I vampiri del New England

A cura di Gian Mario Mollar


Un kit anti-vampiri venduto a Boston intorno al 1840

“Da quando ho iniziato a cercare, mi sono convinto a perseverare nella ricerca… e questa mattina ho aperto la tomba di mia figlia… che è morta… – la più giovane delle mie tre figlie – quasi sei anni fa… Nell’esaminare il cadavere, i polmoni non si erano disfatti, ma contenevano ancora del sangue, sebbene non fosse fresco, ma grumoso. I polmoni non apparivano come si potrebbe supporre potrebbero apparire in un corpo appena deceduto, ma erano di gran lunga più vicini a uno stato di solidità di quanto ci si sarebbe aspettati. Il fegato, mi hanno riferito, era sodo come i polmoni. Abbiamo messo i polmoni e il fegato in una scatola separata e l’abbiamo sepolta nella stessa tomba, dieci pollici o un piede al di sopra della cassa”.
Queste macabre righe sono tratte da una lettera scritta nel 1788 del Reverendo Justus Forward, Pastore della Chiesa Congregazionista di Belchertown, in Massachusetts.
Quali oscure ragioni possono spingere un pastore puritano a profanare il luogo di sepoltura e il cadavere della propria figlia? Ma soprattutto, cosa giaceva in quella tomba?
Per rispondere a queste domande, dobbiamo fare qualche passo indietro.
L’archetipo del vampiro, infatti, affonda le sue radici nella notte dei tempi ed è presente in moltissime culture differenti. L’antenata più antica e illustre è sicuramente la conturbante dea mesopotamica Lilith, demone associato alla morte e alla malattia, ma anche alla lussuria, che rapiva i neonati dalle culle per suggerne il sangue, che verrà poi ripresa anche dalla tradizione ebraica, come prima moglie di Adamo.


L’agguato notturno

Si pensi poi al Vetala, il principe dei vampiri della mitologia hindu, mezzo uomo e mezzo pipistrello, che si impossessa dei cadaveri, protagonista di un bellissimo romanzo a cornice – antesignano delle Mille e una notte – scritto da Somadeva Batta nell’XI secolo. Ma la lista è davvero lunga, e continua – per citare solo i più famosi – con gli upiri dei Balcani, anime abiette che prendono possesso di corpi in decomposizione, e con gli strigoi rumeni, persone malvage che ritornano in vita per succhiare il sangue ai loro parenti e alle persone a loro vicine, causandone dapprima il deperimento e poi la morte.
Esiste, da sempre, un legame tra le epidemie e il vampirismo: non è un caso, infatti, che nel corso del Medioevo e poi via via fino al 1600, in Europa, i casi di vampirismo coincidano in genere con le grandi, e ben più prosaiche, epidemie di peste.
Il meccanismo che sta alla base del mito del vampiro è piuttosto semplice: alla constatazione della morte di una persona , fa seguito quella dell’ammalarsi e del decesso di altri membri della stessa famiglia (o della stessa comunità). In un mondo che ancora non conosce il propagarsi dei germi (il tedesco Robert Koch isolerà il batterio della tubercolosi solo nel 1881), l’inferenza sorge spontanea: è il primo morto che, non avendo trovato pace, continua a tormentare i vivi e si nutre della loro forza vitale, rendendoli simili a lui. A questo punto, è necessario tornare sul luogo di sepoltura del primo “vampiro” e riesumarne i resti per neutralizzarlo e arrestare il contagio. Come afferma Paul Barber, “il vampiro può essere definito come un cadavere che attira l’attenzione della popolazione in un momento di crisi e viene preso per la causa di quella crisi”.
Con questi pochi cenni storici, è più facile comprendere il bizzarro comportamento del Reverendo Forward.
Tre delle sue figlie sono già morte di consunzione e ora che anche sua figlia Mercy ha iniziato a tossire sangue durante un viaggio in calesse per visitare un villaggio vicino, l’uomo di fede decide di tentare il tutto per tutto, di cedere anche alla superstizione pur di salvarla.
Dopo aver dissepolto la salma con l’aiuto dei suoi fedeli, il pastore ha separato il cuore e il fegato dal resto del corpo. Si tratta di una delle opzioni possibili: in altri casi, come vedremo, il cuore viene trafitto, oppure bruciato, oppure ancora è la testa del presunto vampiro a venire separata dal corpo.


New England Historical Society: un corpo pugnalato al petto

Manco a dirlo, l’atto disperato non servì a salvare la povera Mercy, ma l’autorizzazione e l’esecuzione di questo rito non certo cristiano ebbero quanto meno l’effetto di ristabilire l’ordine e la sicurezza nel villaggio, allontanando fobie soprannaturali e ancestrali.
Il terrore del vampiro è migrato, proprio come le malattie infettive, dalla Vecchia Europa al Nuovo Mondo, diffondendosi, per tutto il XIX secolo, nel territorio del New England. Nei casi che analizzeremo, la causa scatenante fu la tubercolosi, una malattia che decimò intere famiglie e comunità in un modo che, all’epoca, appariva inspiegabile e misterioso.
Mentre a Ovest i pionieri combattevano contro gli indiani e i mille stenti di una vita avventurosa, nell’estremo Est degli Stati Uniti i coloni si confrontavano con i sintomi di questo morbo, che erano altrettanto letali e comprendevano il progressivo deperimento (non a caso, un altro modo di chiamare la tubercolosi era appunto “consunzione”), affaticamento, sudori notturni e una continua tosse che, in alcuni casi, produceva dei sanguinamenti a livello polmonare. Insomma, l’impressione era quella di un progressivo “svuotamento” del malato, e faceva supporre che ci potesse essere qualche essere soprannaturale intento ad assorbirne le energie. Dal momento che la trasmissione dell’infezione avveniva per prossimità, i primi a venire contagiati erano i familiari della vittima, e questo contribuiva a rafforzare la convenzione che esistesse un vampiro all’interno della famiglia, che attirava nel sepolcro i parenti sopravvissuti.
Per quanto inquietanti, i vampiri del New England non avevano lo charme e la sensualità dei loro più recenti epigoni letterari e cinematografici. Anziché aggirarsi in completo scuro per depositare ambigui baci sul collo delle loro vittime, si limitavano a giacere nelle tombe, sfruttando i legami affettivi e spirituali con i parenti per nutrirsi e gonfiarsi di sangue come ributtanti e semi putrefatti parassiti. La loro esistenza non era inserita in un sistema strutturato di credenze, ma era più simile a un dato folkloristico, un rimedio popolare che personificava un male ignoto e letale.
Con queste caratteristiche, i vampiri americani sono simili a un particolare tipo di vampiro del Vecchio Mondo, il “Masticatore di sudario” o Nachzeherer, presenti nel folklore bavarese e in quello della Casciubia, una regione della Polonia. Anche questo vampiro, infatti, non esce mai dalla tomba, dove si limita a giacere come una larva, in uno stato di semi letargo, durante il quale mastica il sudario nel quale è avvolto.
La tomba di Mercy Lena Brown
L’unico modo per interrompere questa eterna masticazione di tessuto – che, sebbene apparentemente innocua, pare avere delle influenze negative sui viventi – è quello di riaprire la tomba e inserire tra le fauci del mostro un mattone o una moneta, in modo da bloccarle per sempre. Se, invece, si preferisce un rimedio più drastico, si può sempre decapitare il vampiro, uccidendolo definitivamente.
Un esempio particolarmente significativo di Nachzehrer è stato scoperto nel 2006 nella Laguna di Venezia, sull’isola del Lazzaretto Nuovo, all’interno del cimitero che contiene le fosse comuni delle vittime delle pestilenze del 1576 e del 1630. L’analisi forense, condotta da Matteo Borrini, ci ha restituito un ritratto sorprendentemente vivido della “Vampira di Venezia”, che non era una sciantosa e aristocratica vamp in stile Contessa Bathory, ma un’anziana donna di 61 anni, alta un metro e sessanta, appartenente alla classe meno abbiente, come testimoniano le ossa delle scapole, usurate da un lavoro pesante, e, lungi dal nutrirsi di sangue, aveva una dieta ricca di vegetali. Dapprima avvolto in un sudario, il corpo del supposto revenant venne riesumato attorno al 1630 e un frammento di mattone venne incastrato tra i denti, per bloccarne la nefasta (e immaginaria) attività.
Le spiegazioni di questo fenomeno sono state molte e piuttosto fantasiose: dall’azione notturna di ratti alla possibile morte apparente dei malcapitati vampiri, dalla permanenza di un’anima vegetativa nel corpo, di aristotelica memoria, all’azione soprannaturale di demoni che si impossessano del cadavere e lo obbligano a masticare. Il genitore di quest’ultima ipotesi merita senz’altro una menzione, è il teologo tedesco Philip Rohr che nel 1679 pubblicò una Dissertatio Historico-Philosophica de Masticatione Mortuorum, nel quale presuppone che il fenomeno sia ascrivibile a una possessione demoniaca.


Providence Journal su Mercy Brown

La verità è, probabilmente, assai meno affascinante. Pare, infatti, che il sudario si decomponesse più velocemente in corrispondenza della bocca del morto, sede particolarmente ricca di germi e batteri, ma anche sfiato dei gas e dei liquami prodotti dalla decomposizione, dando così l’impressione di essere stato masticato.
Il panico vampirico nel New England fu qualcosa di più di qualche episodio isolato: gli antropologi Paul Sledzik e Nicholas Bellantoni hanno identificato oltre 80 casi di questo tipo, cosa che fa pensare a una convinzione popolare piuttosto diffusa.
Nel Novembre 1990, a Griswold, nel Connecticut, nel corso di scavi eseguiti da un’azienda privata per recuperare sabbia e ghiaia, venne alla luce il cimitero della famiglia Walton, un luogo di sepoltura abbandonato, risalente al XVIII e XIX secolo, in cui giacevano 29 scheletri. Uno di questi, sul cui sarcofago sono state rozzamente incise le iniziali JB e il numero 55, probabilmente l’età, presenta una caratteristica davvero particolare: la testa è stata spiccata dal busto e le ossa sono state ri-disposte post-mortem, in modo da formare una composizione simile a quella del Jolly Roger, la bandiera dei pirati con teschio e ossa incrociate. L’analisi archeo patologica ha poi dimostrato che il corpo di quest’uomo era, probabilmente, dal tipo di dieta e di acciacchi, quello di un contadino tra i 50 e i 55 anni, che aveva sofferto di un’infezione polmonare dovuta alla TBC, constatabile attraverso le microlesioni sulle costole.
I resti, in sostanza, raccontano di un rituale apotropaico risalente al 1850 circa, in cui il corpo del presunto untore era stato dissepolto e neutralizzato attraverso la redisposizione a croce delle membra. Questa particolare disposizione suggerisce che, probabilmente, il cadavere era già in avanzato stato di decomposizione al momento del disseppellimento, e quindi non era stato possibile trovare un cuore da trafiggere o da bruciare.
Forse il caso più famoso di panico vampirico è quello di Mercy Lena Brown (nessun legame con la Mercy citata in apertura). La vicenda si svolge nella cittadina di Exeter, nello Stato di Rhode Island, che, alla fine del 1800, era deserta e spopolata al punto da sembrare una “ghost town”. La Guerra Civile e le epidemie di tubercolosi, iniziate nel 1730, avevano decimato la popolazione, lasciando intere fattorie disabitate e i campi abbandonati.
La famiglia Brown viveva ai margini orientali della città, in una casa colonica circondata da pochi acri di terra sassosa. La “consunzione” iniziò a colpire la famiglia nel dicembre del 1882: la prima a morire fu la madre di Mercy, Mary Eliza. L’anno dopo, la seguì la sorella di Mercy, Mary Olive, una ragazza di 20 anni che faceva la sarta. Un necrologio del giornale cittadino descrive il suo difficile trapasso: “Le ultime ore che ha vissuto sono state di grande sofferenza, ma la sua fede è rimasta salda e lei era pronta per il cambiamento”. Al suo funerale c’era l’intera città, che cantò l’inno “One Sweetly Solemn Thought”, che lei stessa aveva scelto per l’occasione.


Il teschio di un presunto vampiro

All’epoca di questi lutti, Mercy Lena era soltanto una bambina. La malattia colpì anche lei, quasi 10 anni dopo. Morì nel gennaio 1892, a 19 anni. Il suo necrologio fu molto più scarno di quello della sorella: “Miss Lena Brown, ammalata di consunzione, è morta domenica mattina”.
Mentre Mercy giaceva sul letto di morte, anche il fratello Edwin si ammalò del medesimo male.
A questo punto il capo famiglia, George Brown, prostrato dai troppi lutti, si decise a tentare un rimedio estremo. Troppe tragedie avevano colpito la medesima famiglia, tanto da far pensare che ci fosse qualche spirito maligno all’opera, che si stesse accanendo sui suoi famigliari. I vicini lo consigliarono e lo spinsero a non lasciare nulla di intentato, un po’ per salvare il povero Edwin, ma anche, e soprattutto, per tutelare le loro famiglie dall’oscura minaccia.
Il mattino del 17 marzo 1892, un drappello di uomini si recò al cimitero di Exeter, accompagnati dal medico di famiglia e da un corrispondente del giornale locale. Il padre, pur avendo dato il suo consenso, era assente, per ragioni comprensibili. La minaccia da scongiurare era quella di tre potenziali vampire, intente a banchettare di nascosto con la carne e il sangue del giovane Edwin Brown.
I fuochi dei roghi di streghe, nella vicina Salem, si erano spenti da due secoli esatti – i processi datano 1692 – ma la superstizione continuava a regnare, soprattutto nelle campagne. Come ebbe a scrivere Henry David Thoreau nel suo diario del 1859, a proposito di un caso analogo: “Non si finisce mai di sradicare la barbarie dall’uomo. Ho appena letto di una famiglia in Vermont i cui membri, dopo che diversi dei loro famigliari sono morti di consunzione, hanno bruciato i polmoni, il cuore e il fegato degli ultimi deceduti, con lo scopo di impedire che altri ancora ne venissero contagiati”. Lo scrittore, autore dell’immortale Walden, morì anch’egli di tubercolosi nel 1862.
Nel cimitero di Exeter venne fatto qualcosa di molto simile. Le tre tombe delle Brown vennero aperte. I cadaveri di Mary Eliza e Mary Olive, morte dieci anni prima, erano poco più di un mucchio di ossa. Mercy Lena, invece, a differenza della madre e della sorella, era morta soltanto da qualche mese ed era ancora inverno.


Tombe nel New England

Come scrisse in seguito il reporter: “il corpo era in uno stato piuttosto ben conservato. Il cuore e il fegato furono asportati e, aprendo il cuore, si poté trovare del sangue raggrumato e decomposto”. Nel corso di questa autopsia improvvisata, il dottore poté ancora una volta constatare le evidenti tracce della tubercolosi nei polmoni.
Gli improvvisati Van Helsing continuarono poi bruciando il cuore e il fegato della giovane donna su una pietra nei paraggi. Le ceneri vennero poi somministrate a Edwin Brown, che morì comunque, meno di due mesi dopo.
Ma che cosa si nascondeva realmente nelle tombe dei “vampiri”? Le diverse cronache dell’epoca convergono nel raccontare di cadaveri gonfi di sangue, che in genere viene descritto come scuro e raggrumato. La presenza di questo liquame veniva considerata come una conferma dell’attività vampirica, ma, in realtà, si trattava più banalmente di un semplice prodotto della decomposizione.
Le conoscenze tanatologiche dell’epoca, infatti, erano piuttosto approssimative, e si limitavano, in genere, alle prime fasi successive al decesso, quali il raffreddarsi del cadavere, l’algor mortis, e il suo successivo irrigidimento, il rigor mortis. Anche le persone che avevano a che fare con i cadaveri per professione, come i medici o, in qualche caso, gli artisti, lavoravano di solito con cadaveri relativamente “freschi”.
Le fasi successive della decomposizione, quali l’azione degli insetti necrofori e la conseguente produzione di liquami e gas, che gonfiano e deformano il cadavere, erano un processo in gran parte ignoto, celato nell’oscurità delle tombe.
Ecco dunque svelato il mistero dei vampiri del New England, che altro non erano se non semplici salme in avanzato stato di decomposizione, travisate e mitizzate dalla superstizione popolare.
Con il volgere del secolo i vampiri migrarono dal folklore alla letteratura: il rozzo succhiasangue delle credenze popolari, scacciato dal mondo reale grazie alle nuove scoperte mediche e scientifiche, si rifugia nella letteratura e si evolve in un affascinante topos letterario.
All’epoca dei tragici fatti che interessarono la famiglia Brown, lo scrittore irlandese Bram Stoker si trovava in tournée negli Stati Uniti con l’attore Henry Irving, in qualità di suo segretario personale. Il suo romanzo epistolare Dracula, destinato a rivoluzionare il mito del vampiro, fondendolo con la figura di un sanguinario sovrano rumeno del XV secolo, Vlad Tepes l’Impalatore, fu pubblicato nel 1897, ma ebbe una lunga gestazione, di quasi sette anni.
Il vampiro
È probabile, anche se non è dimostrabile da un punto di vista documentale, che qualche articolo della triste vicenda sia giunto sulla sua scrivania e che il personaggio di Lucy Westenra abbia tratto ispirazione dalla triste storia di Mercy Brown.
Le coincidenze non si esauriscono qui. Nel 1890 nacque in quei luoghi, a Providence, nel Rhode Isalnd, uno dei più grandi scrittori horror di tutti i tempi: Howard Phillis Lovecraft. Tra le sue pagine, dense di orrori indescrivibili e di divinità oscure provenienti dagli abissi del tempo e dello spazio, non si incontrano vampiri. Tuttavia Lovecraft, da erudito conoscitore dell’insolito e dell’occulto quale era, non poteva ignorare le inquietanti esumanzioni che solo una ventina di anni prima della sua nascita erano accadute nella sua terra. Il visionario di Providence, infatti, ammicca ai vampiri del New England in uno dei suoi primi racconti, “La casa stregata” del 1924, nel quale fa dire a uno dei protagonisti: “Non assumere nessuno di Nooseneck Hill, luogo di scomode superstizioni. Recentemente, nel 1892, una comunità di Exeter ha riesumato un cadavere e ne ha cerimoniosamente bruciato il cuore, per porre fine a certe presunte “visitazioni”.”
Cambiando forma e contesto, attraversando il tempo e lo spazio, dall’antica Babilonia fino alle cupe e umide coste del New England, evolvendosi incessantemente per arrivare fino ai giorni nostri, in un proliferare di riletture letterarie e cinematografiche, l’archetipo del vampiro continua a proiettare la sua ombra inquietante sull’umanità.

Consigli per le letture:

  • Michael E. Bell, Food for the Dead: On the Trail of New England’s Vampires, Wesleyan University Press, 2001
  • Matteo Borrini, Il vampiro in obitorio, un’analisi medico-legale delle credenze sui non-morti, in Massimo Polidori (a cura di), La scienza dei mostri, Cicap, 2011.
  • Gianfranco Manfredi, Ho freddo, Gargoyle, 2008
  • Paul S. Sledzik and Nicholas Bellantoni, Bioarcheological and Biocultural Evidence for the New England Vampire Folk Belief, The American Journal of Physical Anthropology No. 94, 1994
  • George R. Stetson, The Animistic Vampire in New England, American Anthropologist Vol. 9, No. 1 (Gennaio 1896), pp. 1-13 (reperibile su www.jstor.org)

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