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La grande avventura del West

A cura di Sergio Mura

È uscito il nuovo libro di Domenico Rizzi “La grande avventura del West”, per i tipi delle Edizioni Parallelo45 di Piacenza.
Domenico Rizzi, conosciutissimo da tutti voi frequentatori di Farwest.it, è un affermato ed esperto autore di storia del west, certamente uno dei più preparati del panorama italiano. A lui si devono numerose e belle opere divulgative che esplorano il west in lungo e in largo, dall’esperienza dei Nativi, all’avanzata dei bianchi, alla forza dell’esercito, alle grandi battaglie, ai protagonisti più famosi e persino a quelli meno noti.
Questo nuovo libro, “La grande avventura del West”, è particolarmente prezioso perché non è un libro di sola storia della Frontiera americana, ma è un’opera che affronta anche il discorso letterario, cinematografico e fumettistico relativo al west a tutto tondo.
La maggior parte degli appassionati della cultura western conosce l’argomento soprattutto per merito del cinema e del fumetto, diffusi da decenni in ogni angolo della Terra. Domenico Rizzi si propone con questo libro di realizzare un progetto ambizioso: far conoscere, in una lunga disamina corredata di costanti riferimenti storici, che ha come punto di partenza l’opera di James Fenimore Cooper (L’ultimo dei Mohicani), la letteratura del genere, illustrando le principali pubblicazioni di celebri autori quali Zane Grey, Owen Wister, Mayne Reid, Karl May, Gustave Aimard e perfino dell’italiano Emilio Salgari, che, dopo avere assistito ad uno spettacolo di Buffalo Bill a Verona, dedicò al western un’avventurosa trilogia. Procedendo nel suo studio, l’autore analizza con molti approfondimenti l’attività letteraria di scrittori del Novecento, da James Warner Bellah a Clay Fisher, Max Brand, Theodore V. Olsen e Elmore Leonard, non trascurando il contribuito femminile di Edna Ferber, Mari Sandoz, Mary O’Hara e Laura Ingalls (La casa nella prateria). Il percorso letterario si incrocia naturalmente con la nascita e la crescita del cinema, alimentata in ogni epoca da grandi registi. Dai precursori David W. Griffith, Thomas H. Ince e Cecil B. De Mille, si snoda attraverso i più popolari Raoul Walsh, John Ford e Howard Hawks, fino agli artefici della rinascita del genere: il padre del western all’italiana Sergio Leone, i revisionisti Arthur Penn, Elliott Silverstein e Ralph Nelson, gli innovatori Lawrence Kasdan, Clint Eastwood e Kevin Costner. La grande avventura del West (che Rizzi ha dedicato allo scomparso Sergio Bonelli) è dunque una rilettura dell’intera storia della Frontiera (riepilogata nei primi 4 capitoli nei suoi elementi essenziali, ma spesso richiamata nei commenti successivi) attraverso le espressioni artistiche che l’hanno resa universalmente nota, affascinando per oltre un secolo intere generazioni e persone di ogni età.

Autore: Domenico Rizzi
Editore: Edizioni Parallelo45
Rilegatura: Brossura leggera
Pagine: 302
Prezzo: 11,05 €

Link per l’acquisto: IBS Internet Bookshop Italia

Data la particolarità di questo nuovo bel libro, abbiamo pensato – come in altre occasioni – di rivolgere a Domenico Rizzi qualche domanda in una piccola ma interessante intervista.

DOMANDA: Un nuovo libro sul West, ma questa volta imperniato sull’influsso che ebbero eventi e personaggi sulla letteratura e sul cinema western.

RISPOSTA: Si, un’opera un po’ diversa dalle altre, che ricalca in alcuni passaggi quella da me pubblicata a puntate su Farwest dal titolo “Il tesoro del West”…Partendo, nei primi 3 capitoli, da un riassunto delle vicende che portarono alla colonizzazione del Nord America, ho cercato di approfondirne l’aspetto letterario e la sua evoluzione, da “L’ultimo dei Mohicani” in poi, sconfinando inevitabilmente nel cinema, che ha costituito la principale fonte di diffusione della cultura western, senza tralasciare qualche accenno al fumetto, che ha avuto indubbiamente il suo peso.

D. Perché hai deciso di mettere su carta stampata un saggio di questo genere, peraltro molto impegnativo?

R. Premesso che non mi considero un critico letterario, né cinematografico, ma soltanto un discreto studioso della materia, ho constatato, attraverso l’esperienza di decine di presentazioni, che la stragrande maggioranza della gente conosce assai poco dell’enorme produzione letteraria fiorita intorno al genere. Molti hanno letto o almeno sentito parlare di James Fenimore Cooper, Zane Grey, Louis L’Amour o Elmore Leonard, ma pochi si sono fatti un’idea precisa della elevatissima quantità di romanzi e racconti diffusa, anche attraverso le dime novel e le pulp fiction, dalla fine dell’Ottocento ad oggi sul West. Per quanto riguarda il cinema, il discorso cambia sensibilmente: tutti hanno visto almeno un western con Gary Cooper, Gregory Peck o John Wayne, per non parlare dei film di Sergio Leone, Corbucci o Tessari. Ecco, questi ultimi sono talmente conosciuti, che qualcuno li considera come una bibbia del West, ignorando completamente lavori come “Ombre rosse”, “Il grande cielo”, “Mezzogiorno di fuoco” o “Sentieri selvaggi”…C’è del blasfemo in tutto questo.

D. A proposito dello spaghetti western, la tua analisi del filone italiano può sembrare a tratti impietosa…

R. Ammetto di non tenere in grande considerazione la maggior parte della produzione casereccia, perché, come osservò Sam Peckinpah, sebbene si tratti a volte di buoni film, quello che manca in essi è proprio il West. Anche Sergio Leone – dei cui film ho una notevole considerazione – si mostrava abbastanza critico verso certe produzioni italiane, soprattutto quando si trasformarono in opere comiche.

D. Quali sono dunque i principali difetti rilevati nel tuo libro riguardo al western ciociaro-andaluso?

R. Come ho scritto nel capitolo XII, “La rivoluzione introdotta dal western all’italiana sembrò il preludio alla nascita di un neorealismo che, nella realtà, il genere avrebbe sfiorato poche volte”. Nel senso che, appena esaurita la “trilogia del dollaro”, il filone si distanziò moltissimo dal western classico, proponendo trame ripetitive, violenze efferate e pistoleri solitari ancora più esagerati di quelli dei fumetti. Dopo Leone, per citare ancora un brano del mio libro, il western italiano precipita “in una discutibile farsa, popolata dai vari Mannaja, Cjamango, Garringo, Requiescant, Sartana, Sabata e Provvidenza, ostinatamente impostata su personaggi improbabili quanto i loro soprannomi e sequenze che di western hanno soltanto la monotona ritualità dei duelli, anch’essi macchinosamente artefatti.” Ecco, questa è la mia sintesi, senza offesa per nessuno. E’ peraltro vero che l’esperienza italiana si rivelò un ottimo affare commerciale, creando lavoro e riempiendo le sale cinematografiche, tanto che fruttò qualcosa come 250 miliardi di lire in un periodo in cui il western hollywoodiano languiva. Lo spaghetti western servì anche ad affermare un regista come Leone, a scoprire un attore poco noto come Clint Eastwood e a ripescare, trasformandolo in protagonista, un grande caratterista del calibro di Lee Van Cleef.

D. Parlando di autori letterari, anche le scrittrici rivestono un ruolo importante nella letteratura western.

R. La prima autrice di un racconto western fu Ann Sophia Stephens che pubblicò “Malaeska: the Indian Wife of the White Hunter” nel 1860. In seguito ve ne furono molte altre: Laura Ingalls, Mary O’Hara, Mari Sandoz, Edna Ferber…Perfino “Brokeback Mountain”, da cui è tratto il film omonimo, è stato scritto da un’anziana signora del Connecticut di nome Edna Annie Proulx. Poi non dimentichiamo un’Italiana che, giovanissima, fece del romanzo western il suo cavallo di battaglia. Alludo a May I. Cherry, pseudonimo della torinese Mariangela Cerrino, autrice di ben 18 libri di argomento western, molti pubblicati in passato da La Frontiera Edizioni di Bologna. Alcuni dei suoi migliori romanzi, quale per esempio “I fiumi del vento”, stanno per essere ristampati.
Oltre alle autrici di narrativa, ho menzionato diverse donne che arricchirono la conoscenza del vero West con i loro libri di memorie: Catherine Beecher, sorella della famosa Harriet, Susan Shelby Magoffin, Elizabeth Bacon, moglie del generale Custer; Frances Courtney Grummond, Margaret Sullivant Carrington, Martha Summerhays…Insomma, il West non fu un totale dominio dei maschi neppure sotto l’aspetto storiografico e letterario.

D. Sul revisionismo, che, come evidenzi tu stesso nel libro, fu “una corrente più cinematografica che letteraria”, il tuo giudizio non è sempre favorevole.

R. Infatti, ma è non soltanto la mia opinione. Ad un certo punto, dopo avere prodotto ottimi film quali “Un uomo chiamato Cavallo”, “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo” o “Nessuna pietà per Ulzana”, si esagerò con il voler riscrivere la storia a tutti i costi, introducendovi delle pseudo rivelazioni che altro non sono se non dei gossip, per giunta inventati. Un esempio è “Buffalo Bill e gli Indiani” di Altman, che, dal mio punto di vista, non è soltanto un film brutto e noioso, ma non possiede alcuna credibilità. Tanto di cappello a Robert Altman, ma quando si occupa di altri generi.

D. Neppure “Piccolo Grande Uomo” gode del tuo apprezzamento, mi pare.

R. E’ vero. Su un ottimo libro scritto da Thomas Berger, che offre una buona chiave di lettura del West, il regista Arthur Penn imbastisce un film che oscilla in continuazione tra la pura farsa e una semi-seria rappresentazione da palcoscenico, dipingendo alcuni personaggi nel modo più assurdo possibile. Per intenderci meglio: lo sceriffo Wild Bill Hickok è lontanissimo dalla figura tramandataci dalla storia e il generale Custer una vera e propria caricatura. No, forse Penn considera la conquista del West, quella reale, come un fumettone. Diverso il discorso riguardante “Soldato Blu”, di Ralph Nelson. Anche se il regista ha letteralmente stravolto la conclusione del romanzo di Theodore V. Olsen (“Arrow in the Sun”) il suo film ha “il merito di introdurre una rivoluzione nel western, avvicinandone il contesto a tematiche di grande attualità, mettendo a confronto i diversi punti di vista del colonizzatore e del Pellerossa”.

D. Nella tua rassegna di narratori western, hai concesso un adeguato spazio ad autori europei, quali l’irlandese Mayne Reid, il francese Gustave Aimard, il tedesco Karl May e il nostro Emilio Salgari, annoverandoli fra i precursori del genere.

R. Beh, per certi aspetti lo furono davvero. Le loro opere precedettero o seguirono di poco quello che è considerato il romanzo iniziatore del western moderno, “Il Virginiano”, di Owen Wister, pubblicato nel 1902, da cui sono stati tratti almeno 4 film importanti ed alcune serie televisive. Se le opere di May, Aimard o Salgari riflettono un po’ la conoscenza approssimativa che si aveva del West in Europa a quell’epoca, tuttavia esse contribuirono notevolmente a diffondere la cultura western oltre oceano. Quando Buffalo Bill giunse in Francia con il suo Wild West Show, scoprì che i libri di Aimard sul West erano abbastanza popolari e avevano contribuito a diffondere la conoscenza di quel selvaggio contesto alla gente, sebbene in un modo non sempre corrispondente alla realtà. Invece il nostro Salgari ebbe la fortuna di conoscere da vicino il colonnello Cody a Verona, nel 1890. Certo le sue opere si snodano sulle ali di una fervida fantasia, travisando spesso la realtà storica, ma riescono ad avvincere il lettore con il loro intreccio e la ricchezza delle descrizioni, né più né meno dei romanzi di Sandokan o del Corsaro Nero.

D. Nell’appendice del libro, intitolata “L’eredità della Frontiera”, dedichi ampio spazio al contemporary western, citando ottimi film quali “Hud il selvaggio”, “Solo sotto le stelle”, “Il cavaliere elettrico” e perfino “Brokeback Mountain”, ma anche opere letterarie, per esempio la “trilogia del confine” di Cormac Mc Carthy, dopo avere già parlato nel testo di Berick Traven e del suo “Il tesoro della Sierra Madre”.

R. Mi sembrava un modo di dare completezza alla trattazione, dal momento che la maggior parte delle opere citate – libri o film – sono decisamente di alto livello. Il contemporary western cinematografico, per chi non lo sapesse, si aggiudicò una quindicina di Oscar. Letterariamente non si possono ignorare opere quali appunto “Il tesoro della Sierra Madre” di Traven, “Il gigante” di Edna Ferber e i tre romanzi di Mc Carthy “Cavalli selvaggi”, “Oltre il confine” e “Città della pianura”, tutti ambientati in epoca moderna, ma in una terra che non sembra affatto cambiata rispetto al West della tradizione. La Frontiera, come ho spiegato nel mio libro, non si esaurisce con l’episodio del massacro di Wounded Knee nel 1890 e “diversi scrittori avevano già intuito, in momenti diversi, l’importanza di narrare l’evoluzione del West dalla sua fase più dinamica – la conquista delle Grandi Pianure – alla trasformazione indotta dall’arrivo del progresso, come aveva fatto la Ferber con “Cimarron” e “Il gigante” molto tempo prima.” Dunque il West continua il suo percorso, narrando magari la storia di un cowboy ribelle che sfida le recinzioni di filo spinato e gli sceriffi che gli danno la caccia (“Solo sotto le stelle”) o di un cavaliere da esibizione che sottrae un cavallo alle luci dei riflettori per restituirgli la libertà, infischiandosene degli obblighi imposti da un contratto televisivo (“Il cavaliere elettrico”). E’ western anche la scabrosa vicenda di due sorveglianti di pecore che si legano in un rapporto omosessuale, dopo essere cresciuti entrambi, come scrive Annie Proulx, “nella sconfinata tristezza delle pianure settentrionali”. Forse questo è il vero lato oscuro del West, che nessuno prima ha avuto il coraggio di narrare.
Quanto a Mc Carthy, i suoi romanzi – partendo da “Meridiano di sangue” – sono aspri e conflittuali come le selvagge solitudini in cui è ambientata la trilogia: un Messico che il tempo ha modificato soltanto in minima parte e che ricorda da vicino il selvaggio West.

D. L’ultima domanda vuole essere un po’ una sintesi dei tuoi punti di vista: quali consideri il miglior romanzo sul West, il miglior fumetto e il più bel film mai prodotto?

R. Difficile rispondere a tono, perché per ciascuno dei tre generi ve ne sono diversi che mi piacciono. Partendo dal fumetto, direi senz’altro “Tex”, ma non soltanto perché ho dedicato questo libro all’amico Sergio Bonelli. Tra i film sceglierei “Sentieri selvaggi” di John Ford, che contiene tutti gli ingredienti del western; il libro invece, potrebbe essere “Il cavaliere della valle solitaria”, di Jack Schaefer.