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Gli anni finali di Doc Holliday

A cura di Omar Vicari

Sulla figura di Doc Holliday sono stati versati fiumi di inchiostro. Le gesta di questo micidiale pistolero minato dalla tisi che passava da una rissa all’altra, fanno ormai parte della storiografia del West.
“Doc aveva pochi amici veri”, disse una volta Bat Masterson. Secondo il famoso sceriffo di Dodge City, Doc era perfido di natura, ma aveva un paio di qualità che a quel tempo nel West volevano dire qualcosa. Per prima cosa, il coraggio. Doc non aveva paura di nessuno e, secondariamente, c’era la totale lealtà verso gli amici.
Wyatt Earp, che lo conobbe meglio di chiunque altro, ebbe a dire a Stuart N. Lake nella sua biografia, che Doc Holliday era un gentiluomo che la malattia aveva trasformato in un vagabondo di frontiera, un uomo quasi morto di consunzione e allo stesso tempo il più abile giocatore di carte e il più temerario, veloce, micidiale pistolero che avesse mai conosciuto.
L’unico del suo genere che potesse in qualche modo competere con Holliday nell’uso della pistola era “Buckskin” Frank Leslie di Tombstone.


“Buckskin” Frank Leslie

Ma a Leslie mancava, a detta di Wyatt, il coraggio fatalistico di Doc, un coraggio che derivava probabilmente dalla natura della sua malattia e dalla consapevolezza che non aveva molto da vivere.
Se, come ho detto, molto è stato scritto circa le sue gesta, poco si sa sugli ultimi anni della sua vita.


Doc Holliday in un famoso ritratto

Anni in cui, le condizioni sempre più critiche della sua salute lo portarono prematuramente alla tomba nel 1887. Ora, grazie al libro “Doc Holliday a family portrait” di Karen Holliday Tanner, è possibile alzare il velo sugli ultimi suoi anni. L’autrice, nel suo libro, ci presenta, al di là della leggenda, il vero volto dell’uomo con tutte le sue debolezze.
La scoperta nel 1877 di un ricco filone d’argento contribuì notevolmente alla crescita della città di Leadville in Colorado. Chiamata tempo addietro “Slabtown”, la città venne rinominata quando Harrison A. Warner Tabor assieme ad altri notabili tra cui George L. Henderson decisero per l’appunto di chiamarla Leadville. Nel gennaio 1878 il nome venne ufficialmente approvato da tutti.
Il successo delle miniere fece di Harrison A. W. Tabor l’uomo più ricco della regione, tanto da essere indicato come il re dell’argento in Colorado.
La sua ricchezza e notorietà lo portarono ad essere eletto primo sindaco della nuova città e lui, per riconoscenza, volle contraccambiare i cittadini con la costruzione della “Tabor Opera House” presso la quale si esibirono numerosi artisti del tempo tra i quali il famoso Oscar Wilde.
Nel 1879 la popolazione raggiungeva già il numero di 15.000 residenti e la bellezza di 120 saloons, metà dei quali si trovavano in Harrison Avenue.
A quel tempo Leadville rivaleggiava con Denver quale città più popolosa del Colorado. Nel luglio 1882, al tempo in cui Holliday raggiunse Leadville, la produzione mineraria era già in declino e l’economia della città di conseguenza si avviava verso la recessione.
Dopo il suo arrivo, John H. Holliday prese accordi per ricevere la sua posta presso l’ufficio della “Western Union Telegraph” al n° 106 della seconda strada. Egli non perse molto tempo nell’impiegarsi come mazziere al gioco del faraone presso il “Cyrus Allen’s Monarch” saloon al n° 320 di Harrison Avenue.


Una vecchia foto di Leadville (1885)

Quel lavoro non durò molto; Cyrus Allen infatti si liberò presto di Holliday probabilmente a causa della sua crescente dipendenza dall’alcool.
Doc non ne fece un dramma visto che trovò subito una nuova sistemazione presso l’Hyman Saloon gestito dal proprietario Mannie Hyman.
Dopo aver acquistato il locale da Adolph Newsitz, Hyman lo aveva ampliato aggiungendo alla casa un secondo piano. Il locale era situato al n° 316 di Harrison Avenue, proprio accanto alla “Tabor Opera House” e appena tre porte a sud del “Monarch” saloon.
Tabor Opera House
La stanza che Doc occupava al piano superiore al lato nord-ovest del locale aveva una vista verso le cime innevate delle Montagne Rocciose.
Sebbene Holliday dipendesse da Hyman come mazziere, spesse volte venne visto giocare a poker presso il saloon di John G. Morgan e Samuel Houston.
Doc frequentò spesso anche il celebre “Texas House” situato al n° 216 di Harrison Avenue, un isolato a sud del saloon di Hyman, un locale in cui, a detta di Holliday, era più facile fare soldi piuttosto di una rapina in banca.
Il “Texas House”, un locale di categoria superiore appartenente a John F. Chapman e Samuel D. Harlan, era aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Supervisionava il movimento dei clienti John Prentland, un giocatore di New York sotto la cui direzione la casa aveva guadagnato 80 mila dollari già dai primi mesi della sua assunzione.
Doc, che si rendeva certamente conto delle ottime prospettive di gioco a Leadville, fu visto di frequente in molti saloon di Harrison Avenue.
Alle prime ore del 6 dicembre 1882, un incendio improvviso scoppiò presso il “Texas House”.
Joseph Dreichlinger, un dipendente di un negozio vicino venne svegliato verso le tre di notte da una forte esplosione. L’uomo chiese subito l’intervento dei vigili del fuoco. L’incendio venne domato, ma l’edificio venne distrutto con tutte le cose che vi erano dentro. Il giorno seguente sulla stampa locale si poteva leggere l’articolo nel quale erano annotati i nomi dei volontari che avevano partecipato a spegnere l’incendio. Tra essi spiccava il nome del Dr. John Henry Holliday che, a detta del reporter, non aveva esitato un istante a gettarsi tra il fumo infischiandosi dei suoi malandati polmoni. La tubercolosi infatti non migliorava e in più Doc doveva fare i conti anche con la polmonite, una affezione che tra il 1883 il 1884 lo avrebbe colpito più di una volta.


Ancora Doc Holliday

L’unico rimedio che in qualche modo alleviava le sue sofferenze era il whisky che facilmente trovava in tutti i saloons di Harrison Avenue. Era in un circolo vizioso per cui più era sofferente, più beveva e viceversa. Raramente praticò l’attività di odontoiatra e la sua destrezza nel gioco, come era stato nei tempi passati, non gli era di molto aiuto data la sua cronica ubriachezza.
L’abbondanza del whiskey che gli annebbiava il cervello, accelerò il suo declino. Le sue condizioni, infatti, continuarono a peggiorare. Egli venne soccorso da Jay Miller, un farmacista che iniziò a dare gratuitamente a Holliday del laudano nella speranza di alleviare le sue pene.
Nei successivi diciotto mesi Doc rimase a Leadville, pensando ai propri affari e cercando di rimanere fuori dai guai, guai che lo avevano accompagnato in tutte le città del West in cui aveva messo piede. Aveva ormai fatto amicizia con un certo numero di persone ed era generalmente ben visto, ma la tubercolosi, unita ai vari episodi di polmonite, la sua crescente dipendenza dal laudano nonché il whisky, gli rendevano ormai difficile guadagnarsi da vivere.
La sua esistenza dipendeva ormai solo da qualche rara vincita e dall’aiuto dell’amico Mannie Hyman.


Harrison Avenue a Leadville

I suoi continui sforzi di evitare confronti con chicchessia furono messi a dura prova quando Johnny Tyler e Billy Allen, due suoi vecchi nemici dei tempi di Tombstone arrivarono in città.
William “Billy” Allen, poliziotto occasionale a Leadville, era stato in combutta con Ike Clanton a Tombstone. Allen era stato sentito come testimone nell’inchiesta seguita alla famosa sparatoria nella quale asserì di essere stato quel giorno (26 ottobre 1882) in compagnia con Reuben Coleman.
Egli disse che, con Coleman, si avviò giù per Allen Street sino all’OK Corral proprio di fronte allo studio fotografico di Camillus Fly.
Qualcuno ha sempre sospettato e tra questi Doc Holliday, che i due avessero sparato qualche colpo in direzione dei fratelli Earp e sua.
Johnny Tyler, che lavorava ora presso il “Gambling Hall” casinò, non aveva mai dimenticato l’umiliazione dovuta all’allontanamento forzato dall’ “Oriental “saloon di Tombstone ad opera di Wyatt Earp e sotto lo sguardo divertito di Holliday.
Johnny Tyler
Tyler, nella sua mente, aveva sempre pensato alla vendetta ed ora gli si presentava l’occasione.
Il contrasto tra Tyler, Allen e Holliday era comunque noto alle forze dell’ordine che peraltro tenevano d’occhio sia Holliday che gli altri due.
Verso la fine di luglio 1884, Tyler, spalleggiato da alcuni amici entrò nel saloon di Hyman chiamando ad alta voce Holliday affinché tirasse fuori la sua pistola. Holliday che stava di sopra nella sua stanza, si affacciò sostenendo di non avere armi addosso.
Dopo essere stato fermato e perquisito parecchie volte dalla polizia locale, egli era ora particolarmente attento a non violare l’ordinanza cittadina che vietava di portare armi in città.
La determinazione di Holliday di non infrangere la legge provocò gli insulti bestiali di Tyler.
Il giorno successivo, un reporter di un giornale locale intervistò Doc e nell’articolo, tra l’altro, si poteva leggere quanto segue: “Le parole di Tyler arrivarono a segno e qualcuno dei presenti invitò Holliday a tirar fuori la pistola. Doc ribadì che non aveva armi e allora Johnny Tyler, visto come stavano le cose, si allontanò imprecando nei suoi confronti. Lacrime di rabbia scendevano dagli occhi di Mr. Holliday poiché non aveva potuto rendergli la pariglia”.
L’articolo terminava facendo notare quanti sforzi Holliday avesse fatto dal suo arrivo a Leadville per mantenersi rispettoso della legge.
Nell’agosto 1884 Doc si trovò nella posizione poco invidiabile di essere debitore della somma di 5 dollari con Billy Allen.
Allen, consapevole della sua grave situazione economica, aveva volentieri prestato il denaro sapendo con certezza che Holliday non avrebbe potuto pagare il debito con facilità.
Questo avrebbe dato motivo ad Allen di pungolare Holliday sino a spingerlo ad accettare una sfida.


Doc Holliday

Doc aveva preso il denaro in prestito con la promessa di restituirlo in meno di una settimana.
Sette giorni più tardi, Holliday si recò da Allen dicendo che non poteva onorare la promessa.
Aggiunse solo che avrebbe pagato quando avesse potuto.
Allen, che non aspettava altro, intimò a Doc il pagamento dei 5 dollari entro il martedì successivo se non voleva trovarsi di fronte alla sua 45. Al giorno prestabilito, qualcuno avvisò Holliday che Billy Allen lo stava cercando con una pistola in mano.
Circa alle tre del pomeriggio, Doc scese dalla sua stanza sino al saloon sottostante dove incontrò Mannie Hyman. Doc disse all’amico di chiamare un agente perché sentiva puzza di guai. Chiese anche all’amico Frank Lomeister di avvisare il capitano Edmond Bradbury del dipartimento di polizia di Leadville oppure il marshal Harvey Faucett, aggiungendo che non avrebbe voluto aggirarsi per tutto il pomeriggio senza uno straccio di protezione.
Doc tornò quindi nella sua stanza dove rimase più o meno sino alle cinque del pomeriggio.
Nel frattempo aveva mandato giù nel saloon un amico pregandolo di nascondere la sua colt dietro il bancone alla fine del bar.


Big Nose Kate, compagna di Doc Holliday

Holliday non avrebbe potuto permettersi di pagare la multa nel caso fosse stato trovato in possesso di un’arma. Dopo di che scese nel saloon e andò a posizionarsi proprio dove l’amico aveva nascosto la sua pistola. Quando Billy Allen fece per entrare nel saloon di Hyman, Doc si accorse che teneva la mano in una tasca della giacca. Presumendo che tenesse una pistola, Doc afferrò la sua e sparò. Il colpo prese Allen nella parte superiore del braccio spaccandogli un’arteria. L’uomo cadde sul pavimento del saloon e Doc sparò un secondo colpo che mancò per un pelo la testa di Allen. Superata la sorpresa, Henry Killerman, il barista, afferrò Doc nel tentativo di impedirgli di sparare un terzo colpo. Certamente quel giorno Killerman salvò lavita di Billy Allen. Il capitano Bradbury, che si trovava in quel momento fuori nella strada, sentiti gli spari, si precipitò dentro il saloon intimando a Holliday di arrendersi.
Doc venne scortato in prigione con l’accusa di tentato omicidio premeditato. Avvicinato da un giornalista del luogo, Doc rilasciò la seguente intervista: “…Billy Allen per tutto il giorno aveva detto in giro che mi avrebbe incontrato in serata. Io stavo dietro il bancone quando lo vidi entrare. Aveva la mano in una tasca della giacca dalla quale spuntava il calcio di una pistola. Naturalmente non potevo accettare l’idea che mi uccidesse per cui ho sparato per primo con la pistola che stava sotto il bancone del bar”.
Il capitano Bradbury mise Doc in una cella e la cauzione venne fissata nella somma di 5.000 dollari.
John G. Morgan e Samuel Houston, proprietari del “Board of Trade” saloon, il giorno dopo pagarono la cauzione per il loro amico garantendo che Holliday sarebbe apparso di fronte alla corte il lunedì seguente per l’udienza preliminare.
La stanza del tribunale del giudice William W. Old era ormai piena quando alle tre del pomeriggio del 25 agosto 1884 iniziò l’udienza. Doc Holliday era rappresentato dall’avvocato Charles F. Fishback e dal giudice Milton R. Rice.


L’ingresso del “Board Of Trade” saloon

Il rappresentante della parte civile era William Kellog assistito da C. A. Franklin. Il primo testimone chiamato dal giudice Old fu il capitano Bradbury che confermò quanto Holliday affermava circa la richiesta di protezione il giorno della sparatoria. Frank Lomeister, l’amico di Doc, testimoniò che Holliday era rimasto nel saloon in attesa di qualche poliziotto e Henry Killerman confermò che la vita di Holliday era stata minacciata da Billy Allen.
Infine prese la parola lo stesso Holliday che iniziò dicendo: “Io vidi Allen venire verso di me con le mani in tasca e in quel istante ho pensato che avrei dovuto difendermi, quindi ho sparato e l’ho visto cadere sul pavimento. Se non lo avessi fermato sarei stato certamente sopraffatto. Il mio peso è circa 120 pounds, mentre quello di Allen è più o meno 170. E’ noto a tutti che la tisi mi sta consumando, ho contratto la polmonite tre o quattro volte e non credo che sarei stato in grado di contrastarlo in un corpo a corpo”.
Dopo aver ascoltato tutti i testimoni, il giudice Rice fece una deposizione in favore di Holliday.
Egli fece notare ancora una volta la richiesta di protezione del suo cliente al fine di scongiurare uno scontro con Billy Allen. Il rappresentante della parte civile Kellog tentò invece di dimostrare la volontà di Holliday di uccidere. Il giudice Old sembrò apparentemente convinto della tesi di Kellog tanto che la cauzione venne aumentata a 8.000 dollari. Holliday venne riconsegnato allo sceriffo e trattenuto sino a che non fossero stati pagati gli ulteriori 3.000 dollari. Egli non fu rilasciato sino al 6 di settembre mentre il processo venne fissato per il mese di novembre.
Alcuni rinvii dovuti a vari motivi, fecero slittare il processo al 28 marzo 1885. Dopo aver sentito i testimoni e le requisitorie degli avvocati, la giuria si ritirò per deliberare. Da rilevare che non venne letta nessuna deposizione di Billy Allen.
Il verdetto per Holliday fu di non colpevolezza; dopo sette mesi Doc era di nuovo un uomo libero. Da più parti è stato scritto che il processo Allen fu per Holliday l’occasione per lasciare il Colorado.
Frank Scotten, per esempio, più tardi assessore alle imposte della città di El Paso (Texas), ha riportato di averlo visto il 14 aprile 1885 nella città texana assieme a Wyatt Earp.


Wyatt Earp a 21 anni

Questa circostanza riportata nel libro “Wyatt Earp, Frontier Marshal” di Stuart Lake, è riferita alla sparatoria in cui persero la vita Bill Rayner e Buck Linn.
Scotten, testimone della sparatoria, riferì su come Wyatt e Holliday si adoperassero per evitare guai e rimanessero solo spettatori degli avvenimenti.
Wyatt Earp invece, per bocca di Stuart Lake, riferì che Doc Holliday non era presente quel giorno a El Paso. Un fatto è certo: che fosse presente o meno a El Paso, dalla metà di giugno Doc stava facendo i suoi abituali giri dei vari saloons a Leadville.
Durante l’inverno tra il 1885 e il 1886, Doc lasciò la città a causa del freddo e si spostò a Denver.


El Paso

Il clima della città un po’ meno rigido sembrò giovare di più ai suoi polmoni.
Egli fu visto spesso sia all’”Arcade” che all’”Argile” saloon come pure al “Missouri House” di Patrick O’ Connel in Black Street.
Nel febbraio 1886 Doc ricevette una lettera da suo cugino Robert Alexander Holliday.
Mary, la moglie di Robert, aveva di recente, il 26 gennaio, dato alla luce il loro primo figlio, Robert Fulton Holliday. Doc avrebbe dovuto avere nostalgia dei suoi familiari visto il lasso di tempo che lo divideva da essi. Invece, egli fece recapitare ai suoi cugini Mary e Robert solo una lettera di congratulazioni per la nascita del loro primo figlio.
La lettera evidentemente era la prova che Doc non voleva che essi, vedendolo, fossero consapevoli del suo stato di salute.
Con l’arrivo della primavera, Doc lasciò Leadville per Silverton dove il 1° giugno 1886 concesse un’intervista a un reporter del “New York Sun”.
Il lungo articolo tradiva la fervida immaginazione del giornalista pur se il contenuto veniva presentato come dettatura dello stesso Holliday. Quanto scritto venne ripreso per intero dal
“Denver Daily Times” e dal “South Georgian Times”, il giornale di Valdosta, la città della Georgia dove Doc aveva passato la giovinezza.


Silverton

Dall’articolo risultava chiaro che Holliday pensava di aver avuto delle giustificazioni per le uccisioni nelle varie sparatorie a cui aveva preso parte.
Egli, a secondo dei casi, aveva agito o per conto della legge oppure con lo scopo della difesa personale e nell’uno o nell’altro caso non poteva permettersi sensi di colpa.
Quel articolo, forse, non sarebbe dovuto uscire sul giornale di Valdosta, poiché il padre di Doc, il maggiore Henry B. Holliday, avrebbe potuto provare un dispiacere, sebbene tutto sommato le azioni del figlio si potevano interpretare come atti di eroismo.
Verso la fine dell’estate di quel anno Doc tornò di nuovo a Denver dove fissò la residenza presso il “Metropolitan Hotel” di Robert P. Newkirk al n° 1325 della sedicesima strada.
Il dipartimento di polizia locale comunque non si fece prendere dal panico alla notizia della presenza di Holliday in città anche se la sua reputazione di “gunfighter” ne faceva una persona del tutto speciale e di conseguenza anche un sorvegliato speciale.
Il 3 agosto 1886, fuori dall’albergo, Holliday venne fermato assieme a due amici da alcuni funzionari di polizia con l’accusa di vagabondaggio.


Il Metropolitan Hotel

L’accusa non venne provata e il “Denver Tribune Repubblican” riportò sulle sue pagine che le provocazioni verso Holliday continuavano malgrado il suo comportamento corretto.
Holliday cominciò a credere di non essere gradito in città per cui pensò di lasciare Denver prima che la polizia potesse procurargli ulteriori guai. Tornò quindi a Leadville, ma di li a presto, complice il clima che non giovava alla sua salute, scrisse una lettera a Kate Fisher in Arizona con la preghiera di raggiungerlo a Glenwood Springs, una località montana del Colorado dove aveva intenzione di stabilirsi.
Nel maggio 1887, dopo un viaggio in diligenza, Doc arrivò in quella che sarebbe stata la sua ultima meta. Da principio Holliday cercò anche di esercitare la sua professione, ma la tosse continua teneva lontani i clienti. Accettò allora il lavoro che gli offrì il giudice Judd Riley che lo pregava, data la sua fama, di tenere lontani eventuali malintenzionati da alcune concessioni minerarie.
La sua salute intanto peggiorava e quel tipo di lavoro non durò a lungo. Kate Fisher, che nel frattempo era arrivata a Glenwood Springs, lo convinse a trasferirsi presso la casa di suo fratello Alexander a Penny Hot Springs nella vicina Cristal Valley.
Purtroppo, malgrado una dieta accurata e uno stile di vita scrupoloso, le sue condizioni peggiorarono ulteriormente. Kate e suo fratello convennero che per Doc sarebbe stato meglio tornare a Glenwood Springs le cui acque termali avrebbero in qualche modo alleviato le sue condizioni.


Glenwood Springs

Holliday era ormai l’ombra di se stesso. I capelli ingrigiti, il viso scarno e pallido lo facevano somigliare più a un vecchio che non a un uomo di soli 36 anni.
Nella città resa famosa dalle sue acque curative, Doc e Kate presero alloggio presso il “Glenwood Hotel” all’angolo nord-est tra la “Grand Avenue” e la “Eight Street”.
Finito nel 1886, l’albergo era dotato già di luce elettrica e acqua calda in ogni stanza.
Per un breve periodo Doc tornò a quella che considerava la sua vera attività, il gioco delle carte.
La salute invece era ormai quella che era e stranamente i vapori generati dalle acque termali ebbero su di lui l’effetto contrario. Un tizio che lo aveva visto passeggiare lo aveva descritto tale ad un vecchio dall’aspetto dimesso che si trascinava con andatura fiacca. I cittadini di Glenwood Springs lo tenevano in gran rispetto poiché sapevano che Holliday stava affrontando la morte ormai vicina.
Il mercoledì mattina del 5 ottobre 1887, il primo treno della linea Denver-Rio Grande raggiunse Glenwood Springs.
Si organizzarono feste alle quali, purtroppo, Doc e Kate non parteciparono. Egli era ormai costretto a letto da diverse settimane. Kate gli era sempre accanto ed usava i suoi risparmi per il loro sostentamento.


La linea “Denver-Rio Grande” raggiunge Glenwood Springs

I lunghi anni passati sotto l’effetto dell’alcool, le ore tarde ai tavoli da gioco, l’aria irrespirabile dei saloons, la polmonite e la tisi lo avevano ormai vinto del tutto.
Durante gli ultimi 57 giorni della sua vita, egli si alzò dal suo letto solo un paio di volte. Sia Doc che Kate fecero affidamento su un fattorino dell’albergo per i pasti ed altre cose, affinché Doc non avesse a lasciare il proprio letto. Alla terza settimana di ottobre Doc cominciò a delirare e da lunedì 7 novembre non fu più in grado di parlare.
Più o meno alle ore 10 del mattino dell’8 novembre 1887, il dott. John H. Holliday spirò nella sua stanza presso l’Hotel Glenwood in Glenwood Springs (Colorado).
Egli venne sepolto quello stesso giorno presso il cimitero di Linwood, vicino Palmer Avenue.
Kate Fisher dispose che l’elogio funebre venisse ufficiato dal Rev. W. S. Rudolph della Chiesa Presbiteriana. Dopo la breve cerimonia, Kate tornò all’albergo per raccogliere le poche cose che appartenevano a John.
Quei beni, assieme ad una lettera, furono spediti in una cassetta alla famiglia di Holliday ad Atlanta alla custodia diretta di suor Mary Melanie (al secolo Martha Anne Holliday).
Il dott. John Stiles Holliday, zio di John, al momento dell’arrivo della cassetta, si fece trovare alla stazione, il posto in cui aveva salutato tanti anni prima il nipote che partiva per l’Ovest.
Presa in custodia la cassetta, consegnò a suor Melanie la lettera che ella aveva scritto a John tempo addietro, quindi scrisse al fratello, nonché padre di Doc, il Maggiore Henry B. Holliday a Valdosta per avere consigli circa l’appartenenza delle cose di Doc.
Dal momento che non c’era nulla di particolare interesse per lui tra le cose del figlio, il Maggiore chiese a suo fratello John Stiles di occuparsi personalmente della faccenda.
I vestiti vennero distribuiti ai poveri, mentre Robert, il figlio del dott. Stiles, cugino di Doc, richiese ed ottenne il resto delle cose.
La cassetta non conteneva né i ferri da dentista, né le pistole che Doc aveva usato sulla frontiera.


La lapide che ricorda Doc Holliday

Solo un piccolo coltello, un rasoio, delle carte da gioco e una spilla da cravatta alla quale era stato rimosso il diamante, testimoniavano il percorso di John H. Holliday sulla frontiera passando per città come Dodge City, Fort Worth, Tombstone e Leadville.

Epilogo

Quattro giorni dopo la morte di John H. Holliday (Doc), su di un giornale di Glenwood Springs si poteva leggere testualmente: “Egli (Doc) ha rappresentato la legge e l’ordine in qualsiasi posto si sia trovato. Doc Holliday aveva certamente i suoi difetti, ma tra di noi chi può ergersi a giudice dei suoi fatti? Durante la sua breve permanenza tra noi, John H. Holliday aveva fatto molte amicizie. Era evidente che i cittadini di Glenwood Springs avevano dimenticato il passato di quest’uomo, conosciuto in tutto l’Ovest come un noto gunfighter”.

Kate lasciò presto Glenwood Springs. Rimase nella regione della “Cristal Valley” dove meno di due anni dopo fece la conoscenza di George M. Cummings.
Ella aveva più o meno 40 anni quando lo sposò ad Aspen il 2 marzo 1890.
Quindici anni più vecchio, George M. Cummings era nato a New York nel 1839. Ora che era una rispettabile donna sposata, Mary Katherine H. Cummings, smise di usare il soprannome “Kate ” che ella aveva sempre usato. George e Mary Cummungs vissero presso Rock Creek in Colorado prima di stabilirsi nel 1895 a Bisbee nella contea di Cochise (Arizona).
Due anni più tardi si spostarono nel vicino campo minerario del distretto di Pierce dove George si impiegò come maniscalco, mentre Kate cucinava per gli operai della miniera.
Dalla primavera del 1899 il loro matrimonio finì a causa dell’uso smodato dell’alcool da parte del marito. Kate si impiegò per poco tempo presso un albergo nella contea di Cochise, quindi accettò un lavoro come domestica nella casa di John J. Howard di Dos Cabezas sempre in Arizona.
Kate rimase in quella casa sino alla morte di Howard avvenuta il 3 gennaio 1930.
Il 3 giugno 1931, Kate scrisse al governatore George W. Hunt richiedendo il permesso di vivere a Prescott nella “Pioneers’ Home”. Il governatore concesse il permesso e Kate poté rimanere nella
“Pioneers’ Home” sino al giorno della sua morte, il 2 novembre 1940.
Kate Fisher
Kate Fisher è tutt’ora sepolta presso il “Pioneer Cemetery” di Prescott.
Durante gli ultimi anni della sua vita Kate Cummings amava far credere alla gente di essere stata la moglie di Doc Holliday.
A distanza di molti anni Kate esternò alcune considerazioni su Doc Holliday, il compagno della sua vita durante gli anni della frontiera: “Doc era considerato un uomo di aspetto piacevole. Fu un gentiluomo nel trattare le donne come chiunque altro. Quando era sobrio e calmo, non andava in cerca di guai e se era in compagnia, sapeva stare al suo posto. Era conosciuto da tutti come il dentista tubercolotico. Spesso aveva accanto la bottiglia del whisky, ma non era mai ubriaco.”
Usava portare abiti eleganti e infine non si approfittò mai della sua abilità con le armi. Sebbene fosse passato molto tempo dalla morte di Doc, Kate non cambiò mai opinione su di lui.
In Georgia la famiglia Holliday non conobbe mai la donna che con orgoglio asseriva di essere la signora Mary Fisher Holliday, vedova di John H.Holliday.
In quanto al padre di Doc, il Maggiore Henry B. Holliday passò il resto della sua vita a Valdosta.
Durante l’inverno del 1893 la salute del Maggiore cominciò a non essere più quella di una volta.
Il 17 febbraio 1893, venne colpito da paralisi e alcuni giorni dopo, il 22 febbraio, morì portandosi nella tomba tutto il dolore per la morte prematura del suo unico figlio.
Il dott. John S. Holliday, fratello del Maggiore e zio di Doc, continuò a essere parte integrante della buona società di Atlanta.
Il 2 gennaio 1894 egli perse la moglie Parmelia E. Ware sua compagna di cinquanta anni di vita in comune. Il 27 aprile 1897, il dott. John S. Holliday morì all’età di 74 anni e sino a che fu in vita non rimproverò mai al fratello la condotta di vita del figlio John (Doc). Anzi egli fu sempre convinto dell’integrità morale di suo nipote.
Il figlio del dott. John S. Holliday, Robert Alexander Holliday, rifiutò sempre di avere un socio sin quando fu in vita Doc. Egli aveva sempre in mente i piani che avrebbe voluto realizzare assieme al cugino. Figura preminente nella “Georgia State Dental Association”, Robert sposò il 21 ottobre 1884 Mary Cowperthwaite Fulton.
Nel 1887 Robert fondò in Atlanta la scuola di studi superiore in odontoiatria e lo stesso fece a New Orleans. ?Nel giugno 1906 gli venne diagnosticato un tumore allo stomaco in seguito al quale morì tre mesi dopo il 9 novembre dello stesso anno.
La moglie Mary Fulton rimase sempre affascinata dalle avventure del cugino di suo marito, infatti leggeva con avidità tutti gli articoli riguardanti il famoso gunfighter.
Vergogna, colpevolezza, smentite, attrazione ed orgoglio… tutte queste emozioni devono essere state provate dai membri della famiglia Holliday quando l’argomento riguardante il loro congiunto veniva toccato. La complessa personalità di Doc Holliday deve aver generato nei familiari i punti di vista più disparati circa il suo carattere psicotico.
Già molti anni prima che fossero manifesti i lati oscuri della sua contorta personalità, lo stesso Doc si proponeva in modo tale da alimentare il mistero che lo circondava. Negli anni della sua giovinezza infatti, il suo comportamento era tale che gli altri capivano subito con chi avevano a che fare.
Bat Masterson
Nel libro che Bat Masterson dedicò a diversi personaggi del vecchio West, troviamo un episodio riguardante la giovinezza di Doc Holliday circa l’uccisione di alcuni negri sulle rive di un fiume.
Probabilmente ci può essere una sola fonte a proposito di questa grossolana storia della giovinezza di John H. Holliday: lo stesso Doc.
Questa è solo una delle molte storie immaginarie riguardanti questo noto, presunto killer a sangue freddo, più volte etichettato come il più pericoloso uomo vivente. Testimoni contemporanei hanno attribuito al piombo della sua pistola almeno 25 uccisioni. Certo Doc è stato sicuramente un “gunfighter “, un uomo da mettere sullo stesso piano di Ben Thompson o Bill Longley, ma il numero dei morti è certamente esagerato. Egli fu coinvolto in sparatorie con Charles Austin a Dallas, con Henry Kahan a Breckenridge, con Milt Joyce a Tombstone e con Billy Allen a Leadville nessuna delle quali mortali.
Nel processo Austin fu trovato non colpevole. Nel caso di Milt Joyce, l’accusa di aggressione a mano armata fu lasciata cadere. Doc fu multato nel caso Kahan e assolto per la sparatoria con Billy Allen. Nessuna accusa fu mai portata contro Holliday per l’uccisione di Ed Baily a Fort Griffin o per la sparatoria con Charlie White a Las Vegas nel New Mexico. Doc sicuramente colpì Frank Mc Lowery quel giorno all’OK Corral e sparò il colpo definitivo che uccise il fratello Tom.
Egli cavalcò assieme a Wyatt Earp nel periodo che seguì l’assassinio di Morgan Earp e probabilmente può essere stato il responsabile di alcune di quelle uccisioni, ma storicamente la sua carriera come “il più abile giocatore, temerario, veloce e micidiale pistolero” come venne definito da Wyatt Earp, rimase confinata nello spazio di tempo di un anno circa e perlopiù a Tombstone.
Holliday fu accusato di omicidio una sola volta nella sua vita, ma il giudice rifiutò di incriminarlo e archiviò il caso. Circa i suoi 17 arresti, Doc fu trovato colpevole solo in due circostanze, una per aver trasgredito al divieto di portare armi in città e l’altra per minaccia di aggressione.
Nelle varie città dell’ovest in cui mise piede cercò sempre col suo comportamento di ostentare quella sua certa reputazione frutto delle risse nei saloon quando veniva provocato o quando il whisky prendeva il sopravvento. Molto riservato, condivise poco del suo passato con la maggior parte delle persone che lo conobbero, per cui non c’è da meravigliarsi se la sua personalità rimase un mistero per molti. Con le persone che lo aiutarono, in special modo gli Earp, Holliday sviluppò un legame morboso tramite il quale tentò di ricomporre i legami affettivi della sua prima giovinezza.
Fu certamente un uomo dalla complessa personalità con un codice d’onore ben preciso che contemplava solo le cose giuste o quelle sbagliate, senza una via di mezzo.
La sua adesione a quel codice d’onore è stato per Karen Holliday Tanner, l’autrice del libro, un ottimo punto di partenza per una buona storia.