Le guerre indiane dal 1680 al 1840 – 13

A cura di Domenico Rizzi
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LA PRIMA SCONFITTA

L’azione di Aquila Rossa era stata rapida ed efficace, mirante soprattutto a intimidire ed umiliare l’avversario. Sebbene non si possa affermare con certezza che ad istigare il massacro fossero stati gli agenti inglesi di Pensacola, certamente l’appoggio dato dalle autorità britanniche alla causa dei Creek aveva costituito un notevole stimolo per il condottiero ad attaccare in forze gli Americani. Del resto, l’eccidio si svolse nel momento cruciale della guerra fra Stati Uniti e Canada, mentre lo stesso Tecumseh si era messo a disposizione dei nemici di Washington con la propria armata pellerossa.
Ciò che Aquila Rossa forse aveva sottovalutato era invece la rabbiosa reazione del collerico Andrew Jackson, un uomo di ferro sotto tutti gli aspetti, benchè non sembrasse dichiaratamente anti-indiano.
Tutto il Sud colonizzato manifestò il proprio orrore, levando alte le sue proteste per invocare una punizione esemplare.
“Old Hickory” Jackson venne raggiunto dalla notizia della caduta di Fort Mims e dei suoi agghiaccianti particolari mentre si trovava a letto nella sua casa di Nashville, nel Tennessee, in seguito ad una lite con il colonnello Thomas Hart Benton, che gli aveva procurato un braccio spezzato e diverse contusioni.
Senza attendere oltre, ordinò al colonnello John Coffee di partire per l’Alabama con 500 dragoni e si preparò a seguirlo con altre truppe.
Il 7 ottobre anche Jackson, che non si era del tutto ripreso dalle ferite, si mise in marcia con 2.500 uomini della Guardia Nazionale, partendo da Fayetteville, nei pressi del confine fra Tennessee e Alabama. A lui si unirono anche dei civili – fra cui Davy Crockett, un notissimo cacciatore del Tennessee – e varie bande pellirosse, compresi molti Creek dissidenti.
Il suo obiettivo era Ten Islands sul fiume Coosa, ma lungo il percorso si fermò a costruire una base di rifornimento per i suoi uomini. Poi, con scorte alimentari per una settimana, riprese l’avanzata.
I suoi informatori gli riferirono che i Creek erano accampati a Tallassahatchee. Jackson vi giunse nei pressi il 3 novembre 1813 e lasciò intendere che per nulla al mondo avrebbe rinunciato ad infliggere ai suoi nemici il primo castigo per vendicare i coloni trucidati a Fort Mims.
Il 5 novembre il colonnello John Coffee attirò gli Indiani in una trappola, accerchiando le loro forze dopo averle costrette ad attaccare la sparuta avanguardia che aveva apparentemente mandato allo sbaraglio.
La battaglia fu cruenta e si risolse in una vittoria per gli Americani, che persero soltanto 5 uomini e recuperarono 41 feriti. Ai Creek era andata assai peggio, perché 186 di loro furono contati al suolo senza vita.
Aquila Rossa non aveva tuttavia partecipato al combattimento, essendosi trasferito a Talladega con il grosso del suo esercito. Ormai sapeva che Jackson era sulle sue tracce ed era consapevole che le prossime battaglie sarebbero state decisive per il suo popolo. Il suo nemico era un uomo determinato e il capo dei Creek cominciava a perdere la propria sicurezza. Infatti aveva minacciato sia gente della propria tribù quanto gli Indiani sospettati di simpatizzare per gli Americani di spietate ritorsioni.
Jackson non pareva per nulla intimorito dall’avversario.
Al timore espresso da Pathkiller, un capo dei Cherokee incontrato mentre era in cammino verso Tallassahatchee, di subire dure rappresaglie per mano dei Creek, il generale aveva risposto: “State tranquilli, Aquila Rossa per ora non lo farà. Comunque, dopo che avrà incontrato me, è certo che cambierà idea!”

TALLADEGA

Quel mese di novembre del 1813 si profilava uno dei più funesti della storia dei Creek. Dopo i quasi 200 uomini persi a Tallassahatchee, gli Americani stavano per infliggere loro una nuova, durissima lezione, vendicando per la seconda volta la strage di Fort Mims ed infrangendo per sempre la loro potenza militare.
Andrew Jackson era riuscito a mettere insieme una forza davvero poderosa, comprendente 1.200 fanti e 800 cavalieri. Aquila Rossa disponeva a malapena di un migliaio di guerrieri ed era consapevole che il suo avversario si fosse da tempo guadagnato l’appoggio di alcune tribù indiane. Infatti la nazione creek era ormai spaccata in due e una parte consistente di essa appoggiava apertamente gli Americani. Poi vi erano i Choctaw di Pushmataha, circa 500 guerrieri, che si erano offerti di combattere al fianco di Jackson.
Il 9 novembre 1813 Weatherford assalì proprio un gruppo di Indiani fedeli ai Bianchi vicino a Talladega, nel Territorio del Mississippi, a meno di 50 chilometri da Tallassahatchee, provocando l’intervento massiccio delle truppe. Benchè fossero in notevole inferiorità numerica – solo 700 combattenti – i Creek reagirono contrattaccando con veemenza, al punto che lo scout Davy Crockett, presente a questa e ad altre battaglie, li descrisse come “uno sciame di cavallette indiavolate”.


Colloqui

Nonostante il coraggio dei Bastoni Rossi, la sproporzione di forze in campo e la superiore organizzazione degli Americani si fece sentire in maniera determinante. Tuttavia, il tentativo di Jackson di circondarli fallì parzialmente, perché diversi uomini dei suoi reparti non rispettarono le consegne ricevute.
Talladega fu comunque una vittoria per gli Americani, che al termine dello scontro avevano messo fuori combattimento oltre il cinquanta per cento delle forze nemiche, considerando i guerrieri uccisi o feriti e quelli catturati.
Weatherford aveva subito 290 morti e 120 feriti, mentre l’esercito di Jackson lamentava 100 perdite complessive, delle quali solo 15 decedute durante la battaglia. Moltissimi Creek avevano ripiegato disordinatamente, disperdendosi nella foresta senza una mèta ben precisa.
Gli Indiani superstiti si ritirarono precipitosamente e il loro leader supremo avrebbe deciso, di lì a poco tempo, di concentrare le sue residue bande a Tohopeka, una sorta di grande villaggio fortificato sull’ansa Horseshoe Bend del fiume Tallapoosa, nell’Alabama centrale. In quell’ultimo presidio sperava di riuscire a tenere testa alle preponderanti forze avversarie, attirando dalla sua parte qualche prezioso alleato. La guerra degli Stati Uniti contro gli Inglesi era ormai in corso e la speranza dei Pellirosse si fondava sull’auspicio che l’esercito britannico infliggesse all’odiato nemico una sconfitta decisiva.
In realtà, l’unico effimero vantaggio su cui i Creek potevano contare per riorganizzare le proprie file, risiedeva nell’imminenza della stagione invernale, che avrebbe presto costretto tutti ad una sospensione dei combattimenti.
Ma gli stessi Americani finirono, con grande disappunto di Jackson, per favorire gli Indiani in un altro modo. Infatti quell’esercito composto quasi interamente di miliziani, arruolati con una ferma troppo breve per l’impegno che una guerra di frontiera richiedeva, stava creando grossi problemi al suo comandante, manifestandogli apertamente l’intenzione di tornare a casa.

LA GRINTA DI JACKSON

Già nel corso dell’ultima vittoriosa battaglia a Talladega, di fronte al contrattacco dei Creek, diversi volontari avevano preferito abbandonare il campo, con la scusa che il loro ingaggio fosse ormai scaduto. La questione esisteva dai tempi di George Washington, perché gli Stati Uniti erano sempre stati contrari a mantenere in servizio un vero e proprio esercito permanente in tempo di pace.
Questa tendenza non avrebbe subito significative inversioni almeno fino allo scoppio della guerra contro il Messico, nel 1845, terminata la quale l’esercito americano sarebbe rimasto comunque uno dei più ridotti del mondo civilizzato, fatta eccezione per i due periodi coincidenti con la Guerra Civile nel 1861-65 e la Prima Guerra Mondiale.
Anche nella fase più impegnativa delle cosidette “guerre indiane” dell’Ottocento – le campagne contro Toro Seduto, Cavallo Pazzo, Capo Joseph, Geronimo – Washington non impiegò mai più di 25.000 uomini, contingente che venne addirittura ridotto nel 1874, in conseguenza di una seria crisi economica.
La grave carenza veniva compensata, quando se ne ravvisava l’esigenza, con il massiccio ricorso alle milizie di Stato, spesso un’accozzaglia eterogenea formata da sfaccendati, cacciatori di pellicce e gente che non sapeva come cavarsela altrimenti nella vita.
E’ vero che in mezzo a queste persone si trovavano anche personaggi come Davy Crockett, destinato a diventare presto un eroe nazionale. Nato il 17 agosto 1786 nel Tennessee orientale, era rimasto semi-analfabeta, avendo frequentato la scuola poco più di tre mesi, ma possedeva audacia da vendere. Cresciuto nelle paludi e nei boschi della sua terra, questo gigante di due metri di statura si vantava di essere “mezzo orso e mezzo alligatore”, avvezzo a sostenere furibonde scazzottate con gli avversari e combattimenti con gli Indiani, che sicuramente non amava. A proposito dei Creek uccisi nella battaglia di Tallassahatchee, aveva infatti dichiarato: “Li ammazzammo come dei cani!”.
Ma non tutti gli uomini messi a disposizione di Jackson erano dello stampo di Crockett. La maggior parte di essi se la svignava volentieri dinanzi al pericolo, piantando in asso i loro ufficiali che invano strepitavano ordini, minacciando severi provvedimenti disciplinari.
La precarietà delle truppe di Jackson, impiegate in una campagna logorante senza un adeguato supporto logistico, fece emergere ulteriori difficoltà. Mentre centinaia dei suoi uomini gli ponevano davanti la scadenza della ferma ai primi di dicembre, le provviste erano esaurite e i miliziani si dovettero sfamare con le ghiande raccolte nei boschi, nella vana attesa che qualche autorità provvedesse al vettovagliamento.
La situazione era tanto drammatica quanto paradossale, perché in due battaglie Jackson aveva eliminato circa 500 Indiani ribelli, costringendone parecchi altri al ritiro o alla fuga nelle terre dei Seminole, in Alabama e Florida.
Quando finalmente giunsero i rifornimenti, i volontari del Tennessee non ne volevano più sapere di continuare a combattere. Il sanguigno comandante, però, riuscì a dissuaderli minacciando di uccidere il primo che avesse deposto il fucile. Poi li convinse a rimanere in armi almeno fino all’arrivo di un nuovo contingente che li doveva sostituire.
In effetti i rinforzi – più di 1.400 uomini giunti dal Tennessee – arrivarono davvero, ma il generale dovette constatare amaramente che neppure di questi avrebbe potuto disporre molto a lungo, perché la maggior parte di essi erano prossimi al congedo. Infuriato e costernato, Jackson si oppose con le sue consuete maniere brutali a questa eventualità, ma non riuscì ad arginare una defezione di massa. I suoi uomini se ne andarono a decine per la scadenza dei termini dell’arruolamento, mentre altri avevano di fatto disertato, allontanandosi dal comando senza alcun preavviso.

Nonostante ciò, il generale di ferro non si arrese alla difficile situazione, rifiutando l’ordine ricevuto dal governatore del Tennessee, William Blunt, che gli intimava il rientro dalla missione. In una accorata lettera gli rispose infatti che, sebbene gli fossero rimasti soltanto 500 elementi, non aveva la benchè minima intenzione – “piuttosto perirei”, scrisse – di permettere che i Creek di Weatherford si riorganizzassero, mettendo magari insieme in pochi mesi un rinnovato esercito di 5.000 guerrieri, grazie a rinnovate alleanze con altre tribù. Servendosi di un vocabolario estremamente determinato ed evitando giri di parole, “Old Hickory” esortò il governatore ad “impedire che la frontiera affogasse nel sangue” invitandolo a “chiamare alle armi tutti i contingenti…e arrestando gli ufficiali che omettono di compiere il proprio dovere” (J. Tebbel -K.Jennison”, “Le guerre degli Indiani d’America”, cit. p. 115).
Quanto a Weatherford, nonostante il sangue europeo che aveva nelle vene, non conosceva a sufficienza le possibilità, nè la caparbietà di certi Bianchi.
Soprattutto, non aveva compreso che alcuni condottieri, come Andrew Jackson, sembravano assecondare inconsciamente il loro “destino manifesto”, che li avrebbe portati al raggiungimento dei più alti traguardi.
Uomini di medicina, sciamani e profeti dei Creek erano capaci di compiere strani incantesimi che promettevano un’improbabile immunità dai proiettili del soldati, predicendo con troppa leggerezza la sconfitta del nemico. Ma non erano in grado di leggere, fra le pagine della storia futura, che il testardo generale della Carolina sarebbe diventato, di lì a qualche anno, il settimo presidente degli Stati Uniti d’America. anche per avere definitivamente schiantato la superba potenza della loro nazione.

HORSESHOE BEND

Verso la fine dell’inverno, Andrew Jackson era pronto a condurre la sua milizia, reclutata nel Tennessee occidentale, verso l’ultima roccaforte creata da William Weatherford sul fiume Tallapoosa, in un luogo chiamato dai Bianchi Horseshoe Bend. Gli Indiani ribelli avevano ribattezzato la loro postazione con il nome di Fort Toulouse.
Le forze dei Creek, composte prevalentemente dalla fazione dei Bastoni Rossi, ammontavano più o meno ad un migliaio di guerrieri, perché diversi nuclei erano dislocati altrove, nei posti che Aquila Rossa aveva ritenuto di importanza strategica.
Invece Jackson, che già disponeva di un contingente più numeroso rispetto al nemico, attendeva ingenti rinforzi, che avrebbe ottenuto di lì a poco tempo. Infatti il governatore del Tennessee, William Blunt, recepita la sua protesta, si era convinto che con i Pellirosse si dovesse giocare la partita finale, impedendo che si riorganizzassero come sosteneva il generale. Cosi, in poco tempo, le truppe di Jackson raggiunsero le 5.000 unità, delle quali 3.300 alle sue dirette dipendenze. All’inizio di febbraio del 1814 il comandante supremo aveva infatti ricevuto l’appoggio di 600 soldati regolari del 39° Battaglione di Fanteria, che andavano ad aggiungersi alla sua già temibile formazione. Complessivamente Jackson disponeva ora di 2.000 fantaccini e 700 uomini di fanteria a cavallo, supportati da 600 Cherokee e Creek del Sud dissidenti.
A Horseshoe Bend Aquila Rossa-Weatherford aveva invece dislocato 900 combattenti, ma doveva difendere circa 300 donne e bambini accampati nel villaggio.
La sproporzione di forze in campo era ovvia, ma il leader dei Creek non se ne preoccupava più di tanto. Il territorio era immenso e selvaggio e il valore dei suoi guerrieri non era certo inferiore a quello degli uomini dell’avversario. Forse sperava anche che gli Americani si comportassero come in altre circostanze precedenti, disertando in massa, ma non conosceva bene Jackson e i suoi metodi.
Fin dall’inizio il generale impose a tutti, specialmente ai miliziani che risultavano da sempre i più indisciplinati, regole di comportamento molto rigide, mostrandosi intransigente e per nulla disposto a tollerare trasgressioni. Sospese dal comando e rimandò alla base di partenza due generali, punì severamente ufficiali e soldati che avevano commesso mancanze o semplici leggerezze, fece fucilare una giovane recluta appena diciassettenne per insubordinazione e minacce ad un superiore. Con ciò si attirò l’odio di molti commilitoni e le critiche di avversari politici, ma si guadagnò indiscutibilmente la gratitudine della gente di Frontiera.


Battaglia a Horseshoe Bend

Il 27 marzo 1814 all’alba, “Old Hickory” mosse con tutto il suo contingente verso Horseshoe Bend. Il generale John Coffee guidò i fanti a cavallo e gli alleati indiani verso la parte meridionale del grande villaggio, mentre Jackson avrebbe attaccato da nord con circa 2.000 uomini della fanteria a piedi.
Accortosi che i Creek avevano predisposto una flottiglia di canoe lungo il fiume per tenersi aperta la via di scampo più praticabile, il generale ordinò ad un gruppo di esploratori di disperdere le imbarcazioni o di renderle inservibili. Poi, con un lampo negli occhi, lanciò al suo stato maggiore un terribile avvertimento: “Qualunque ufficiale o soldato che fugge davanti al nemico senza essere costretto a farlo da forze preponderanti… sarà messo a morte.” (Tebbel-Jennison, op. cit., p.117).
Poco dopo le dieci del mattino, ordinò di aprire il fuoco con i due pezzi di artiglieria che aveva fatto piazzare ad una certa distanza dall’accampamento. Non appena cominciarono a cadere i primi proiettili, che per la maggior parte evitarono di colpire il campo, le donne si dispersero terrorizzate, portando con loro i propri figli, mentre i guerrieri si prepararono a sostenere l’assalto americano.
Allora il generale attese che le squaw si fossero messe in salvo, prima di dare inizio alla carica decisiva.

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