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Le guerre indiane dal 1680 al 1840 – 6

A cura di Domenico Rizzi
Tutte le puntate: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19.


LA COSPIRAZIONE DI PONTIAC

Pontiac era nato dopo il 1720, lungo le rive del fiume Maumee, nell’Ohio nord-occidentale, da padre ottawa e madre ojibwa. Secondo altre fonti, discendeva invece dai Chippewa e aveva scelto di vivere presso la tribù materna.
Racconti non sempre confermati sostengono inoltre che questo guerriero aveva partecipato, alla testa degli Ottawa, alla vittoriosa battaglia contro gli Inglesi del generale Braddock, nel 1755, mentre testimonianze più precise collocano la sua prima apparizione ufficiale nel 1757, allorchè tenne un accorato discorso in lingua francese alla guarnigione di Fort Duquesne.
Durante la guerra, nel luglio-agosto dello stesso anno Pontiac e i suoi 340 uomini furono tra i principali sostenitori di Montcalm all’assedio di Fort William Henry e presero parte, insieme agli altri Indiani, all’eccidio degli inermi Inglesi di Munro.
PontiacA lato: un ritratto di Pontiac
Nel 1758, in settembre, fu poi presente alla battaglia contro le truppe del maggiore James Grant nei pressi di Fort Duquesne e riuscì ad infliggere molte perdite al nemico.
Di statura alta e figura prestante, ancorchè non bello d’aspetto, il condottiero riassumeva nella capacità oratoria e nelle qualità strategiche le sue doti migliori.
Cessate le ostilità, aveva ricevuto benevolmente il maggiore dei Ranger, Robert Rogers, venuto a prendere possesso di Fort Michilimackinac e di altri avamposti evacuati dai Francesi, accorgendosi subito che i soldati dello “Zio George” erano più astuti e infidi dei loro avversari.
Deluso ulteriormente dagli Inglesi nella conferenza di pace promossa da Sir William Johnson con le tribù dei Grandi Laghi nel settembre 1761, Pontiac cominciò a pensare seriamente alla prospettiva di combattere per una causa indiana. Se Neolin non aveva fatto distinzioni, nelle sue requisitorie, tra Francesi e Inglesi, il nuovo leader degli Ottawa rivelò maggiore opportunismo politico, conservando l’alleanza dei primi e fingendosi inizialmente accondiscendente verso i secondi.
Da quel momento promosse riunioni segrete fra la sua tribù, i Pottawatomie, gli Ojibwa e i pochi Uroni ancora in circolazione, lavorando alacremente per costituire un’alleanza. Mentre la Pace di Parigi, siglata il 20 febbraio 1763, poneva fine alle ostilità fra la corona britannica e i Francesi, gli Indiani erano pronti a scendere nuovamente in campo.
Nelle intenzioni di Pontiac, si sarebbe dovuto trattare di una “guerra lampo”, con una serie di attacchi condotti simultaneamente contro postazioni nemiche differenti. Fra gli obiettivi del suo colpo di mano, figurava la stessa Detroit, la cittadina, fondata agli inizi del ‘700 dal francese Cadillac, che aveva acquistato una notevole importanza commerciale e strategica.
Dopo essere stato accolto, insieme ad una delegazione, all’interno di Fort Detroit per spiarne la disposizione e le difese, il 7 maggio 1763 Pontiac sferrò il primo assalto contro gli Inglesi, riuscendo a penetrare nel presidio con i suoi 300 Ottawa. L’operazione, però, quantunque studiata nei minimi particolari, fallì per la delazione di una giovane squaw, amante del comandante del forte, il maggiore Henry Gladwin. I soldati, preparati a ricevere l’attacco, scatenarono un’intensa fucileria, che costrinse gli Indiani a ripiegare repentinamente.


La delegazione indiana guidata da Pontiac

Indispettito per il tranello, ma intenzionato a realizzare i suoi piani, Pontiac pose l’assedio alla guarnigione, sguinzagliando una parte dei suoi guerrieri e degli alleati Pottawatomie e Uroni nei dintorni, con l’ordine di fare terra bruciata.
In poche ore gli Indiani assalirono fattorie e case isolate, rubando bestiame e uccidendo una donna con i suoi 2 bambini ad un miglio dal forte. Quindi massacrarono 4 uomini e un’altra donna a Isle Au Cochon, rubando numerosi capi di allevamento e catturando un soldato, una domestica e i 3 figli di uno degli uccisi.
Quasi contemporaneamente, il 16 maggio una seconda banda pellerossa assalì e conquistò il posto commerciale di Fort Sandusky, trucidando 14 soldati e alcuni mercanti e prendendo un militare prigioniero.
Gli Inglesi non compresero subito che quelle prime azioni di guerra preludevano ad un conflitto su scala più ampia. Infatti, in poco tempo gli avamposti assaliti risultarono 12, dei quali 9 finirono espugnati. Al culmine della rivolta, soltanto Detroit e Fort Pitt in Pennsylvania avrebbero resistito saldamente alla furia straripante degli Indiani.
Pontiac aveva lanciato l’offensiva nella convinzione che la guerra anglo-francese non fosse ancora terminata. Quando il maggiore Gladwin fu informato, il 2 giugno, dell’avvenuta rappacificazione fra le due potenze, evitò di darne notizia agli ignari assedianti, orgogliosamente convinto di poter difendere il presidio ad oltranza contro qualunque assalitore.
Mentre perdurava l’assedio, gli Indiani continuavano a collezionare successi altrove.
Avvalendosi di gruppi operativi separati, ma collegati fra loro da un efficace sistema di staffette, espugnarono prima Fort Saint Joseph nel Michigan, quindi Fort Miami nell’Indiana – sostanzialmente conquistato grazie all’intervento della tribù dei Miami, scesa in campo a fianco di Pontiac – e infine Fort Quiatenon, pure nel territorio dell’Indiana.
In poco tempo la coalizione si arricchì di nuovi alleati: oltre ai Miami, giunsero a darle man forte anche i Kickapoo, i Wea ed altre tribù, quali gli Shawnee e i Delaware, che cingevano d’assedio Fort Pitt mentre gli Ottawa tentavano con tutti i mezzi di costringere Fort Detroit alla capitolazione.
Quest’ultimo avamposto aveva ricevuto un aiuto di 60 uomini attraverso la via d’acqua delle cascate del Niagara, ma la sorveglianza degli assedianti si era rivelata molto attenta ed efficiente. In piena estate, da Fort Niagara gli venne in soccorso il capitano James Dalyell con 246 soldati, che tentarono di sorprendere l’accampamento indiano, ma Pontiac li affrontò il 31 luglio con 400 guerrieri a Bloody Run, costringendoli a battere in ritirata con la perdita dell’ufficiale comandante e di 19 uomini.
Fort Michilimackinac, che sorgeva sul versante meridionale fra i laghi Huron e Michigan – chiamato anche Fort Mackinaw, difeso dal capitano George Etherington e da 35 militari – cadde in seguito ad uno stratagemma. La straordinaria impresa venne descritta da William H. Warren (1825-1853) un mezzosangue cresciuto fra gli Ojibwa, nel racconto “History of the Ojibways” (St. Paul, 1885) contenuto nel volume V della collezione della Minnesota Historical Society.
Un gruppo di Ojibwa e Osage, alleati di Pontiac, convinse la guarnigione a lasciare le mura per assistere ad una partita, di “baug-ah-ud-o-way” (lacrosse) uno sport abbastanza diffuso fra i Pellirosse dell’Est. L’incontro doveva rientrare nei festeggiamenti per il compleanno del re d’Inghilterra, Giorgio III, che cadeva appunto il 4 giugno 1763.
Etherington, superata la diffidenza iniziale, uscì dal forte con il suo seguito, lasciando il portone d’ingresso spalancato. “I suoi soldati” scrisse Warren “se ne stavano fiduciosi e disarmati, mischiati alle donne indiane, le quali, un po’ alla volta, si portavano sempre più vicine all’entrata del forte, nascondendo sotto le coperte le armi che sarebbero state utilizzate per attuare l’imminente strage.”
Dopo che la guarnigione ebbe ingenuamente abboccato all’inganno, con il pretesto di recuperare una palla lanciata oltre la palizzata del forte, gli Indiani superarono la barriera. In quell’istante, alcune donne fornirono ai guerrieri le armi nascoste, i giocatori “afferrarono fucili, tomahawk e coltelli e l’eccidio incominciò: ben presto, i corpi dei soldati inglesi giacquero qua e là, senza vita, orrendamente mutilati e scotennati.”
Anni dopo, un testimone oculare raccontò ad Alexander Henry gli agghiaccianti particolari del massacro: “Osservai nelle forme più orribili e disgustose il trionfo dei barbari conquistatori. I morti venivano scuoiati e maciullati; gli agonizzanti erano torturati con asce e coltelli (…) dal corpo di alcuni cadaveri squartati i macellai bevevano il sangue, che raccoglievano nell’incavo delle mani.” (John Tebbel-Keith Kennison, “Le guerre degli Indiani d’America”, Newton & Compton, Roma, 2002,).
Nella presa di Fort Michilimackinac furono uccise 21 persone, il capitano Etherington venne catturato e si salvò grazie ad una mediazione, mentre ai commercianti francesi presenti nell’avamposto fu consentito di allontanarsi.
Appena avuto il tremendo resoconto dell’episodio, il tenente James Gorrell, che comandava Fort Edward Augustus, nel Wisconsin, ordinò tempestivamente di abbandonare il presidio.


Fort Michilimackinac

Il divampare della rivolta aveva fatto saltare fin dall’inizio il sistema delle alleanze tradizionali. Se i Sauk, i Mingo, i Chippewa ed altre tribù avevano abbracciato subito la causa di Pontiac, la Lega Irochese era rimasta a guardare, essendo alleata degli Inglesi. La decisione, presa in giugno dai Seneca, di partecipare alla guerra insieme alle tribù algonchine, gettò nello sconforto sir William Johnson, che credeva indissolubile il legame fra la Gran Bretagna e i suoi alleati.
Ormai la rivolta dilagava in località anche molto distanti fra loro, sconvolgendo la vita degli abitanti della Genessee Valley, nel territorio di New York, della Virginia settentrionale, e a sud dei Grandi Laghi, dove cacciatori, mercanti e voyageurs cercavano scampo dalla violenza pelerossa.
L’entrata in guerra dei Seneca costituì un ulteriore brutto colpo per le difese coloniali britanniche, perché gli Irochesi assaltarono Fort Venango, nei pressi dell’odierna Franklin, in Pennsylvania e ne massacrarono gli occupanti. Invece Fort Ligonier, situato a poco più di 40 miglia da Pittsburgh, riuscì a respingere gli assalti dei Delaware.
La “cospirazione di Pontiac”, come venne chiamata dagli storici, non sembrava avere limiti: era difficile prevederne gli sviluppi e tantomeno auspicarne una rapida conclusione.

IL TRAMONTO DELLA SPERANZA

Oltre a Detroit, fra le roccaforti assaltate soltanto Fort Pitt resistette coraggiosamente per due mesi e mezzo, dal 29 maggio al 10 agosto 1763.
Era difeso dai 250 uomini del capitano Simeon Ecuyer, dotati di 16 pezzi d’artiglieria e i reiterati tentativi di Delaware, Mingo e Shawnee, ai quali si aggiunsero poi altre forze indiane, non raggiunsero alcun risultato.
Il tentativo di convincere gli assediati, raccontando loro che ormai tutti i forti fino al Niagara erano caduti, si tradusse però in un tremendo boomerang per gli Indiani, che avevano sottovalutato la spietata determinazione del comandante di origine elvetica Ecuyer, intenzionato a liberarsi dell’opprimente assedio con ogni mezzo. Il capitano, dopo aver ribadito ad una delegazione indiana l’intenzione di resistere, la congedò con un regalo mortale. Si trattava infatti di un paio di coperte in cui erano stati avvolti degli ammalati di vaiolo, un virus contro il quale non esisteva praticamente rimedio.


I Chippewa si preparano ad un attacco

In pochi giorni, gli Indiani ne furono infettati e cominciarono a morire, allentando la morsa dell’assedio.
Nel mese di agosto sopraggiunse anche una colonna di rinforzo di due reggimenti scozzesi – fra i quali un reparto della temibile Black Watch (Guardia Nera) e un contingente della Royal American, la milizia coloniale – che, al comando dal colonnello Henry Bouquet, si scontrarono con i Pellirosse a Bushy Run e li sbaragliarono, costringendoli a liberare Fort Pitt. Il 16 agosto gli Indiani contrattaccarono le forze di Bouquet a 40 chilometri da Pittsburgh, uccidendone più di 100, ma alla fine i soldati ebbero la meglio ancora.
L’idea di Simeon Ecuyer di contaminare i Pellirosse, era già stata lanciata dal generale Jeffrey Amherst durante la Guerra dei Sette Anni, in una lettera indirizzata al colonnello Bouquet: “Farete bene ad infettare gli indiani servendovi di lenzuola fra le quali siano stati coricati degli ammalati di vaiolo, oppure di altri mezzi che possano comunque servire a sterminare questa razza maledetta” (“Sul sentiero di guerra”, a cura di Charles Hamilton, Feltrinelli, Milano, 1982, p. 169).
La guerra batteriologica diede ancora tristi risultati.
Il contagio si propagò e contribuì a fiaccare la resistenza degli uomini di Pontiac, ma non risultò determinante come pensava Amherst. L’ufficiale inglese promise allora una ricompensa di 1.000 sterline, che in seguito raddoppiò, per chi avesse ucciso il diabolico Pontiac.
Nonostante ciò, gli Indiani continuarono a battersi come leoni, infliggendo ai Bianchi altre durissime sconfitte. Sia gli Ottawa che i loro alleati respinsero vari interventi inglesi, catturando carichi fluviali e convogli di rifornimento. Nel mese di settembre 1763 i Seneca si impadronirono di una di queste carovane, in transito sulla via per Fort Niagara, uccidendo 72 fra soldati e conducenti.
Tuttavia, la coalizione di Pontiac non era riuscita a mantenere la sua compattezza iniziale, iniziando a sfaldarsi dopo pochi mesi.
Il disaccordo di alcuni capi sulla strategia da seguire, le critiche per aver infierito, in qualche occasione, sugli ex alleati francesi e soprattutto il fallimento delle spedizioni contro Detroit e Fort Pitt, incisero negativamente sul morale delle forze alleate. A questi problemi si aggiunse presto la constatazione che gli inglesi, pur sottoposti ad attacchi ininterrotti, non demordevano affatto ed erano in grado di mandare in campo un numero di soldati e miliziani sempre crescente. Inoltre, la diplomazia britannica si era data da fare per porre fine al sanguinoso conflitto, dapprima informando Pontiac dell’avvenuta pace con i Francesi, poi sollecitando la mediazione del maggiore Coulon De Villiers, comandante del presidio di Fort Chartres, in Louisiana, che si pemurò di inviare un delegato per chiedere un armistizio al condottiero degli Ottawa. Messo dinanzi alla drammatica prospettiva di proseguire la guerra con pochi uomini e privo dell’aiuto francese, Pontiac tornò nell’Illinois per ascoltare il parere di Neolin e dei capi rimastigli ancora fedeli.


Fort Chartres dopo la ricostruzione

Al termine dell’inverno, dopo aver riflettuto a lungo sul da farsi, sembrò rincuorato dal fatto che gli Ottawa, i Delaware, gli Shawnee e i Miami intendessero proseguire la lotta al suo fianco e decise di recarsi a Fort De Chartres per conferire personalmente con De Villiers, cercando nel contempo di acquisire nuovi alleati lungo il tragitto.
Quando raggiunse la Louisiana, il 12 aprile, convinto che i Francesi potessero ancora appoggiare la sua coalizione, scoprì amaramente che questi stavano ormai smobilitando, perché il territorio doveva passare sotto la sovranità britannica.
Al suo rientro nell’Ohio, Pontiac constatò che, dopo i Pottawatomie, anche gli Uroni, i Seneca e una parte degli stessi Ottawa si erano ritirati dal conflitto. Nonostante le defezioni, Pontiac rifiutò testardamente per diversi mesi di accettare le proposte di pace inglesi.
Nell’agosto 1764 il generale James Bradstreet partì da Fort Niagara con 1.200 uomini e raggiunse Detroit, rioccupando anche Fort Michilimackinac, ma la resistenza indiana non era cessata del tutto e in settembre i Miami lo costrinsero alla ritirata.
Poi fu la volta del colonnello Henry Bouquet, forse il maggior protagonista bianco del conflitto, che con 1.500 soldati e coloniali partì da Fort Pitt per invadere l’Ohio e costringere Delaware e Shawnee alla resa. I Pellirosse, valutata la situazione, accettarono finalmente di rilasciare 200 prigionieri, che poterono ritornare alle loro famiglie.
Pontiac decise allora di fare un tentativo per rafforzare il proprio esercito con forze fresche. Dopo avere chiesto l’aiuto degli Osage e dei Quapaw, Sioux del Mississippi appartenenti al sottogruppo medio-orientale dei Dhegiha, il condottiero sollecitò l’intervento di altre bande ojibwa dell’Illinois, ma non appena venne informato che gli Inglesi si erano assicurati l’alleanza di varie tribù, desistette dai suoi sforzi per impedire uno scontro fra Indiani.
Il conflitto era costato ai colonizzatori un numero imprecisato di morti e offriva un triste spettacolo di distruzione su un’area assai vasta.
Soltanto nell’anno 1763, il più cruciale, 400 soldati ed oltre 1.800 civili erano stati uccisi e centinaia di sudditi inglesi avevano conosciuto la dura prigionia nelle mani degli Indiani.
Le tribù alleate degli Ottawa erano state almeno 17, mentre altre avevano parteggiato per gli Inglesi. Quanto alle cifre riportate in alcuni libri di storia della Frontiera, che parlano a volte di migliaia di guerrieri pellirosse agli ordini di Pontiac, sono da ritenersi senz’altro esagerate. Secondo stime effettuate dagli Inglesi nel 1765, Ottawa, Illinois, Seneca, Shawnee, Chippewa, Pottawatomie, Sauk, Miami e Delaware potevano disporre, nell’insieme, di oltre 5.000 guerrieri, ma il condottiero ottawa non ne ebbe mai più di 1.000 ai suoi ordini, perché man mano che nuove tribù aderivano al suo invito, altre si ritiravano.
Il leader che aveva inutilmente sperato di respingere gli Europei dai territori indiani si decise a deporre le armi nella primavera del 1765.
In aprile, persa ogni residua speranza di resistere, aiutò addirittura gli Inglesi nell’opera di pacificazione, mediando fra le bande ancora in lotta. Il 25 luglio 1765 Pontiac firmò ufficialmente il trattato di pace con sir William Johnson a Oswego, nel territorio di New York, per poi fare ritorno al suo villaggio di Maumee.
Quanto a Neolin, il profeta dei Delaware, l’uomo che aveva riacceso la fiamma della speranza, cessò quasi subito di essere un protagonista. La storia smise di interessarsi di lui intorno al 1766, dopo che, ritiratosi a vivere fra gli Shawnee nell’Ohio, aveva accettato gli insegnamenti dei missionari presbiteriani.
Negli anni successivi, Pontiac si recò spesso in visita ad alcune tribù, a volte intrattenendole con discorsi che andavano sempre più perdendo di convinzione e credibilità. Quantunque animato da uno spirito combattivo inesauribile, sembrava privo della lucidità di un tempo. In realtà, tutti lo consideravano ormai un uomo avviato ad un irreversibile declino, che si arrabattava con il commercio e si ubriacava spesso. Neppure gli Inglesi, ai quali la sua guerra aveva inferto danni rilevanti, lo consideravano un pericolo reale.
Ma i Peoria, una tribù minore degli Illinois che gli serbava rancore per alcuni contrasti del passato, gli tesero un tranello. Un Indiano di nome Cane Nero ed alcuni complici andarono incontro a Pontiac nel villaggio di Cahokia, in Illinois, raggiungendolo mentre si intratteneva presso la società commerciale Baynton, Wharton & Morgan.


L’assassinio di Pontiac

Il 20 aprile 1769 il capo degli Ottawa venne colpito alla nuca e successivamente pugnalato alla schiena, esalando quasi subito l’ultimo respiro. Aveva meno di cinquant’anni.
La sua tribù non ordì alcuna vendetta, mentre i Chippewa se la presero con i dipendenti della compagnia, uccidendone un paio, peraltro completamente estranei all’assassinio.
L’invidia, i contrasti e le rivalità fra tribù o fazioni tribali opposte, avevano vanificato il coraggioso tentativo degli Indiani di affermare, oltre ai propri diritti sul suolo, l’indipendenza politico-culturale minacciata dai Bianchi.
Pochi anni dopo, i coloni inglesi d’America erano alle prese con le misure sempre più restrittive imposte dalla madrepatria e si preparavano alla ribellione armata contro la corona.
Mentre all’orizzonte si profilava la nascita di una nuova, grande nazione, che avrebbe cambiato i destini del mondo, gli Indiani dell’Est vedevano i loro sogni di libertà diventare sempre più fumosi e le residue speranze dissolversi nell’aria.