- www.farwest.it - https://www.farwest.it -

La campagna del Tonto Basin

A cura di Gian Maria Tolu

La storia della Campagna del Tonto Basin è indubbiamente interessante, perché descrive quale fu il traumatico scontro tra tribù native che avevano avuto pochi contatti con i bianchi e l’esercito degli Stati Uniti; inoltre, in questa vicenda, furono utilizzati alcuni accorgimenti strategici che vennero poi presi a modello dalle truppe USA, nelle successive guerre contro i Nativi e anche oltre. Ecco come si svolsero i fatti.
La Tribù dei Tonto era divisa in due gruppi, i Tonto del Nord (divisi nelle bande del Mormon Lake, di Fossil Creek, di Bald Mountain e degli Oak Creek) e Tonto del Sud (banda Matzatzal e 6 semibande).
Il termine Tontos fu affibbiato a questi indiani dagli spagnoli, a causa della loro presunta imbecillità (Tontos significa sciocchi), sulla base della denominazione data loro dagli altri apache, che consideravano questi loro parenti come stupidi.


Una famiglia di Apache Tontos

Vi è una leggenda diffusa tra gli apache, secondo la quale, al momento della creazione, Ussen, il Creatore, avrebbe fornito i Tonto solo della metà delle doti e dei beni (intesi nel senso di ricchezze fornite dalla natura) dati agli altri Ndè. Ma la designazione di Tontos è praticamente priva di significato, ed è stata applicata indiscriminatamente a diversi gruppi:
– ad un miscuglio di indiani Yavapai, Yuma e Mohave, con qualche Apache-Pinaleno, confinato nella riserva di Rio Verde (Arizona) nel 1873, e trasferito nella riserva di San Carlos nel 1875; l’esatta designazione di questo gruppo è Tulkepaia;
– ad una tribù della famiglia Athabasca, di solito indicata come Coyotero-Apache;
– ai Pinalenos della stessa famiglia Athabasca;
– secondo Corbusier, ad un gruppo di indiani discendenti per la maggior parte da matrimoni misti tra uomini Yavapai e donne Pinal-Coyotero.


Un trasporto di scorte diretto a San Carlos

Il termine Tontos venne quindi applicato dagli scrittori del XIX° secolo praticamente a tutti gli indiani che vagavano tra le Montagne Bianche dell’Arizona ed il Rio Colorado, che appartenevano a due famiglie linguistiche ma specialmente agli Yavapai, comunemente conosciuti come Apache-Mohave.
Questa denominazione non rappresenta quindi una vera equivalenza con alcun nome tribale. I Tonto Apache trasferiti a San Carlos nel 1875 erano 629, mentre gli Yavapai che vennero mandati in quella riserva erano 618 ed i Tulkepaia 352. I Tontos ufficialmente designati come tali nel 1908 erano 772, dei quali 551 si trovavano sotto la giurisdizione dell’agenzia di San Carlos, 160 sotto la supervisione della scuola di Camp Verde e 11 erano a Camp McDowell.
Geronimo, nelle sue memorie (riferendosi quasi sicuramente ai Tontos), dice che più ad ovest vi erano diverse altre tribù Apache, che loro chiamavano Binèdinè, che significa sciocchi. Presuntuosamente, i Bedonkohe e gli altri gruppi cosidetti “Chiricahua” ma anche i White Mountain, li consideravano inferiori.
E.W.Gifford in “The Southeastern Yavapai”, riferisce che le donne San Carlos-Apache talvolta sposavano uomini Yavapai-Walkamepa, mentre le donne dei Tonto-Apache gli Yavapai-Wickedjasapa.
Manuel Merino nel 1804 scriveva che i Tontos, nella loro lingua, venivano chiamati Vinienctinen-ne, di cui non si conosce il significato.
Infine, val la pena menzionare il seguente sito internet, dove si apprende che vengono denominati anche Dilzhe’ : http://en.wikipedia.org/wiki/Tonto_Apache
A prescindere da considerazioni sulla razza, bisogna dire che i Tonto vivevano in una regione tra le più accidentate di quelle abitate dagli apache (probabilmente solo la Sierra Madre del Messico è peggiore), la zona tra il fiume salato a sud est e Flagstaff a Nord ovest. Queste terre erano un groviglio di rocce e di canyon, ricche di selvaggina, ideali per chi volesse nascondervisi e un vero inferno per chi avesse voluto stanare i suoi abitanti.


Un gruppo di Tontos

Inoltre i Tonto, forse per necessità di sussistenza, erano più aggressivi dei western Apache.
George Crook fu inviato in Arizona nel 1871, subito dopo la strage di Camp Grant a danno degli innocenti Aravaipa del capo Esh Ki Min Zhin. Crook ricevette il grado di brigadiere generale e, una volta arrivato in Arizona, convocò tutti i suoi subalterni per raccogliere tutte le informazioni possibili sul territorio e chi lo abitava. Delineò da subito ben precisi piani di guerra volti alla sottomissione degli ostili.
Eskiminzin
Immediatamente si schierò dalla parte di coloro che avevano massacrato i pacifici Apache di Camp Grant e, contro il tenente Whitman che aveva cercato di proteggere quegli indiani, divenne il paladino di tutti coloro che vedevano nello sterminio l’unica soluzione al problema della convivenza con gli Apache.
Crook ideò una formidabile macchina da guerra, le cui strategie sarebbero state seguite persino durante la seconda guerra mondiale, nella guerra contro i Giapponesi in Birmania e Nuova Guinea. Principali elementi di questa strategia erano l’arruolamento degli scout Apache e l’utilizzo dei muli nei convogli militari.
Fu facile arruolare molti scout, principalmente tra gli Apache Cibecue e White Mountain; essi non sentivano forti legami con i Tonto e i loro capi avevano deciso di rimanere in pace con gli invasori americani. I guerrieri erano attratti anche dalla paga, dall’uniforme e dal fucile con munizioni loro consegnato. Inoltre, essere scout permetteva una vantaggiosa promozione sociale e quindi di risolvere il problema della sussistenza dei familiari. Gli scouts vennero inquadrati per periodi di 6 mesi in compagnie di 25 uomini, guidate da scout bianchi professionisti, scelti tra i più esperti abitanti della frontiera (tra questi si ricordano in particolare Al Sieber e Archie Mc Intosh).


Il Generale Crook e i suoi scout Apache

Vi erano al seguito di Crook anche indiani di altre nazioni ma questi avevano alcuni difetti: i Paiute, benchè abili, si sentivano smarriti lontano dal natio Nevada; i Pima erano detestati, oltre che dagli Apache, anche dagli ufficiali. Questo perchè erano codardi con i nemici adulti ma profondamente feroci nei confronti delle donne e bambini. Oltretutto avevano l’usanza di ritornare in massa ai loro villaggi per purificarsi con bagni di vapore dopo l’uccisione di un nemico.
Solo gli scout Apache sembravano soddisfare appieno l’esercito, tra questi si distingueva Alchisay, figlio del capo Pedro dei White Mountain e destinato a diventare capo anch’esso. Secondo Bourke, l’aiutante di campo di Crook, si distingueva come “un vero e proprio Adone per il viso, una massa di muscoli e di nervi, un coraggio magnifico, una grande sagacia e una fedeltà pari a quella di un molosso irlandese. Peccato che fosse un selvaggio”. Secondo pilastro della strategia di Crook fu l’attenzione rivolta all’equipaggiamento dei convogli militari; sia i muli sia i mulattieri erano oggetto della massima cura. Il generale vedeva la guerra sulla frontiera essenzialmente come una questione di logistica, un mulo valeva dieci soldati e il conduttore meritava ogni riguardo perchè maestro nel sistemare il carico su un basto, cioè 145 Kg di soma sapientemente distribuiti sulla schiena dell’animale. Crook scelse un’elite di mulattieri in base alla loro fedeltà e del loro amore per l’animale. Li conobbe personalmente e intrattenne con loro rapporti cordiali, sempre attento ai suoi cari muli, dei quali poteva elencare abitudini e caratteristiche fisiche. Tutte le attenzioni che avrebbe dedicato a questo aspetto della logistica ne faranno un modello, tanto che il suo sistema venne imposto dallo stato maggiore a tutte le guarnigioni del west.
Il pretesto per preparare la campagna contro i Tonto fu dato a Crook da un preciso episodio: il 5 novembre 1871, a 10 Km dal centro minerario di Wickemburg, un gruppo di assalitori attaccò una diligenza che trasportava nove passeggeri. Sette di essi morirono, un altro spirò per le ferite riportate e ci fu un solo superstite.


Gruppo di Apache White Mountain

All’inizio furono sospettati della strage alcuni banditi messicani ma quando, il 9 novembre, il capitano Charles Meinhold, comandante del posto militare che vigilava sulla riserva di Date Creek (dove vivevano i Mohave), consegnò il suo rapporto, concluse indicando la colpevolezza degli Indiani, senza poter affermare se si trattasse di quelli della riserva o di altri. Questo massacro ebbe una vasta eco a Washington e rafforzò i fautori della guerra contro gli Apache.
Crook colse la palla al balzo e scrisse: “Non ho il minimo dubbio nella mia capacità di ottenere una pace durevole con gli Apache in poco tempo; una pace che non solo farà risparmiare milioni di dollari al Tesoro americano ma che salverà anche le vite di molti bianchi e Indiani innocenti”.
Il governo assicurò il brigadiere-generale di appoggiare totalmente le “operazioni aggressive” che quest’ultimo progettava. Quindi Crook lanciò un ultimatum ai ribelli, ingiungendo loro di presentarsi alle autorità militari prima della metà di febbraio del 1872, altrimenti avrebbe aperto il fuoco contro di loro.
Nel settembre 1872, per provare i suoi piani d’azione, Crook lanciò alcuni soldati contro gli Apache-Mohave della riserva di Date Creek, presunti colpevoli della strage della diligenza. Alcuni indiani furono accerchiati e uccisi (Crook, che era in prima linea, rischiò seriamente di essere colpito: il tenente Ross deviò la canna del fucile di un Apache che lo stava prendendo di mira) ma la maggioranza riuscì a scappare. Il capitano Julius Wilmot Mason e gli scout di Al Sieber si lanciarono al loro inseguimento, ne abbatterono una quarantina e catturarono gli altri.
Al Sieber
Questa era la conferma della validità degli scout e della velocità dei trasporti militari approntata da Crook; la pace sembrò quindi regnare ad ovest della valle del fiume Verde, solo alcune bande di irriducibili vagavano nelle zone trascurate dalla colonizzazione e dalle operazioni militari.
Si diceva che il bacino del Tonto ospitasse migliaia di Apache (Tonto o Apache Mohave o Yavapai) che obbedivano a capi come Delshay, contrari alla pace; almeno così si diceva.
Il governo giudicò opportuna un’operazione militare contro gli ultimi resistenti. La strategia di Crook era improntata alla massima efficacia e semplicità: egli intendeva sconfiggere le tribù ostili il più rapidamente possibile.
In un primo momento le colonne avrebbero operato in modo apparentemente casuale per far convergere tutti i Western Apache che non vivevano nelle riserve nel loro rifugio prediletto nei momenti di maggiore attività militare, il bacino del Tonto. In un secondo tempo, quando il nemico fosse stato radunato in una sola zona, le colonne vi sarebbero confluite intimando la resa e distruggendo le roccaforti Indiane.
Il bacino consisteva nel corso del fiume Tonto, limitato a nord dal Mogollon Rim, a ovest e a sud dalla catena dei monti Matzatzal, e dalla Sierra Ancha a sud est. 3800 Km quadrati estremamente accidentati e ricchi di foreste.
Proprio in questi luoghi Crook avrebbe condotto la sua guerra. I mesi di inattività gli avevano permesso di curare fin nei dettagli l’organizzazione della campagna.
Egli mosse guerra con truppe fresche del 5°cavalleggeri e del 23° fanteria; il maggiore George M. Randall del 23° insediò il proprio comando a Camp Apache; il colonnello Mason del 5° a Camp Verde; i maggiori James Burns e John M. Hamilton del 5° a Camp McDowell, mentre gli altri maggiori, George F. Price e William H. Brown si accamparono uno a Date Creek e l’altro a Camp Grant, dove alloggiavano Crook e il suo aiutante di campo, il tenente Bourke.


Camp Grant

Gli scout indiani furono inquadrati nelle diverse compagnie: erano Apache (i migliori), Walapai, Apache Mohave, Paiute, Pima, Maricopa e Yuma.
Gli aspetti logistici della campagna furono preparati con maniacale pignoleria. Il 16 Novembre 1872 Crook diede il via alle operazioni, con l’intento di concentrare i suoi sforzi dapprima nel settore nord occidentale dell’Apacheria, per poi dirigersi a sud est nel bacino del Tonto. Il generale iniziò le operazioni militari a metà Novembre non a caso, perchè, con l’inizio dell’inverno e per via della neve, sarebbe stato difficile per il nemico ritirarsi in alta montagna. Gli Apache, infatti, molto probabilmente non si sarebbero mossi e a causa del freddo sarebbero stati costretti ad accendere fuochi negli accampamenti, così il fumo sarebbe stato individuato dalla vista acuta degli esploratori.
Il piano di Crook prevedeva l’avanzata di diverse colonne convergenti sul Tonto Basin ma tutte le colonne avrebbero dovuto cooperare per raggiungere lo scopo finale.
Gli ordini erano molto semplici: bisognava costringere gli Indiani ad arrendersi con la forza, prendendoli prigionieri o uccidendoli. Alle donne e ai bambini non doveva esser fatto alcun male (ma a quanto pare nei fatti le cose andarono diversamente). Bisognava marciare dalle 4 del mattino fino al tardo pomeriggio, arrivando al punto da proseguire a piedi nel caso i cavalli fossero stati stanchi.
Crook teneva particolarmente ad individuare la rancheria del Nantan degli Apache Tonto più feroce e indomabile: Chuntz.
Piccoli distaccamenti estremamente mobili dovevano dunque battere la zona in tutte le direzioni per snidare i resistenti, costringerli a uscire dai loro rifugi e respingerli in direzione del Bacino del Tonto. Là, il freddo dell’altitudine e l’eventuale neve avrebbero reso difficile l’approvvigionamento. A questo punto sarebbe stato facile avere ragione dei ribelli, quando avrebbero dato segno di voler combattere.
Lo scopo venne raggiunto da tre spedizioni partite da Camp Hualpai, una era diretta verso i San Francisco Peaks, l’altra verso le sorgenti del Verde e l’altra ancora nella valle del Chino. Dopo di che le tre colonne avrebbero dovuto riunirsi nei dintorni di Camp Verde, per liberare la zona. Ogni colonna era formata da una compagnia e alcune decine di scout. Durante le due settimane di marcia per raggiungere il Verde, le truppe soffrirono la sete perchè la stagione delle nevi non era ancora iniziata. Ad un certo punto le guide indiane assoldate di recente, si sentirono assetate a tal punto che per poco non disertarono, vennero però convinte a restare. Queste spedizioni furono abbastanza efficaci, molte rancherias vennero incendiate, molti prigionieri furono catturati e circa 13 apache uccisi, 11 dei quali in un’azione condotta dalla colonna inviata nella valle del Chino, condotta dalle guide Paiute.
Dopo aver inviato in missione le colonne da Hualpai, Crook accompagnato dai suoi aiutanti di campo, Bourke e Ross, e da una scorta di Camp Apache, andò ad assoldare altri scout Apache. Nel frattempo, il 3 dicembre, le colonne di Hualpai, dopo tre giorni di riposo a Camp Verde, erano ripartite per setacciare la zona a ovest del forte accompagnate da altre due unità di recente formazione. Vi rimasero per due settimane, bruciando rancherias e mettendo in fuga il nemico. Solo un contingente, quello inviato a nord ovest, si avvicinò abbastanza agli indiani da impegnarli in uno scontro. Gli Indiani, che non si aspettavano un attacco da quella direzione vennero sorpresi mentre si accampavano. Tredici guerrieri vennero uccisi, tre donne prese prigioniere e il campo distrutto.
Alchisay
Gli scout Apache, cui si doveva gran parte del successo dell’esercito, il 17 dicembre celebrarono le vittorie con una danza di guerra. Il tenente Bourke, al comando di una colonna, osservava il contingente indiano. Egli scrisse: “Più li conoscevamo e più ci piacevano. Erano più selvaggi e sospettosi dei Pima e dei Maricopa ma molto più affidabili e dotati di maggior coraggio e audacia”.
Il 22 dicembre gli scout colpirono ancora a sud della Sierra Ancha, facendo numerose vittime e prendendo tre prigionieri. Il bilancio di questo mese di guerra era positivo per Crook: Chuntz e Delshay, i principali capi degli ostili erano sfuggiti alla cattura ma le loro rancherias erano state distrutte e molti uomini uccisi o catturati.
Di tutte le colonne di Crook la più attiva fu quella del maggiore William H. Brown. Composta da 220 uomini era preceduta di 24 ore dagli scout di Al Sieber, Archie McIntosh, Joe Felmer e Antonio Besias. La colonna, partita da Camp Grant, rastrellò prima i massicci a sud del fiume Salt e poi quelli a nord, per poi fiancheggiare il versante dei Matzatzal e raggiungere il lato ovest del fiume Verde (Bradshaw Mountain). Sulla via del ritorno la compagnia attraversò nuovamente il fiume e si accampò alla base dei Quattro Picchi. Il 27 dicembre venne raggiunta dalla colonna Burns, coi suoi 110 scout Pima, provenienti da Camp McDowell. Questa colonna aveva appena distrutto una rancheria ostile nella regione dei Quattro Picchi, all’estremità meridionale dei Matzatzal, sulla sponda del fiume Salt opposta a quella dove dovevano incontrare l’altra colonna. Una volta che le due colonne si furono ricongiunte, gli scout dissero di “sentire” la presenza degli ostili in quella zona (qualcuno di essi aveva fatto ricorso al suo Potere?).


Ancora un’immagine di Camp Grant

Si sperava che si trattasse di Delsahy, il più importante tra i capi a cui veniva data la caccia. Uno degli scout, di nome Nantaje (o Nantze, Natahe o Nantehe) disse di conoscere l’unico rifugio possibile per un gruppo inseguito: una grotta (chiamata Skull Cave) sospesa nel fianco di una parete rocciosa che domina il corso del Salt, in uno stretto canyon. Nantaje, che apparteneva alla banda di Chunz, e conosceva bene i rifugi dei Tonto, la sua gente, conosceva quel rifugio sin dall’infanzia ed era disposto a guidarvi le truppe. Disse che bisognava muoversi di notte, perchè se fossero stati avvistati non si sarebbe salvato un solo uomo. Il maggiore Brown non aveva alcun motivo per dubitare della parola dello scout e non voleva lasciarsi sfuggire l’occasione di una vittoria, quindi decise di raggiungere la gola del fiume marciando di notte. Ogni uomo alleggerì il più possibile l’uniforme e l’equipaggiamento e portò con sè soltanto una coperta per proteggersi dal freddo. Arrotolati nella coperta, portata a tracolla, vennero sistemati un pò di viveri. I soldati calzarono i mocassini e si misero in cammino.
Così il tenente Bourke raccontò gli avvenimenti di quella notte:
“La sera del 27 dicembre ci saremmo dovuti muovere solo quando una determinata stella, che conosceva Nantaje, avrebbe raggiunto la sua posizione. Alle ore 20, i nostri indiani si misero in cammino, seguiti dalla truppa di Burns… e dai Pima… Camminavamo come una lunga fila di spettri, senza parlare. Non eravamo altro che un battaglione di fantasmi nel vento gelido del nord…”
La truppa dovette camminare per altre tre ore prima di arrivare all’ingresso del canyon. Fu poi necessario scalare la mesa, la cui cresta strapiombava sulla gola. Ma dove si nascondevano gli Apache?
“Sono le 0,15 e siamo in cima alla mesa. Ci riposiamo per circa un’ora ma senza rompere le righe. Gli scout Apache mandati in ricognizione, ritornano poco dopo dicendo di aver visto dei fuochi nel canyon, al di sotto di noi. Avanziamo uno dietro l’altro fino all’orlo del precipizio, di cui ignoro la profondità e aspettiamo al freddo, senza coperte nè cappotti, il sorgere del sole. Non c’è alcun segno che riveli la presenza del nemico e gli uomini sono delusi. La maggior parte dei soldati è molto stanca ma Joe Felmer e alcuni altri scendono lungo un sentiero scosceso verso il fiume… A 300 m. scoprono i resti di un accampamento abbandonato di recente, poi più lontano, una quindicina di cavalli e di muli. Finalmente scorgono l’accampamento apache, in una posizione imprendibile.”
“Questo accampamento era riparato da una piccola depressione ovale. Al di sopra, a circa 150 m, sulla cresta della parete rocciosa che rinserra il Rio Salado (il Salt) si trovava una grotta o cavità, protetta da un baluardo naturale di calcare alto dai 3 ai 4 metri, che riparava efficacemente gli indiani. Così come le numerose rocce sparse riparavano i nostri uomini dal fuoco nemico”.
Gli Apache, ritornati da una scorreria come si vedeva dalle cavalcature stanche scoperte dagli scout di Felmer, cantavano e ballavano per combattere il freddo, mentre le loro squaw preparavano da mangiare. Tutti si ritenevano perfettamente al sicuro.
Il maggiore Brown, immediatamente avvertito, ordina alla colonna Burns di sorvegliare la pista di ritirata sulla mesa. Egli stesso si mette alla testa di un centinaio di uomini e inizia a scendere lungo il sentiero che sbuca di fronte alla grotta.
“Il grosso delle truppe venne spinto in avanti il più velocemente possibile. Nonostante i soldati fossero molto stanchi, l’entusiasmo degli uomini cresceva di fronte alla prospettiva del combattimento. (Brown manda il tenente Ross avanti con dodici tiratori scelti e Nantaje. Si avvicinano all’apertura della grotta, ogni uomo si nasconde e sceglie il proprio bersaglio). Questo piccolo gruppo di nostri compagni, il cui coraggio non si sottolinerà mai abbastanza, attaccò subito gli indiani, uccidendone sei e respingendo gli altri nel fondo della caverna”.
Brown ordinò a Bourke di andare a prestare rinforzi a Ross con 40 uomini.


Guerrieri Apache in un quadro famoso

“Mentre sorgeva l’alba del 28, in quella gelida mattina di dicembre, una delle peggiori bande Apache dell’Arizona era stata ormai presa in trappola… Venne dato ordine di non attaccare il nemico ma di sparare contro qualsiasi indiano si fosse mostrato. Bisognava risparmiare le donne e i bambini e uccidere tutti gli uomini. Per due volte venne chiesto agli assediati di fare uscire le loro famiglie… ma per sola risposta essi lanciarono grida di sfida. Questi versi si mutarono presto in gemiti di disperazione quando incominciammo a sparare raffiche di pallottole contro di loro. Alcuni di essi compirono coraggiosi tentativi di fuga rimanendo tutti uccisi prima di riuscire ad attraversare il nostro sbarramento. Un indiano dal bellissimo aspetto, alto 1,90 m, dalle proporzioni ammirevoli ma dall’aria estremamente selvaggia, riuscì tuttavia ad attraversare la nostra linea frontale e a filare in direzione del fiume (venne poi colpito da dodici pallottole). Non ho mai visto un luogo così infernale come quella strettoia nella quale si erano concentrati gli Indiani in quel momento. Le pallottole che colpivano l’ingresso della grotta assomigliavano a gocce di pioggia che sferzavano la superficie di un lago”.

“Venne chiesto ancora una volta agli Apache di arrendersi ma questi rifiutarono nuovamente”.
“Quando fu riaperta la sparatoria i soldati rimasero inorriditi alla vista di un bambino di circa quattro anni, completamente nudo, in piedi tra le due linee di fuoco. Lo scout Nantaje si lanciò a salvarlo e lo portò nelle nostre postazioni. Gli uomini cessarono allora per un momento di sparare “per acclamare Nantaje e accogliere il nuovo arrivato”. Questa è l’incoscienza della natura umana. Non devo tralasciare di dire che la compagnia G del capitano Burns riuscì a prendere posizione sulla cresta delle pareti rocciose più alte. Da lì spedì raffiche mortali sugli infelici che combattevano al di sotto (protetti dal parapetto). Non soddisfatti dell’effetto delle pallottole, fecero precipitare su di loro enormi rocce che, rotolando verso il precipizio, schiacciavano tutto ciò che incontravano sul percorso”.
Con l’ultima carica i soldati entrarono nella grotta dove trovarono molti cadaveri ammassati, fra i quali c’era anche quello del capo Nanni-Chadi. In tutto i morti fra gli apache furono 76, di cui 57 nella caverna. Diciotto, fra donne e bambini, erano sopravvissuti sebbene fossero tutti feriti, vennero quindi condotti a Camp McDowell. Gli assalitori persero solo uno scout Pima. Tempo dopo, si venne a sapere che un guerriero era sopravvissuto alla strage: ferito ad una gamba, si era nascosto sotto i cadaveri e aveva visto i soldati assaltare la grotta. Quando questi si furono allontanati, fabbricò delle stampelle con due lance spezzate.


Un gruppo di scout Pima

Dopo molte settimane, trovò rifugio nel lontano massiccio di Turrett Mountain. Sebbene non vi siano certezze in proposito, alcuni ritengono che gli indiani fossero invece Yavapai e che forse non compresero la richiesta di resa perchè venne formulata in lingua Apache. Nantaje, in seguito fu decorato con la medaglia d’onore, per la sua “Gallant conduct during the campaigns and engagements with Apaches… Nantaje was one of ten Indian Scouts who guided Crook’s columns during the winter campaign of 1872-73.”
L’organizzazione sociale degli Apache aveva un carattere così locale che neppure una sconfitta di questa portata ebbe l’effetto di placare la resistenza di quelli distanti ma a livello locale la demoralizzazione fu enorme. I soldati vittoriosi rimasero a Fort McDowell solo il tempo necessario per rinnovare l’equipaggiamento e riassortire i complementi, poi presero la via del ritorno verso Fort Grant passando per i monti Superstition.
Il loro passaggio fu segnato da un breve scontro a fuoco il 15 gennaio, il 18 i nemici nei dintorni cominciarono a dar segno di volersi arrendere. Per primo si presentò al campo un bambino, poi una donna e infine un vecchio. Vennero sfamati e in seguito rilasciati invitandoli a tornare con le loro bande. Brown e Randall ripresero il loro cammino rastrellando metodicamente i settori ancora popolati da bande libere, queste scaramucce causarono decine di morti e feriti. Brown si sarebbe guadagnato la riconoscenza dei superiori per aver ucciso 500 apache nel corso del periplo di 1800 Km percorso dalla sua colonna in 142 giorni (il numero dei morti dichiarato è molto probabilmente sovrastimato).
Gli Indiani continuavano ad arrendersi.
Mentre si consumava la campagna del Tonto, nel febbraio 1873 venne aperta la riserva di San Carlos, che divenne tristemente famosa per il clima inospitale e i soprusi che gli Apache lì concentrati dovettero sopportare.
L’11 marzo una banda di Tonto fornì a Crook l’occasione di cui aveva bisogno per finire la campagna. Un piccolo gruppo di questi indiani si era appostato in un fossato nei pressi di Wickenburg, evidentemente con l’intenzione di assalire una diligenza. Piombarono invece addosso a un gruppetto di bianchi che transitavano, uccidendone due (uno dei quali era un ben noto vecchio pioniere di nome Gus Swain); un terzo, il ventunenne immigrato scozzese George Taylor, il cui padre amministrava una miniera nei dintorni, venne catturato vivo e brutalmente torturato. Nel suo rapporto il capitano Nickerson, che ispezionò il luogo di lì a poco, scrisse che gli Apache avevano ferito con le frecce il giovane Taylor 150 volte in parti non vitali. Il terreno era “tutto schiacciato perchè il giovane vi si era ripetutamente rotolato”. Nickerson non ebbe il coraggio di riferire come fu finito il giovane: si limitò a dire che era “troppo straziante e bestiale” per essere descritto. Le ferite che Nickerson attribuì alle frecce erano in realtà fatte con schegge di legno alle quali, dopo aver trafitto Taylor, gli Indiani diedero fuoco.
Mentre le poche bande ostili che ancora rimanevano, erano intimorite dalla piega che aveva preso la campagna, gli scontri si fecero sempre più frequenti e intensi.
Nelle due settimane che seguirono la morte di George Taylor, 38 guerrieri furono uccisi in 4 distinti scontri. Al 23° Fanteria, comandato dal capitano George M. Randall, venne affidato il compito di scovare i massacratori di Taylor. Randall e i suoi scout rintracciarono le piste abilmente nascoste a nord-est delle sorgenti del fiume New, attraverso il paesaggio accidentato e lunare del bacino del fiume Bloody, sino alla biforcazione del fiume Verde. Quando la meta sembrava vicina, alcuni muli di Randall sparirono e il capitano, avendo visto fili di fumo levarsi nell’aria, ne dedusse che erano stati rubati dagli indiani. La sua presenza era quindi nota al nemico ma il capitano riuscì a non farsi scoprire. Procedendo nella silenziosa e lenta marcia, gli scout di Randall riuscirono a catturare una donna Tonto che, cedendo alle minacce, li condusse alla rancheria.


Una parata a Fort Grant

La colonna si mosse col favore delle tenebre, in un silenzio totale. Era proibito parlare e persino gli stivali dei soldati erano stati fasciati con tela di sacco per attutire il rumore dei passi.
Dopo una lunga marcia, la donna li condusse sotto la cima di una montagna chiamata Turret Peak, circa 15 Km a ovest del Verde, di fronte al punto di biforcazione del ramo orientale del fiume, a circa 30 Km a sud di Camp Verde. Formata da una tortuosa colata di lava, la montagna aveva una cima di forma vagamente cilindrica, con la sommità piatta, da cui il suo nome.
La rancheria a cui li condusse la donna era situata proprio sulla sommità pianeggiante, una posizione apparentemente invulnerabile cui si accedeva solo grazie a un sentiero scosceso in un punto in cui la parete rocciosa era franata.
Il minimo rumore a quel punto avrebbe significato un disastro, ma i soldati, a uno a uno, superarono in silenzio l’ultimo ostacolo, costituito da un masso caduto sul sentiero.
Dopo una sosta per riunirsi in un punto della cima, le truppe assalirono la rancheria alle prime luci dell’alba. Vennero uccisi circa 25 ribelli Tonto, che si ritiene fosse la totalità degli uomini. L’attacco fu così rapido che alcuni guerrieri sarebbero stati presi dal panico e quindi morti cadendo nei dirupi durante la fuga. Alcune donne e bambini riuscirono a sfuggire alla cattura ma i rimanenti vennero presi prigionieri.
La sconfitta di Turret Peak ebbe sul morale dei nemici un effetto devastante e significativo. Probabilmente anche perchè i sopravvissuti in grado di diffondere la notizia erano in numero maggiore di quelli della caverna del fiume Salt. Se le truppe avevano scovato e conquistato la rancheria di Turret Peak, che sembrava inespugnabile, dove avrebbero potuto cercare ancora rifugio i ribelli?
Pochi giorni dopo la battaglia di Turret Peak, gli Indiani sconfitti cominciarono a inviare messaggi di pace ai forti. Un gruppo giunse cautamente a Camp Verde e parlò con Crook, il quale impose un’immediata tregua alla guerra. Crook, esperto com’era nella lotta agli Indiani, non voleva inutili spargimenti di sangue sino a quando non avesse avuto prova della sincerità dei ribelli. Fece lanciare segnali luminosi dalla cima delle colline per richiamare le truppe e inviò degli scout nei labirinti del bacino perchè raggiungessero le altre unità con l’ordine di cessare le ostilità.
La fine della guerra del Tonto fu un grande successo per Crook, che aveva dato prova di non temere la lotta contro gli Apache nel loro stesso territorio. Li aveva sconfitti dimostrando la validità della teoria che occorrevano scout indiani per battere gli altri Indiani. Alla fine i morti raggiunsero un numero stimato tra i 400 e i 500 fra Apache, Tonto e Yavapai (come già scritto, questa cifra è probabilmente esagerata). I sopravvissuti soprannominarono Crook la “Volpe Grigia” e, sebbene la popolazione bianca dell’Arizona premesse per il totale sterminio degli Indiani, egli mise fine alla guerra.
Il primo risultato della campagna di Crook fu la resa del capo Cha-Lipun, avvenuta il 6 aprile a Camp Verde. Vi sono due versioni del discorso pronunciato dal capo: “Vedi, siamo quasi morti di fame e di freddo. Non possiamo dormire di notte per paura di un attacco all’alba. Non possiamo cacciare perchè gli spari attirano su di noi le truppe. Non possiamo cucinare perchè la fiamma e il fumo vi conducono a noi. Non possiamo restare nelle valli perchè possiamo essere scoperti e se andiamo sulle montagne innevate i soldati ci inseguono. Non mi arrendo a te perchè ti stimo, ma perchè mi fai paura”. Ecco la seconda, riportata dal tenente Bourke: “Amico mio, sono venuto con il mio popolo per arrendermi perchè hai troppe pallottole di rame. Voglio essere tuo amico. Voglio che le mie donne e io possiamo dormire la notte e prepararci da mangiare senza che tu lanci i tuoi uomini contro di noi. Gli Americani da soli non mi fanno paura, ma non possiamo combattere i tuoi soldati e insieme quegli indiani che combattono con te”.


Indiani Yavapai

Crook prese la mano di Cha-Lipun e gli disse che se avesse promesso di vivere in pace e cessato di uccidere i Bianchi, sarebbe diventato il suo migliore amico. Gli Apache erano stati uccisi per colpa loro; era la conseguenza del non avere ascoltato i messaggeri inviati per invitarli ad abbandonare il sentiero di guerra e a entrare nelle riserve; pertanto non rimaneva altra soluzione che combatterli finché non avessero cambiato atteggiamento. Era inutile discutere su chi avesse dato inizio alla guerra; c’erano uomini cattivi in ognuna delle nazioni; c’erano messicani malvagi, statunitensi malvagi e Apache malvagi.
Crook, da un lato fece capire a Cha-Lipun che era dispiaciuto per la guerra, che d’altronde era stata provocata dagli stessi Indiani ma che adesso era finita. Lui li avrebbe aiutati a vivere meglio proteggendoli anche dai bianchi ostili; effettivamente diede istruzioni intelligenti ai suoi subordinati per quel che riguardava i rapporti con gli ex nemici. Suggerì che non bisognava essere severi con gli Indiani che commettevano quelli “… che secondo il codice civile sarebbero considerati reati minori, però era necessario sorvegliarli affinché non tradissero gli agenti e gli ufficiali in questioni molto più fondamentali, tenendo presente che andavano trattati come bambini solo rispetto alla loro ignoranza, non certo alla loro innocenza”.
Tre giorni dopo la resa di Cha-Lipun, Crook dichiarò formalmente che la guerra era finita e inviò quindi un messaggio di elogio alle truppe, ben presto seguito da una citazione del comandante di divisone Schofield.
Non tutte le colonne vennero richiamate subito perchè uno dei principali capi nemici, Delshay, non si era ancora arreso. Finalmente, il 25 aprile, la sua rancheria nella zona nord orientale del bacino del Tonto, vicino all’ansa di Canyon Creek, venne circondata e conquistata.
Anziché rischiare di fare la fine degli Indiani di Salt River e di Turret Peak, Delshay si arrese ai primi spari sventolando una bandiera bianca.
Con la sconfitta dell’ultimo dei ribelli, Crook e le sue truppe, furono oggetto delle lodi entusiastiche da parte della stampa locale, di seguito egli ottenne la promozione a generale di brigata.