Le guerre indiane dal 1680 al 1840 – 4

A cura di Domenico Rizzi
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IL TERZO CONFLITTO COLONIALE

Francia e Inghilterra non resistettero a lungo senza riaprire le ostilità, che misero nuovamente a soqquadro le rispettive colonie. Nel 1744, come conseguenza della Guerra di Successione europea, divampò in America la cosidetta Guerra di Re Giorgio, che registrò, da parte britannica, la conquista della fortezza di Louisburg, porta d’accesso verso il Canada.
I Francesi si rifecero prendendo d’assalto, con l’appoggio pellerossa, Fort Saratoga ed altri avamposti nemici. Vittima della situazione fu, ancora una volta, il povero centro di Deerfield, saccheggiato il 25 agosto 1746 dai soliti Abenaki, che uccisero uomini, donne e bambini sorpresi a lavorare nei campi.
Re Giorgio
L’anno successivo gli Inglesi prepararono un attacco massiccio a Montrèal, ma gli alleati Irochesi, specialmente i Mohawk, non vollero saperne, a causa delle grosse perdite subite in precedenti azioni contro le roccaforti francesi. Nel 1748 il conflitto ebbe ufficialmente termine con un trattato di pace fra le due potenze, ma molte tribù indiane, fra le quali gli Abenaki, non ne riconobbero la validità e proseguirono le incursioni un po’ dovunque. Intanto, molto più ad occidente, le tribù rimaste praticamente estranee alle faide coloniali, si scontravano spesso fra loro per il possesso delle aree di caccia e di pesca.
I Sioux che abitavano fra i Grandi Laghi e il fiume Mississippi dovevano continuamente difendersi dalle incursioni degli algonchini Chippewa e Ottawa. Identico problema riguardava i Cheyenne, che pur essendo di derivazione algonchina, contenevano a stento la superiorità delle medesime tribù. Forse già dal 1640 gli Hohe, chiamati Assiniboine (bollitori di pietre) dai Francesi, erano emigrati verso il Saskatchewan e l’Ontario. I Cheyenne, tribù di pescatori e cacciatori dei Grandi Laghi, inizialmente mescolati con i Cree, si trasferirono nel Minnesota settentrionale e nel basso Ontario, prima del successivo spostamento definitivo nelle Grandi Pianure ad ovest del Mississippi. La maggioranza dei sottogruppi di lingua siouan – Teton, Yankton, Santee, Chiwere, Absaroka, Dhegiha, Mandan e Hidatsa, oltre ai citati Assiniboine – prese la stessa strada, cercando nuove sedi nell’immensa regione situata fra il Mississippi centro-settentrionale e la catena delle Montagne Rocciose.
Se tutti i Sioux e i loro confinanti Algonchini ed Irochesi si fossero coalizzati per fare fronte comune contro gli Europei, avrebbero potuto schierare un poderoso esercito di 20.000 guerrieri, tale da intimorire sia la Gran Bretagna che la Francia. Invece ogni gruppo considerò prioritarie le proprie esigenze di predominio a discapito delle tribù confinanti e i colonizzatori ebbero buon gioco nella loro inarrestabile avanzata verso occidente.
Quando, nel 1754, scoppiò la Guerra dei Sette Anni, i Pellirosse che avevano continuato la guerriglia per proprio conto, tornarono ad affiancare le Giubbe Rosse britanniche o sostennero i loro avversari, fedeli ad un costume che faceva del combattimento il principale scopo della vita di un Indiano.

LA FOLLIA DI BRADDOCK

Fin dal 1747, nel corso dell’ennesimo conflitto coloniale franco-inglese noto come Guerra di Re Giorgio, una compagnia della Virginia si era posta l’obiettivo di colonizzare la valle del fiume Ohio, mettendo in allarme i Francesi, che reagirono costruendo una serie di avamposti fra il lago Erie e il fiume Allegheny.


Il ferimento del generale Braddock

Il braccio di ferro tra il governatore della Nuova Francia, Duquesne e quello della Virginia, Dinwiddie, si protrasse per un pò di tempo, finchè nel 1753 quest’ultimo inviò un reparto sull’Erie, con il compito di costringere gli avversari ad evacuare Fort Leboeuf.
Comandante della spedizione era un certo George Washington, nato nel 1732 a Bridges Creek (Virginia) orfano di un piantatore e ufficiale della milizia territoriale. Pur essendo soltanto ventenne alla data dell’arruolamento, gli era stato riconosciuto il grado di maggiore, in considerazione del suo elevato rango sociale.
Fallito l’obiettivo primario di costringere i Francesi ad andarsene, Washington ebbe ordine di costruire un forte alla foce del fiume Allegheny, ma anche in questa operazione era già stato anticipato, perché Duquesne aveva fatto sorgere un presidio intitolato al proprio nome. Nel 1754 la situazione si era ormai fatta tanto precaria da lasciar temere che gli eventi precipitassero da un momento all’altro.
Un giorno gli uomini di Washington aprirono il fuoco suI reparto del capitano Jumonville in uscita da Fort Duquesne, uccidendo 29 uomini su trenta; a questo punto, i Francesi mossero in forze dall’avamposto e circondarono gli Inglesi, catturando il loro stesso comandante. Poi, il 28 giugno il capitano de Villiers, appoggiato da una colonna di alleati Cherokee, marciò contro il presidio inglese di Fort Necessity, dove Washington, che era già stato rilasciato dai Francesi, aveva assunto il comando.
L’assalto non servì ad espugnare l’avamposto, ma le truppe britanniche si ritrovarono in stato di assedio. Dopo avere perduto 150 uomini, temendo soprattutto che i Cherokee fossero pronti a massacrare la residua guarnigione, George Washington decise di arrendersi.
La Gran Bretagna si preparava, dopo sei anni di tregua, ad una nuova guerra anche sul continente americano. La Francia ne sembrava ancora più convinta, perché da mesi andava fortificando i suoi insediamenti, creando nuove postazioni militari.
Nel gennaio 1755 due reggimenti irlandesi arrivarono in Virginia di rinforzo. Poi il generale Edward Braddock inviò truppe sul lago Champlain e nell’Ontario per difendere le frontiere minacciate da Francesi e Indiani. Infine si mise in marcia, con il dichiarato intento di conquistare Fort Duquesne, presidiato da 800 soldati e miliziani e da alcune centinaia di ausiliari indiani.


Verso Fort Duquesne

Il 7 luglio, l’anziano generale attraversò il fiume Monongahela con 2.000 soldati, preceduto dalle avanguardie del colonnello Thomas Gage, giungendo a dodici miglia dall’avamposto nemico. Fino ad allora gli Inglesi si erano spinti nel territorio ostile sfilando come in una parata, senza incontrare ostacoli né resistenze. Braddock era un ufficiale di 65 anni che osservava rigorosamente i canoni classici della guerra europea, ma, pur essendosi spesso distinto nelle grandi battaglie, non conosceva le tattiche usate sul suolo americano.
Gage si rese conto che la foresta si infittiva sempre più e manifestò l’intenzione di arrestare la sua colonna, ma ormai era troppo tardi. Gli Indiani e i Francesi, appostati nei boschi in attesa del nemico, sferrarono un assalto improvviso da posizioni diverse, obbligando le Giubbe Rosse ad opporre una improvvisata difesa. Disposti i suoi uomini su alcune file, Gage li fece sparare a turno: mentre la prima schiera ricaricava le armi, ancora tutte monocolpo, la seconda apriva il fuoco, quindi toccava alla terza e così via. Purtroppo per lui, l’azione dei Pellirosse era stata tanto decisa e ben orchestrata che i suoi soldati furono travolti in breve tempo.
A complicare la già precaria situazione subentrò l’ostinazione di Braddock, avvezzo agli scontri in campo aperto e incapace di concepire metodi di combattimento alternativi, che giudicava disonorevoli.


In vista di Fort Duquesne

Il generale cominciò ad inveire contro i suoi ufficiali per la tattica difensiva adottata, esortandoli, anche con gli insulti, ad andare all’attacco. La sua pretesa era assurda, perché i Franco-Indiani sparavano da punti riparati fra gli alberi e sarebbe stato impossibile, se non al prezzo di altissime perdite, stanarli con un’avanzata di massa. Allorquando gli inglesi ruppero le file per formare un corpo d’assalto, divennero un bersaglio ancora più facile per gli avversari. Lo stesso Braddock rimase quattro volte appiedato, procurandosi ogni volta una nuova cavalcatura, finchè un colpo più preciso non gli trapassò un polmone: a quel punto, la disfatta era completa e non restò che la ritirata.
Gli Inglesi avevano perso ben 977 uomini: i superstiti che riuscirono a ripiegare furono meno di 500. Braddock, gravemente ferito e umiliato nel suo orgoglio, si spense in un paio di giorni, chiedendosi invano come si fosse potuta verificare una catastrofe del genere.
I Francesi si godevano il loro grande successo, assistendo al solito spettacolo degli Indiani che scotennavano i cadaveri e forse qualche soldato britannico, caduto nelle mani dei selvaggi, maledisse di non essere stato abbattuto insieme ai suoi compagni.
Sebbene non ancora formalmente dichiarata, la nuova guerra fra le due potenze coloniali era già in atto.

L’ESERCITO DI JOHNSON

Com’era accaduto in passato, la Francia poteva contare sull’appoggio di diverse tribù algonchine, oltre che su una parte dei Cherokee, mentre gli Inglesi si assicurarono l’importante appoggio delle Sei Nazioni Irochesi, benchè qualche fazione della potente coalizione fosse passata dalla parte dei Francesi.
Un ranger di Johnson
La presenza europea nel Nordamerica si era andata consolidando enormemente in pochi decenni, mentre il peso politico e militare dei Pellirosse si stava esaurendo.
Le colonie anglo-francesi accoglievano stabilmente quasi 2 milioni di persone e 490.000 schiavi africani: i Pellirosse del Canada meridionale e della parte orientale degli attuali Stati Uniti erano molti di meno. Verso la metà del XVIII secolo si potevano stimare in quest’area 250.000 Indiani, perennemente dilaniati da incomprensibili lotte intestine, causate a volte da banali pretesti.
Gli errori di valutazione commessi da Braddock avevano indotto il governo inglese ad una seria riflessione sul tipo di guerra che si combatteva in America. Le incursioni dei Pellirosse e i notevoli danni che queste provocavano convinsero la Gran Bretagna a prestare maggiore ascolto a chi teorizzava un conflitto combattuto con criteri diversi da quelli usuali.
Perciò, nel 1755, Re Giorgio II conferì l’incarico di sovrintendente agli Affari Indiani a sir William Johnson, un Irlandese che gli Irochesi conoscevano come “Warraghiyagey”, “L’uomo capace di compiere molte cose”. Sposato con una donna olandese, l’avventuriero si era preso come amante una squaw pellerossa, forse per raggiungere meglio gli scopi che si prefiggeva.
Il nobile si era dato da fare parecchio per cementare l’alleanza delle Sei Nazioni con la Gran Bretagna e commerciava con esse attraverso un posto di scambio creato appositamente nella vallata del fiume Mohawk. Sfruttando queste relazioni, egli diede vita ad un esercito misto di Bianchi e Irochesi, che, pur non avendo l’aspetto di una formazione militare in senso stretto, si sarebbe dimostrata subito assai efficace.
Ma anche per un uomo carismatico e determinato come Johnson, gli Indiani costituirono un problema.
Dei 1.100 Irochesi che avevano raccolto l’appello inglese per sferrare l’attacco alla fortezza nemica di Crown Point, sul lago Champlain, soltanto 300 scesero realmente in campo al suo fianco quando venne organizzata la spedizione. Il motivo fornito da Hendrick, uno dei loro capi, risiedeva nel fatto che la maggior parte di essi non intendeva scontrarsi con i contribali passati dalla parte dei Franco-Canadesi. Il giorno della partenza, il numero degli alleati indiani si ridusse ancora di più e solo 200 guerrieri seguirono il comandante irlandese nella sua impresa.
Un ranger di Rogers
Il promiscuo esercito marciò risolutamente contro i Francesi, che erano diretti dal barone tedesco Ludwig August von Dieskau, un veterano di battaglie combattute sul suolo europeo.
Il primo scontro, nei pressi del lago George, vide divampare una battaglia fra le opposte fazioni irochesi, conclusasi con un nulla di fatto. Poi la ritirata di Jonhson venne forse interpretata da Dieskau come un atto di paura: il nobile germanico fece uscire le sue truppe da Crown Point e andò a cacciarsi in una trappola preparata dagli Irochesi alleati della Gran Bretagna, esattamente com’era accaduto a Braddock. Alla fine i Francesi si ritirarono, incalzati dai Mohawk, che persero il loro capo Hendrick, ma poterono vedere Dieskau gravemente ferito e portato via a braccia dai suoi uomini.
Com’era da prevedersi, terminato il combattimento gli Irochesi vincitori piantarono in asso gli Inglesi e se ne tornarono ai loro villaggi, impoverendo l’armata che Johnson aveva messo faticosamente insieme.
Benchè all’Irlandese non fosse piaciuto affatto quel comportamento, decise di ricostituire la propria forza integrandola con elementi bianchi, scelti fra i più esperti delle zone di frontiera e dei boschi, reclutati soprattutto nella regione del New Hampshire.
Una volta creato il nuovo gruppo, ne affidò il comando al maggiore Robert Rogers, uno scozzese ventitreenne di alta statura e dai capelli rossicci, gran bevitore e lottatore formidabile, audace fino all’eccesso. Il suo reparto venne denominato “Queen’s Rangers”, ma la gente chiamò questi volontari semplicemente “Rangers” o “Verdi di Johnson”, dal colore della inconsueta divisa che i suoi uomini indossavano in luogo della divisa rossa, giudicata troppo visibile in battaglia.
Per molti mesi la formazione sarebbe diventata una spina nel fianco di Francesi e Algonchini, tendendo imboscate e compiendo incursioni per poi ritirarsi nelle foreste al termine delle azioni. Il suo modo di fare guerriglia era una diretta derivazione dal costume pellerossa. Sebbene gli Inglesi non se ne rendessero ancora pienamente conto, stava già nascendo una nuova nazione, sempre più emancipata dalle tradizioni e dalle origini europee: il popolo americano.
Intanto, le ostilità fra le due potenze avevano subito un’escalation che preludeva ad un nuovo conflitto aperto.

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