Le guerre indiane dal 1680 al 1840 – 17

A cura di Domenico Rizzi
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LA CRESCITA DEL WEST

La crescita del West, – come veniva intesa, nei primi decenni dell’Ottocento, l’area compresa fra i Monti Appalachiani ed il fiume Mississippi – era un fenomeno inarrestabile.
Dal 1810 al 1830 la popolazione di Kentucky, Tennessee, Ohio, Louisiana, Indiana, Illinois, Mississippi, Alabama e Missouri era aumentata da 1.073.000 persone di razza bianca o mista a quasi 3.400.000 e rappresentava oltre un quarto degli abitanti degli Stati Uniti.
Gli schiavi negri erano 2.329.000, mentre i Pellirosse, nel loro insieme, non contavano più di 450.000 individui. Di questi, soltanto il 22 per cento abitava ancora ad oriente del Mississippi.
Mentre il flusso migratorio dall’Europa era in ascesa – dalle 10.000 unità all’anno del 1820 si sarebbe passati alle 84.000 due decenni dopo – il progresso faceva sentire il suo peso determinante nella conquista del continente.


L’avanzata inarrestabile dei bianchi

Nel 1831 il virginiano Cyrus Mc Cormick aveva inventato la mietitrice meccanica, rivoluzionando gradualmente il lavoro degli agricoltori, mentre il marinaio Samuel Colt presentava il suo primo modello di “revolving pistol”, che da lui stesso prese il nome. Nel 1835 il revolver venne brevettato in Inghilterra e l’anno seguente anche negli Stati Uniti. Nel 1838 una società di Paterson, nel New Jersey, iniziò la produzione industriale della Colt, diffusa sul mercato in vari modelli e subito sperimentata dalle compagnie di “Ranger” texani a danno dei Comanche.


Un quadro che rappresenta il progresso visto dai bianchi

Dal 1830 gli Americani avevano iniziato a costruire i primi tratti di ferrovia, stendendo le prime 32 miglia di strada ferrata. Cinque anni dopo possedevano già 1098 miglia di rotaia, passati a 2.818 nel 1840.
Anche le comunicazioni fluviali avevano avuto un impulso notevole. Lungo il fiume Mississippi, gli “steamboat” trasportavano enormi carichi e grandi cantieri nautici erano sorti o stavano nascendo a Saint Louis, Cincinnati e Louisville. Le merci trasportate consistevano in riso, grano, cotone, zucchero, pellicce e legname, mentre il traffico passeggeri era in costante aumento. In meno di 4 giorni era possibile trasferirsi da New Orleans a Saint Louis e di qui proseguire verso altre destinazioni.
Dopo l’acquisto della Grande Louisiana, le esplorazioni del lontano Ovest erano continuate, soprattutto per merito di cacciatori di pellicce che non si fermavano davanti ad alcun ostacolo.


Un cacciatore con la sua preda

Il pessimismo generato dai rapporti del maggiore Stephen Long nel 1820 era stato già superato. L’area occidentale fra il Mississippi e le Montagne Rocciose non era soltanto il “Gran Deserto Americano”, ma offriva una serie di possibilità, che andavano dal commercio delle pellicce alla creazione di stabili insediamenti nelle regioni più fertili.
Nel 1824 Peter Ogden e Jim Bridger, risalendo in canoa il fiume Snake, avevano scoperto il Gran Lago Salato nella regione dell’Utah attuale. Altre esplorazioni, come quella di Henry Schoolcraft e J. N. Nicollet, avevano risalito i fiumi Minnesota e Platte, mentre migliaia di “trapper” – i cacciatori di pellicce – invadevano le nuove contrade attraversate dal fiume Missouri e dal Platte.
Per merito loro, sorsero Fort Laramie e Fort Bridger nel Wyoming, lungo la pista che, con la denominazione di “Oregon Trail”, avrebbe condotto in pochi anni migliaia di persone sulle coste del Pacifico.


Fort Bridger

Intanto altri volonterosi, come Moses Austin del Connecticut, avevano già ottenuto dalle autorità spagnole del Texas il permesso di creare insediamenti. Nel 1823 la colonia di San Felipe de Austin ospitava 300 persone di lingua inglese e ne richiese altre 500. Nel 1827 gli Americani insediati fra il Red River ed il Rio Grande del Norte erano 10.000, sette anni dopo oltre 26.000.
Nelle 13 ex colonie britanniche e negli Stati limitrofi, gli Americani erano saliti a 10.000.000 e molti segnali stavano da tempo ad indicare che gli Indiani dell’Est non avrebbero conservato a lungo quanto restava delle loro antiche dimore.
Nel 1825 il segretario alla Guerra, John Calhoun, aveva già avanzato la proposta di trasferirli tutti ad occidente, indennizzandoli con 30.000 dollari in aggiunta a varie mercanzie.
L’elezione di Andrew Jackson alla Casa Bianca nel 1830 segnò il destino delle tribù indigene dell’Est.


Il Presidente Andrew Jackson

Infatti, allorchè gli agguerriti coloni della Georgia si schierarono contro i Cherokee, il neo-presidente degli Stati Uniti non vi si oppose, come avrebbe potuto fare. Per giunta, nel 1831 la Corte Suprema rifiutò di riconoscere a questi ultimi la loro indipendenza come nazione, definendoli un popolo “dipendente e subordinato” all’autorità degli Stati Uniti.
Il sentiero delle lacrime
Su ricorso dei Cherokee, il supremo consesso presieduto da John Marshall ritornò sulla propria decisione un anno dopo, sentenziando addirittura che le leggi dello Stato della Georgia fossero “prive di efficacia” all’interno del territorio cherokee, ma la decisione rimase inapplicata.
Anzi, Jackson, di fronte al rifiuto delle autorità georgiane di rispettare la sentenza, dichiarò testualmente: “Ora che John Marshall ha preso questa decisione, spetta a lui farla rispettare”.
Ma fin dal 28 maggio 1830 “Old Hickory” aveva firmato, nonostante l’opposizione di molti, l’”Indian Removal Act”, prediponendo la deportazione in massa dei Pellirosse verso il “Territorio Indiano” dell’Oklahoma.

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