Storia dei popoli del Nord-America – 11

A cura di Claudio Ursella
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IL SUD-OVEST
La vasta regione che possiamo definire con la generica espressione geografica di Sud-Ovest, è l’altra importante area in cui si svilupparono culture agricole in Nord America. L’estensione di questa area agricola va oltre i territori sud-occidentali degli Stati Uniti e del Messico nord-occidentale, che ne sono comunque il cuore, estendendosi a nord lungo il bacino del fiume Colorado, compreso il suo affluente Green, un’area che fu fortemente influenzata dalle culture sviluppatesi più a sud.
A est il confine di quest’area è costituto dagli alti rilievi delle Rocky Mountains, con le propaggini meridionali dei monti Sangre de Cristo, i rilievi che fanno da spartiacque tra il Pecos e il Rio Grande, fino alla Sierra Madre Orientale; a nord la piccola catena dei monti Uinta, traccia il confine con le pianure del Wyoming, mentre a ovest il confine è rappresentato dai monti Wasatch, oltre il quale si estendono le zone desertiche del Nevada; a sud-ovest è il basso corso del Colorado a delimitare nettamente l’area, dalle zone desertiche della California meridionale; a sud il confine si fa più indefinito e sfumato, date le relazioni tra i popoli di quest’area e quelli del Messico, ma un limite può essere trovato nel bacino del Rio Concho, un grande affluente meridionale del Rio Grande, e nella regione semi desertica del Bolsom de Mapimi, nello stato messicano di Chihuahua.
Questa area costituisce la parte meridionale del vasto altipiano che si estende ad ovest delle Rocky Mountains, una regione con scarse precipitazioni per buona parte dell’anno e inverni freddi e nevosi, dovee a parte i principali corsi d’acqua, il Colorado, il Gila, il Rio Grande, le risorse idriche sono scarse e in buona misura legato allo scioglimento delle nevi delle montagne che la circondano. Specialmente nella parte meridionale, le caratteristiche del terreno, lo rendono fortemente soggetto all’erosione dell’acqua e di altri agenti naturali, che producono vasti e profondo canion e mesas, i rilievi dai pendii scoscesi e piatti al vertice, che spesso si elevano isolati sulla pianura circostante.


La mappa del sud-ovest – clicca per INGRANDIRE

La vegetazione è di carattere stepposo e arbustaceo, soprattutto nella parte meridionale, con la presenza di zone boschive lungo i rilievi montani, più estese nella parte settentrionale. La fauna non vede la presenza di mammiferi di grossa taglia, ( a parte l’orso nero e il grizzly) il bisonte è scarsamente presente lungo i confini orientali e settentrionali dell’area, quella di media taglia è rappresentata dal cervo mulo, dal pecari, dalla pecora bighorn e dall’antilocapra; queste specie comunque non vivono in branchi numerosi e anche la loro presenza, è comunque condizionata dalla scarsità delle risorse idriche e dalla povertà dei pascoli.
Queste condizioni generali videro nel corso dei secoli variazioni temporanee, periodi migliori e peggiori, ma il quadro generale è rimasto costante a partire dall’era Arcaica.
Si tratta quindi di un’area che non può contare, ne sugli ambienti lussureggianti e la ricca flora e fauna delle Foreste Orientali, ne su grande quantità di selvaggina, come nelle Grandi Pianure dei bisonti. In questo difficile ambiente, la possibilità di sviluppo di culture complesse e comunità numerose e strutturate, fu quindi un impegno gravoso, che dovette assorbire grandi risorse, lasciando poco spazio all’elaborazione di articolate stratificazioni sociali, di complessi sistemi rituali e di grandi siti cerimoniali, come invece accadeva nelle coeve culture delle Foreste Orientali.
La grandezza della cultura di questi popoli si espresse quindi principalmente nella capacità di dare soluzione pratica a difficili problemi concreti, quali la costruzione di insediamenti, il loro collegamento, in assenza dei corsi d’acqua come via di comunicazione, la possibilità di approvvigionamento idrico, l’utilizzo agricolo di terre inadatte, e soprattutto in una grande sensibilità artistica ed estetica, applicata ancor più che a oggetti rituali e simboli di status sociale, agli umili manufatti necessari alla vita quotidiana, vasi in ceramica e canestri, nei quali questi popoli raggiunsero un’eccellenza e una raffinatezza che è ancora oggi modello ineguagliato.
Date le difficili condizioni ambientali, lo sviluppo dell’agricoltura, che segna la fine dell’era Arcaica, fu in larga misura frutto delle relazioni con le regioni meridionali del Messico, dove tale attività si sviluppa già nei millenni precedenti l’era cristiana; le scoperte agricole dei popoli messicani, raggiunto il nord, si innestarono su un modello di sussistenza, che proprio durante l’era Arcaica si era prodotto, incentrandosi sulla raccolta di un gran numero di vegetali selvatici.
Le prime pratiche agricole, acquisite probabilmente a partire dal III millennio a.C, a partire dalle regioni meridionali di cultura Cochise, si estesero progressivamente verso nord, fino alle regioni dell’Utah e del Colorado, coinvolgendo i popoli di cultura Oshara e i primi Basket Makers (Ancestral Basket Makers), entro gli ultimi secoli precedente l’era cristiana. Con la progressiva diffusione dell’agricoltura, ed in particolare del mais, che a differenza che nelle regioni orientali, è il primo vegetale coltivato, il tradizionale nomadismo tende progressivamente a ridursi, mentre fanno la loro comparsa le prime “pit house”, abitazioni scavate nel terreno a base circolare o ovoidale, con tetti costituiti da una struttura in legno e ricoperti da rami e fango. E’ su questo modello di sussistenza di base comune a tutto il Sud.Ovest, che a partire dal II sec. a.C, iniziano a formarsi le differenti culture storiche della regione, Mogollon, Hohokam, Anasazi, poi le successive Patayan e Fremont, e altre minori e più circoscritte, nel tempo e nei luoghi; in queste culture che ci hanno lasciato significative testimonianze, è possibile cercare il passato, degli abitanti storici del Sud-Ovest.

I Mogollon

A differenza che nelle Foreste Orientali, dove l’acquisizione dell’agricoltura fu un fenomeno sostanzialmente autoctono, nelle regioni del Sud-Ovest, l’agricoltura si diffuse attraverso il contatto con i popoli messicani, raggiungendo prima quindi le zone del Messico nord-occidentale e le contigue regioni dell’Arizona, del New Mexico e del Texas: quest’area fu la sede della più antica tra le culture agricole del Sud-Ovest, denominata Mogollon, dal nome della catena montuosa del New Mexico, dove sono stati fatti i primi ritrovamenti archeologici che definoscono tale cultura, e dove essa ha avuto lo sviluppo più significativo e conosciuto.
I popoli Mogollon sono gli eredi diretti della cultura arcaica di Cochise, che già aveva acquisito una prima rudimentale pratica agricola e una tendenza alle sedentarietà, a partire dall’ultimo millennio dell’era cristiana; con l’acquisizione della ceramica, quasi certamente anch’essa dovuta ai rapporti con i popoli del Messico, a partire dal II secolo a.C., la cultura Mogollon emerge dalla precedente cultura Cochise e si differenzia rispetto alle altre e quasi coeve culture del Sud-Ovest.
Rispetto alla fase precedente la cultura Mogollon si caratterizza, oltre che per l’acquisizione della ceramica, per la definitiva scelta alla residenza stabile e dalla maggior dipendenza dall’agricoltura, mais e fagioli in particolare, a cui si aggiungeva comunque una modesta attività venatoria e di raccolta di vegetali selvatici, condotta nelle vicinanze dei villaggi.


L’area della cultura Mogollon

Durante i primi secoli, tali villaggi erano per lo più posti su alture difendibili, forse per il timore che altri gruppi, ancora legati al nomadismo, potessero predarli; tale abitudine si ridusse nei secoli successivi, quando tutto il sud-ovest divenne zona agricola e sedentaria, con una conseguente riduzione dei conflitti, e quindi gli insediamenti si estesero anche in zone pianeggianti, dovunque le risorse idriche, una sorgente o un piccolo torrente, rendevano possibile un raccolto. I villaggi erano abitualmente abitati da piccole comunità di alcune decine di individui, che risiedevano in abitazioni seminterrate (pit house), profonde circa un metro, del diametro dai 4 ai 6 metri, con tetto conico di pali, frasche e fango, a base circolare o ovoidale, in cui poteva vivere una piccola famiglia allargata, con anziani, i loro figli e nipoti; le abitazioni avevano spesso l’apertura sul tetto, e sempre un piccolo magazzino interrato per le conservazione del mais e degli altri alimenti.
La principale espressione artigianale era legata alla produzione di vasi, coppe e brocche di ceramica, spesso decorata con strati di argilla rossa, di fattura e forme evidentemente influenzate dai modelli messicani; a questa attività si aggiungeva la produzione di cesti in fibre vegetali per la raccolta di frutti e semi, di pipe di argilla, oltre a frecce e lame in pietra per la caccia.
E’ tra i Mogollon che probabilmente il tacchino compare per la prima volta nei villaggi agricoli, unico animale addomesticato in Nord America oltre al cane, anche se non è chiaro se l’introduzione di questo animale tra i popoli del Sud-Ovest, sia frutto del contatto con i Messicani, o se sia avvenuta autonomamente; è comunque possibile che siano stati i tacchini stessi ad avvicinarsi agli insediamenti umani, dove li attirava la risorsa del mais, e che progressivamente si sia stabilito un rapporto simbiotico tra umani e tacchini semiselvatici, con gli umani che mettevano a disposizione il cibo, utilizzando quando ne avevano necessità, la carne, le uova e il piumaggio del tacchino
Questo modello agricolo di sussistenza si affermò tra il II sec. a.C. e il V sec. d.C. in tutta l’area, influenzando anche i territori a est e a nord, dove nel frattempo si stavano producendo le culture degli Hohokam e più tardi degli Anasazi; tale processo ebbe comunque una battuta d’arresto piuttosto radicale, tra il V e il VII secolo, in particolare nella parte occidentale dell’area Mogollon, quando forse a causa di cambiamenti climatici, l’attività agricola vide un periodo di decadenza, con il ritorno all’antico nomadismo. Fu probabilmente in questo stesso periodo che l’arco e le frecce iniziarono a fare la loro comparsa nella regione, sostituendo progressivamente l’atlatl come strumento per la caccia, il cui uso dopo l’XI secolo, era stato completamente abbandonato. Forse proprio l’introduzione delle nuove tecniche venatorie legate all’arco e alle frecce, particolarmente adatte alle prede piccole e medie presenti nella regione, insieme a difficoltà nell’attività agricola, può aver indotto singole comunità a ritornare al nomadismo.
Superato questo momento di crisi, la cultura Mogollon ebbe il suo apice intorno al IX e X secolo, quando le crescita demografica portò all’aumento del numero dei villaggi e alla loro maggiore estensione, anche se in questo stesso periodo va segnalata una fase di stagnazione, sul piano della crescita e dell’innovazione culturale, e quindi le prime testimonianze dell’influenza esercitata da culture limitrofe nei confronti dei popoli Mogollon. E’ infatti in questo periodo che nei villaggi, fanno la loro comparsa i primi “kivas”, strutture seminterrate simili a quelle usate come abitazioni, ma più grandi, e destinate ad uso cerimoniale, luogo di incontro per gli uomini, che vi si riunivano per celebrare riti, e forse per incontri sociali. L’uso dei kivas cerimoniali è tipico degli Anasazi, e rappresenta il primo elemento dell’influenza di questa cultura settentrionale sui Mogollon.
E’ molto probabile che al culmine del loro sviluppo i popoli Mogollon abbiano prodotto un modello sociale più complesso, con una prima strutturazione in clan famigliari matrilineari e metà matrimoniali, e l’emergere di shamani e sacerdoti, intermediari di tutta la comunità nei confronti del mondo sovranaturale; quasi certamente sia gli uomini che le donne si dedicavano all’attività agricola, che peraltro richiedeva il costante lavoro umano per piccoli lavori di canalizzazione dell’acqua e l’irrigazione dei campi, mentre invece la tradizionale divisione del lavoro, doveva mantenersi per la raccolta di vegetali selvatici, riservata alle donne, e la caccia riservata agli uomini. Importante acquisizione di questo periodo è quella del telaio, e quindi della tecnica della tessitura, alla quale si dedicavano principalmente gli uomini, e che utilizzava oltre al cotone, le fibre di agave e di molte altre piante. Al pari della produzione di ceramica e di canestri, la tessitura fa di questa regione una delle più evolute sul piano della produzione artigiana, una produzione che si differenzia, anche in funzione di una domanda che, con la maggiore strutturazione sociale e l’emergere di leader civili e religiosi, richiede anche prodotti in grado di mostrare il prestigio e lo status elevato.
Questa dinamica si produce anche negli usi funerari, che mostrano una evoluzione, con una quantità di vasellame di pregiata fattura, destinata ad accompagnare la sepoltura degli individui più autorevoli e dei sacerdoti.


La vita intorno ai villaggi era semplice

All’apice della sua espressione ed espansione la cultura Mogollon da luogo ad una serie di differenziazioni che si producono nell’ampia regione interessata: nel nord dell’area, alle sorgenti del fiume Gila, poco prima dell’anno 1.000 emergeva la tradizione Mimbres Mogollon, la cui principale espressione è nell’eccellenza della ceramica, caratterizzata da decorazioni nere su bianco, con motivi geometrici o la stilizzazione di figure animali o umane.
A est, nella regione del medio corso del Rio Grande, fino al fiume Pecos e al Rio Conchos, a partire dalla seconda metà del I millennio, un’espressione periferica, definita Jornada Mogollon, si sviluppa con proprie caratteristiche; una minore dipendenza dall’agricoltura, fortemente integrata dalla caccia al bisonte nelle praterie del Texas, un artigianato più povero, insediamenti più piccoli e transitori.
Nel nord del Messico il grande centro di Casas Grandes, sorto da un insediamento Mogollon, dava corso ad una peculiare esperienza che influenzava una vasta regione circostante.
In questa fase di crescita ed espansione comunque, l’estensione della cultura Mogollon si accompagna all’inizio di una perdita di identità e di una contaminazione con le vicine culture occidentali e settentrionali degli Hohokam e Anasazi, che in quello stesso periodo raggiungono la loro massima espressione, influenzando gli stessi Mogollon.
Di fatto il modello culturale Mogollon cessa di essere intorno all’anno 1.000 un’originale e omogeneo fattore di sviluppo culturale del Sud-Ovest, per divenire l’espressione periferica delle culture più avanzate che in quell’epoca si andavano affermando. Ciò è particolarmente evidente nel cambiamento dei modelli di insediamento, con il progressivo abbandono delle caratteristiche pithouse, sostituite da edifici costruiti al livello del terreno con mattoni di paglia e fango (adobe) o pietre. Tale uso, fa la sua prima comparsa a nord, tra gli Anasazi della regione dei Four Corner (confine tra Colorado, Utah, New Mexico e Arizona), per estendersi in tutta l’area Mogollon, da Rio Grande, alle sorgenti del Gila, fino al nord del Messico.
I villaggi di nuovo tipi sono costituiti da decine di stanze, l’una affiancata all’altra, a base quadrata o rettangolare, in grado di ospitare una singola famiglia nucleare, spesso posti intorno ad una “plaza” centrale, destinata alle pubbliche occasioni e alle cerimonie religiose. L’uso di costruire pithouse, non scompare del tutto, ma cambia la loro forma, che diviene quadrangolare, come le case costituite in superficie, mentre crescono le misure dei kivas destinati ai riti religiosi, che arrivavano a raggiungere anche i 10 metri di diametro.
Sono di questa epoca i Pueblo di cui ci sono rimaste testimonianze archeologiche, da Hueco Tanks nella valle del Rio Grande, a Gila Cliff, sull’alta valle del Gila, a Casas Grandes, nel nord dello stato di Chihuahua in Messico; quest’ultimo attivo dalla fine del I millennio all’inizio del XV secolo, era il più grande, un complesso che al suo massimo fulgore era composto di circa 2.000 stanze in cui vivevano oltre 2.000 abitanti, al centro di altri insediamenti minori, per un totale di 10.000 abitanti. La vicenda di Casas Grandes, che inizia come un semplice villaggio di poche pithouse collegate fra loro, è comunque particolare e nella sua massima espressione, quando il villaggio si trasformò in un grande centro cerimoniale e commerciale, in cui convergevano influssi culturali e merci da tutto il Sud-Ovest e dal Messico, essa va ben oltre quella della cultura Mogollon, che in quella stessa epoca era ormai in declino in tutta la regione che l’aveva vista svilupparsi.
Tale declino iniziò a partire dalla metà del XIII secolo e con interruzioni e fasi di momentanea riprese si protrasse fino alla metà del XV secolo quando la cultura Mogollon scompare in tutta l’area. Tale fase di declino coinvolse tutte le culture del Sud-Ovest, non solo quella Mogollon, ma per quanto riguarda i Mogollon tale declino si accompagna ad una sostanziale scomparsa di questa cultura, di cui è difficile quindi individuare gli eredi storici.
Secondo molti studiosi, reminiscenze degli antichi Mogollon, possono trovarsi tra gli Zuni storici del New Mexico, che quando furono incontrati dagli Spagnoli alla metà del ‘500, erano parte della cultura Pueblo, insieme alle diverse tribù di lingua Tanoan, ai Keres, agli Hopi. E’ comunque probabile che gli antichi Mogollon, non costituissero una unica entità etnica e linguistica, ma un coacervo di diverse realtà, in cui erano presenti popoli di più antico stanziamento, forse già dalla fine del Pleistocene, come probabilmente erano gli Zuni e i Keres, e popoli di lingua Tanoan e Uto-Azteca, giunti successivamente durante la fase Arcaica, probabilmente intorno al V millennio a.C.
Il fatto che i Mogollon non costituissero un’unica e omogenea entità etnico-linguistica, potrebbe meglio spiegare le caratteristiche del processo di dissoluzione di questa cultura, passata attraverso molte differenziazioni interne e soprattutto la grande permeabilità alla commistione, quando non alla completa fusione, con popoli di cultura diversa.


Vasellame di cultura Mogollon

Alla vigilia del contatto la cultura Mogollon era di fatto scomparsa dal Sud-Ovest, e la regione che ne era stata la sede, divenne in larga misura il territorio degli Apache storici, nomadi Atapaskan, che raggiunsero il Sud-Ovest in un’epoca imprecisata, ma sicuramente compresa tra il XII e il XV secolo; l’arrivo di questi gruppi nomadi, potrebbe aver contribuito in modo significativo alla scomparsa della cultura Mogollon. Nella zona orientale dell’area, lungo il corso del Rio Grande tra El Paso e la confluenza del Rio Conchos, la variante Jornada Mogollon scomparve nel corso del XV, e quando gli Spagnoli vi giunsero, trovarono solo piccole tribù che vivevano cacciando, pescando e raccogliendo vegetali selvatici; alcuni di questi gruppi, come gli Jumanos, si trasferirono addirittura nelle Grandi Pianure, dove cacciavano il bisonte per buona parte dell’anno, per svernare poi nei Pueblos del medio Rio Grande, dove scambiavano pelli e carne le tribù agricole. Più a sud, nel Messico, l’attività agricola rimase l’attività prevatente, tra gli Opata, i Tarahumara e probabilmente i Concho di lingua Uto-Azteca, ma cambiarono modelli di insediamento e tecniche artigianali, al punto che è difficile riconoscere in questi gruppi gli eredi dei Mogollon. Questi gruppi in particolare, linguisticamente affini a quelli che diedero vita alla cultura Hohokam, furono certamente da questi influenzati.

Gli Hohokam

Se nella cultura dei Mogollon è possibile verificare le prime evidenti influenze delle grandi culture mesoamericane tra i popoli del Sud-Ovest, certamente furono gli Hohokam a trarre il massimo vantaggio da tale influenza, dando vita ad un complesso culturale, che sia sul piano del modello di sussistenza, che su quello dell’organizzazione sociale e dell’artigianato, raggiunse una complessità ed una specializzazione molto più avanzate di quella Mogollon. La cultura Hohokam prende tale nome dall’espressione in lingua Pima che significa “quelli che se ne sono andati”, ed ebbe il suo centro nelle terre abitate proprio dai Pima storici, lungo la valle del fiume Gila, nel sud dell’Arizona, estendendosi a sud fino alle zone desertiche al confine con il Messico e a nord lungo il Salt River, affluente del Gila.


Gli Hohokam

Il bacino del medio e basso corso del fiume Gila è una vasta regione pianeggiante, che ha risorse idriche ancor minori di quella dell’alto corso, abitata dai Mogollon, dove nelle aree montuose, sorgenti, e piccoli torrenti alimentati dalle nevi invernali, offrono maggiori opportunità all’agricoltura, e dove fauna e vegetazione selvatica offrono qualche risorsa alimentare. Al contrario il medio e basso corso del Gila attraversano una regione semidesertica, in cui non solo l’agricoltura è particolarmente difficile, ma la scarsità d’acqua riduce anche notevolmente la presenza di selvaggina e vegetazione selvatica, rendendo la vita difficile anche a popoli con un modello di sussistenza basato sul nomadismo. Gli antichi Hohokam, si misurarono quindi con la necessità di trovare soluzione al problema di sopravvivere in una regione che non offriva le aleatorie e precarie risorse della caccia e della raccolta, e in cui solo un’agricoltura organizzata e specializzata, poteva permettere di sopravvivere. La soluzione a questo problema fu trovata in quello che è il principale elemento di caratterizzazione della cultura Hohokam, un vasto e complesso sistema di canali d’irrigazione, quale non si è prodotto in nessuna regione del Nord America, e che rappresenta un modello avanzato anche nel rapporto con le antiche civiltà del Vecchio Mondo.
Gli Hohokam emergono come i Mogollon dal precedente complesso della cultura Arcaica di Cochise, quando a partire dall’inizio dell’era cristiana, diversi piccoli insediamenti agricoli iniziano a fare la loro comparsa nella valle del Gila, e a partire dal II sec. d. C., anche la ceramica fa la sua comparsa in questi primi insediamenti. Si tratta in questa fase di piccole comunità di poche decine di abitanti, che vivono in abitazioni diverse dalle pithouse dei Mogollon, essendo meno interrate, abitualmente non più di mezzo metro, avendo abitualmente base quadrangolare e rettangolare, piuttosto che circolare o ovoidale, e con un tetto a cupola, piuttosto che conico, costituito da rami e frasche, ricoperto da fango e argilla, e un focolare posto vicino all’ingresso invece che al centro, come fra i Mogollon. Questi piccoli gruppi vivevano quasi esclusivamente del prodotto degli orti posti nelle vicinanze dei fiumi, e che probabilmente già dopo il V secolo venivano irrigati da piccoli canali.
Fu durante questo primo periodo, che si protrasse fino all’VIII sec. d. C., che i principale elementi della cultura Hohokam si produssero: nel campo delle attività agricole, il cotone, diversi tipi di fagioli e di zucche, furono introdotti dalle zone meridionali, insieme a vegetali locali, come l’amaranto e l’agave, le cui fibre venivano utilizzate per la tessitura, aggiungendosi al mais, che rimaneva la prima risorsa alimentare; nel campo delle tecniche artigianali, compaiono, oltre allo specifico tipo di ceramica Hohokam, caratterizzata dal coloro rosso, anche la produzione di piccole statuette a tutto tondo di busti e figure umane, usate soprattutto a scopo cerimoniale. Già da questo periodo era presente un elemento caratteristico della culturra Hohokam, il suo essere al centro di una rete di scambi commerciali, che metteva in relazione le regioni interne del Sud-Ovest, con le coste della California e con le regioni meridionali del Messico: il turchese, diversi tipi di conchiglie marine, e i grandi pappagalli ara del Messico, apprezzati per il loro variopinto piumaggio, erano tra i beni che venivano scambiati.
Durante questi primi secoli, si posero le basi materiali per lo sviluppo della cultura Hohokam, ma è solo a partire dall’VIII secolo, che la rete di piccole comunità agricole incidenti nella stessa regione, e che quasi certamente condividevano oltre al modello culturale anche la lingua, si trasformano in strutture sociali più grandi, complesse e organizzate.


Gli Hohokam

E’ lo sviluppo agricolo, la messa a coltura di nuove terre, il volano della crescita culturale, che imponendo la necessità di ampliare ed estendere il sistema di canalizzazione, porta alla collaborazione e all’integrazione delle piccole comunità autonome. Il sistema di irrigazione Hohokam portò allo scavo di grandi canali, larghi diversi metri e profondi oltre 3 metri, per una estensione complessiva, alla metà del XV secolo, di oltre 500 chilometri, il tutto fatto con il solo ausilio di bastoni da scavo e cesti per portar via la terra, e con una grande attenzione ai livelli di pendenza che dovevano permettere un flusso delle acque equilibrato, ne troppo veloce, per il rischio dell’accumulo di detriti e sabbia che avrebbe potuto ostruirli, ne troppo lento che non avrebbe garantito un adeguato approvvigionamento idrico. Per tali complessi lavori di ingegneria idraulica, era necessaria un notevole impiego di forza lavoro, e la regione era all’epoca la più densamente popolata del Sud-Ovest, con forse 80.000 abitanti. Ma il gran numero di braccia disponibili per la costruzione e la costante manutenzione del sistema di irrigazione, necessitava anche di un’organizzazione del lavoro centralizzato e gerarchizzato, e ciò portò al formarsi di una prima stratificazione sociale, con l’emergere di figure sacerdotali, la cui competenza nel progettare e sovrintendere al sistema dei canali, doveva avere un carattere sacro ed esoterico.
Anche gli insediamenti si modificano, con l’introduzione di mattoni di adobe nella costruzione delle abitazioni, mentre i villaggi vengono costruiti intorno a piazze usate per i riti collettivi; nei centri principali fanno la loro comparsa grandi campi per il gioco rituale della palla, secondo un modello mutuato dalle culture dell’America Centrale; i campi per il gioco della palla, erano grandi corti scavate nel terreno, fino a tre metri di profondità, per 90 metri di lunghezza e oltre 25 di larghezza. Non c’erano gli “anelli” di pietra, che costituivano le “porte” o i “canestri” per i giocatori messicani, e quindi il gioco doveva svolgersi con regole diverse, mantenendo però la sua caratteristica di grande cerimoniale pubblico e collettivo. L’importanza dei rituali collettivi, è confermata anche dai ritrovamenti di resti di grandi forni comuni, da utilizzare per banchetti collettivi in tali occasioni cerimoniali.
Verso l’inizio del II millennio, un ulteriore prova del contatto e dell’influenza messicana, è data dai ritrovamenti di piattaforme elevate all’interno dei villaggi, non paragonabili per grandezza alle piramidi messicane, ne ai Temple Mounds della valle del Mississipi, ma quasi certamente aventi la stessa funzione, quella di ospitare templi o l’abitazione di sacerdoti e altri personaggi eminenti e delle loro famiglie.
E’ interessante notare come, a differenza di quanto accade più o meno nello stesso periodo nella valle del Mississipi, l’emergere di una struttura sociale più gerarchizzata e centralizzata, non si accompagna all’emergere di una casta di guerrieri; evidentemente doveva trattarsi di un periodo in cui i rischi di conflitti erano bassi, ma c’è anche da considerare, che la necessità di organizzare il lavoro agricolo in un contesto estremamente difficile, lasciava poche energie e risorse da riservare all’attività bellica e alla propensione aggressiva.


Hohokam al lavoro intorno a un canale

Piuttosto che i guerrieri, a fianco alle figure sacerdotali, probabilmente legate alla gestione del sistema di irrigazione, emergono le figure di artigiani, che acquisiscono nuove tecniche, imparano a lavorare nuovi materiali, producendo una ricca gamma di manufatti, che spazia dalle raffinate ceramiche, alla produzione tessile, fino alla vera e propria gioielleria; tra gli oggetti più interessanti, sono piccoli campanellini di rame, e soprattutto i gusci di conchiglie finemente decorati, con una tecnica usata solo in questa zona del Nord America, usando acidi ricavati dal succo di saguaro, per erodere la superficie del guscio, dopo aver protetto con della cera le parti che si voleva mantenere in rilievo e decorare.
In questo periodo cambiano anche gli usi funerari, e dall’inumazione praticata nei primi secoli, come facevano i loro vicini Mogollon, si passa alla pratica della cremazione e della conservazione delle ceneri in brocche, ricoperte da ciotole rivoltate a mo‘ di coperchio, che poi erano interrate nel sottosuolo delle case.
E’ nel corso del XII secolo che la cultura Hohokam raggiunge la sua massima espansione e caratterizzazione, estendendosi dalla valle del Salt River, fino alle aree desertiche ai confini del Messico, con i piccoli villaggi e i più importanti centri cerimoniali, che si sviluppano lungo le valli fluviali del Gila e dei suoi affluenti e lungo la rete di canali che da essi si dipana. E’ in questo stesso periodo che le zone settentrionali e orientali dell’area Hohokam, divengono punto di riferimento per popoli di provenienza diversa, portatori di modelli culturali diversi; già nella seconda metà del primo millennio, quando la vicina cultura Mogollon, vide un momento di crisi, popoli provenienti da est si inserirono nel complesso culturale Hohokam, seguiti poi da gruppi provenienti da nord, dalla zona tra il Little Colorado e il Green River, all’inizio del II millennio, fino ad un successivo arrivo di gruppi Anasazi, da nord-est. Tutti questi contatti arricchirono e variarono l’originale cultura Hohokam, il cui centro più originale rimase nella valle del Gila, ma che estendeva la sua influenza anche su popoli di diversa provenienza.
La cultura Hohokam ha lasciato le sue vestigia in diversi importanti siti, e tra questi il più significativo è certo quello di Snaketown, sul fiume Gila, a sud-est di Phoenix, la cui storia si snoda dal III al XII secolo, accompagnando di fatto tutto il periodo di crescita della cultura Hohokam, fino al suo apice. Snaketown era un classico centro Hohokam, abitato forse da migliaia di individui, che risiedevano in centinaia di pithouse solo parzialmente interrate e con muri di adobe, e con alcune “grandi case” su due livelli: oltre alla piazza centrale c’erano due grandi corti per il gioco della palla, e una piattaforma sopraelevata per le cerimonie e i riti collettivi. La storia di Snaketown si chiuse, sembra in modo piuttosto repentino, intorno al 1100, per motivi a noi oscuri; tracce di edifici incendiati fanno pensare ad un evento traumatico, e seppur il centro fu abbandonato, la popolazione che l’abitava non sembra aver abbandonato la regione, dato che in coincidenza con la fine di questo centro, nelle sue vicinanze sono stati trovati i resti di comunità più piccole e sparse. Più che a problemi legati a modificazioni ambientali e climatiche, la fine apparentemente traumatica di Snaketown, il fatto stesso che i suoi abitanti più che abbandonare la regione, sembrano essersi divisi, fa pensare ad una crisi del sistema di potere e dei meccanismi di integrazione e coesione politica, le cui cause però è difficile ipotizzare.
Più grande e per certi versi ancor più significativo dello sviluppo della cultura Hohokam, è l’insediamento di Casa Grande, pochi chilometri a sud-ovest di Snaketown, che nasce intorno al VI secolo, come un insieme di piccoli aggregati di pithouse, ognuno con una propria plaza centrale, che progressivamente si espandono e si uniscono, convergendo tutti verso un’unica plaza centrale, rappresentando così plasticamente il processo che porta le sparse comunità agricole, a centralizzarsi anche politicamente in una unica entità. Nella grande area di Casa Grande, sono stati ritrovati i resti di centinaia di abitazioni, muri di cinta divisori, almeno quattro corti per il gioco per la palla, e l’edificio che da il nome al luogo, la “casa grande”, un edificio di muri di adobe di quattro piani, che secondo i miti degli indiani Pima, fu voluto da un grande sacerdote, che governava la comunità.
La storia di Casa Grande si snoda lungo tutta la fase più avanzata della cultura Hohokam, dal V secolo fin verso la metà del XIV secolo, quando inizia un periodo di declino, che si protrarrà, fin verso la metà del secolo successivo, e all’abbandono del complesso.
Altri due grandi centri Hohokam, erano nella bassa valle del fiume Salt, affluente del Gila, quelli di Mesa Grande e Los Hornos, il primo come Snaketown sviluppatosi a partire da un singolo insediamento, il secondo come Casa Grande, dalla progressiva unificazione di piccoli insediamenti residenziali; in entrambi sono stati ritrovati gli elementi caratteristici dei villaggi Hohokam, corti per il gioco della palla, plazas e piattaforme cerimoniali sopraelevate di alcuni metri. La storia di entrambi si snoda, fra alterne vicende, tra il V e il XIV secolo, con il definitivo abbandono alla metà del XV secolo, quando in tutta l’area la cultura Hohokam scompare.
Le ragioni della scomparsa della cultura Hohokam non sono del tutto chiare, ma due elementi certi sicuramente influirono in modo determinante: i cambiamenti climatici che tra il XIII e il XV secolo modificarono le condizioni in tutto l’emisfero nord, e che in America in particolare ebbero un impatto su molte cultura agricole, all’est come all’ovest; l’arrivo dei nomadi Atapaskan dal nord, che giunsero più o meno nello stesso periodo. I cambiamenti climatici ebbero certo un ruolo importante nella scomparsa degli Hohokam, ma certo questo popolo, che aveva imparato a irrigare i deserti e a trasformarli in campi agricoli, avrebbe forse potuto superare anche questa difficoltà, come altre ne aveva superate nei secoli precedenti, ma l’arrivo di bellicosi popoli dal nord, può essere stato la classica goccia che fa traboccare il vaso. Non va poi dimenticato il fatto che, per quanto ci è noto, la società Hohokam, era una società pacifica, basata sulla coesione e la collaborazione collettiva, dove non emergevano figure di capi guerrieri, e che non sembra sia stata attraversata da gravi conflitti nel corso della sua storia; l’arrivo di aggressivi invasori, può aver scosso il sistema gerarchico che presiedeva la complessa struttura in grado di garantire la manutenzione e l’estensione del sistema di irrigazione da cui dipendeva l’agricoltura Hohokam, sottraendo anche energie a tale lavoro, per garantire la difesa, e questo prorio nel momento in cui le condizioni ambientali e climatiche, rendevano necessario un maggiore investimento di forza lavoro ed una maggiore coesione sociale e politica. La crisi della cultura Hohokam, concise di fatto con l’abbandono e il progressivo interramento dei canali, e portò di fatto alla disgregazione dei grandi centri, alla dispersione delle comunità, verso un modello di sussistenza più arretrato, quello che i Pima e altri gruppi affini praticavano al tempo del contatto con gli Spagnoli.


Un villaggio di Hohokam

A differenza dei Mogollon, per cui è difficile pensare che costituissero un gruppo etnico e linguistico omogeneo, e di cui è difficile individuare gli eredi storici, la continuità etnica e linguistica tra gli antichi Hohokam, e i Pima, i Papago, i Sobaipuri, i Maricopa, tutti di lingua Uto-Aztecan, che abitavano della regione in tempi storici è certa; queste tribù sono linguisticamente più correlate ai popoli Uto-Aztecan del Messico (Opata, Tarahumara, Nebome, Yaqui ecc…), che non a quelle del Nord America (Shoshone, Ute, Pa-Hute, Hopi ecc…), e anche in tempi storici, come gli antichi Hohokam, continuarono a mantenere relazioni con l’area messicana. I Pima e gli altri gruppi affini, continuarono a vivere nella regione, mantenendo lo stesso modello di sussistenza agricolo, preservando alcune tecniche artigianali, ma la loro cultura, quando furono incontrati dall’esploratore e missionario padre Eusebio Kino alla fine del ‘600, non era più in grado di andare oltre il semplice livello di piccole comunità agricole senza alcuna centralizzazione, mentre gli antichi canali di irrigazione erano stati definitivamente abbandonati. A quell’epoca poi essi vivevano in una costante guerra difensiva, contro i raid degli Apache, e dei loro alleati Yavapay, al punto che furono obbligati ad una difficile e subalterna alleanza con gli Spagnoli, pur di difendersi dagli aggressivi vicini. Ancora oggi gli eredi dei Pima e delle altre tribù affini, vivono di agricoltura, nelle riserve loro assegnate sulle terre dei loro antenati Hohokam.

Gli Anasazi

La più caratteristica e nota tra le culture agricole del Sud-Ovest, è certamente quella degli Anasazi, un termine della lingua Navaho, che significa “antichi nemici”, è che è riferito al popolo che precedentemente occupava le terre abitate in tempi storici da questa tribù; la regione è quella dei cosiddetti “Four Corners”, al confine tra gli attuali stati del New Mexico, Arizona, Colorado e Utah, e delimitata dal corso dei fiumi Little Colorado, Colorado, San Juan e Rio Grande. In questo vasto territorio, gli Anasazi ci hanno lasciato i resti di quelle che certo furono le più grandi costruzioni in Nord America fino alla fine dell’800, e il più antico e continuativamente abitato insediamento umano, il pueblo di Acoma in New Mexico, la “città del cielo”, posta in cima ad una mesa, fondata nel 900 d.C., e ancora oggi sede di una comunità di indiani Keres.
Conosciuti con i nomi di “pueblos” (villaggi in spagnolo) e di “cliff dwelling” (edifici sui dirupi), i resti di questi insediamenti ancora oggi si stagliano imponenti tra i canion e i deserti del sud-ovest, testimonianza di un’antica cultura che al massimo del suo sviluppo esercitò la propria influenza anche sulle altre aree del Sud-Ovest, e dal cui declino si sviluppò la cultura dei Pueblo storici, incontrati dagli Spagnoli alla metà del ‘500, e ancora oggi viva e vitale.


Un pueblo di cultura Anasazi

La storia degli Anasazi si snoda in un periodo di oltre 2.000 anni avendo le sue radici più antiche tra i Basket Makers della Cultura del Deserto, in epoca Arcaica, piccole comunità di nomadi che vivevano spostandosi da un luogo all’altro, in una zona povera di selvaggina di grossa taglia, cercando principalmente vegetali selvatici. Come indica il nome utilizzato per definire questa cultura, fu proprio grazie all’innovazione prodotta dalla costruzione di canestri di fibre vegetali intrecciate, che facilitavano la raccolta di semi e frutti, ne permettevano l’immagazzinamento e il trasporto, rendendo possibile una maggiore pianificazione dell’uso delle risorse, e una vita meno precaria, che questi antichi popoli poterono adattarsi alle difficili condizioni di un’area che durante gli ultimi millenni prima dell’era cristiana, fu sottoposta ad un progressivo inaridimento.
Tra questi antichi Basket Makers, già in epoca Arcaica un gruppo particolare si caratterizzò per una specifica modalità di costruzione di punte di freccia e per l’uso di utensili costruiti con pietra basaltica di colore nero: a tale specifica tradizione culturale gli archeologi hanno dato il nome di Oshara, e reperti riconducibili a tale tradizione, sono stati ritrovati in tutta l’area in cui successivamente si sviluppò la cultura Anasazi.
Sotto molti punti di vista, già nelle storia più antica i Basket Makers si differenziavano dalla coeva cultura Cochise, avendo minori influenze dalle più avanzate culture Mesoamericane, vivendo in una regione ancor più povera di risorse idriche e fauna, e quindi dipendendo ancor più dalla raccolta di vegetali selvatici, che non dalla caccia, e ignorando del tutto ogni rudimentale pratica agricola, già nota ai loro vicini meridionali. Per tutta la prima fase della loro storia, nel corso del I millennio a.C., i Basket Makers vissero in piccole bande disperse, usando semplici ripari di rami e frasche o grotte e cavità nella roccia, occupate per brevi periodo, il solo tempo in cui le risorse vegetali e la scarsa selvaggina di piccola e media taglia era disponibile, secondo un modello ancora in uso nel XIX secolo, tra i raccoglitori Shoshone e Pa-Hute dei deserti del Nevada. Dato il clima, scarso era l’uso di vestiari: sandali di fibre vegetali intrecciate, e durante l’inverno mantelli di pelli di coniglio cucite, mentre non mancavano oggetti ornamentali di pietra e osso e addirittura di conchiglie marine, certamente ottenute attraverso scambi con gruppi occidentali, nel corso dei loro spostamenti.
Lo stile di vita di questi nomadi inizia a modificarsi a partire dagli ultimi secoli prima dell’era cristiana, quando il mais fa la sua prima apparizione, modificando le abitudini e il modello di sussistenza: i gruppi non abbandonano il nomadismo, ma seminando il mais in determinate località, vi fanno poi ritorno al tempo del raccolto, iniziando così a vincolare la propria esistenza ad un ambito territoriale più definito e limitato. E’ in questo periodo che fanno la loro comparsa le prime strutture interrate, sul modello delle “pithouse” dei Mogollon, il cui uso è però inizialmente legato, solo alla necessità di immagazzinare e conservare risorse alimentari.
E’ a partire da questi cambiamenti che, nei primi secoli dell’era cristiana, progressivamente l’agricoltura cresce di importanza, la tendenza alla costruzione di comunità stabili si generalizza, e l’influenza dei Mogollon meridionali risulta evidente dalla costruzione di piccoli villaggi di pithouse, abitualmente non più di una decina di locali, ma che potevano giungere fino a venti. Nella costruzione delle pithouse, di forma circolare con un diametro di alcuni metri, progressivamente cresce l’uso di far coincidere l’apertura centrale per la fuoriuscita del fumo, con l’ingresso, mentre l’ingresso posto a livello del suolo, si trasforma in una apertura più piccola, la cui funzione è permettere il ricambio dell’aria.
La vicenda dei Basket Makers si esaurisce intorno al IV-V secolo d.C., quando anche la ceramica viene acquisita dai vicini Mogollon, venendo però rielaborata sia nelle tecniche di cottura, sia nei motivi artistici e decorativi; è da questo momento che si inizia a parlare di “cultura Pueblo”, ed è da questo momento che cambiano i modelli di insediamento, e cominciano a fare la loro comparsa le prime abitazioni di pietra e adobe (mattoni di paglia e argilla), al livello del terreno, di forma quadrangolare, costruite l’una a fianco all’altra, in modo da poter condividere le pareti divisorie; l’uso delle pithouse rimane, ma ne cambia la funzione, che assume carattere principalmente sociale e cerimoniale, i “kivas”, ancora in uso in tempi storici e di cui ci sono rimaste molte testimonianze.
L’agricoltura di questi Pueblo era comunque basata su risorse idriche incerte, dato che gli Anasazi non giunsero mai a concepire i complessi sistemi di irrigazione degli Hohokam, mentre l’area da essi abitata era ancor più povera di sorgenti e corsi d’acqua che non l’area dei Mogollon; le precipitazioni stagionali erano la principale risorsa idrica e pare ormai certo che a partire dal V secolo, si ebbe un lungo periodo di maggiore piovosità, che favorendo l’agricoltura, determinò una significativa crescita demografica e la nascita di un gran numero di piccole comunità agricole, spesso poste in luoghi elevati, sul vertice piatto delle “mesas”, dove il legname e la vegetazione erano più abbondanti che nei semidesertici fondo valle.


Pitture rupestri

E’ a partire dal X secolo e fino all’inizio del XII secolo, che la cultura Pueblo ha il suo momento di massimo fulgore, di cui la principale testimonianza è ancora nel cambiamento del modello di insediamento. Fanno la loro comparsa infatti i primi grandi villaggi, composti da centinaia di locali, spesso posti su più piani, in cui vivono centinaia e forse migliaia di persone. Quelli più caratteristici e spettacolari hanno forma di grandi D, con una grande piazza, intorno a cui si elevava un semicerchio di più piani costituito dalle abitazioni; quelle più elevate venivano raggiunte da scale a pioli di legno e spesso avevano l’ingresso dal tetto, mentre quelle più basse e poste all’interno, che non potevano avere accessi esterni, venivano usate come magazzini. A congiungere gli estremi del semicerchio residenziale era spesso un muro, che delimitava la piazza interna, in cui erano siti i kivas, alcuni molto grandi, destinati a cerimonie collettive. Altri elementi architettonici caratteristici, erano le torri, alte fino a tre piani, poste spesso nelle vicinanze dei kivas, e forse quindi anch’esse con una funzione cerimoniale, anche se non è da escludere un possibile uso difensivo o d’avvistamento.
I kivas rappresentano un elemento caratteristico della cultura Anasazi, la cui presenza anche in area Mogollon, segnala l’influenza che gli Anasazi giunsero ad avere anche sulle regioni limitrofe, e la loro evoluzione segnala le modificazioni apparse nella cultura Anasazi nel corso dei secoli. All’inizio con l’abbandono dell’uso delle pithouse a scopo residenziale, quasi certamente alcune di queste pithouse, devono essere state mantenute come luogo di incontro sociale e rituale per gli uomini (ed esclusivamente per loro) delle piccole comunità della prima fase Pueblo; nei grandi complessi residenziali della fase classica, a cavallo del I millennio, questi kivas originari, di struttura piuttosto semplice, interrati di poco più di un metro e del diametro tra i 4 e i 5 metri, erano presenti nella stessa struttura del pueblo, ogni 5-10 camere residenziali, e quasi certamente dovevano essere usati da singoli gruppi e clan per attività sociali e cerimoniali famigliari. Nello stesso periodo però, fanno la loro comparsa anche i grandi kivas, con un diametro molto maggiore e più curati nella struttura, con il pavimento in pietra, una grande panca di pietra lungo il bordo circolare interno e spesso una buca che simbolicamente rappresentava il punto, da cui secondo le credenze, erano emersi dal sottosuolo i primi uomini. Questi grandi kivas, costruiti all’esterno della struttura residenziale, nelle plazas poste al centro dei pueblo, segnalano il prodursi di una struttura sociale più integrata e centralizzata, con il possibile emergere di una casta sacerdotale, probabilmente espressione dei singoli clan famigliari matrilineari che dovevano essere la base dell’organizzazione sociale Anasazi, come dei loro discendenti Pueblo storici.
Un altro elemento caratteristico della cultura Anasazi all’apice del suo sviluppo, tra l’XI e il XII secolo, è rappresentato da un vasto sistema stradale, che si estendeva complessivamente per circa 300 km, e che si sviluppava in modalità radiale intorno ai principali centri economici e spirituali, collegandoli alle piccole comunità circostanti, o a luoghi che probabilmente avevano un valore spirituale e religioso. Queste strade larghe fino a 10 metri, e che secondo alcuni studiosi erano costruite sulla base di osservazioni e calcoli astronomici, dovevano avere una funzione principalmente religiosa, per favorire i pellegrinaggi verso i principali centri religiosi, ma certo ebbero un ruolo anche nell’integrazione e nello sviluppo economico delle diverse comunità.
Nella fase classica della loro cultura gli Anasazi erano un popolo quasi esclusivamente agricolo, organizzato in clan famigliari matrilineari e matrilocali, raddruppati in fratrie matrimoniali esogamiche; allo sviluppo della struttura sociale e delle tecniche architettoniche, si accompagnò un grande sviluppo di una quantità di attività artistiche ed artigianali, dalle pregiate ceramiche, alla tessitura, alla lavorazione del turchese e di altri materiali per la fabbricazione di gioielli, con una rete di scambi commerciali che quasi certamente spaziava dalle grandi pianure, al Messico, fino alle coste del Pacifico. L’influenza degli Anasazi, testimoniata dalla presenza di grandi edifici residenziali collettivi e kivas, si estendeva dagli agricoltori delle Grandi Pianure del Texas occidentale e del Colorado orientale, verso i Mogollon del Rio Grande e quelli del New Mexico Meridionale, fino agli Hohokam del sud dell’Arizona.


Misteriose pitture

Certamente si trattava di un popolo pacifico e religioso, il cui principale impegno era quello di vivere e prosperare in un difficile ambiente, confrontandosi con la scarsità endemica di risorse idriche e dipendendo quasi esclusivamente dalle precipitazioni stagionali e dalle nevi invernali, il cui scioglimento garantiva un certo afflusso di acque nei fondovalle, coltivati a mais, zucche, fagioli e cotone; l’acqua necessaria alle colture a volte veniva conservata con la costruzione di piccole dighe e bacini. La caccia era praticata solo come attività marginale, nelle vicinanze degli insediamenti, quando era possibile trovare antilopi, pecore bighorn e selvaggina di piccola taglia, ma nei villaggi i tacchini erano presenti anche come risorsa alimentare, oltre che per il loro piumaggio.
Le testimonianze Pueblo di questo periodo sono numerose e si estendono in tutta l’area dei Four Corners con una particolare concentrazione in alcune zone, dove una quantità di insediamenti minori, fanno riferimento a strutture più grandi, le “grandi case”, su più livelli con i loro kivas: Mesa Verde nel Colorado sud-occidentale, che vede una occupazione continuativa fin dalla fase arcaica e che fu una delle aree più importanti per la cultura degli antichi Anasazi, il Canion de Chelly, tra Arizona e New Mexico, che offriva condizioni migliori per la sopravvivenza e l’agricoltura, e che dopo l’abbandono degli Anasazi, divenne il centro del territorio Navaho, l’area di Chaco Canion nel New Mexico che fu il centro di propulsione di tutta la cultura Pueblo di questa fase, e da cui si irradia il sistema stradale Anasazi. Di questo periodo sono i villaggi di Acoma, fondato nel X secolo nel New Mexico, e di Oraibi del XII secolo nell’Arizona, dove ancora oggi vivono comunità di indiani Keres e Hopi.
A partire dalla metà del XII secolo qualcosa avviene nella cultura Anasazi che ne segna l’inizio della parabola discendente, e ancora una volta a segnalare tale cambiamento, sono i resti delle grandi costruzioni, alcune delle quali sono abbandonate in questa fase, spesso con indizi di eventi traumatici, come incendi, i cui segni sono stati trovati nei grandi kivas. Contestualmente all’abbandono di molti dei principali centri politici e cerimoniali, fanno a loro comparsa insediamenti particolari e caratteristici, le “cliff-dwellings”, “costruzioni sui dirupi”, villaggi di pietra e adobe, costruiti spesso in grandi fenditure della roccia, o comunque a ridosso di dirupi, difficilmente raggiungibili, ma molto più facilmente difendibili, alcuni dei quali, come il Cliff Palace di Mesa Verde, molto grandi e veramente spettacolari. In questa stessa fase, che vede la crisi dell’area di Chaco Canion e del suo esteso sistema stradale, sembrano ridursi gli scambi tra i diversi gruppi e in generale si ipotizza un maggiore isolamento delle singole comunità, e la dissoluzione delle entità politiche che si erano prodotte intorno ai principali centri della fase classica, prima del XII secolo.
Come già verificato nella descrizione di altre culture Precolombiane del Nord America, i secoli successivi al XII aprirono una fase di cambiamenti climatici, che ebbero conseguenze su tutti i popoli che dipendevano dall’agricoltura; anche nel Sud-Ovest si ebbe un calo delle precipitazioni che certamente produsse una crisi agricola, con tutte le sue ricadute sul piano sociale e politico. Ancora in tempi storici, buona parte della leadership politica dei Pueblo, coincideva con quella religiosa, e così doveva essere per gli antichi Anasazi, i cui sacerdoti fondavano il loro prestigio sul ruolo di intermediari con il mondo sovrannaturale, per garantire l’arrivo delle piogge e della neve, da cui dipendevano le coltivazioni; è quindi naturale che un prolungato periodo di scarse precipitazioni, possa aver indotto ad una perdita di fiducia nei confronti delle elites sacerdotali, a conseguenti tensioni e dissidi interni, e quindi alla dispersione delle comunità, e ad un clima di diffidenza e ostilità, di cui la scelta di costruire villaggi in luoghi difendibili, anche se difficilmente raggiungibili, può essere l’esito finale.
Meno probabile che a indurre tale crisi siano stati fattori esterni, quali il contatto con i popoli nomadi di lingua Uto-Azteca, antenati di Ute, Pa-Hute e Shoshone, dato che questi gruppi organizzati in piccole bande di poveri raccoglitori e cacciatori, non potevano mettere a rischio una società strutturata e organizzata in comunità numerose come quella Anasazi; tra l’altro almeno un gruppo di Pueblo, gli Hopi dell’Arizona, sono linguisticamente affini agli Shoshone, a dimostrazione del fatto che questi popoli nomadi, quando potevano, piuttosto che combattere gli Anasazi, cercavano di assumerne il modello di sussistenza e la cultura. A ciò va aggiunto che i resti umani ritrovati nei siti archeologici di questa fase, non portano segni di morte violenta, come invece avverrà in tempi più tardi.
La crisi che inizia nel XII secolo fu quindi probabilmente frutto di cambiamenti climatici, che determinarono una crisi economica e la le conseguenti crisi sociali e politiche. Ma questo fu solo l’inizio della parabola discendente, e dopo una fase di breve rilancio, con la costruzione di un gran numero di nuovi insediamenti, spesso proprio secondo il caratteristico modello dei “cliff-dwellings”, a partire dal XIV, segni evidenti, e ancor più drammatici, di una nuova crisi sono evidenti in quasi tutti i centri Anasazi.


Una cerimonia degli Anasazi

Ancora una volta i villaggi sono abbandonati, ma spesso insieme ai segni dell’abbandono, sono stati trovati i resti di molti cadaveri che testimoniano morte violenta e addirittura antropofagia; ciò può indurre a ritenere che in questo periodo, alla crisi endemica dei raccolti dovuti alla scarsità delle precipitazioni, che produsse la crisi interna nel XII secolo, si aggiunse un fattore di crisi esterna, che fu probabilmente dovuto all’arrivo degli Atapaskan dal nord, che quasi certamente avvenne proprio in questo stesso periodo, un popolo la cui propensione aggressiva è testimoniata anche in tempi storici. E certo i villaggi sui dirupi, con le loro case di pietra e le loro torri, potevano rappresentare una valida difesa contro attacchi di breve durata, ma a fronte di assedianti che nei fondovalle potevano saccheggiare i raccolti nei campi, i difensori potevano trovarsi ridotti alla fame, fino al punto di cibarsi anche di carne umana, prima di cedere definitivamente e subire il massacro.
Una parabola discendente quindi che dopo essersi protratta per più di due secoli, riducendo le risorse alimentari e determinando un calo demografico, indebolendo le strutture sociali e politiche, avrebbe reso la società Anasazi inadeguata a sopportare l’ultimo trauma, quello dell’invasione di nomadi settentrionali; questi nomadi, con una economia fortemente incentrata sulla caccia, e quindi usi alle armi e aggressivi, erano probabilmente anche più coesi dei nomadi raccoglitori Uto-Aztechi, autoctoni della regione. Di fatto quando gli Spagnoli giunsero alla metà del ‘500, gli Atapaskan Navaho dominavano gran parte delle terre abitate dagli Anasazi, mentre gli Apache, vagavano in gran parte del Sud-Ovest, dove prima vivevano popoli agricoli.
Questo fu probabilmente ciò che accadde agli antichi Anasazi, in particolare a nord, nel Colorado e nell’Utah, dove tutti gli insediamenti furono abbandonati. Nel corso del XV secolo i villaggi Anasazi scomparvero in quasi tutta la regione, sopravvivendo solo lungo i limiti meridionali e orientali di tale area: lungo il Little Colorado, dove alla metà del ‘500 gli Spagnoli incontrarono gli Hopi, e soprattutto lungo l’alto corso del Rio Grande e fino al Pecos, in una zona ancora densamente popolata dai Pueblo nel ‘600, e in cui ancora oggi molte comunità vivono nelle riserve stabilite dal governo degli Stati Uniti.
La continuità storica tra gli indiani Pueblo attuali e la cultura Anasazi non è quindi in discussione, mentre invece non è ancora definito l’apporto che i diversi gruppi Pueblo hanno dato allo sviluppo della cultura Anasazi, in particolare perciò che concerne gli insediamenti settentrioonali, nell’area dei “Four Corners”. Molti studiosi sono convinti che tra i Pueblo storici, gli Zuni del New Mexico centrale, abbiano le loro radici nella cultura Mogollan, e che solo in epoca più tarda, come molte altre comunità Mogollon, abbiano subito l’influenza degli Anasazi che vivevano più a nord, fino al punto di condividerne i successivi sviluppi nella cultura Pueblo storica. Come già accennato gli Hopi sono linguisticamente affini agli Shoshone e ai Pa-hute del Nevada e quasi certamente vissero continuativamente nella stessa area occidentale, al confine tra gli Anasazi e i nomadi raccoglitori del deserto, più a sud rispetto ai “Four Corner”, nella stessa regione dove furono incontrati in tempi storici. Dei Keres, che vivevano nel New Mexico centrale, a est degli Zuni e fino al Rio Grande, non sappiamo molto, e neanche è possibile fare ipotesi di una qualche affinità linguistica con altri gruppi, dato che la loro lingua, come quella degli Zuni, costituisce un guppo isolato; ciò che è certo che proprio dai Keres è abitato il villaggio di Acoma, il più antico insediamento umano ininterrottamente abitato fin dal 900 d.C., e ciò può far pensare che i Keres siano sempre vissuti in quest’area, sul margine meridionale del territorio Anasazi.
A nessuno di questi gruppi è quindi possibile fare riferimento per individuare gli antichi abitanti dei grandi villaggi Pueblo abbandonati nelle aree più settentrionali, mentre è certo che molti villaggi lungo l’alto e medio corso del Rio Grande e del Pecos, abitati da genti di lingua Tanoan (Tewa, Tiwa, Towa, Pecos, Piro e Tompiro), furono costruiti a partire dal XV secolo, dopo l’abbandono della regione dei “Four Corners“. Furono quindi probabilmente gli antenati dei Tanoan, che in epoca Arcaica vagavano tra l’Utah, il Colorado e il nord del New Mexico, a dare vita all’antica cultura Anasazi, estendola poi a gruppi limitrofi (Hopi, Keres, Zuni), fin quando non abbandonarono la regione nel XIV secolo, per spostarsi a sud-est e colonizzare la valle del Rio Grande.
Di fatto la cultura Anasazi è l’unica tra tutte le culture Precolombiane (assieme a quella dei Natchez, che fu distrutta dai Francesi all’inizio del ‘700), che continuò a sopravvivere fino in tempi storici, resistendo alla dura dominazione spagnola, attraversando la fase della massiccia colonizzazione americana, riuscendo comunque a mantenere la sua autonomia culturale, la sua spiritualità, la sua memoria storica, al punto che oggi alcuni discendenti dei Pueblo, sono in grado di ipotizzare le origini della loro comunità, nell’uno nell’altro dei siti archeologici, i cui si stagliano i silenziosi e maestosi edifici di pietra del deserto del Sud-Ovest.

Altre culture agricole del Sud-Ovest

Per quanto le terre del Sud-Ovest non presentassero le migliori condizioni ambientali e climatiche per lo sviluppo di modelli di sussistenza incentrati sulla produzione agricola, è un fatto che proprio le stesse difficili condizioni ambientali e climatiche, resero estremamente ardua la sopravvivenza fondata solo sulle precarie opportunità date dalla caccia e dalla raccolta, obbligando tutti o quasi tutti i popoli della regione, a misurarsi con la necessità del lavoro dei campi, come unica opportunità per lo sfruttamento razionale delle scarse risorse, che la natura metteva a disposizione.
Ciò diede vita all’emergere in tutta l’area, a fianco alle principali tradizioni culturali, di una serie di culture periferiche, a volte frutto di un autonomo sviluppo, in altri casi in conseguenza dell’influenza delle maggiori culture agricole, i Mogollon, gli Hohokam, gli Anasazi, in altri ancora come risposta ai momenti di crisi che a partire dal XII secolo colpirono queste culture. Si tratta di tradizioni culturali marginali che in alcuni casi non raggiunsero ne la complessità, ne la specializzazione artigianale e architettonica, di quelle maggiori, mentre in altri casi esse furono proprio il frutto della contaminazione e dell’integrazione tra tali cultura maggiori, dopo la crisi successiva alla fase classica; alcune di esse sopravvissero per brevi periodi, e almeno una sopravvisse per secoli, fino all’epoca della colonizzazione europea.

I Patayan

Il settore occidentale del’Arizona, e le zone limitrofe della California sud-orientale, possono essere considerate come una sorta di appendice meridionale dell’area desertica del Grande Bacino che si estende nell’attuale Nevada, tra le Rocky Mountains a est e la Sierra Nevada a ovest; un’appendice che si estende poi a sud lungo le coste nord-orientali del Messico, e nella penisola di Baja California. Tutta quest’area è caratterizzata da un regime di precipitazioni bassissimo, da un clima caldo e secco, e non può contare nemmeno sullo stagionale scioglimento delle nevi montane, dato che i rilievi che l’attraversano sono di piccola entità, e le grandi catene montuose sono lontane; la vegetazione è quindi scarsissima e conseguentemente ridotta è anche la selvaggina. Pure in questa vasta area, che ha visto la sopravvivenza solo di poche, sparse e piccole comunità di raccoglitori nomadi, la zona di confine tra l’attuale Arizona e la California, rappresenta una piccola oasi, grazie al fiume Colorado, che dopo aver raccolto le acque di un vasto bacino nel cuore delle Rocky Mountains, scorre a sud-ovest lungo il margine meridionale dell’area desertica, piegando poi a sud per raggiungere il mare nel golfo della California, attraversando prima le aree desertiche tra Arizona e California, e offrendo con le sue piene stagionali, opportunità per la vita du piante, animali e uomini: da questa opportunità nasce la cultura Patayan.


Pitture rupestri dei Patayan

Il termine Patayan significa “gli antichi” nella lingua Quechuan, parlata dagli indiani Yuma del basso Colorado, che insieme ad altre tribù affini sono evidentemente gli eredi storici di tale tradizione. Gli Yuma, insieme ai Mohave, Walapay, Cocopah, Yavapay ecc…, sono linguisticamente correlati alla grande famiglia linguistica Hokan, e certamente nei millenni lontani dell’epoca Arcaica, vissero vicende diverse dai loro vicini Hohokam di lingua Uto-Azteca, il cui arrivo nel Sud-Ovest fu sicuramente successivo al loro. A differenza degli altri popoli del Sud-Ovest, queste tribù di lingua Yuman, anche quando si applicarono all’attività agricola, mantennero sempre un forte legame con lo stile di vita Arcaico, costituendo una sorta di ponte culturale tra due diversi modelli culturali.
La cultura Patayan non ha lasciato dietro di se grandi costruzioni e anche gli scarsi reperti di ceramica, di pietra e altri materiali, che permettono agli archeologi di ricostruire il modo di vivere di un popolo scomparso da millenni, sono spesso difficilmente raggiungibili per le caratteristiche del territorio, che le piene del fiume Colorado ogni anno potevano modificare. Ciò che ormai appare certo è che la cultura Patayan, inizia a mostrarsi come un complesso definito, con una propria specificità, in epoca piuttosto tarda, dopo il VII secolo, quando con i primi insediamenti stabili, si hanno le prime testimonianze di coltivazione di mais e successivamente di fagioli e zucche, lungo il corso del Colorado, nella zona dell’attuale città di Kingsman; da lì progressivamente l’attività agricola si estende verso sud, fino alla foce del Colorado, e verso nord e nord-est, fino al Gran Canion. La successiva innovazione fu l’acquisizione della ceramica, che è piuttosto tarda, e giunge alla metà del IX secolo: agricoltura e ceramica, definiscono il passaggio ad una nuova fase culturale, rispetto a quella Arcaica, anche se come già detto permangono molti elementi di continuità.
Un primo elemento caratteristico della cultura Patayan è nella sua mobilità, strettamente connessa alle peculiarità del loro modello agricolo. Come il Nilo per gli antichi Egizi, il fiume Colorado a primavera con le sue piene inondava i terreni lungo le sponde, permettendo poi la semina e il raccolto in una breve e intensa stagione, prima che il benefico influsso del fiume si esaurisse; i Patayan non concepirono mai un sistema di irrigazione come quello dei loro vicini Hohokam, lungo il Gila, per cui esaurita la semina e il raccolto, e garantite le scorte invernali, per buona parte dell’anno essi si dedicavano alle antiche attività di caccia e raccolta, spostandosi anche lontano dai villaggi; i villaggi stessi erano piuttosto mobili e la loro collocazione poteva variare da un anno all’altro in conseguenza del diverso regime delle piene, che poteva allagare un’area piuttosto che un’altra. Anche per questo i villaggi Patayan erano molto diversi da quelli degli altri popoli agricoli, e se in una prima fase sembra abbia prevalso un modello di abitazione simile a quello delle “pithouse”, l’uso più comune divenne quello di costruire “longhouse”, costituite da camere affiancate, usando rami e frasche per il tetto e le pareti, con queste ultime spesso intonacate di fango; abitualmente all’estremità orientale di queste “longhouse” era posto un vano interrato, probabilmente con funzioni di magazzino. Si trattava quindi di strutture relativamente semplici, che potevano essere ricostruite facilmente da un anno all’altro.
Anche nell’artigianato i Patayan mantennero uno stile più semplice e meno raffinato: non praticavano la tessitura e lavoravano invece le pelli delle prede, cervi, pecore bighorn o antilopi, mentre la loro ceramica pur influenzata dai vicini Hohokam o Anasazi, non raggiungeva lo stesso livello estetico, essendo prodotta per meri scopi funzionali; tra l’altro l’uso di canestri per la conservazione dei vegetali, rimase prevalente, e la ceramica non soppiantò gli usi più antichi.
Con il loro stile di vita meno legato alla sedentarietà, non sembra che i Patayan abbiano dato vita a entità politica più centralizzate, ne tanto meno a caste sacerdotali, mantenendo una scarsa coesione sociale, con comunità autonome, solo legate attraverso scambi matrimoniali o attività comuni, come cacce collettive, o l’uso di comuni territori di raccolta di vegetali selvatici. I Patayan poi avevano una predisposizione bellica certo maggiore dei loro vicini Hohokam, e tale bellicosità dava luogo anche a conflitti interni. Con il loro stile di vita più mobile, e con la loro posizione geografica, lungo la via per la costa del Pacifico, i Patayan svolsero una importante funzione di intermediari commerciali, in particolare per gli Hohokam, che da essi potevano ottenere le conchiglie marine, che essi sapevano abilmente decorare; oltre ai prodotti del mare, certo anche le pelli erano oggetto di scambio con i popoli più sedentari.


I Patayan, gente del sud-ovest

Un elemento caratteristico della cultura Patayan, erano i petroglifi, pitture e incisioni rupestri anche molto grandi, con rappresentazioni antropomorfe e di animali, diffuse dalla bassa valle del Colorado, fino alla Baja California. Si tratta di un’espressione artistica molto antica, datata in un periodo che va dal 7.000 a.C, fino al I millennio d.C., sicuramente riconducibile agli antichi Patayan, ma che ad un certo punto influenzò anche i vicini Hohokam, come sembrerebbe dai diversi stili delle pitture.
Quanto fin qui detto riguarda principalmente il cuore dell’area Patayan, lungo l’ultimo tratto del corso del Colordo e la confluenza del Gila, dove vivevano gli antenati degli Yuma, dei Mohave, dei Cocopah e altri gruppi minori, mentre più a nord il modello di vita era diverso e meno legato alle piene del Colorado. Risalendo il corso del fiume, nella zona di confine tra la California, il Nevada e l’Arizona, nel territorio degli Walapay, l’agricoltura era praticata come attività marginale con piccoli orti nel fondo dei canion, ma non modificava significativamente lo stile di vita nomade, ne portava alla costruzione di veri e propri villaggi, rimanendo prevalente l’uso di wyckiup di frasche o di semplici ripari nelle caverne; proseguendo a nord-est, nella zona del Gran Canion, gli antenati degli Havasupay, avevano invece concepito uno stile di vita semisedentario, irrigando i loro piccoli orti nei fondo valle con un rudimentale sistema di piccoli canali, ma continuavano anch’essi a dipendere molto dagli spostamenti per la caccia e la raccolta di vegetali selvatici.
Il modello di cultura Patayan con la sua maggiore flessibilità, e la diversità di fonti alimentari, e soprattutto la certezza delle piene stagionali del Colorado, era erto meno vulnerabile ai cambiamenti climatici, rispetto alle più complesse culture limitrofe. Secondo alcuni indizi archeologici, pare che a partire dal XII secolo, in coincidenza con la crisi che colpì i loro vicini, gli insediamenti si siano fatti più piccoli e dispersi, ma l’ipotesi manca di conferme. Ciò che è certo è che quando i primi Spagnoli visitarono la regione alla metà del ‘500, lo stile di vita Patayan era ancora vitale, e nel complesso così rimase fino al XIX secolo, quando la colonizzazione americana si fece più massiccia, producendo una lunga stagione di conflitti.

La cultura Fremont

Al contrario dei Patayan, di cui è chiara la continuità con le tribù storiche della bassa valle del Colorado, poco o nulla sappiamo di chi fossero le popolazioni di cultura Fremont, che vissero a nord degli antichi Anasazi; il termine Fremont, con cui si definisce questa cultura è quello del nome del fiume scorre dai monti Wasatch, nell’Utah centrale verso il medio corso del Colorado. Dopo i primi ritrovamenti nella valle di questo fiume, un gran numero di reperti riconducibili a questo modello culturale, si sono avuti in tutto lo stato dell’Utah e nelle regioni limitrofe di Idaho, Nevada e Colorado.
La cultura Fremont si produsse in modo evidentemente parallelo, anche se autonomo, da quella degli Anasazi, che vivevano a sud-est di loro. Sia per gli Anasazi, che per i Fremont, l‘origine va cercata nella tradizione dei Basket Makers, le bande di raccoglitori che vagavano alla ricerca di selvaggina e soprattutto, vegetali selvatici, e la cui principale risorsa tecnologica erano i canestri di fibre in cui raccogliere, trasportare e immagazzinare, semi e frutti commestibili.
Dopo che gli Anasazi acquisirono la coltivazione del mais dai loro vicini meridionali, l’agricoltura si diffuse anche più a nord, raggiungendo intorno a VI sec. d.C., anche i popoli Fremont, che iniziarono a coltivare piccoli campi di mais lungo il fondo dei canion, dove lo scioglimento delle nevi montane alimentava torrenti e sorgenti; è probabile che essi abbiano acquisito anche la tecnica di raccogliere l’acqua in piccoli bacini artificiali, e forse anche qualche semplice forma di irrigazione.
Comunque tra i Fremont a differenza che tra gli Anasazi, l’acquisizione dell’agricoltura non trasformò radicalmente il modello di sussistenza, e ciò malgrado il fatto che la regione da essi abitata avesse una maggiore quantità di risorse idriche, e quindi offrisse maggiori opportunità al lavoro dei campi; in realtà, quasi certamente la maggior ricchezza della regione abitata dai Fremont, più ricca di foreste e selvaggina, permise loro di mantenere un’economia flessibile in cui la caccia (cervi, pecore bighorn ecc.), rimase un’attività importante, così come la raccolta di vegetali selvatici, specialmente nelle foreste montane. Così i Fremont rimasero nel complesso un popolo seminomade, che stagionalmente si fermava in prossimità degli orti, per la semina e fino al raccolto, per poi vivere in accampamenti temporanei, durante la stagione di caccia o in coincidenza con il raccolto di vegetali selvatici.


Uno spaccato di vita nella cultura Fremont

Dato questo modello di sussistenza, i Fremont non costruirono grandi edifici o villaggi con migliaia di abitanti, rimanendo organizzati in piccole comunità famigliari, e solo verso la fase di massimo sviluppo, intorno al 1100, in alcune località si crearono comunità più numerose, con villaggi più estesi, anche di alcune decine di abitazioni. L’abitazione più in uso tra i popoli Fremont era la “pithouse”, scavata per poco più di un metro nel terreno, con il tetto fatto da una struttura di pali e coperta di frasche, e l’ingresso sul tetto, coincidente con il buco per l’uscita del fumo; erano comunque usati, quando se ne presentava l’occasione, anche grotte e altri ricoveri naturali, mentre al massimo del loro sviluppo, e nei centri più grandi, fecero la loro comparsa anche edifici in muratura a livello del suolo, a volte affiancati a comporre una struttura di più stanze. Altri piccoli edifici erano i granai d’argilla, di forma cupoliforme, spesso posti in luoghi di difficile accesso o mimetizzati nel terreno, dove i diversi gruppi immagazzinavano le loro scorte, durante i periodi in cui si allontanavano per la caccia e la raccolta.
Sul piano dell’artigianato, quello che caratterizza la cultura Fremont è una specifica tecnica di intreccio e costruzione dei canestri, l’uso di un particolare tipo di ceramica grigia, che oltre a servire per la produzione di oggetti d’uso quotidiano, veniva anche modellata in forma di piccole figure umane, oggetti caratteristici e certo legati alla dimensione religiosa. Altro elemento di rilievo della cultura Fremont sono le pitture rupestri, abbondanti in tutta la regione che spesso riportano figure umane riccamente ornate di gioielli, o scene di caccia.
Come già accennato, la cultura Fremont si sviluppa dallo stesso solco della cultura Anasazi, ma secondo un modello parallelo e autonomo rispetto a quello Anasazi; tale esplicita differenza, pur in presenza di una contiguità territoriale e soprattutto di una certa influenza degli Anasazi sui Fremont, almeno per quanto riguarda la diffusione delle tecniche agricole e della ceramica, può far pensare che esistesse una marcata differenza etnica e linguistica all’origine dei due gruppi. E’ quasi certo che la parte settentrionale del territorio Anasazi, quella più vicina ai Fremont, fosse anticamente abitata da popoli di lingua Tanoan; è forse possibile che gli antichi Fremont, fossero invece di lingua Uto-Azteca (del gruppo Numa), come i vicini occidentali Shoshone e Pa-hute, che vagavano nei deserti, e non praticarono mai l‘agricoltura. In comune con questi vicini occidentali, i popoli Fremont avevano l’uso di calzare mocassini di pelle, al contrario degli Anasazi, che invece usavano sandali di fibre vegetali.
E’ possibile immaginare che nel vasto territorio a nord delle terre degli Anasazi, già vivessero, come in tempi storici, popoli di lingua Uto-Azteca, ma che essi al loro interno si siano differenziati, tra quelli che vivendo in una regione più ricca, poterono cogliere le opportunità delle innovazioni introdotte dagli Anasazi, l’agricoltura in particolare, dando vita alla culture Fremont, e gli abitanti delle regioni desertiche del Nevada, che rimasero legati al modello di sussistenza totalmente nomade dell‘era Arcaica. Ci sono elementi per pensare che i rapporti tra i popoli Fremont, e i loro vicini occidentali erano pacifici e continui, e ciò può far pensare ad una affinità etnica e linguistica.
La cultura Fremont era comunque legata a quella Anasazi, per ciò che riguardava gli scambi, le innovazioni e in generale l’influenza che una civiltà articolata e complessa, esercita su una limitrofa e vicina, e quando a partire dal XII secolo, gli Anasazi vissero un primo periodo di crisi, anche la cultura Fremont iniziò un processo di estinzione, che senza traumi evidenti porterà alla sua scomparsa nel corso del XV secolo. Evidentemente i cambiamenti climatici che a sud avevano ridotto le precipitazioni e le risorse idriche, più a nord e nelle valli montane dell’Utah, si tradussero in inverni più lunghi, che resero progressivamente meno produttiva l’agricoltura, inducendo al ritorno alla vita nomade.


Rochester Creek

Dagli studi archeologici sembra che a partire dal XII secolo, in tutta l’area sia evidente la progressiva infiltrazione di popoli di lingua Numa (Shoshoni e Pa-hute), provenienti dal Nevada, ma non c’è nulla che fa pensare che tale infiltrazione abbia prodotto conflitti. Evidentemente i nuovi venuti e i popoli Fremont dovevano essere tra loro affini, e quando il modello culturale dei Fremont andò in crisi, essi furono semplicemente assorbiti dalle popolazioni limitrofe e affini; fu forse da questo processo che nacque la tribù storica degli Ute. Questa ipotesi, che ha una qualche ragionevolezza, deve comunque fare i conti con il fatto, che ne gli Ute, ne altri popoli vicini, avevano nella loro cultura storica, alcun rapporto con le pratiche agricole.
Secondo altri studiosi, i popoli Fremont sarebbero migrati dalla regione, verso l’Idaho o il Nebraska: nell’Idaho non vi è comunque alcuna testimonianza di culture agricole al tempo dei primi contatti, mentre nel Nebraska la cultura di Dismal River, che alcuni considerano uno sviluppo di quella Fremont, è per la maggioranza degli studiosi, riconducibile agli Apache delle pianure, nel corso della loro migrazione verso sud.
Per il momento la questione di chi fossero i popoli di cultura Fremont, e di quale sia stata la loro fine, rimane ancora oggetto di studio.

La cultura di Trincheras

Le regioni nord-occidentali del Messico, che sono parte integrante dell’area culturale del Sud-Ovest, sono poco conosciute dal punto di vista archeologico, avendo il Messico attirato l’interesse degli studiosi di tutto il mondo per la complessità e la ricchezza delle grandi culture mesoamericane, Olmechi, Toltechi, Maya, Aztechi ecc… , trascurando per lungo tempo l’interesse per le culture periferiche delle regioni del nord.
Nel complesso gran parte della regione, tra gli attuali stati di Sonora e Chihuahua è considerata parte della tradizione Mogollon, anche se appare piuttosto periferica nei confronti degli sviluppi più avanzati di questa cultura nel New Mexico.
Più a occidente nello stato di Sonora e al margine della regione desertica che si estende al confine tra Sonora e Arizona, fece invece la sua comparsa una cultura locale che se da un lato sembra aver mantenuto contatti con gli Hohokam, dall’altro ha una sua specificità, sia sul piano delle tecniche e dell’arigianato, sia sul piano dei modelli di sussistenza e di insediamento.
La cultura di Trincheras (che in spagnolo significa muro, fortificazione), prende il suo nome dal più importante sito archeologico, il Cerro de Trincheras, un’altura lungo il medio corso del Rio Magdalena, in larga misura trasformata in un grande sistema di muri e terrazze, da adibire all’orticultura, che ai primi che la videro dovette sembrare una antica fortificazione. Ed è proprio con l’uso di costruire queste terrazze per coltivare i campi e su cui erigere la propria abitazione, che la tradizione Trincheras emerge all’inizio del I millennio, tra le diverse comunità di cultura Cochise che avevano già iniziato a praticare una piccola rudimentale di agricoltura; resti di attività di terrazzamento su alture di origine vulcanica, il cui terreno offriva maggiore opportunità, sono state trovate in una vasta area al confine tra Sonora, New Mexico e Arizona, ma spesso si tratta di resti che, se evidenziano l’intervento umano, non necessariamente testimoniano di insediamenti significativi. A partire dal VII secolo, con l’acquisizione della ceramica, e l’emergere di un particolare stile di lavorazione e decorazione, il modello Trincheras si definisce in modo più netto, all’interno della regione nord-occidentale dello stato di Sonora, nel bacino del complesso fluviale Altar-Magdalena, e fino all’alto corso del S.Miguel, un affluente del Sonora, a sud.
Da questo stesso periodo cresce il numero e la grandezza degli insediamenti, mentre l’attività agricola si fa sempre più centrale per la sussistenza, la produzione di ceramica si caratterizza in modo più netto e fa la sua comparsa l’attività di lavorazione di conchiglie marine, che alimentano un significativo scambio con i popoli vicini, in particolare gli Hohokam.
La crescita culturale, economica e demografica del modello culturale Trincheras continua con i secoli successivi, estendendosi anche alle comunità i cui insediamenti sono nei fondo valle piuttosto che lungo i versanti terrazzati delle colline, e in questi caso fa la sua comparsa una prima attività di irrigazione. Ma sono comunque gli insediamenti sulle colline quelli che continuano a caratterizzare questa cultura, anche perchè a partire dal IX, fanno la loro comparsa, al vertice delle colline terrazzate, recinti di pietre grandi e piccoli, e edifici e pithouse, che evidentemente avevano una funzione rituale e di osservatorio astronomico, assegnando a queste insediamenti, anche il ruolo di centri spirituali per tutti gli abitanti della regione.
A partire dal XIII secolo, sembra che lo sviluppo demografico ed economico inizi una fase di esaurimento, ma proprio in questa periodo fa la sua comparsa il più grande e importante dei centri cerimoniali, quello del Cerro de Trincheras, nelle vicinanze del municipio omonimo, nello stato di Sonora, con una popolazione di oltre un migliaio di persone, un grande spazio alla base della collina (la Chancha), aperto e recintato da pietre, destinato a riti e funzioni pubbliche, intorno al quale le terrazze abitate e coltivate costituivano una sorta di anfiteatro naturale; in cima alla collina, una struttura in mura di pietra, più piccola e di difficile a accesso, doveva essere un luogo riservato ai sacerdoti e ai riti per iniziati.


Cerro de Trincheras

Cerro de Trincheras è contemporaneo di Casas Grandes, un altro centro cerimoniale posto più a est, sull’altro versante della Sierra Madre Occidentale, e dai riscontri archeologici, sembra che Casas Grandes abbia esercitato una certa influenza su Cerro de Trincheras, almeno per quanto riguarda le tecniche artigianali. Il periodo di massimo sviluppo per il Cerro de Trincheras si chiuse intorno al 1450, in coincidenza con la crisi che attraversò tutto il sud-ovest, anche se negli aspetti più sostanziali il modello di cultura e sussistenza era ancora vitale al tempo dell’arrivo dei primi Spagnoli, circa un secolo dopo, e ancora oltre alle fine del ‘600, quando padre Eusebio Kino, iniziò il suo lavoro missionario, ed aprì la regione alla colonizzazione.
Non ci sono dubbi che gli indiani che costruirono le terrazze sulle colline, erano di lingua Uto-Azteca, antenati dei Pima, dei Papago, dei Nebome (Pima Bajo), quindi linguisticamente affini agli Hohokam, con i quali infatti i popoli di Trincheras condividevano l’uso di petroglifi, e con i quali mantenevano relazioni commerciali. I discendenti di questi antichi popoli, ampiamente meticciati e da tempo cristianizzati, ancora oggi costituiscono la maggioranza della popolazione della regione.

Sinagua e Salado

Le zone centrali dell’attuale stato dell’Arizona, tra i fiumi Little Colorado e Salt, furono il punto di incontro e di contaminazione tra le principali culture agricole del Sud-Ovest, quella Anasazi, posta a nord-est di tale area, quella Mogollon, a est e sud-est, e quella Hohokam, a sud-ovest e quella Patayan a ovest; in quest’area quindi gruppi e comunità vennero pacificamente a contatto, scambiandosi reciprocamente il proprio bagaglio di conoscenze e la propria cultura, dando così vita a tradizioni culturali, che si caratterizzano non tanto per specifiche tecniche o modelli di sussistenza, quanto per l’integrazione di elementi caratteristici dei modelli culturali principali: questa fu la caratteristica principale delle culture Sinagua e Salado, che si svilupparono in quest’area.
La cultura di Sinagua fa la sua comparsa a partire dal VI secolo d.C, nella regione a sud del Little Colorado e lungo il corso del Green River, un affluente settentrionale del fiume Gila. All’inizio essa appare come un’espressione locale della cultura Mogollon, caratterizzata da insediamenti di pit house seminterrate, una attività agricola praticata nei fondovalle, anche con piccoli lavori di irrigazione e costruzione di dighe per la raccolta dell’acqua, una produzione di ceramica in cui è evidente l’influenza Mogollon, ed un modello di sussistenza in cui l’attività agricola è fortemente integrata dalla caccia e dalla raccolta di vegetali selvatici. Progressivamente però all’influenza Mogollon si accompagna quella delle culture limitrofe, quando a partire dall’XI secolo cominciano a fare la loro comparsa negli insediamenti, le “ball court”, i recinti in pietra per il gioco rituale della palla tipici della cultura Hohokam, mentre anche i modelli di abitazione cambiano, con l’uso di case di adobe e pietra costruiti al livello del terreno; come accadeva anche per gli Anasazi, le antiche pithouse si trasformarono in kivas, le camere circolari sotterranee per le riunioni rituali e cerimoniali, mentre in altri aspetti della produzione artigianale, come punte di frecce e altri manufatti, sembrano ricordare le tecniche dei vicini Patayan. Come i loro vicini Anasazi e Hohokam, i Sinagua produssero una struttura sociale complessa, basata su clan, e con una aristocrazia sacerdotale della cui esistenza c’è traccia nelle usanze funerarie, di cui sono state trovate riscontri archeologici. I Sinagua erano pienamente inseriti nel sistema di scambi commerciali che legava tutte le culture del Sud-Ovest alla costa del Pacifico e al Centro America, e che permetteva l’accesso a materiali e manufatti di valore, in particolare le conchiglie che venivano dalla costa, campanelli e altri oggetti in rame provenienti dal Messico e i pappagalli ara, anch’essi di provenienzamessicana, le cui variopinte penne e piume costituivano un genere di lusso.


Rovine di Sinagua e Salado

Tra il 1064 e il 1067 il Sunset Crater, un vulcano posto a est del Green River nel cuore del territorio Sinagua, entrò in attività, un attività che a fasi alterne continuò poi nei due secoli successivi; dopo il primo trauma prodotto dall’eruzione, i Sinagua impararono a sfruttare le opportunità offerte dall’attività vulcanica sul loro territorio, utilizzando i terreni arricchiti dalla ceneri per l’agricoltura, e questa particolarità, insieme ad un periodo di piogge abbondanti, permise ai Sinagua di prosperare e crescere.
Tale situazione si modificò a partire dalla fine del XIII secolo, quando molti insediamenti vennero abbandonati e le comunità si organizzarono in comunità sul modello dei cliff dwellings, i villaggi sui dirupi, che in quello stesso periodo nascevano in territori Anasazi; evidentemente la scelta di questo tipo di insediamento è legata al timore di attacchi e alla rottura delle relazioni tra le diverse comunità, segno di un peggiorare della situazione dovuto alla riduzione di risorse, o alla comparsa di nemici esterni. Tra i cliff dewellings Sinagua il più noto è quello di Montezuma Castle (nulla a che vedere con l’imperatore Azteco), lungo il corso del Beaver Creek un affluente orientale del Green River.
Alla metà del XIV secolo anche la cultura Sinagua, come le altre culture del Sud-Ovest subì una repentina crisi, scomparendo senza che sia chiaro quale sia stato il destino del popolo che l’aveva prodotta. Quasi certamente essi abbandonarono la regione, forse per spingersi a est, presso gli Zuni storici, e sicuramente a nord, dove la tradizione degli Hopi fa riferimento a tale migrazione.
Ancor più difficile è comprendere a quale gruppo etnico e linguistico i Sinagua appartenessero e se costituissero una specifica entità dal punto di vista etnico e linguistico. Il fatto che i loro manufatti più antichi, lame e punte di freccia, fossero riferibile alla cultura Patayan, può far pensare che il substrato etnico fosse di popoli Yuma, di lingua Hoka, ma è probabile che a questo substrato si siano sovrapposte genti affini agli Hopi di lingua Uto-Azteca, come è possibile rilevare dal fatto che dopo la crisi della cultura Sinagua, una parte significativa di essi si sia spostata a nord del Little Colorado, nella terra degli Hopi. Al tempo del contatto con gli Spagnoli comunque, le terre dei Sinagua erano occupate da diversi gruppi di Apache Occidentali, i Tonto e i Cibecue in particolare, che vi giunsero sicuramente a partire dal XIII secolo, proprio nel periodo in cui i Sinagua iniziarono a costruire gli inaccessibili e ben difendibili cliff dwellings.
La vicenda della cultura Salado è simile, anche se più circoscritta nel tempo, e si sviluppò nel territorio immediatamente a sud-est di quello dei Sinagua, nella regione del Salt River anch’esso un affluente settentrionale del Gila. Alla fine del I millennio queste terre furono colonizzate da genti provenienti da sud , di cultura Hohokam, che vi portarono l’agricoltura, le prime rudimentali tecniche di irrigazione e la ceramica, ma a questo influsso iniziale si aggiunsero successive migrazioni da nord, dalla zona del Tonto Basin, al margine del territorio dei Sinagua, di genti con un impianto culturale affine a quello dei Mogollon, e in tempi ancora successivi, di genti di cultura Anasazi. Tutti questi diversi influssi danno vita, intorno al 1150 ad una tradizione originale, che si caratterizza specialmente per una peculiare ceramica policroma, per l’uso di insediamenti di case di adobe e pietra a livello del terreno, e per particolari tecniche funerarie; a differenziare i villaggi dei Salado rispetto a quelli dei loro vicini, va rilevata la mancanza di kivas, che erano tipici degli Anasazio, e di ball court, tipiche degli Hohokam.


Rovine della cultura Sinagua e Salado

L’assenza di queste strutture, il cui scopo era legato alla celebrazione di riti e cerimonie religiose, segnala che i Salado avevano crendenze e religione diversa da quelle dei loro vicini, anche se non ci da indicazioni sui modi delle loro pratiche religiose. Caratteristica della cultura Salado sono delle ampie piattaforme elevate, circa i metro o poco più sul terreno, larghe anche come la metà di un campo di calcio, e poste lungo il corso dei fiumi e nelle vicinanze dei campi di irrigazione; non è chiaro se servissero per la celebrazione di cerimonie, se ospitassero le abitazioni dei capi e sacerdoti o se avessero altre funzioni, ma certo denotano l’esistenza di una struttura sociale in grado di organizzare il lavoro collettivo.
Anche i Salado, come gli altri popoli del Sud-Ovest, videro un primo momento di crisi a partire dalla fine del XIII secolo, quando anch’essi modificarono i loro insediamenti, costruendo villaggi sui dirupi, poi a partire dalla metà del ‘400 anch’essi scomparvero lasciando dietro di se come testimonianza, i silenziosi villaggi costruiti nelle fenditure montane; anche nelle loro terre si insediarono gli Apache Occidentali, giunti da poco, in particolare i gruppi Monteblanco e Gilenos. Dai riscontri archeologici, sembra che la fine della cultura Salado sia stata drammatica, con conflitti tra le diverse comunità, già testimoniati dalla scelta di vivere negli insediamenti tra i dirupi, a cui certamente si aggiunsero gli scontri con i nuovi arrivati Apache.

Casas Grandes

Per completare l’articolato mosaico delle culture agricole del Sud-Ovest, un posto a parte merita la particolare vicenda di Casas Grandes, anche detta Paquime, un antico centro culturale, economico e spirituale e oggi uno dei più significativi siti archeologici dell’area. Casas Grandes (da non confondere con il sito Hohokam di Casa Grande), è oggi un grande complesso archeologico posto nelle vicinanza della omonima municipalità della stato di Chihuahua in Messico, ed era già abbandonato e in rovina al tempo in cui i primi Spagnoli si spinsero nella regione, alla seconda metà del ‘500; eppure solo un secolo primo Casas Grandes era una vera e propria città con migliaia di abitanti, e che esercitava la sua influenza su decine di centri minori nel raggio di un centinaio di chilometri, e su una popolazione di più di 10.000 individui. La sua fine coincide con la crisi di tutte le culture agricole del Sud-Ovest, alla metà del XV secolo, ma sotto molti punti di vista Casas Grandes ha una storia diversa e particolare, e risulta ancora più inquietante la sua scomparsa, che pare non abbia lasciato dietro di se alcuna eredità, fatto questo difficilmente spiegabile, anche alla luce della rilevanza e dell’entità di questa antica città del Sud-Ovest.


Rovina di Paquimé della cultura di Casas Grandes

Nel corso del I millennio la fertile valle del fiume San Miguel, nel nord-ovest dello stato di Chihuahua, fu sede di piccole comunità che praticavano una limitata attività agricole, come tante altre in tutto il Sud-Ovest; intorno a IX secolo anche in questa regione come nelle zone vicine emergono gli elementi che caratterizzano la culura Mogollo: piccoli agglomerati di pithouse, comunità di poche decine di persone, che coltivavano piccoli orti, cacciavano e raccoglievano frutti selvatici, avevano imparato a produrre ceramica e iniziato un limitato scambio di merci e manufatti con le comunità vicine. Per circa due secoli, gli abitanti della futura Casas Grandes costituiscono una delle tante comunità Mogollon della regione, ed è solo a partire dall’inizio del XII secolo, forse intorno al 1130, che Casas Grandes, emerge come agglomerato di una serie di piccoli aggregati di pit house, ognuno di una ventina di abitazione, ognuno intorno ad una plaza centrale e circondato da un muro di recinzione.
E’ questa l’epoca in cui nei territori Mogollon più a nord si fa sentire l’influenza delle culture limitrofe Anasazi e Hohokam, e nel complesso la cultura Mogollon inizia a perdere la sua unicità e specificità, per frammentarsi in una serie di esperienze locali, ognuna leggermente diversa in funzione del contesto ambientale e, soprattutto, delle influenze dei popoli limitrofi. In questo periodo Casas Grandes sembra assumere un suo particolare percorso: così a differenza di quanto accade in altri centri Mogollon in cui fanno la loro comparsa i kivas di tradizione Anasazi, a Casas Grandes la costruzione di piccoli edifici in adobe, di tradizione settentrionale, non si accompagna all’acquisizione del modello culturale e cerimoniale Anasazi, come testimoniato dall’assenza di kivas. E’ invece in questo periodo che le diverse comunità che costituiscono l’insediamento, sono in grado di produrre un sistema di controllo del sistema idrico, che va ben oltre l’irrigazione dei campi, ma è in grado di garantire l’acqua ad ogni abitazione e addirittura un sistema di scarico fognario. E’ questo certo un segno del livello di integrazione e organizzazione della comunità, in grado non solo di concepire, ma di attuare e tenere in efficienza un simile meccanismo. Ma questo fu solo l’inizio e lo splendore di Casas Grandes era ancora da venire.
Fu in conseguenza di un incendio avvenuto intorno al 1340, che la comunità invece di disperdersi o declinare, ricostruì la città, apparentemente secondo un piano preciso e mutuando progettazione e tecnica dagli Anasazi, che certo furono i più grandi edificatori del Nord America.
La nuova Casas Grandes era un complesso di oltre 2.000 stanze, usate come abitazioni e magazzini, con pithouse e locali intorno a plazas e cortili, corridoi e gallerie, e mura che potevano essere alte più di 10 metri e che fanno pensare a magazzini a più piani. La parte orientale dell’insediamento, che nell’insieme occupava un’area pressappoco rettangolare di 240 per 75 metri, era composta da edifici destinati ad abitazioni, laboratori e magazzini, stanze per i bagni rituali e per uso cerimoniale; nella parte occidentale vi erano aree aperte, destinate a mercato e cerimonie pubbliche, con piattaforme pavimentate e recinti di pietra, e veri e propri “effigy mounds”, uno dei quali in forma di serpente, che fa pensare alla divinità mesoamericana del Serpente Piumato; non vi erano kivas, ma diverse ball court, più piccole di quelle Hohokam, e di forma diversa, non ovoidale, ma con un perimetro di rettangolo allungato, e simili a quelle dell’America Centrale. Le porte all’interno della costruzione, aveva la forma a T caratteristica delle costruzioni Anasazi, e le mura di adobe erano intonacate sia all’interno che all’esterno. Nelle vicinanze dell’area destinata al mercato vi erano complessi di stanze la cui funzione era quasi certamente quella di ospitare quanti si recavano in città per scambiare le loro merci. Particolare il ritrovamento in una stanza, di un grande meteorite di ferro, ricoperto con cura di lino.


Una vista impressionante a Casas Grandes

Casas Grandes fu edificata in un tempo relativamente breve, forse un decennio o poco più e fu probabilmente concepita da una elite sacerdotale e politica, che seppe fare tesoro di quanto fino ad allora prodotto in termini architettonici dai popoli vicini, mettendo al lavoro artigiani locali e forse provenienti da altre regioni, con lo scopo di costruire un centro che divenisse punto di riferimento per tutti i commerci tra il Sud-Ovest e il Messico; e così fu certamente, dato che a Casas Grandes sono stati trovati i reperti che dimostrano l’abbondanza di tutte le merci pregiate che alimentavano gli scambi nella regione, dalle pregiate piume di pappagallo messicane, ai campanellini di rame, alle conchiglie lavorate, oltre a tessuti vasellame e monili. Ma Casas Grandes oltre che centro commerciale doveva anche essere un centro manifatturiero, in cui i si concentrava un’alta presenza di artigiani, vasai, tessitori, gioiellieri, allevatori di uccelli pregiati. Tutte queste persone potevano vivere nell’area grazie al lavoro dei contadini che garantivano i prodotti della terra, di cacciatori che rifornivano di carne la comunità, e certamente un simile centro doveva avere una struttura militare in grado di garantire la difesa, e contestualmente imporre il dominio sulla regione. L’egemonia di Casas Grandes era esercitata infatti su un gran numero di comunità minori, nell’arco di 3 o 4 giorni di viaggio, le più vicine costruite in piccolo secondo lo stesso modello del complesso principale, le più lontane in cui sono comunque evidenti i segni caratteristici dello stile di Casas Grandes; più oltre linfluenza di Casas Grandes si estendeva fino al versante occidentale della Sierra Madre a ovest, e il Rio Grande a est, come testimoniato dalla presenza di ceramica e altri manufatti in queste zone.
Una simile struttura che doveva prevedere una complessa e forse rigida divisione del lavoro, quasi certamente prevedeva una struttura gerarchica di tipo teocratico molto centralizzata, forse più vicina a quelle dei popoli dell’America Centrale, che non ai modelli sociali del Sud-Ovest; quasi certamente tale gerarchia si fondava sul sistema dei clan famigliari, piuttosto che su caste e classi, come era invece per le teocrazie mesoamericane, e per gli stessi popoli di cultura Mississipi.
Tra le peculiarità di questa antica metropoli del Sud-Ovest, va segnalata anche l’epoca della sua nascita, successiva alla crisi dei grandi centri cerimoniali, economici e politici Anasazi, Hohokam e Mogollon, come Chaco Canion, Snaketown o Gila Cliff, in un momento in cui la tendenza generale in tutto il Sud-Ovest era l’abbandono dei grandi insediamenti, la crisi dei grandi centri in grado di costruire entità politiche territoriali, e il ritiro verso gli spettacolari, ma quasi isolati cliff dwellings, coevi di Casas Grandes. Alla luce di questo dato è forse possibile ipotizzare che una elite, probabilmente autoctona, ma con un bagaglio di relazioni e conoscenze nella regione, abbia tentato di invertire questa dinamica di decadenza, e raccogliendo influssi, conoscenze e tecniche da tutto il Sud-Ovest e dal Messico, abbia prodotto questa esperienza, che rappresenta una sorta di canto del cigno delle grandi culture agricole del Sud-Ovest: perchè fu un canto del cigno, e tutta la vicenda di Casas Grandes si concluse in circa un secolo e probabilmente, la sua epoca di splendore durò anche meno.
Intorno al 1450, al più tardi nel 1470, Casas Grandes veniva abbandonata. Non sono chiare le ragioni, ma il suo processo di decadenza e la sua fine furono piuttosto brevi forse pochi decenni: di fatto la vicenda di Casas Grandes è riassumibile in poche generazioni, dal tempo di coloro che la edificarono, al tempo in cui, molto probabilmente, vennero meno quelle elite dominanti, in grado di gestire ed eventualmente rilanciare, una comunità estremamente complessa, che richiedeva una leadership autorevole e capace. E’ probabile che l’aumento demografico e la concentrazione di popolazione legata ai traffici, abbia velocemente ridotto le risorse agricole della regione, dato che non va mai dimenticato, l’agricoltura degli indiani non conosceva la rotazione dei terreni, e portava al loro esaurimento e alla necessità di trasferimenti. Questa ipotesi però deve misurarsi con il fatto che all’est, nella valle del Mississipi, grandi centri cerimoniali, come quello di Casas Grandes poterono sopravvivere per secoli, drenando risorse dai territori e dai villaggi controllati. E’ anche possibile che per una qualche ragione i traffici commerciali si siano progressivamente ridotti, rendendo la grande struttura inutile e economicamente poco sostenibile; possono esserci state tensioni interne, che ne sconvolsero il funzionamento e l’organizzazione; non va esclusa l’ipotesi di nemici esterni, dato che anche le zone del Messico settentrionale furono interessate dall’arrivo degli Atapaskan dal nord, che certo ebbero un ruolo nella crisi delle culture agricole del Sud-Ovest.


Uno stupendo manufatto di Casas Grandes

Di fatto la fine di Casas Grandes coincise con quella generale che attraversò tutto il Sud-Ovest, ma ciò che rende peculiare questa vicenda è il breve tempo in cui essa si produsse e il breve tempo in cui si concluse, un tempo che più o meno può coincidere con quello del dominio di una elite politica e spirituale a carattere ereditario, che dopo aver espresso una esperienza in qualche modo “visionaria”, alla prima generazione, la perpetua nella seconda, per subirne poi la crisi alla terza, quando l’impulso e l’ispirazione dei “fondatori” è ormai esaurito. Ciò può anche spiegare perchè dell’esperienza di Casas Grandes nulla rimanga dopo la sua fine: forse perchè essa fu in qualche modo un “sogno”, che la maggioranza di colore che lo visse, non comprese realmente.
E questo pone il tema di chi furono gli edificatori di Casas Grandes. I primi studiosi, facendo alcune errate datazioni, vollero credere nell’intervento dei Potcheka, i mercanti viaggiatori Toltechi che l’avrebbero edificata come un avamposto settentrionale dei loro commerci; più tardi altri studiosi, sulla base delle tecniche di costruzione, vollero individuare un gruppo di Anasazi, giunti a sud dopo la fine di Chaco Canion. Più probabilmente Casas Grandes fu il prodotto di popolazioni locali, le quali potevano svolgere quel ruolo di intermediazione commerciale che un gruppo straniero, parlante una lingua ignota e ignaro delle lingue locali, non poteva svolgere; la regione di Casas Grandes era abitata all’arrivo degli Spagnoli dagli Opata, un gruppo di lingua Uto-Azteca, affine ai Pima e soprattutto affine alle popolazioni messicane che vivevano più a sud, lungo la principale via commerciale; questi Opata erano esperti agricoltori, organizzati in un certo numero di piccole città stato, che esercitavano il controllo su villaggi minori, secondo un modello che può in qualche modo ricordare quello di Casas Grandes.
Tra gli Opata la memoria storica di Casa Grandes è assente, ma d’altra parte va ricordato che questo popolo, fu tra i primi a subire l’impatto con gli Europei, con la diffusione di malattie e un forte calo demografico, che provocò la crisi delle città stato, inducendo la popolazione a vivere in piccole comunità; nel 1628, con l’arrivo dei primi missionari che trovarono buona accoglienza, iniziò l’opera di distruzione delle tradizioni indigene: che in tutto ciò la memoria sia andata perduta, è possibile.

Gli Atapaskan

Dalla panoramica fin qui esposta risulta evidente come tutto il Sud-Ovest, tra i fiumi Rio Grande e Colorado e giù fino al Messico, fu per oltre un millennio sede di importanti culture agricole, che hanno disseminato la regione di un gran numero di vestigia archeologiche; eppure al momento del contatto con gli Spagnoli, alla metà del XVI secolo, e poi nei secoli successivi, i protagonisti delle complesse vicende storiche e dei tanti conflitti che sconvolsero la regione, non furono questi popoli agricoli, ma tribù per lo più nomadi, con una forte propensione all’attività predatoria, che occupavano gran parte dell’area, e che avevano relegato i popoli agricoli ad un ruolo marginale, in limitate parti del territorio. Questi nuovi protagonisti della storia del Sud-Ovest, erano i Navaho e soprattutto le diverse bande Apache, che per quasi quattro secoli si opposero all’avanzata europea, divenendo poi noti a tutti grazie ai romanzi, film e fumetti, che hanno raccontato le guerre indiane. Chi erano questi popoli, da dove venivano, e come sia stato possibile per loro imporsi in un tempo relativamente breve, facendo quasi scomparire dalla memoria storica le culture che per oltre un millennio si erano sviluppate nel Sud-Ovest, è il tema che completa la panoramica di questa regione, nella fase precedente il contatto.
Si è visto come nel corso del XII secolo, tutte le principali culture agricole, furono attraversate da una prima crisi, presumibilmente legata al modificarsi delle condizioni climatiche e ambientali, al ridursi delle precipitazioni e quindi delle risorse idriche, che obbligarono a trasformazioni nell’organizzazione sociale, nei modelli di insediamento e probabilmente determinarono anche una riduzione della rete di scambi commerciali. Le inaccessibili “cliff dwellings”, testimoniano plasticamente questa crisi, durante la quale quasi certamente le maggiori entità politico-religiose si dissolsero, per lasciare spazio a comunità più isolate, forse in rapporti, se non di ostilità, almeno di reciproco sospetto, timorose di aggressioni esterne. Questa crisi comunque, pur modificando usi e abitudini, non determinò un calo significativo degli insediamenti, riducendone solo la grandezza, ne ridusse l’estensione geografica delle culture agricole.


Gli Atapaskan

Intorno alla metà del XV secolo, circa tre secoli dopo, una seconda crisi, anch’essa legata a cambiamenti climatici, portò invece alla quasi scomparsa delle culture agricole in gran parte del Sud-Ovest, e al loro ritrarsi in zone limitate: l’alto corso del Rio Grande, il basso corso del Colorado e i suoi affluenti Little Colorado e Gila, quest’ultimo solo lungo il basso corso, mentre anche nel Messico settentrionale i popoli agricoli furono costretti a contendere il terreno ai popoli nomadi. E’ in questo lasso di tre secoli, che va collocata la vicenda dei popoli Atapaskan del Sud-Ovest, gli Apache e i Navaho, il loro arrivo nella regione, i rapporti con i popoli agricoli, il loro adattamento alle nuove condizioni.
Come già accennato, trattando degli Atapaskan nelle Grandi Pianure, in un periodo indefinito probabilmente tra il IX e il X secolo d.C., dalle regioni ai piedi delle Rocky Mountains a nord del Saskatchewan, gruppi di cacciatori nomadi si staccarono dal resto dei popoli Atapaskan per spingersi verso sud, seguendo probabilmente le pendici della grande catena montuosa, fino a raggiungere la regione dell’attuale Wyoming; mancano elementi certi di riscontro di tale migrazione, e l’ipotesi si basa sul dato certo della affinità linguistica tra Apache e Navaho e gli Atapaskan che vivevano a nord del Saskatchewan, e su quello meno certo del tempo in cui la separazione avvenne, calcolato in base ai metodi della glottocronologia, che studia i tempi di variazione di una determinata lingua in rapporto ad un modello originario.
Nelle regioni a est delle Rocky Mountains, la presenza di questi Atapaskan meridionali è testimoniata da una serie di riscontri archeologici, che documentano i successivi spostamenti fino alle praterie meridionali e al fiume Arkansas; a ovest delle Rocky Mountains invece mancano tali testimonianze e l’unico dato certo è che Apache e Navaho raggiunsero le terre del Sud-Ovest, prima dell’arrivo degli Spagnoli. Improbabile è l’ipotesi che l’occupazione delle terre del Sud-Ovest sia avvenuta da parte dello stesso flusso migratorio che si produsse nelle praterie e ciò per almeno due ragioni: le differenze linguistiche tra Atapaskan delle praterie (Jicarilla, Lipan e Kiowa Apache) e Atapaskan del Sud-Ovest (Western Apache, Navaho, Criricahua e Mescalero), che fanno pensare ad una separazione non proprio recente tra i due gruppi; l’assenza di ragioni per uno spostamento oltre le Rocky Mountais, e la difficolta a valicare la catena montuosa, in una zona impervia e priva di passaggi montani. L’ipotesi più accreditata è quindi che la divisione tra i due gruppi sia avvenuta proprio nelle praterie del Wyoming, nella zona di South Pass, e che una parte degli Atapaskan abbia continuato il proprio cammino a ovest delle Rocky Mountains, lungo la vallata del Green River, un affluente settentrionale del Colorado, o più a est lungo le pendici occidentali delle Rocky Mountains, fin poi a raggiungere gli attuali stati del New Mexico e dell’Arizone e il nord del Messico.
Rimane il fatto che questa migrazione non sembra aver lasciato dietro di se tracce riconoscibili; certo il fatto che questi popoli fossero nomadi, con una cultura ed un artigianato piuttosto semplice, che non conosceva la porcellana, che è uno dei principali indicatori per l’attività degli archeologi, può essere una spiegazione di tale mistero; a ciò va aggiunto che proprio il modello culturale settentrionale degli Atapaskan, facilmente adattabile all’ambiente delle Grandi Pianure e quindi riproducibile in quel contesto, poteva essere meno adatto alle terre montuose a ovest delle Rocky Mountains, inducendo i migranti ad acquisire tecniche e stile di vita dei popoli autoctoni; in ultimo non si può escludere che tale migrazioni si sia svolta con tempi relativamente veloci, un secolo o poco più, lasciando così dietro di se poche tracce.
Ciò che è certo è che in un lasso di tempo indefinito, probabilmente tra il XII e il XV secolo, l’arrivo degli Atapaskan impattò sulle popolazioni agricole del Sud-Ovest, che già stavano attraversando una lorò crisi, accelerandola e portandola ai suoi esiti finali. Non è nemmeno chiaro se tale arrivo fu un singolo evento, o avvenne in più ondate, anche se almeno due gruppi di migranti, sono ipotizzabili sulla base delle differenze linguistiche tra gli Atapaskan occidentali, riconducibili a due gruppi principali: i Navaho e le diverse bande di Western Apache (Tonto, Cibecue, Monte Blanco, Gilenos), e i Chiricahua e i Mescalero, che vivevano più a sud-est.
Un ulteriore elemento di mancata conoscenza riguarda quanto questi Apaskan si spinsero a sud, dato che gli Spagnoli al loro arrivo, trovarono bande di nomadi forse di lingua Atapaskan, fin nelle zone meridionali degli stati messicani di Chihuahue e Coahuilla; queste bande nomadi del Messico, la più nota delle quali è quella dei Toboso, ma che sono ricordate con una quantità di nomi, spesso riconducibili allo stesso gruppo, non è chiaro se fossero Atapaskan o Uto-Aztechi, o ricondicibili alle diverse bande nomadi raccolte sotto il nome di Coahuiltecan.


Un villaggio Coahuiltecan

Alcuni questi di gruppi, quelli stanziati nel nord di Chihuahua (Janos, Jocome ecc.), erano sicuramente affini ai Chiricahua; altri che vagavano più a sud nelle zone semidesertiche del Bolsom de Mapimi e sono di più difficile identificazione: tutti comunque scompaiono dalla storia prima della fine del ‘600.
Lungo il cammino che li doveva portare a sud gli Atapaskan incontrarono quasi certamente i popoli di cultura Fremont, che scompaiono proprio nel periodo in cui è probabile che essi a abbiano attraversato la regione. Più a sud gli Anasazi lasciarono anch’essi gran parte dei loro insediamenti in un epoca di poco successivo all’arrivo degli Atapaskan, una parte dei quali, i Navaho, si stanziò sulle loro terre, terre in cui i Navaho ancora oggi vivono, all’interno di una estesa riserva. L’alta valle del Gila, che era stato uno dei centri della cultura Mogollon, fu occupato dagli Apache Chiricahua, che si spinsero a sud fino al sito di Casas Grandes, che fu abbandonato probabilmente proprio nello stesso periodo del loro arrivo. Nella zona in cui si erano prodotte le culture Salado e Sinagua, si insediarono le bande Apache Occidentali, mantenendo un difficile rapporto con i Pima, eredi della tradizione Hohokam.
D’altra parte la tendenziale coincidenza temporale tra la crisi delle culture agricole del Sud-Ovest, e l’arrivo degli Atapaskan, non può autorizzare un rapporto immediato di causa effetto tra i due eventi, e ciò per diverse ragioni.
Dai riscontri archeologici la crisi dei popoli agricoli non sembra sempre accompagnarsi a conflitti e a violenze, e anche quando tali violenze sono testimoniate, esse possono essere conseguenza di conflitti con altre comunità agricole, o interno alla stessa comunità. A ciò va aggiunto che gli Atapaskan del XV secolo non possedevano il cavallo, che rese Apache e Navaho temibili e aggressivi predatori, e quasi certamente la propensione predatoria, che spesso si accompagna allo stile di vita nomade, doveva essere fortemente mitigata dalle difficoltà oggettive di muoversi a piedi, in bande non troppo numerosi, confrontandosi con comunità coese e organizzate, in grado difendersi nei loro villaggi di pietra, anche se non sempre in grado di proteggere i loro campi dalle razzie. Di fatto questi nomadi potevano essere un elemento di disturbo, razziatori in grado di depredare i raccolti, intervendo così a peggiorare una situazione di difficoltà per i popoli agricoli, ma difficilmente, da soli, essi avrebbero potuto causare la fine di organismi sociali, economici e politici, come quello di Casas Grandes o anche di altri di minore grandezza.
Al contrario, furono gli Atapaskan in alcune condizioni, a modificare il loro stile di vita in seguito al contatto con i popoli agricoli; i Navaho già al tempo dell’arrivo degli Spagnoli, in seguito al contatto con i Pueblo, avevano acquisito l’agricoltura, poco più tardi impararono la tessitura, divenendo abili artigiani, e infine l’allevamento di pecore, divenendo ricchi proprietari di armenti; le bande di Apache Occidentali pur continuando nello stile di vita nomade, impararono a coltivare piccoli orti lungo il corso dei torrenti delle montagne da loro abitate.
Non è nemmeno certo che i rapporti tra Atapaskan e popoli agricoli fossero sempre ostili, anche se la parola Apache viene dalla lingua dei Pueblo Zuni, e significa “nemici”; durante la prima fase della colonizzazione spagnola, non mancano le testimonianze di rapporti di scambio tra nomadi e agricoltori, rappoorti che gli Spagnoli peraltro cercarono di contrastare in ogni modo, così come è testimoniata, l’alleanza tra gruppi Pueblo e Pima che si ribellavano ai dominatori spagnoli, e bande di Apache. Di fatto l’ostilità tra popoli agricoli e Apache e Navaho divenne generalizzata dopo l’arrivo degli Spagnoli, quando i nomadi acquisirono il cavallo, che esaltava la propensione bellica e predatoria, mentre i Pueblo sottoposti al dominio spagnolo venivano arruolati come ausiliari nelle guerre contro Apache e Navaho.
A partire dalla fine del ‘600 la necessità di difendersi da questi temibili predatori a cavallo, fu un fattore determinante nella accettazione del dominio Spagnolo da parte dei popoli agricoli del Sud-Ovest.
Gli Atapaskan al contrario, e gli Apache in particolare, rimasero fin quasi alla fine dell’800 indipendenti e irriducibilmente ostili, prima agli Spagnoli e ai Messicani, poi agli ultimi arrivati Americani; nel frattempo il Sud-Ovest er divenuta “l’apacheria”, la terra degli Apache.

Il Sud-Ovest alla vigilia del contatto

Quando nel 1540 il conquistador spagnolo Francisco de Coronado guidò un’intera armata alla ricerca delle mitiche “città d’oro di Cibola” fin nel cuore delle terre del Sud-Ovest, tutta la regione era nel pieno di una crisi che aveva visto la scomparsa di intere culture, la trasformazione di altre, la comparsa di nuovi popoli, giunti non molto prima degli invasori europei.


Francisco de Coronado

Delle antiche culture agricole solo quella Anasazi, ancora sopravviveva con un gran numero di popolosi insediamenti, per lo più stabiliti in tempi recenti lungo l’alto corso del fiume Rio Grande, e lungo un arco che dal Little Colorado raggiungeva lo stesso fiume, una striscia di territorio al margine meridionale ed orientale di quello che un tempo era stata la terra degli Anasazi. Questi popolosi insediamenti, che gli Spagnoli chiamarono Pueblo, “villaggi”, erano abitati da un certo numero di tribù di lingua Tanoan (Tiwa, Tewa, Jemez, Pecos, Piro, Tompiro), lungo l’alto corso del Rio Grande e alle sorgenti del Pecos, quindi da due tribù, i Keres e gli Zuni, la cui lingua non sembra avere relazioni con quella di altri popoli, che avevano i loro villaggi a ovest del Rio Grande, fino alle sorgenti del Little Colorado, e infine dagli Hopi, una tribù di lingua Uto-Azteca del gruppo Numa, i cui villaggi erano presso gli affluenti settentrionali del Little Colorado. Presso queste tribù l’antica cultura agricola degli Anasazi ancora sopravviveva, seppur meno fiorente e strutturata che al tempo di Chaco Canion e di Mesa Verde, anche se l’influenza della loro cultura doveva essere notevole, essendone stata trovata traccia, attraverso manufatti e vasellame, fin tra gli agricoltori Caddoan delle pianure dei bisonti.
Vivendo nelle vicinanze di quella naturale via d’accesso costituita dal Rio Grande, che dal Messico portava alle terre del nord, questi popoli furono i primi a subire l’impatto della presenza spagnola e già con l’arrivo di Coronado si ebbero i primi sanguinosi conflitti.
Più a sud, sul basso corso del Gila e nel Messico nord-occidentale, i Pima, i Papago, i Maricopa, i Nebome, i gli Yaqui, gli Opata, i Tarahumara, i Concho, e più a sud i Mayo, gli Acaxee, i Tepehuan, tutti di lingua Uto-Azteca ed eredi delle culture Hohokam, Trincheras, Mogollon e di altre del Messico, continuavano a perpetuare il loro antico stile di vita organizzati in una quantità di piccole confederazioni di villaggi, spesso impegnati a difendere i loro campi e i loro beni dalle razzie dai nomadi Atapaskan da poco giunti da nord. Dopo la crisi della cultura Hohokam e la fine di Casas Grandes la cultura si era certo impoverita, ridotti gli scambi commerciali, abbandonati i complessi e grandi sistemi di irrigazione e le grandi costruzioni, ma questo non aveva radicalmente cambiato ne il modello di sussistenza, ne gran parte della vita materiale.
E’ comunque difficile avere un quadro esaustivo delle condizioni di questi popoli all’epoca del contatto, perchè gran parte di essi subì la sottomissione agli Spagnoli e la cristianizzazione (mai completamente definitiva comunque), già a partire dalla seconda metà del ‘500 e nella prima metà del ‘600, perdendo così in pn parte identità etnica e culturale.
Diversa fu la situazione lungo il medio corso del Rio Grande, fino alla confluenza con il Rio Concho, dove tutti i popoli che erano vissuti di agricoltura dando vita alla variante della cultura Mogollon, definita come Jornada Mogollon, già nel corso del XV secolo avevano abbandonato i loro insediamenti stabili ed erano tornati allavita nomade, adattandosi ad un semplice stile di vita incentrato sulla caccia di piccola selvaggina, la pesca lungo il corso del Rio Grande e la raccolta di vegetali selvatici, vivendo in semplici ripari di rami e frasche. I cambiamenti climatici che resero difficili le condizioni per l’agricoltura in tutta la regione, in questa zona azzerarono praticamente anche il ricordo di tale attività. Ricordati dagli Spagnoli con un gran numero di nomi, Suma, Manso, Cholome, Julime e tanti altri ancora che ne rendono difficile l’identificazione, è probabile che tali gruppi fossero linguisticamente affini ai Tanoan dell’alto corso del Rio Grande, con cui certamente ebbero elementi in comune nella cultura e nello stile di vita, prima del collasso economico che impose loro il ritorno alla vita nomade, ma tale affinità è difficile da dimostrare per l’assenza di testimonianze della loro lingua. Divisi in bande non molto numerose, e vivendo anch’essi lungo il tracciato che conduceva a nord, questi popoli furono tra le prime vittime della spietata caccia agli schiavi, che benchè illegale, fu ampiamente praticata dagli Spagnoli per garantire manodopera alle loro miniere e fattorie. Dopo una sanguinosa e poco documentata resistenza alla fine del ‘600, essi scompaiono di fatto dalla storia.


L’incontro tra gli spagnoli e gli indiani

Peculiare tra i popoli di questa regione la vicenda di un gruppo tribale incontrato dagli Spagnoli nel corso del ‘600, gli Jumano, un nome che gli Spagnoli usarono anche per definire le tribù Caddoan del Texas, e i Piro e i Tompiro di cultura Pueblo del New Mexico; quelli che più specificamente possono essere chiamati Jumano, erano un popolo di cacciatori di bisonti, che si spostava a piedi nelle praterie tra il Rio Grande e il Pecos, raggiungendo anche il fiume Brazos, nel Texas centrale, e svolgendo un ruolo di intermediari commerciali tra i Pueblo del Rio Grande, Piro e Tompiro in particolare, i Caddoan del Texas e gli agricoltori del Rio Concho, in Messico. La quasi certa affinità linguistica con i Piro e i Tompiro, presso i cui villaggi spesso gli Jumano svernavano, può far ritenere che anch’essi siano discendenti degli agricoltori di cultura Jornada Mogollon, che dopo aver abbandonato lo stile di vita agricolo, si trasferirono nelle pianure attirati dai bisonti, senza peraltro mai abbandonare del tutto i rapporti con i villaggi agricoli, in cui anch’essi un tempo erano vissuti. Anche sui Jumano comunque le congetture sono più dei dati certi, dato che anch’essi scompaiono dalla storia alla fine del ‘600, quando gli Apache Lipan li scacciarono dalle loro terre e li dispersero, costringendoli a cercare la protezione delle missioni spagnole.
All’inizio del ‘500 comunque gran parte delle terre del Sud Ovest, dal medio corso del Gila e dei suoi affluenti, fin oltre il Rio Grande, costituiva l’Apacheria, la terra degli Apache, che vivevano divisi in un gran numero di bande, vagando in cerca di selvaggina e vegetali commestibili e razziando i popoli agricoli quando l’occasione si presentava. Il cavallo, che li avrebbe trasformati nel terrore del Sud-Ovest era ancora ignoto, e poco sappiamo del loro stile di vita dell’epoca, ma certo doveva trattarsi di una vita povera, precaria e dura. Più a nord nell’antica terra degli Anasazi, altri Atapaskan, i Navaho, iniziavano all’epoca un lungo percorso di contaminazione culturale con i popoli Pueblo e poi con i nemici Spagnoli, prima con l’acquisizione dell’agricoltura, quindi dell’allevamento, infine con il grande sviluppo dell’artigianato, tessile e orafo in particolare, attività che avrebbero aiutato la tribù a sopravvivere a quattro secoli di conflitti; oggi i Navaho sono la più numerosa delle tribù indiane, che vive nella più estesa delle riserve, in larga misura coincidente con il loro territorio originario.
Ancora più a nord, oltre le terre dei Navaho, nella regione che aveva visto emergere la cultura Fremont, le risorse di una terra montuosa e aspra, ma ricca di acqua, foreste e selvaggina, vedevano l’emergere di un popolo di cacciatori e guerrieri, gli Ute, che sarebbe stato fra i protagonisti di secoli di conflitti con i bianchi. Portatori della cultura dei nomadi raccoglitori delle regioni desertiche, gli Ute approfittarono delle maggiori opportunità del loro territorio, allargando il loro raggio d’azione, dopo l’acquisizione del cavallo, fin nelle praterie dei bisonti. Le loro montagne rimasero fuori dall’attenzione dei colonizzatori, fino al 1878, quando l’ultimo conflitto li obbligò a cedere gran parte delle loro terre.
A ovest, lungo il basso corso del Colorado, i popoli di cultura Patayan, con il loro modello agricolo flessibile, che non necessitava di grandi sistemi di irrigazione, ne dipendeva dalle piogge, ma poteva contare sulla risorsa certa delle piene del Colorado, passarono attraverso la crisi che sconvolse tutto il Sud-Ovest senza significativi cambiamenti, rimanendo anche in buona misura al di fuori della sfera di influenza dei colonizzatori e dei missionari spagnoli. E’ comunque possibile che l’arrivo degli Apache dal nord abbia avuto una qualche influenza su una parte di essi, dato che in tempi storici un gruppo che probabilmente un tempo era stato parte del complesso culturale Patayan, gli Yavapay, viveva in stretto contatto con alcune bande di Apache Occidentali, allo stato nomade e praticando solo occasionalmente un po’ d’agricoltura. Gli altri gruppi, gli Yuma, i Cocopah, i Mohave, gli Walapay, gli Havasupay, ecc… continuarono nel loro stile di vita tradizionale lungo il corso del Colorado, fin quando alla metà dell’800 le loro terre furono attraversate dal flusso di emigranti verso la California, e anch’essi furono obbligati al confronto militare con l’esercito degli Stati Uniti.
Alla metà del ‘500, dopo oltre un millennio di crescita culturale, la crisi che stava attraversando le culture del Sud.Ovest, rimescolando le relazioni tra i popoli, e che avrebbe potuto indurre ad innovazioni e a nuovi sviluppi, si trovò di fronte ad una accelerazione drammatica con l’invasione di un nemico intenzionato ad imporre il proprio dominio ai popoli della regione, proponendo loro solo due possibili alternative: sottomettersi rinunciando a tutto, libertà, religione, indipendenza economica, e così sopravvivere come sudditi di un re lontano e sconosciuto, oppure combattere contro un nemico a cui non bastava vincere, ma era pronto a schiacciare, distruggere, schiavizzare, massacrare. Di fronte a questa alternativa i due mondi che convivevano nel Sud-Ovest, quello degli agricoltori e quello dei nomadi, alla fine fecero scelte diverse: i primi alla fine si adattarono sopportare il dominio dei nuovi padroni, gli altri resistettero, alcuni fino al totale massacro, altri un minuto di più dell’avversario, bloccando per secoli l’avanzata degli invasori Spagnoli e Messicani. Poi giunsero gli Americani e la resistenza indiana entrò nella leggenda del West.

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