La teoria del “destino manifesto”


La teoria del Destino Manifesto (in inglese: Manifest destiny) è quella che esprimeva la convinzione che gli Stati Uniti avessero la missione di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e democrazia.
I sostenitori del destino manifesto credevano che l’espansione non fosse solo buona, ma che fosse anche ovvia (“manifesta”) e inevitabile (“destino”). Il destino manifesto fu sempre un concetto generale più che una specifica politica.
Il termine combinava un credo nell’espansionismo con altre idee popolari dell’epoca, compresi l’eccezionalismo americano, il nazionalismo romantico e un credo nella naturale superiorità di quella che allora veniva chiamata la “razza anglosassone”.
Ernest Lee Tuveson scrisse: “Un vasto complesso di idee, politiche e azioni è compreso nella frase ‘Destino manifesto’. Queste non sono, come dovremmo aspettarci, tutte compatibili, né provengono da un’unica fonte.”


Questo dipinto di John Gast (1872 circa) intitolato Progresso Americano è una rappresentazione allegorica del Destino manifesto.

La frase “destino manifesto” venne all’inizio usata principalmente dai democratici di Jackson negli anni 1840, per promuovere l’annessione di buona parte di quelli che oggi sono gli Stati Uniti Occidentali (il Territorio dell’Oregon, l’Annessione texana e la Cessione messicana). Il termine venne riesumato negli anni 1890, questa volta dai sostenitori repubblicani, come giustificazione teorica per l’espansione statunitense al di fuori del Nord America.
La frase venne coniata nel 1845 dal giornalista John L. O’Sullivan, all’epoca influente sostenitore del Partito Democratico statunitense.
A destra: John L. O’Sullivan parlò di “Destino manifesto” per sostenere l’annessione del Texas e dell’Oregon
In un saggio intitolato “Annessione”, O’Sullivan incitava gli Stati Uniti ad annettersi la Repubblica del Texas, non solo perché il Texas lo voleva, ma perché era “destino manifesto dell’America didiffondersi sul continente”. Tra molte controversie, il Texas venne annesso poco dopo, ma il primo utilizzo della frase “Destino manifesto” da parte di O’Sullivan, attrasse poca attenzione.
La seconda occasione in cui O’Sullivan usò la frase divenne estremamente influente. Il 27 dicembre 1845, nel suo quotidiano, il New York Morning News, O’Sullivan scrisse della disputa sui confini in corso con il Regno Unito e riguardante l’Oregon. O’Sullivan sostenne che gli Stati Uniti avevano diritto a reclamare “l’intero Oregon”:
E tale rivendicazione è per diritto del nostro destino manifesto di diffonderci e possedere l’intero continente, che la Provvidenza ci ha dato per lo sviluppo di un grande esperimento di libertà e di autogoverno federato, che ci è stato affidato.
Ovvero, O’Sullivan credeva che Dio (la “Divina Provvidenza”) aveva dato agli Stati Uniti una missione per diffondere la democrazia repubblicana (“il grande esperimento di libertà”) in tutto il Nord America. Poiché il Regno Unito non voleva usare l’Oregon allo scopo di diffondere la democrazia, pensava O’Sullivan, le rivendicazioni britanniche su quel territorio potevano essere ignorate. O’Sullivan credeva che il destino manifesto fosse un ideale morale (una “legge suprema”) che sostituiva altre considerazioni, comprese le leggi e gli accordi internazionali.
John Quincy Adams, qui ritratto nel 1816 da Charles Robert Leslie, fu un primo propositore del continentalismo
La concezione originale di O’Sullivan del destino manifesto non era una chiamata all’espansione territoriale con la forza. Egli credeva che l’espansione degli Stati Uniti sarebbe avvenuta senza la direzione del governo statunitense o il coinvolgimento dell’esercito. Dopo che gli “Anglosassoni” sarebbero emigrati nelle nuove regioni, essi avrebbero potuto creare nuovi governi democratici, e in seguito cercare l’ammissione agli Stati Uniti, come aveva fatto il Texas. Nel 1845, O’Sullivan predisse che la California sarebbe stata la prossima a seguire quel percorso, e che anche il Canada alla fine avrebbe richiesto l’annessione. Egli disapprovò lo scoppio della guerra messicano-statunitense nel 1846, anche se finì col ritenere che l’esito sarebbe stato benefico per entrambe le nazioni.
O’Sullivan non fu il creatore dell’idea di destino manifesto; mentre la sua frase fornì un utile etichetta per sentimenti che erano diventati particolarmente popolari durante gli anni 1840, le idee in se non erano nuove. Inoltre, mentre O’Sullivan fu uno dei prominenti sostenitori di quello che divenne noto come destino manifesto, altri scrittori avevano usato parole diverse per descrivere le stesse idee. La crescita della stampa negli Stati Uniti negli anni 1840, in particolare la spesso sensazionalistica “penny press”, contribuì grandemente all’ampia diffusione delle idee legate a tale concetto.


L’espansione americana verso ovest viene idealizzata in un famoso dipinto di Emanuel Leutze “Westward the Course of Empire Takes its Way” (1861)

Esisteva una dimensione partigiana: i democratici in generale erano a favore del concetto, mentre i conservatori vi si opponevano. Per i democratici, come ha spiegato uno storico: [Morrison p. 16] L’espansione ad ovest si appellava in particolare ai democratici del Nord e del Sud, che guardavano ad una frontiera in continuo allargamento per preservare e mantenere le libertà individuali. Immediatamente [nel 1844], l’aggiunta del Texas all’Unione promise di estendere l’area della libertà estendendo le istituzioni americane più in la a sud-ovest. A un livello più profondo, comunque, i democratici credevano che l’espansione a ovest era un requisito necessario e pratico della libertà individuale e del governo repubblicano. La libertà personale, dicevano, era incompatibile con il sovraffollamento, i terreni esauriti, e la schiavitù del salario. La compressione avrebbe causato estremi di benessere e povertà e avrebbe procurato “quei mali così prevalenti in altre nazioni”. Rinchiuso, sedotto da raffinamenti affettati o vincolato dalle prerogative degli altri, “l’uomo … diventa snervato e predisposto ad essere schiavizzato da comportamenti viziosi o dipendenti dalle circostanze”.
Thomas Jefferson credeva che gli indiani dovessero vivere come i bianchi
La libertà individuale, essi concludevano, era una funzione di una repubblica espansiva. Concentrazione, sfruttamento della terra, schiavitù del salario e intrappolamento erano, nella visione dei democratici, la minaccia più profonda e oscura all’autonomia personale e al governo repubblicano. I pericoli per la libertà sembravano particolarmente gravi in una nazione che emergeva lentamente dalla seria e spiazzante depressione prodotta dal Panico del 1837. Gli effetti perduranti della stagnazione economica e il declino nella colonizzazione della frontiera avrebbero difficilmente potuto essere più significativi nel dibattito sul Texas. “La nostra popolazione è diventata relativamente densa; le nostre nuove terre sono esaurite,” notò un critico letterario. “Ci stiamo separando sempre più, capitale e lavoro, e abbiamo gli inizi di una classe operaia in costante crescita, sconosciuta ai nostri padri, sempre condannata ad essere dipendente sull’impiego da parte della classe che rappresenta il capitale della nazione, per i mezzi di sussistenza”. L’autnomia personale e la vera libertà, quindi, dipendevano “dalla creazione di proprietari terrieri, non di proprietari di immobili … [con] proprietà di se stessi e non padroni.” George Bancroft, un ardente sostenitore dell’annessione del Texas, concluse che ogni allargamento dell’Unione aveva reso più difficoltose la concentrazione e l’intrappolamento e, come risultato, aveva rafforzato, e non indebolito, l’Unione.

Henry Clay si oppose fermamente all’annessione del Texas
Ironicamente, il termine di O’Sullivan divenne popolare solo dopo che venne criticato dai conservatori che erano all’opposizione dell’amministrazione Polk. Il 3 gennaio 1846, il parlamentare Robert Winthrop ridicolizzò il concetto davanti al Congresso dicendo: “Suppongo che il diritto di un destino manifesto all’espansione non verrà ammesso esistere in alcuna nazione ad eccezione della nazione Yankee”. Winthrop fu il primo di una lunga serie di critici che suggerirono che i sostenitori del destino manifesto stavano citando la “Divina Provvidenza” come giustificazione delle azioni che erano motivate dallo sciovinismo e dal tornaconto personale. Nonostante queste critiche, gli espansionisti adottarono la frase, che prese piede così rapidamente che le sue origini vennero presto dimenticate. O’Sullivan morì dimenticato nel 1895, proprio mentre la sua frase veniva riesumata; nel 1927 uno storico determinò che la frase originava da lui.
La frase “destino manifesto” viene spesso associata all’espansione territoriale degli Stati Uniti avvenuta tra il 1815 e il 1860. Quest’epoca, dalla fine della guerra del 1812 all’inizio della guerra civile americana, è stata chiamata “Epoca del destino manifesto”. Durante questo periodo gli Stati Uniti si espansero verso l’Oceano Pacifico, definendo in gran parte i confini degli odierni Stati Uniti continentali.
Il destino manifesto ebbe gravi conseguenze per i nativi americani, poiché l’espansione continentale significò l’occupazione delle loro terre. Gli Stati Uniti continuarono la pratica europea di riconoscere solo limitati diritti sulla terra alle popolazioni indigene. Con una politica formulata in gran parte da Henry Knox, Segretario di Guerra nell’Amministrazione Washington, il governo statunitense cercò di espandersi ad ovest solo attraverso l’acquisto legale, tramite trattati, dei territori indiani. I nativi americani vennero incoraggiati a vendere le loro vaste terre tribali e divennero “civilizzati”, il che significava (tra le altre cose) che gli uomini dovettero abbandonare la caccia e diventare agricoltori, e per la società pellerossa, riorganizzarsi attorno alla famiglia invece che attorno al clan o alla tribù.


Un ritratto di indiano

I sostenitori dei programmi di “civilizzazione” credevano che il processo avrebbe ridoto notevolmente la quantità di terra di cui gli indiani avrebbero avuto bisogno, rendendo quindi piu terreno disponibile per l’acquisto da parte degli americani bianchi. Thomas Jefferson credeva che mentre gli indiani americani erano intellettualmente uguali ai bianchi, essi dovevano vivere come i bianchi o venire inevitabilmente spinti ai margini da questi ultimi. La convinzione di Jefferson, radicata nel pensiero illuminista, che bianchi e indiani si sarebbero fusi a formare un’unica nazione, non durò quanto lui, egli infatti iniziò a credere che gli indiani dovevano emigrare oltre il fiume Mississippi e mantenere una società separata. Un idea resa possibile dall’acquisto della Louisiana nel 1803.
Nell’Era del destino manifesto, questa idea, che divenne nota come “rimozione indiana”, prese piede. Anche se alcuni sostenitori umanitari della rimozione credevano che gli indiani sarebbero stati meglio allontanandosi dai bianchi, un numero sempre maggiore di americani considerava i nativi come niente più che “selvaggi” che si trovavano sulla strada dell’espansione americana. Come sostenuto dallo storico Reginald Horsman nel suo influente studio Race and Manifest Destiny, la retorica razziale incrementò durante l’era del destino manifesto. gli americani credettero sempre più che i nativi americani sarebbero svaniti man mano che gli Stati Uniti si espandevano. Ad esempio, questa idea venne riflessa nell’opera di uno dei primi grandi storici americani, Francis Parkman, il cui libro basilare The Conspiracy of Pontiac venne pubblicato nel 1851. Parkman scrisse che gli indiani erano “destinati a fondersi davanti alle ondate avanzanti del potere anglo-americano, che ora avanzava incontrollato e incontrastato verso ovest”.

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