Nana, il vecchio leone Apache

A cura di Cristina Uderzo

Per molti aspetti la posizione di Nana (nato nel 1805 e morto dopo il 1894 a Fort Sill, Oklahoma), come stratega, nella storia dell’America del Nord, è particolare.
Se Cavallo Pazzo, Osceola e Naso Aquilino (o Naso Romano) avevano un aspetto imponente già di per sé in grado di infondere entusiasmo nei guerrieri, Nana, quando successe a Victorio, era già molto vecchio, piegato dalla gotta e quasi cieco.
Riusciva a camminare con difficoltà, ma stava in sella, quindi cavalcava “come un diavolo” dimostrando una costanza e una perseveranza ammirevoli. A un’età in cui la maggior parte dei capi cedeva il passo ai più giovani, il vecchio apache portò a termine imprese ineguagliabili.
Durante la sua vita Nana aveva combattuto contro messicani e americani, partecipando a tutte le grandi imprese di Mangas Coloradas e di Victorio e imparando tutti i trucchi della guerriglia, in cui gli Apache, in quanto a maestria, superarono tutti gli altri indiani.
L’altra versione del ritratto
Jason Betzines, un parente alla lontana di Nana, racconta nella sua autobiografia: “Nana, in gioventù era un uomo grande, ben proporzionato ed era così forte che poteva trapassare un toro con una freccia. Persino da vecchio riusciva ancora a farlo, come io stesso ebbi modo di vedere, nella riserva di Wann Springs.”
Sotto il comando di Mangas e di Victorio era un guerriero fiero e impavido, un combattente in grado di affrontare chiunque volesse avere la meglio su di lui. Era però di animo gentile ed era molto apprezzato dal suo popolo e anche dai vicini messicani. Come la maggior parte degli Apache di Warm Springs, amava la pace.
Tutto cambiò nel 1879 quando con Victorio si mise sul sentiero di guerra. Provava un odio talmente profondo per i suoi nemici che si trasformava in una tigre impazzita e dimenticava la debolezza dovuta all’età.
Nana accompagnò Victorio all’incontro dell’aprile 1865, a Santa Rita, con un rappresentante governativo. All’assicurazione del funzionario che il trasferimento a Bosque Redondo avrebbe portato la pace, Nana rispose sprezzante con queste parole: “Non ho tasche in cui mettere le tue parole, ma si sono profondamente impresse nel mio cuore. Non le dimenticherò.”


Il grande Nana nell’unico ritratto esistente

Le continue violazioni di promesse e trattati rinfocolarono l’antico odio di Nana.
Come vice-capo di Victorio partecipò a molte azioni spettacolari. Un altro esempio per dimostrare la straordinaria vitalità di Nana fu il suo matrimonio all’età di settantatre anni, con la figlia di Victorio. Fuggì con il suocero dalla riserva di San Carlos, ma poco dopo si separò da lui e tornò indietro con settantatre persone, tremando dal freddo.
Quando Victorio, al suo ritorno, volle scegliere la vita libera e senza vincoli nelle montagne al posto di quella cupa della riserva. Nana era il suo vice-capo più valido. Per puro caso, nell’ottobre 1880, quando Victorio fu circondato e ucciso dagli uomini del colonnello messicano Terrazas, Nana si trovava in ricognizione e i suoi guerrieri, circa cinquanta uomini, trascorsero l’inverno in Messico.
Un ritratto di Victorio
Ad un certo punto, nella primavera del 1881, attraversarono il confine e si diressero nel New Mexico dove si nascosero in montagna, nei pressi dell’agenzia dei Mescalero. A loro si unirono venticinque guerrieri Mescalero, ma il suo esercito era composto esclusivamente da apache, al contrario di quello di Victorio che comprendeva anche Navaho e Comanche.
A metà luglio del 1881, Nana si mise in movimento, inseguito dai soldati della riserva al cui servizio vi erano alcuni scouts Mescalero. Gli uomini di Nana si lasciarono alle spalle una scia di sangue che andava dall’Alamos Canyon fino alle San Andres Mountains. Qui si scontrarono con i loro inseguitori che esultarono ma non riuscirono che a prendere qualche cavallo e qualche mulo. Gli indiani erano spariti tra le montagne, in direzione del Rio Grande, che guadarono dopo aver ucciso tre bianchi.
I guerrieri del terribile vecchio capo usavano sempre la stessa tattica: comparivano all’improvviso, uccidendo alcuni bianchi, e sparivano con un bottino di cavalli e muli, con la stessa rapidità con cui erano arrivati. Come ai tempi di Victorio, tutto il paese era in tumulto. Le notizie degli attacchi di Nana si susseguivano: l’11 agosto due messicani erano state le vittime degli apache a La Cebolla e due donne furono rapite: il giorno dopo Nana attaccò nella zona di Sabinal un reparto del 9° Cavalleria, al comando del capitano Parker, mentre il 13 agosto vi fu uno scontro, nei pressi di Cuchillo Negro, in cui furono uccisi due soldati. Cinque giorni più tardi il luogotenente C.W. Smith affrontò i guerrieri apache con venti uomini: lo scontro fu particolarmente duro, Smith e quattro soldati persero la vita. Durante il combattimento un gruppo di volontari, guidati da George Daly, giunse in loro soccorso, ma Daly cadde sotto il fuoco degli apache e i bianchi sopravvissuti si diedero alla fuga. Ma la terra si faceva sempre più rovente sotto i piedi di Nana: sempre più soldati arrivavano nel paese, per cui Nana decise di tornare in Messico.


In cerca di Apache

Quando, nel 1883, il generale Crook tentò ancora una volta di riportare gli apache nella riserva di San Carlos anche Nana rientrò con i suoi dal Messico. Tuttavia nel 1885 lasciò nuovamente la riserva, ma si arrese definitivamente nel gennaio del 1886 e fu il luogotenente Maus a ricevere la sua capitolazione sul suolo messicano.
Se si osservano le imprese di Nana nell’estate del 1881, pur con tutta la crudeltà ad essa legata, si comprende che meritano la massima considerazione.
Lo storico Paul Wellmam scrive in proposito: “In meno di due mesi, Nana, condizionato dall’età e dagli acciacchi fisici, percorse più di mille miglia in territorio nemico nel corso della sua breve guerra. Combatté sette volte contro gli americani e vinse sempre. Uccise dai trenta ai cinquanta nemici, ne ferì un numero ancora più elevato, prese duecento tra cavalli e muli. Sfuggì inoltre all’inseguimento di più di mille soldati, senza contare i tre o quattrocento volontari, e tutto ciò, almeno all’inizio, disponendo di soli quindici guerrieri. Sulle tracce di Nana vi erano complessivamente otto squadroni di cavalleria, sette compagnie di fanteria, oltre a due compagnie di scout. Sfuggire a questa orda di inseguitori non fu solo una magistrale dimostrazione di strategia, fu anche un’incredibile prestazione fisica. Tutti i giorni, Nana e i suoi guerrieri percorrevano fino a settanta miglia ed è naturale che per far questo facessero correre fino alla morte più di cento cavalli, via via sostituiti da quelli razziati.”
A destra, George Crook
Il fatto che il protagonista di queste imprese fosse un uomo oltre i settanta anni per alcuni addirittura ottanta, rappresentava un caso unico nella storia e anche solo per questo meriterebbe di essere citato. Per la tenacia, la natura selvaggia e per l’audacia, rappresentava il vero prototipo dell’Apache.
Nel giugno 1871, il generale Crook aveva assunto il comando del dipartimento dell’ Arizona, ma, dopo alcuni successi iniziali, era stato mandato a nord a combattere i Sioux. Nel 1882 il governo rimandò Crook in Arizona per porre fine ai continui scontri con gli Apache. Il suo atteggiamento nei confronti degli Apache si differenziava positivamente da quello di altri bianchi del Sud-Ovest: “Penso che l’apache venga dipinto a tinte fosche più di quanto meriti e che le sue azioni siano state provocate da una serie di avvenimenti sfavorevoli più che dal fatto che fossero peggiori di altri indiani. Vive in un paese in cui non può vivere dei prodotti della natura e deve perciò coltivare la terra o rubare. Dal momento che la nostra politica esitante gli ha mostrato che lo temiamo, sceglie l’ultima ipotesi che gli costa meno fatica e corrisponde maggiormente al suo istinto.”
Crook non si tirò indietro e volle indagare a fondo sulla situazione nelle riserve, ascoltando dalla viva voce degli indiani i loro bisogni e le loro preoccupazioni. Sul suo famoso mulo “Apache” si spinse anche sulle montagne, scortato solo da alcuni soldati, per visitare i villaggi delle bande di apache ancora nemiche. Solo il suo coraggio, che gli Apache apprezzavano anche in un nemico, gli risparmiarono la morte. Al suo ritorno ordinò ai cercatori d”oro e agli altri bianchi che non avevano rispettato i diritti degli Apache ed erano entrati nel loro territorio, di abbandonare il paese degli Apache. Eliminò anche, almeno il più possibile, la corruzione nelle agenzie. Con queste misure Crook risolse gran parte dei problemi senza alcun spargimento di sangue.
Seppure la maggior parte degli apache seguisse le mosse del Generale con favore e le giudicassero positivamente, vi era un gruppo di circa cinquecento apache, specialmente Chiricahua, che rimase diffidente e che abbandonò la riserva di San Carlos per tornare in montagna.
I loro capi erano Naiche, Chato e Geronimo che ebbe in seguito il ruolo di gran lunga più importante.

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