aggiunse: “…e tutti gli ufficiali potranno conservare le loro armi, il loro cavallo e le loro cose.” Poi consegnò il manoscritto a Lee.


Gli articoli della resa di Appomattox – primo foglio

Gli articoli della resa di Appomattox – secondo foglio
Lee, si mise gli occhiali, con studiata calma, lo lesse e, rivolgendosi a Grant, disse: “Generale Grant, nel nostro esercito i soldati di cavalleria e di artiglieria hanno portato in guerra i loro cavalli, che non sono quindi di proprietà dello Stato… e i miei soldati non mangiano da giorni”.
Grant capì, concesse di modificare il testo e ordinò 25.000 razioni per i soldati di Lee.
Le condizioni erano onorevoli: tutti i soldati dell’Armata di Lee, una volta consegnate le armi e le bandiere, avrebbero potuto tornarsene indisturbati a casa.
“Paroled”, insomma: lasciati liberi “sulla parola” di non combattere mai più contro l’Unione.


La stretta di mano che sigillò la resa del sud al Nord
Si, perché nonostante la resa di Lee, la guerra purtroppo continuava sugli altri fronti. Dopo di che, Lee disse al suo segretario Marshall di scrivere a sua volta una formale lettera di accettazione delle condizioni di resa.
Era fatta!
La guerra civile americana, almeno nel teatro della Virginia, era finita!


Il lasciapassare rilasciato ai soldati della Confederazione
Ma, non molto dopo finirà in tutto il vasto territorio dell’Unione: il 26 Aprile, a Durham Station, in Nord Carolina, l’Armata del Tennessee di Joseph Johnston si arrenderà a Sherman; il 4 Maggio toccherà al generale Richard Taylor, che consegnerà le bandiere degli uomini dell’Alabama; il 2 di Giugno, nel Trans-Mississippi, si arrenderà a Camby, il generale sudista Edmund Kirby Smith.
E infine, il 23 Giugno, nel Territorio Indiano (futuro Oklahoma), deporranno le armi i Cherokees-sudisti del generale pellerossa Stand Watie.
Ma l’ultima bandiera confederata scenderà dal pennone di una nave, il 6 Novembre 1865: la nave corsara Shenandoah!
Erano le 15,45 di Domenica 9 Aprile 1865, quando il generale Lee strinse la mano a Grant, salutò gli altri ufficiali e si avviò verso l’uscita.


Lee giura fedeltà agli Stati Uniti d’America

Lee ed i suoi fanno ritorno al loro quartier generale
Gli ufficiali nordisti lo seguirono e si sistemarono sul porticato. Lee fece portare i cavalli dall’assistente, e iniziò a scendere lentamente gli scalini. Tutti gli ufficiali scattarono sull’attenti, e tutti poterono notare la tristezza negli occhi di Lee mentre, soffermatosi un istante, volse lo sguardo nella direzione dove erano accampati suoi soldati. Il generale parve, quasi impercettibilmente, apprezzare la solidarietà umana da cui era in quel momento circondato, poi montò a cavallo.
Grant scese dal porticato e mosse verso di lui agitando il cappello e il suo gesto fu immediatamente imitato da tutti. Lee, sollevò a sua volta rispettosamente il suo, e si allontanò seguito dal colonnello Marshall e dall’attendente, poi mise il suo cavallo ad un leggero trotto.
Un particolare curioso. E’ giunta fino a noi una “testimone silenziosa” di quel giorno: la piccola “Lula”, la bambolina di pezza della figliotetta dei McLean, i proprietari della casa, che venne lasciata in un angolo della stanza dalla bambina, quando entrarono gli ufficiali. Vide tutto e ascoltò tutto: potesse dirci!

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