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Gli scalpi nella storia della frontiera americana

A cura di Valentina Santoli

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Quando si pensa all’antica usanza di “fare lo scalpo”, generalmente la prima immagine che si crea nella nostra mente è quella dei guerrieri nativi americani, che si procuravano così un trofeo dei nemici sconfitti in battaglia; ciò che invece viene ricordato assai più raramente è che tale costume si diffuse ben presto anche tra i coloni bianchi.
Inizialmente, i nuovi arrivati nel continente lo ritenevano un truce esempio di barbarie ma, dopo aver trascorso un certo tempo in quelle terre selvagge, alcuni iniziarono a considerarlo un modo come un altro di dimostrare l’avvenuta uccisione di un nemico, assai più efficiente del portarsi appresso la sua testa.
La frontiera americana divenne così un luogo brutale in cui gli scalpi fungevano da sanguinosa merce di scambio, dato che ad essi iniziò ben presto ad essere attribuito un valore monetario (come sopra detto, costituivano la prova di aver ucciso un certo numero di nemici, cui corrispondeva una ricompensa in denaro).

Di fatto, si andò così via via erodendo la sottile linea di demarcazione tra la “civiltà” degli uomini bianchi e la “barbarie” dei nativi americani.

Crow Creek, 1325
Storicamente, uno dei peggiori massacri di cui abbiamo conoscenza ebbe luogo molti anni prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo: più precisamente nel 1325, in un villaggio indiano chiamato Crow Creek.
Crow Creek era un accampamento di notevoli dimensioni, con ben 55 alloggi circondati da una grande palizzata di legno e pelli di bisonte. Una notte, con il favore delle tenebre, una tribù ostile riuscì a penetrare nel villaggio e a massacrare pressochè tutti coloro che si trovavano all’interno. Gli archeologi hanno trovato sul luogo della strage i resti di ben 486 persone, e a quasi tutti era stato fatto lo scalpo. Pare che l’unica eccezione fu fatta per le donne più giovani, destinate a divenire le schiave sessuali degli stessi uomini che avevano ucciso i loro mariti.


I resti del massacro

Non c’è modo di stabilire con certezza chi furono gli autori del massacro: l’unico indizio è costituito dagli antichi racconti tramandati dalla tribù Arikara, che narrano di un grande villaggio cui in passato era stata impartita una dura lezione.

Jacques Cartier e Donnacona
Sembra che il primo europeo a vedere con i propri occhi uno scalpo sia stato l’esploratore francese Jacques Cartier, in occasione di un cordiale incontro con Donnacona, capo di una tribù di Irochesi, nell’area dell’odierna Quebec City. Cartier si presentò con dei doni per i nativi, i quali contraccambiarono organizzando una danza di benvenuto in onore dei visitatori stranieri. Donnacona, per impressionare i nuovi arrivati, mostrò orgogliosamente a Cartier ciò di cui andava più fiero: cinque scalpi umani disseccati.


L’incontro tra Jacques Cartier e Donnacona

Cartier in realtà non diede segno di essersi fatto impressionare, o perlomeno nel suo resoconto di viaggio scrisse semplicemente che, dopo aver visto gli scalpi, lui e i suoi uomini fecero ritorno alle navi. Ma altri europei in seguito descrissero diffusamente la tradizione dei guerrieri nativi di strappare gli scalpi ai loro nemici uccisi, innalzarli al cielo emettendo un grido feroce – chiamato “l’urlo della morte” -, per portarli infine al proprio villaggio infilzati sulle lance, esibendoli e facendosene beffe: lo scopo dei pellerossa era terrorizzare i nemici con una sorta di “guerra psicologica”, che riuscì in effetti ad impressionare a dovere i nuovi venuti dall’Europa.

La cura dei sopravvissuti
Oltre all’aspetto psicologico, i coloni dovettero ben presto affrontare questa truce usanza anche da un punto di vista molto più pratico: trovare un modo efficace per curare i sopravvissuti. Infatti, in battaglia lo scalpo veniva fatto non solo ai nemici uccisi, ma anche a persone ancora in vita.
I primi tentativi di trattamento medico di cui abbiamo notizia consistevano nel fare dei piccoli fori nel cranio delle vittime fino ad arrivare al sottostante sottilissimo strato di midollo osseo: l’idea era che, dal midollo e attraverso i piccoli fori, la carne ricrescesse al di sopra della ferita, rivestendola.


Riproduzione della tragedia della scalpatura

Questo tipo di intervento, peraltro, lasciava i pazienti in preda a dolori terribili causati dalla porzione di cranio coinvolta, destinata a rimanere molle e assottigliata.
Alcune persone sopravvivevano anche senza alcun trattamento medico, ma non per molto: difatti, con le ossa del cranio esposte agli agenti esterni, fatalmente prima o poi la ferita si infettava. L’infezione provocava a sua volta un’infiammazione del teschio, e, col tempo, le ossa iniziavano lentamente a staccarsi, lasciando il cervello esposto e senza protezione.
In realtà, la tempestività dell’intervento medico era cruciale per la sopravvivenza: se si agiva rapidamente, con la chirurgia era possibile ricucire lo scalpo, lasciando alle vittime solo una brutta cicatrice vita natural durante.

La guerra dei Pequot, 1637
Come anticipato, gli uomini bianchi non ci misero molto ad iniziare a prendere a loro volta gli scalpi: i primi episodi riportati si riferiscono alla guerra Pequot, nel 1637. Un commerciante di nome John Oldham fu ucciso dai nativi e, in tutta risposta, la colonia dei Puritani del Massachussets intraprese contro di loro una vera e propria guerra, nel corso della quale il governatore promise una ricompensa a chiunque gli riportasse la testa di un nativo americano.


La guerra dei Pequot

Tuttavia gli uomini si resero conto ben presto di non riuscire materialmente a trasportare un gran numero di teste, così decisero di ispirarsi proprio alle tradizioni dei loro nemici, riportando a casa borse piene di scalpi. Altre colonie, in seguito, seguirono il loro esempio, e furono così emanati veri e propri editti generalizzati che promettevano la riscossione di una taglia per ogni scalpo di qualsiasi nativo americano, sovente prevedendo ricompense più alte per gli scalpi dei guerrieri rispetto a quelli dei bambini e delle donne.

Hannah Duston
Vi furono anche episodi con protagonisti apparentemente improbabili, come nel caso di Hannah Duston, una casalinga madre di otto figli che consumò la sua vendetta contro i suoi rapitori proprio facendo loro lo scalpo nel cuore della notte.
Nel 1697 la tribù degli Abenaki attaccò la sua casa a Haverhill, nel Massachussetts. Suo marito Thomas riuscì a fuggire portando con sé sette dei loro figli, ma Hannah rimase indietro insieme alla loro bimba più piccola, ancora in fasce. La donna assistette impotente al massacro di altri 27 abitanti del suo villaggio, prima che un membro della tribù le strappasse la neonata dalle braccia e la lanciasse contro un albero, frantumandole il cranio; questi portò poi via Hannah per farne una prigioniera, ma lei, furiosa e affranta, fin dal primo istante iniziò a cercare una via di fuga, senza mai abbassare la guardia.


La vendetta di Hannah Duston

Attese pazientemente fino a che i suoi 10 rapitori non cedettero al sonno, poi afferrò un tomahawk e lo abbattè senza pietà sulle loro teste: infine, prese loro gli scalpi e fuggì, non senza aver prima liberato tutti gli altri ostaggi. Fu così che Hannah, una donna di mezza età ormai data per morta, portò a compimento la sua vendetta reclamando la propria ricompensa presentandosi all’ufficio del governatore con ben dieci scalpi tra le mani, lasciando tutti a bocca aperta.

I cacciatori di scalpi
Le taglie sugli scalpi divennero così appetibili che alcuni Rangers iniziarono a lavorare come cacciatori di scalpi a tempo pieno. Si spingevano nei luoghi più remoti con la speranza di incontrare dei nativi da uccidere e scalpare, in modo da racimolare una piccola fortuna. Uno di essi, John Lovewell, ebbe particolare successo in questa attività e divenne famoso per il numero di scalpi che era riuscito ad accumulare: ad un certo punto, se ne fece addirittura una parrucca da esibire per le strade di Boston.


Una spedizione di Lovewell

A dimostrazione della proficuità della sua professione, Lovewell non divenne solo famoso, ma anche molto ricco. Gli scalpi gli fecero guadagnare più denaro di quanto ne avesse mai visto in tutta la sua vita, ma fatalmente lo condussero anche alla sua fine.
Peccando di arroganza e di avidità, organizzò un assalto ad un villaggio di oltre 100 persone alla testa di soli 47 uomini, probabilmente per dover dividere il bottino in meno parti possibili: l’errore di valutazione gli fu fatale e fu ucciso dai nativi che, naturalmente, gli fecero lo scalpo.

Henry Hamilton, “Il Generale Compra-Scalpi”
Un altro episodio celebre ebbe luogo durante la Rivoluzione Americana e coinvolse un inglese di nome Henry Hamilton, detto “Il Generale Compra-Scalpi” (The Hair-Buyer General). A Hamilton era stato affidato l’incarico di fare in modo che le tribù native aiutassero gli inglesi a combattere i rivoluzionari americani. Considerando i nativi dei selvaggi assetati di sangue, il generale pensò bene di trarne vantaggio promettendo loro una ricompensa in denaro per ogni scalpo di uomo bianco che gli avessero consegnato, risparmiando però donne e bambini.


The Hair-Buyer General

Hamilton armò gli indiani di coltelli e tenne diligentemente conto di quanti scalpi gli venivano consegnati, fino a toccare la cifra record di 128 scalpi americani in un giorno. Tuttavia, violenza chiama violenza, e gli americani non stettero a guardare: come rappresaglia iniziarono a loro volta a fare gli scalpi ai mercenari indiani, in un susseguirsi di brutalità continue.

Inghilterra contro Stati Uniti
Quando Inghilterra e Stati Uniti si scontrarono di nuovo nel 1812, alcuni Americani avevano completamente fatto propria la tradizione degli scalpi. I componenti di una milizia del Kentucky, in particolare, erano divenuti veri e propri selvaggi: dopo essersi dipinti i corpi con i colori di guerra, andavano in battaglia completamente nudi e attaccavano sia gli inglesi sia i nativi americani con ferocia inaudita, uccidendo chiunque incontrassero sul loro cammino e prendendone gli scalpi. La novità stava nel fatto che, stavolta, non era prevista alcuna ricompensa in denaro: i miliziani prendevano gli scalpi delle proprie vittime esclusivamente per il gusto di portare con sé dei macabri trofei, che talvolta spedivano anche con orgoglio a casa ai propri genitori per dimostrare il proprio valore. Queste vicende attribuirono ai combattenti del Kentucky una pessima fama: descritti dagli inglesi come gli esseri più abietti dell’intero continente americano, tuttavia non se ne risentirono affatto, andando anzi fieri della propria ferocia.

Sand Creek
Altri anni passarono e, durante la Guerra Civile, tra i tanti episodi di violenza ne avvenne uno talmente feroce da essere destinato a rimanere tristemente famoso: il massacro di Sand Creek.
In Colorado, alcune razzie di bestiame avevano provocato delle schermaglie tra americani e Cheyenne, così un gruppo di soldati capitanato dal Colonnello Chivington iniziò a dare alle fiamme gli accampamenti dei nativi come rappresaglia. I Cheyenne non cercavano lo scontro, così il loro capo Pentola Nera si rivolse a Chivington implorando la pace: ma il Colonnello rispose a Pentola Nera che non era autorizzato a promettergli pace, e nel contempo iniziò a pianificare il massacro dell’accampamento che sorgeva sul fiume Sand Creek. “Maledetto sia chiunque simpatizzi con i nativi! Uccideteli e scalpateli tutti, adulti e bambini”, fu il suo secco e tremendo ordine.


Il massacro di Sand Creek

Dopo l’attacco dei soldati, un uomo bianco di nome John Smith si precipitò al villaggio Cheyenne a cercare suo figlio, che si trovava all’interno dell’accampamento, e una scena terribile gli si parò davanti agli occhi: un’immensa distesa di corpi fatti a pezzi, scalpati e brutalizzati, bambini uccisi senza pietà e finanche dei poveri feti strappati fuori dalle viscere delle madri. Ma il peggio fu la vista del corpo del capo Cheyenne Antilope Bianca: gli avevano fatto lo scalpo e mozzato il naso, le orecchie, e infine i testicoli per ricavarne un sacchetto per il tabacco – un macabro trofeo per uomini vili, che avevano massacrato in modo disumano un villaggio pacifico popolato soprattutto da donne e bambini.

Joel Glanton
Un’ultima vicenda che merita di essere ricordata è quella legata al Texas Ranger Joel Glanton. Durante la guerra Messico-Stati Uniti, anche gli Apache erano stati coinvolti negli scontri e l’esercito americano, per liberarsene, iniziò a pagare generosamente per i loro scalpi. Fu così che il Ranger Joel Glanton si dedicò alacremente alla ricerca di Apache da uccidere e scalpare: questa attività fece di lui un uomo ricco, ma, sfortunatamente, col tempo gli Apache iniziarono a scarseggiare. Glanton non si perse d’animo e, dato che i controlli dell’esercito sulla reale provenienza degli scalpi erano per così dire “sommari”, iniziò ad uccidere anche i civili messicani e a spacciare i loro scalpi per quelli degli Apache.


Joel Glanton in azione

A quel punto, più che un cacciatore di taglie, Glanton era diventato un vero e proprio serial-killer. L’episodio culminante avvenne quando lui e la sua banda rubarono alla tribù degli Yuma un’imbarcazione, poi invitarono un certo numero di persone a farci un giro: sarebbe stato l’ultimo viaggio per quegli sventurati. Una volta allontanatisi dalla riva, infatti, la gita si rivelò essere una trappola sanguinaria in cui Glangton e i suoi uomini massacrarono tutti i presenti, messicani o americani che fossero.
A questo punto il governo di Chihuahua mise una taglia sulla sua testa. Anche la tribù degli Yuma, solitamente pacifica, a causa delle continue provocazioni subite da Glanton decise che era giunto il momento di liberarsene. Furono gli Yuma i primi a scovarlo: una notte si introdussero nel suo accampamento, uccisero i suoi compari e gli tagliarono la gola nel sonno da parte a parte, ponendo fine una volta per tutte alla sua truce carriera.