Little Big Horn: Custer vinto dai cecchini?

A cura di David Keys

Una delle più famose battaglie del Nordamerica Little Big Horn non è stata la gloriosa, disperata resistenza che vuole la leggenda. Dopo dieci anni di ricerche archeologiche e storiche, un gruppo di studiosi americani ha concluso che il battaglione del generale Custer si è semplicemente disgregato, provocando così la sua fine.
Il libro “Archeologia, Storia e l’ultima battaglia di Custer” (di Richard Fox, University Oklahoma Press) offre la prova archeologica ricavata dal campo di battaglia 750 pallottole 450 bossoli, 9 punte di frecce, tre pezzi di pistola, una ventina di bottoni e una certa quantità di ossa, appartenenti ad almeno 33 uomini che non c’è stata resistenza all’ultimo sangue e probabilmente neppure un combattimento corpo a corpo su quella che, dal giorno della battaglia, è diventata per tutti la Collina dell’ Ultima Resistenza.
Le testimonianze archeologiche, raccolte da un’ equipe guidata dall’ archeologo americano Richard Allan Fox, provano invece che gli uomini di Custer erano impegnati in un’ azione offensiva e non difensiva quando subirono una serie di disgregazioni tattiche catastrofiche. Non era mai successo in precedenza che un campo di battaglia venisse sottoposto a un esame archeologico così minuzioso e raramente si è fatto ricorso in maniera così decisa all’ archeologia per chiarire aspetti controversi della storia. Applicando tecniche forensi di analisi dei bossoli e delle pallottole, i ricercatori hanno potuto seguire gli spostamenti dei singoli soldati e delle diverse compagnie attraverso il campo di battaglia. Il lavoro archeologico e forense ha rivelato che la disgregazione cominciò con la compagnia “C”, impegnata a snidare gli indiani da una gola, mezzo miglio a Sud Est di quella che è diventata la Collina dell’ Ultima Resistenza.


La mappa della battaglia

Anzichè stanare gli indiani, le truppe si trovarono però al centro di un fuoco proveniente da un vicino crinale, dov’ era appostato un certo numero di indiani armati di fucili a ripetizione. Tutti gli uomini della compagnia “C” furono uccisi, incapaci di resistere all’ attacco. La compagnia “L”, che copriva la compagnia “C” da una piccola altura qualche centinaio di metri più in là, venne a sua volta assalita e liquidata. I pochi sopravvissuti trovarono scampo presso la compagnia “I”, 400 metri a Nord, sulla quale però gli indiani concentrarono il loro attacco, con la tecnica dei franchi tiratori e non con un combattimento corpo a corpo. Quasi tutti i bianchi furono abbattuti uno a uno. Ne sopravvissero una ventina, che riuscirono a raggiungere la postazione di comando di Custer su quella che sarebbe diventata la Collina di Custer. Sembra che a questo punto il generale abbia spedito a Sud cinque soldati a cavallo, in un vano tentativo di chiedere aiuto. Mandò anche 40 uomini (la compagnia “E”), quasi la metà delle forze che gli erano rimaste a piedi, verso Ovest, in un piccolo canyon detto Deep Ravine (Gola Profonda).


Un momento della grande battaglia

La compagnia “E” finì rapidamente sotto il fuoco indiano e si disintegrò, mentre i cinque mandati a chiedere rinforzi non riuscirono a trovare un passaggio e fallirono dunque la loro missione. Intanto gli indiani avevano iniziato l’ accerchiamento della postazione di comando di Custer, al quale erano rimasti soltanto 60 uomini. Questi vennero uccisi a uno a uno dai fucilieri indiani, nonostante il tentativo di nascondersi dietro le carcasse dei cavalli morti. Probabilmente non ci fu nessun combattimento corpo a corpo e in definitiva nessuna gloriosa resistenza. Settecento metri a Est, nella Deep Ravine, i superstiti della compagnia “E” si nascosero dietro i cespugli, inutilmente cercando di proteggersi dalle pallottole indiane. Qualcuno riuscì a sopravvivere qualche ora in più dei suoi ugualmente sfortunati compagni della Collina dell’Ultima Resistenza.


Ancora un dipinto sulla battaglia

L’unico punto su cui archeologi e storici militari tradizionali concordano è che nessuno dei 210 uomini di Custer sopravvisse per raccontare la vera storia della battaglia. L’ archeologia si limita a provare per la prima volta che non ci fu nessuna strenua resistenza: le compagnie del battaglione di Custer semplicemente crollarono come una pila di pezzi di domino. Secondo le nuove informazioni fornite da questi dieci anni di ricerche, il battaglione di Custer andò incontro alla sua tragica fine mentre era impegnato nell’inseguimento di donne e bambini indiani che si erano rifugiati in un grande villaggio. Da tempo si pensava che Custer volesse attaccare il villaggio stesso. Ora sembra che in realtà stesse dando la caccia ai suoi abitanti: il suo compito era infatti quello di spingere la popolazione indiana in una riserva. Il lavoro archeologico del dottor Fox spiega abbastanza bene perchè Custer perse la sua battaglia.


Le lapidi sulla collina dove morì Custer

Dimostra infatti che egli divise i suoi 210 uomini, mandandoli in quattro direzioni diverse disseminate su un territorio troppo vasto per poter essere ben controllato. Questa divisione delle forze si rivelò un grave errore tattico. Il materiale archeologico pallottole e bossoli conferma anche che le armi dei bianchi erano inadeguate al tipo di battaglia che andava sviluppandosi. A una distanza relativamente breve (50 100 metri), i fucili a ripetizione degli indiani erano molto più efficaci delle carabine, che sparavano un solo colpo per volta. In più, una parte dei soldati di Custer erano giovani reclute, ancora inesperti di guerra E tutti erano molto affaticati. Subito dopo la battaglia vennero mosse alcune critiche a Custer, che però fu subito trasformato in eroe, il coraggioso condottiero di un coraggioso manipolo che aveva resistito “fino all’ ultima pallottola”.
Il mito che il battaglione di Custer del VII Cavalleria era morto onusto di gloria non fu comunque un deliberato tentativo di inganno. Dopo tutto, se nessun uomo era sopravvissuto alla battaglia non ci poteva essere un racconto definitivo di parte bianca.


Una rappresentazione indiana del Little Big Horn

Negli anni successivi, i capi indiani che vi avevano preso parte temevano le autorità americane e non avevano nessuna voglia di calunniare Custer, che era già diventato un eroe, se non addirittura un martire. Anche le poche critiche militari mosse subito dopo la battaglia vennero rapidamente tacitate perchè provenivano da persone notoriamente poco amanti di Custer. L’ immagine eroica venne costruita dalla stampa americana e nutrita per decenni dalla vedova di Custer, che morì soltanto nel 1933. Nell’ anno della battaglia, il 1876, l’ America celebrava il suo primo centenario come nazione e non era certo quello il clima per recriminazioni su Little Big Horn. Gli americani volevano un eroe, e un eroe avevano trovato.

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