Manuelito (Navajo)

A cura di Marco Aurilio

Manuelito nacque nel 1818 a Bear Ears nel sud dello Utah, per il clan Bit’hani. Il padre era Cayetano, fermo oppositore dei bianchi e capo molto importante, tanto che in alcuni documenti dell’esercito americano Black Mountain viene chiamata “Mesa del Cayetano”. Ebbe tre fratelli, El Ciego, K’ayelli ed il più famoso Cayetanito. Da giovane divenne noto tra i Navajos con il nome di Hastiin Ch’ilhaajini, “uomo del luogo delle piante nere”, sposò la figlia di Narbona uno dei più importanti capi di allora ed andò a vivere presso di lui, nelle vicinanze dei monti Chuska.
Alto e forte fisicamente divenne presto uno dei principali seguaci del capo e nel 1835, a diciassette anni, partecipò ad un imboscata ai danni di un numeroso contingente di neomessicani e pueblos, guidati dal notabile Blas de Hinojos al Washington Pass.
Dopo essersi distinto nella vittoriosa battaglia venne chiamato dai Navajos Nabaah Jilt’aa, “guerrierro che afferra i nemici”.
Partecipò due anni dopo, nel 1837, ad un devastante attacco al pueblo di Oraibi che fu quasi del tutto spopolato. Negli anni a seguire la sua fama crebbe velocemente e sembra che per un periodo di tempo ebbe in moglie anche la figlia del famoso capo Apache Mangas Coloradas. Nel 1849 l’uccisione di Narbona da parte dei soldati scatenò la sua rabbia ed in breve tempo divenne noto con un nuovo nome: Haskè Nabhaa “guerriero infuriato”. Molti furono i nemici con cui combattè: Americani, Utes, Pueblos, Comanches, Apaches, ma i più odiati furono sicuramente gli schiavisti neomessicani, che spesso si dirigevano nei territori navajo per catturare schiavi da rivendere. Nel 1851 fu edificato Fort Defiance, nei pressi dell’ingresso di Canyon Bonito, un luogo sacro per i Navajos noto come Tsehootsooi “la prateria fra le rocce”.
Manuelito e sua moglie
Il capo lo prese come un vero e proprio affronto e negli anni a seguire portò, con i suoi bravi, una guerriglia ininterrotta per tutto il Nuovo Messico. Gli Americani minacciarono dure ritorsioni e per evitare ciò Zarcillos Largos e Ganado Mucho cercarono di persuaderlo, senza successo, nel fermare i raids. Nel 1856 i Comanche piombarono sul suo accampamento e tra i vari cavalli che rubarono presero anche il suo preferito, Racer. Il capo li inseguì fino in Utah dove li attaccò, ma venne ferito al petto.
Due anni dopo, nel 1858, il Maggiore William T.H.Brooks portò la mandria di cavalli dei suoi soldati sugli ottimi pascoli di Camp Ewell, 20 km a nord di Fort Defiance. Qui vi erano già gli animali di Manuelito, in un luogo da lui sempre usato per tale scopo. Manuelito fece allontanare gli animali dei militari e si recò da Brooks. Seguì un duro confronto fra i due e nonostante le minacce di guerra il capo non cedette nel reclamare la sua terra. La risposta del Maggiore fu l’uccisione dei suoi sessanta montoni e l’invio dei soldati ad occupare un altro pascolo navajo nei pressi di Canyon Bonito.

“E’ la mia acqua, è la mia terra!”

Una notte, per tutta risposta, una scarica di frecce colpì i militari di guardia al pascolo. L’anno seguente a Tsin Sikaad, si tenne l’ultima forma di consiglio dei capi chiamato naachid. Zarcillos Largos era a capo della fazione pacifista, mentre Manuelito per quella favorevole alla guerra. Vinse quest’ ultima e molti giovani guerrieri lo raggiunsero da tutte le parti del territorio navajo. Il 17 Gennaio 1860 il nipote del capo Huero e l’interprete adottato dai Navajos, Juan Anaya, guidarono 250 guerrieri contro un convoglio militare allontanatosi dalla postazione di stanza a Cienega Amarilla, 8 miglia a sud di Fort Defiance. Manuelito posizionò vedette lungo la pista da Fort Defiance ad Albuquerque ed attaccò tutti i convoglio che vi transitavano. Ma il capo progettava di distruggere l’odiato forte nel cuore del loro territorio. La notte tra il 29 ed il 30 Aprile 1860 guidò insieme con Barboncito, Herrero Grande, il vecchio Nabahi ed altri capi, mille guerrieri contro Forte Defiance.


Fort Defiance

In seguito a questo episodio il forte venne abbandonato. Lo stesso anno tese sui monti Chuska, una vittoriosa imboscata ad una compagnia di circa 50 neomessicani partiti dalla città di Cubero, nel luogo noto come Laguna Grande. Alcuni mesi dopo, sempre nel 1860, l’uccisione di Zarcillos Largos finì di far infuriare Manuelito. Il 18 Settembre 1862 il Generale James H. Carleton assunse il comando del Dipartimento del Nuovo Messico e dedicò le sue attenzione prima agli Apache Mescaleros ed inseguito ai Navajos. Il 23 Giugno Carleton inviò messaggeri a Barboncito e Delgadito invitandoli a presentarsi a Fort Wingate per essere trasferiti nella riserva di Fort Sumner a Bosque Redondo, sul fiume Pecos, altrimenti sarebbero stati considerati ostili ed avrebbe iniziato una campagna militare. Come prevedibile, i Navajos non si presentarono e la campagna militare fu iniziata da Kit Carson nel 1863. Circa 8,00 navajo si arresero ma tra i 1000 e 2000 sfuggirono alla deportazione e tra questi Manuelito e la sua banda.

“Non andrò mai volontariamente.”

Nell’Aprile del 1864 il Capitano Carey parlò personalmente con Manuelito ma dovette apprendere proprio dalla sua bocca che non si sarebbe affatto arreso. Il capo condusse i suoi ad ovest, oltre le mesas degli Hopi, verso il Little Colorado. Durante questo periodo dovette difendersi dagli attacchi di tutti i suoi nemici: Utes, Pueblos, volontari neomessicani e militari. Fin quando il famoso capo, che incarnava lo spirito indomito della tribù, non fosse stato preso, per l’opinione pubblica ed i media di allora, non si poteva parlare di una definitiva vittoria sui Navajos. Carleton sapeva bene ciò ed in breve tempo concentrò tutte le sue energie su di lui.
Nel Gennaio del 1865 inviò due messaggeri per indurlo ad arrendersi, ma il capo rispose ancora negativamente e disse che avrebbe voluto parlare con il capo Armijo. Carleton, sempre più arrabbiato, inviò invece Herrero Grande e Fecundo, che lo incontrarono nei pressi del Pueblo di Zuni. Herrero riferì che la sua banda era molto povera e che nonostante il suo impegno nel cercare di convincerlo alla resa, il capo rifiutò, sostenendo che per le leggi del popolo i Navajos dovevano vivere nel territorio compreso tra le loro quattro montagne sacre e non sul lontano fiume Pecos:” non andrò mai volontariamente”. Quando Carleton seppe del suo rifiuto si infuriò: ” trovatelo, incatenatelo e guardatelo a vista” tuonò.


Un ritratto di Manuelito

L’ostinato capo dovette però affrontare un duro anno 1866. Gli Utes lo attaccarono ripetutamente nei pressi della Black Mesa e l’inverno fu rigidissimo. Anche gli Hopi approfittarono della momentanea debolezza dei Navajos per vendicarsi di anni in cui avevano dovuto subire razzie ed attacchi. Sorpresero il capo e la sua banda e nello scontro Manuelito fu ferito ad un braccio. Circondato da nemici infine il 1 settembre 1866 Manuelito e i 23 suoi bravi si arresero a Fort Wingate. Anche durante la prigionia continuò ad esercitare un forte ascendente sul suo popolo, come dimostra un episodio avvenuto l’8 Luglio del 1867. Quel giorno due Navajos della riserva portarono la notizia della presenza nelle vicinanze di una banda di rinnegati con un grossa mandria di cavalli. Il tenente Henry Bragg lasciò Fort Sumner con 21 uomini della Compagnia I del terzo cavalleria. I soldati vennero a contatto con gli indiani in maniera pacifica, ma pretesero la restituzione dei cavalli, credendo che appartenessero all’esercito. Dopo che i soldati ebbero raggruppati i cavalli, l’interprete Juesu Arvisio si rese però conto che gli animali in realtà non erano di proprietà dell’esercito, ma non riuscì a fermare i militari. Mentre questi muovevano con gli animai verso Bosque Redondo però, la rabbia tra gli indiani crebbe, per quello che ai loro occhi era un vero e proprio furto. A metà strada verso Bosque Redondo i Navajos si ripresero i cavalli tra urla selvagge. Dal forte furono fatti uscire i militari guidati dal Sergente Terrel e dal Tenente Porter. Nello scontro che seguì furono uccisi 5 soldati ed altri 4 feriti gravemente, uno dei quali sarebbe morto poco tempo dopo, lo stesso Porter fu ferito. I soldati si diedero alla fuga, molti cercando di raggiungere Fort Sumner.

Da una collina vicino, il Tenente McDonald decise di andare incontro ai ribelli con il maggior Tarlton ed alcuni uomini, convinto di poter risolvere l’incidente. Solo un torrente lo separava dai Navajos, quando le briglia del cavallo di McDonald furono afferrate dal suo amico Manuelito. Gli indiani erano giovani e sembra che non capissero lo spagnolo, erano guidati da Bighaani nez e rappresentavano la spina dorsale della resistenza navajo. In ogni caso alla vista di Manuelito, ai loro occhi un simbolo della resistenza, si calmarono rimanendo sulla loro sponda del torrente, andando via poco dopo verso i loro rifugi nel nord dell’Arizona. Fu quindi evitato un massacro grazie alla sua autorevole figura. Un anno dopo la sua resa però, il 27 Settembre 1867, Manuelito evase dalla riserva. Aveva saputo che nelle vicinanze vi era un gruppo di Utes e conoscendo i vecchi nemici decise di attaccarli. Con lui vi erano anche Barboncito, Ganado Mucho e Muerto de Hambre. Si scatenò una grossa caccia all’uomo, ma i militari non riuscirono a trovare i fuggitivi. Dopo poco tempo il capo si ripresentò spontaneamente alla riserva sul fiume Pecos. L’anno seguente Barboncito riuscì ad ottenere dal Generale Sherman l’assenso alla creazione di una riserva nei loro territori tra le quattro montagne sacre ed il 1 Giugno, Manuelito e gli altri capi firmarono il trattato che li riportava a casa. Ma proprio poco tempo prima di mettersi sulla via del ritorno, il Tenente Jordan si imbattè nei corpi di quattro uomini bianchi immersi di faccia nel Twelve Mile Creek. Intorno trovò frecce navajo e notò che tre dei quattro uomini avevano segni di tortura sul corpo. Dopo aver interpellato i capi nella riserva si scoprì che erano stati alcuni di loro guidati da Juh Sanchez. Manuelito, temendo che l’episodio potesse far saltare il ritorno a casa, si mise sulle tracce dei rinnegati che una volta raggiunti furono poi sopraffatti dai militari.

La scala necessaria

Due anni dopo il ritorno nelle loro terre, Barboncito morì. Il territorio navajo fu diviso in più settori e Manuelito fu nominato capo di quello orientale. Nell’Aprile 1872 fu composto il primo corpo di polizia navajo con il vecchio capo guerriero al comando. Aveva 130 uomini che cercavano di limitare le razzie che i giovani navajo continuavano a fare a danno dei Mormoni nel sud Utah. Dopo sette mesi però il corpo di polizia indiana fu sciolto. Nel 1876 si recò dal Presidente Grant a Washington, per chiedere l’annessione di altra terra alla riserva. Insieme a Ganado Mucho continuò ad impegnarsi per scoraggiare i razziatori navajo e nel 1878 una quarantina furono catturati ed uccisi, alcuni dei quali accusati anche di stregoneria. Manuelito era ormai sempre più convinto ora della necessità di educare i giovani.


Manuelito, con il suo fucile, seduto al centro dei Navajo a Washington nel 1876

Si espresse così all’allora giovane capo Henry Chee Dodge: “I bianchi hanno molte cose che noi vogliamo ma non possiamo prenderle. È come se loro vivessero in un ricco Canyon, tra l’abbondanza, e noi su una secca mesa potessimo solo guardarli. Nipote mio, l’educazione è la scala necessaria, dì al nostro popolo di prenderla”. Nello stesso anno mandò uno dei suoi figli nella scuola indiana di Carlisle in Pennsylvania, ma il giovane morì poco tempo dopo. Trascorse gli ultimi anni della sua vita tristemente, spesso rifugiandosi nell’Whisky e soffrendo di polmonite. Poco prima di morire, nel 1893, disse di aver sentito la voce del vecchio amico Zarcilos Largos chiamarlo:” Vieni, la via della bellezza ti restituirà la tua forza”.

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