Lottie Deno, la regina dei gambler

A cura di Gian Mario Mollar

Quando si parla di gambler, dei giocatori d’azzardo della frontiera, vengono di solito in mente uomini dal sorriso ambiguo, seduti in agguato al tavolo da poker con le maniche piene di assi e il calcio di una pistola Derringer che spunta dal panciotto arabescato. Tuttavia, nel mondo prevalentemente maschile dei saloon del West, c’erano anche donne che padroneggiavano quanto e meglio degli uomini l’arte di addomesticare le carte e di alleggerire le tasche del prossimo.
Lottie Deno, al secolo Carlotta J. Thompkins, fa senz’altro parte di questa categoria, anche se i lunghi capelli rossi, i vivaci occhi marroni e i vestiti ricercati la rendevano più simile a una dama dell’alta società che non a una frequentatrice di saloon e di altri posti “non adatti alle signore”.
Nata il 21 aprile 1844 a Warsaw, nel Kentucky, era una ragazza di buona famiglia, figlia di un ricco proprietario terriero che coltivava tabacco e allevava cavalli da corsa. Insieme a sua sorella, Carlotta ricevette un’educazione raffinata in un convento episcopale, dove apprese la buone maniere dell’aristocrazia latifondista del sud. Fin da piccola, il padre amava portarla con sé nei suoi frequenti viaggi di lavoro, durante i quali le trasmise la sua passione per il gioco d’azzardo.
La vita della signorina Thompkins sembrava avviata su binari solidi e rettilinei: la frequentazione dei salotti le avrebbe fatto presto incontrare il rampollo di qualche famiglia abbiente, con il quale si sarebbe sposata, garantendo così una discendenza e degli eredi per il patrimonio e le attività di famiglia.


Giocatori d’azzardo in un saloon

Ma spesso il destino si fa beffe dei progetti degli uomini e la storia venne a sconvolgere la sua vita. Nel 1861, quando Lottie aveva soltanto 17 anni, le truppe confederate invasero il Kentucky e l’esercito dell’Unione, guidato dal Generale Grant, occupò la città di Paducah per respingerle. Era la Guerra Civile. Il padre di Lottie, gentiluomo del sud e confederato per vocazione, si arruolò nell’esercito sudista e morì ben presto in battaglia, lasciando una moglie sconvolta e due figlie orfane.
Mentre la madre e la sorella maggiore cercavano di tenere in piedi la piantagione, Carlotta venne spedita a Detroit, lontana dalla guerra, nella speranza che trovasse un marito del giusto rango. Al suo fianco, a garanzia della sua sicurezza e per respingere attenzioni indesiderate, c’era la fidata domestica di famiglia, Mary Poindexter, una massiccia virago di colore alta più di due metri.
Ma la giovane donna non era troppo interessata alla frequentazione dei salotti mondani: a Detroit, Lottie incontrò e iniziò a frequentare un ex-fantino che aveva corso per suo padre, Johnny Golden e i due cominciarono a fare coppia fissa al tavolo da gioco.
Frank Thurmond
Sfortunatamente, Johnny era piuttosto lontano dai canoni che la famiglia di Lottie si era prefigurata: non solo era uno spiantato e un amante delle carte, ma per giunta era anche ebreo. Si trattava di un compromesso che una madre cresciuta in un ambiente reazionario e razzista non poteva accettare facilmente.
Quando vennero a sapere delle frequentazioni “poco raccomandabili” della figlia, i parenti la costrinsero ad allontanarsi Detroit, nella speranza che lasciasse quel “poco di buono”. Ma Lottie era di diverso avviso: si ribellò e tagliò i ponti con la propria famiglia. Fu così che lo strano terzetto composto da lei, Johnny e Mary divenne una presenza abituale a bordo dei battelli a vapore che navigavano sul Mississippi, veri e propri casinò sull’acqua e territori di caccia d’elezione per i giocatori d’azzardo.
Una premessa è doverosa: tutti i giocatori d’azzardo professionisti erano anche, inevitabilmente, bari, e Lottie non faceva certo eccezione. Vincere soltanto occasionalmente non le sarebbe bastato per mantenere lo stile di vita al quale era abituata e nel quale era cresciuta: la fortuna andava “aiutata”.

I trucchi del mestiere.
E di modi per aiutare la fortuna ce n’erano davvero molti. I gambler avevano a disposizione un armamentario di trucchi davvero variegato.
Immaginate per un momento di essere seduti a un tavolo da gioco dell’epoca con tre giocatori professionisti. Attraverso il fumo denso che vi fa bruciare gli occhi, se non sarete distratti dalle “colombe sporche” che vi offrono le loro grazie, noterete che il giocatore di fronte a voi sta fissando intensamente il dorso delle carte che avete in mano, mentre un altro le accarezza disinvoltamente mentre le smazza. Il terzo, invece, mentre mischia, passa distrattamente il pollice sugli angoli delle carte.
Che cosa sta succedendo? Semplice, il mazzo è truccato. Il primo gambler, in realtà, sta leggendo i segni segreti celati nel motivo stampato che ricopre il dorso delle vostre carte, che rivelano chiaramente, a chi è in grado di decifrarli, quello che avete in mano. Il secondo, invece, sta cercando di percepire al tatto le punzonature che sono state preventivamente impresse nelle carte: anche queste, come una sorta di linguaggio Braille, rivelano la collocazione delle carte giuste e facilitano una distribuzione “oculata” della fortuna. Il terzo, infine, palpa gli angoli per percepire quelli che sono stati tagliati in modo diverso: a quei tempi, i mazzi sigillati con il cellophane non esistevano ancora e i bordi delle carte, smussati dall’uso, venivano periodicamente rifilati con una taglierina per renderli di nuovo affilati e scorrevoli. Durante quell’operazione, un taglio più o meno alto sullo spigolo poteva marchiare le carte più interessanti ed è proprio quel segno che il vostro compare va cercando.
Ma l’inventiva dei professionisti non si limitava a questo e poteva raggiungere vette ben più alte: lacci e tasche segrete nei gilet e nei panciotti per nascondere mazzi di riserva, puntine per fissarli sotto il tavolo e averli a disposizione quando necessario, ma anche sistemi di molle ideati per spingere una carta dall’avambraccio alla mano, ovviamente al di sotto del polsino della camicia. Di quest’ultimo tipo di dispositivi, il più geniale fu senz’altro quello inventato da P.J. Kepplinger, un sistema di molle e cavi che percorreva il corpo del baro al di sotto dei vestiti e veniva azionato aprendo leggermente le ginocchia: grazie a questo movimento, praticamente impercettibile perché eseguito sotto il tavolo, il complesso macchinario spingeva la carta nella mano del baro, facendola passare attraverso un apposito polsino dal doppio strato!

Ma torniamo al tavolo da gioco: ormai l’avete capito, vi stanno fregando! A questo punto avete due scelte: o limitate le perdite e abbandonate il tavolo accampando qualche scusa, magari rivolgendovi alla ragazza di prima, che vi sorride dal bancone per farsi offrire da bere, oppure potete decidere di non accettare la truffa e di attaccare briga. Potete, per esempio, rovesciare il tavolo e chiamare bari i loschi individui che vi stanno intorno. In quest’ultimo caso, però, è meglio che ci pensiate due volte.


Una “Holdout machine”, strumento utilizzato per barare

Le sale da gioco, infatti, si avvalevano di bouncers, la security dell’epoca, che venivano pagati appositamente per allontanare, in modo fermo ma non sempre cortese, gli avventori che “non sapevano bere” o “non sapevano perdere”. Nella storia del West si incontrano alcuni bouncers d’eccezione: basti pensare al celebre Wyatt Earp o a Nat Turner, che per qualche tempo della loro vita avventurosa si dedicarono a questa professione, ma anche i loro colleghi più anonimi se la cavavano piuttosto bene sia con i pugni che con le pistole.
In mancanza di questi ultimi, spesso i giocatori stessi erano equipaggiati di un vero e proprio arsenale. Il repertorio andava dal cosiddetto “Quinto Asso”, il coltello Bowie, a vari modelli di tirapugni e pugnali dai manici impreziositi con avorio o madreperla. Le pistole predilette dai gambler erano, in genere, di dimensioni ridotte e di piccolo calibro, facili da nascondere e da maneggiare. La regina delle armi di questo tipo era senz’altro la Derringer, anch’essa, di solito, accessoriata con manici elaborati e costosi.


Una pistola da palmo detta “protector”

Quest’arma aveva il grosso limite di essere a colpo singolo, ma, per avere maggiore potenza di fuoco, si potevano anche modificare le Colt o le Remington 44, accorciandone sia il tamburo che la canna per renderle meno vistose e ingombranti. Le armi da fuoco così ottenute erano del tutto imprecise da lontano, ma ideali per sparare a bruciapelo o al massimo a qualche metro di distanza. Anche le pepperbox, pistole a canne multiple, avevano gli stessi vantaggi e gli stessi limiti. Merita una menzione speciale, infine, la Protector, una pistola “da palmo”: la si poteva tranquillamente nascondere nel palmo della mano, un dito rimuoveva la sicura e, stringendo il pugno, si azionava il grilletto posizionato nella parte posteriore e si sparava un proiettile calibro .32.
Ma ritorniamo al Mississippi e alle crociere di Lottie sugli steamboats, splendenti di luci e cariche d’oro. La rossa aveva classe e, per essere ammessi al suo tavolo, occorreva mantenere un certo contegno: ci si toglieva il cappello, non si fumava, non si beveva e, soprattutto, non si imprecava. Alle sue spalle, Mary Poindexter teneva a bada i giocatori scalmanati o irrispettosi.
Ancora Lottie Deno
Di tanto in tanto, i battelli a pale si arenavano sul fondo sabbioso e i passeggeri erano costretti ad aspettare che venissero disincagliati. In una di queste occasioni, si racconta che Lottie e l’inseparabile Mary avessero deciso di fare una passeggiata lungo la riva. Ad un certo punto, mentre Lottie la precedeva con il suo vezzoso parasole di seta, la tata scorse, nascosto nell’erba, un serpente a sonagli sul punto di attaccare, e fu pronta a saltargli sopra per difendere la padrona. Il gesto eroico la portò molto vicina alla morte, ma, grazie all’amputazione di un dito, Mary riuscì a sopravvivere. In un’altra occasione, l’erculea assistente scagliò oltre la balconata del battello un giovane soldato dell’Unione, che si era incautamente permesso di asserire che la sua padrona stesse barando.
Ad un certo punto, Charlotte e il suo amante si divisero e si diedero appuntamento a San Antonio, in Texas: Johnny Golden arriverà a quel fatidico appuntamento con cinque anni di ritardo.
Prima di arrivare in Texas, Lottie si soffermò per qualche tempo a New Orleans, la mecca dei giocatori d’azzardo, una sorta di luna park per adult che lei aveva già imparato a conoscere da piccola, quando era in compagnia di suo padre.
Nelle lussuose hall di hotel quali il Saint Charles, il Creole Orleans o il Victor’s si svolgevano accanite ed epiche partite di poker e di faraone. Tanta era la febbre del gioco che la gente scommetteva su qualsiasi cosa: dallo spegnere a pistolettate per 20 volte consecutive una candela a dodici passi di distanza fino ai combattimenti di galli o alle corse dei topi. La fama di Lottie si andava accrescendo e i “polli” (suckers nel gergo di allora) facevano la fila per farsi spennare dalla bella gambler con i capelli rossi.
In Texas, proprio a causa della sua bellezza, Lottie venne chiamata l’Angelo di San Antonio. Nel corso della sua lunga e fruttuosa carriera, collezionò diversi soprannomi: fu Laura Denbo, Faro Nell, Mystic Maude e Lottie Deno, che non è altro che la contrazione di “A lotta of dinero”, un sacco di soldi. I soprannomi erano una buona pubblicità, ma anche un buon modo per proteggersi da eventuali ritorsioni.


Un battello a vapore

Anche a San Antonio il gioco d’azzardo aveva un certo seguito, e Lottie non tardò a trovare impiego presso il locale di Frank Thurmond, lo University Club, dove le veniva assegnata una percentuale sugli incassi. Manco a dirlo, anche Frank Thurmond era un giocatore professionista, aveva gli occhi chiari e del sangue Cherokee nelle vene: fu amore.
Una sera, Frank ebbe un alterco con un altro giocatore: dalle parole si passò ai fatti e il gambler piantò il suo “Quinto Asso” nel cuore dell’uomo. Si dice che Frank tenesse un coltello bowie appeso con un laccio alla schiena, in modo da poterlo prendere facilmente, attraverso il colletto della camicia: un trucco che insegnò anche al suo amico e collega Doc Holliday, la leggendaria spalla di Wyatt Earp, che incontreremo ancora nel corso di questa storia.
La famiglia del morto mise una taglia sulla testa del biscazziere e questi fu costretto ad abbandonare la città in fretta. Lottie Deno lo seguì nella sua fuga nel Texas Occidentale, visitando – e spennando – vari villaggi di frontiera, quali Fort Concho, San Angelo, Denison, Fort Worth e Jacksboro, per arrivare infine a Fort Griffin.
Durante le loro cavalcate, i due si imbatterono in cowboys che scortavano mandrie di longhorns, giacche blu appostate nei forti, indiani Comanche alla ricerca di bisonti sempre più rari e difficili da trovare.


Un altro “holdout”

Fort Griffin era appunto un insediamento militare, costruito nei pressi del Red River, un tributario del fiume Mississippi, per difendere i coloni dalle incursioni dei Kiowa e dei Comanche. Il forte si trovava all’incrocio di due piste famose per il trasferimento del bestiame ed aveva avuto una grande espansione a causa del commercio delle pellicce di bisonte, che ebbe un nuovo boom intorno al 1870.
Il posto era frequentato da soldati, commercianti di pelli e mandriani, che, al calare delle tenebre, affollavano i molti saloon e postriboli del posto per bere e giocare d’azzardo. Fort Griffin, anche noto come “The Flat”, non godeva di una buona fama: in molti lo definivano “la città più dura del Texas” e si diceva che “ogni giorno facesse colazione con la vita di un uomo”. Lungo le sue strade polverose, si potevano incrociare personaggi del calibro di Pat Garrett e Billy The Kid, John Wesley Hardin e Bat Masterson.
Apparentemente, non era un posto adatto alle signore dell’alta società, ma Lottie ci si trovò benissimo fin da subito. I due si installarono al Bee Hive Saloon, e lei iniziò a diventare popolare come mazziere al tavolo del Pharoh, in italiano Faraone, un gioco di puntate a carte proveniente dalla Francia che era estremamente popolare a quei tempi, quasi quanto il poker. Il saloon aveva le classiche porte a respingente e sull’ingresso si poteva leggere questa insegna:

Whithin this Hive, we are alive;
Good whiskey makes us funny.
Get your horse tied, come inside;
And taste the flavour of our honey.

[In questo Alveare, cerchiam di prosperare;
il buon whiskey ci fa scherzare.
Il cavallo vai a legare, poi potrai entrare;
E il nostro miele potrai gustare.]

Fu in questo locale che Lottie incontrò Doc Holliday, che divenne ben presto un suo ammiratore. Il pallido Doc, fiaccato dalla tisi e dal troppo laudano, ma ancora veloce e letale, trascorreva sempre più tempo al suo tavolo, spendendo ingenti somme, fino a tremila dollari in un giorno, che a quei tempi erano una vera fortuna. La leggenda narra che tutte queste attenzioni finirono per ingelosire la compagna di Doc, Kate “Big Nose” Elders, che un giorno fece irruzione nella sala da gioco e accusò la gambler di star cercando di rubare il suo uomo. I toni si alzarono e le due donne iniziarono ad accapigliarsi. Quando stavano per mettere mano alle pistole, Doc intervenne per calmare gli animi.

La vita a Fort Griffith era tutt’altro che noiosa: un giorno ricomparì anche Johnny Golden, il fantino-biscazziere che fu il primo amore di Lottie Deno. Lo si vide aggirarsi per i saloon, reclamando la sua “sposa”, ma la sua permanenza in città durò un giorno soltanto: all’alba, lo trovarono morto in un vicolo con una pallottola nella schiena. Non è dato sapere chi fu a ucciderlo, ma una cosa la si sa per certo: Lottie pagò le spese per la bara e il funerale, ma non vi prese parte.
Per fare quel genere di vita occorreva un certo sangue freddo, e questa era un’altra qualità che a Lottie Deno non mancava. Un giorno, due giocatori professionisti, Monte Bill e Smokey Joe, litigarono al Bee Hive per una questione di carte. Anche in questo caso, la lite seguì un copione abbastanza classico: dapprima le reciproche accuse di barare, poi gli insulti, le urla e infine a parlare furono le pistole. Quando lo sceriffo entrò nel saloon, a terra c’erano i cadaveri di entrambi i duellanti, che si erano ammazzati a vicenda. Tutti gli altri se l’erano data a gambe non appena l’atmosfera aveva cominciato a farsi rovente, con l’eccezione di Lottie Dine, che era tranquillamente seduta al tavolo, tutta intenta a contare i propri gettoni.
Lottie Deno
Raccontano che, quando l’uomo di legge gli disse che non riusciva proprio a capire perché mai fosse rimasta sul posto, si limitò a mormorare: “Perché non siete mai stato una donna disperata”. Per la cronaca, i soldi dei due defunti gambler erano spariti dal tavolo. Probabilmente, erano accidentalmente scivolati nel capiente borsellino di Lottie.
Nel 1877 lei e Frank lasciarono la poco ridente contrata di Fort Griffin per trasferirsi nel New Mexico, dove nel 1880, a Silver City, finalmente convolarono a giuste nozze. I novelli sposi rilevarono il Broadway Restaurant di Silver City e continuarono con la vita di sempre, fatta di carte e vita notturna, fino a quando Frank Thurmond mise di nuovo mano al Bowie per uccidere un altro uomo. Anche in questo caso, si trattava di autodifesa, ma per i due fu un punto di svolta: Lottie e Frank decisero di farla finita con il gioco d’azzardo.
Trasferitisi a Deming, una cittadina a metà strada tra Silver City e la cittadina di El Paso, Frank Thurmond e signora si trasformarono, finalmente, in “persone serie” e rispettabili. Frank ebbe un notevole successo con le miniere e la compravendita di case, al punto da diventare Vice-Presidente della banca di Deming. Lottie Deno, invece, diventata Charlotte Thurmond e iniziò a frequentare assiduamente la chiesa locale, dedicata a San Luca, della quale finanziò addirittura una ristrutturazione.
Pare di vederli seduti in sedia a dondolo, a fissare le fiamme nel camino, compiaciuti del loro riconquistato status borghese, ma, forse, con un po’ di nostalgia per le avventure e i peccati di una vita trascorsa al tavolo verde.
La loro storia durò per ben 40 anni, fino alla morte di Frank nel 1908. Lottie gli sopravvisse per altri 26 anni e morì nel 1934, a novant’anni. Volle essere sepolta di fianco al suo Frank, con la sua lapide un po’ indietro rispetto alla spalla sinistra del marito, ricordandosi della “sedia dell’osservatore”, quella sulla quale era solita sedersi quando i due gambler lavoravano in coppia.

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