Alamo, i miti da sfatare sulla battaglia

A cura di Renato Ruggeri

La battaglia di Alamo
Indiscutibilmente la battaglia di Alamo rappresenta uno dei momenti cardine della storia degli Stati Uniti d’America e in breve tempo questo episodio si è spostato dall’ambito storico più propriamente detto a quello, molto più confuso, in cui molti elementi appartengono più propriamente alla leggenda.
Restituire ai lettori e agli appassionati tutto il nitore della storia a qualcosa che è leggenda non è semplice, ma noi di Farwest.it ci abbiamo provato, affidando la ricerca al nostro Renato Ruggeri, noto per una serie di articoli dedicati proprio ai “miti da sfatare”.
Confidiamo che l’approfondimento che vi proponiamo sia gradito proprio perché riporta l’attenzione su ciò che veramente accadde ad Alamo.
Buona lettura!

Davy Crockett fu giustiziato alla fine della battaglia.

L’alfa e l’omega di tutti i miti e le controversie su Alamo è la presunta esecuzione di Davy Crockett, il “Leone del West”, il 6 marzo 1836, al termine della battaglia.
Vi sono numerose testimonianze sull’esistenza di prigionieri che furono passati per le armi alla fine del combattimento.
Il Segretario di Santa Anna, Ramon Martinez Caro, nelle sue memorie raccontò questa storia. ”Il Generale Castrillon scoprì cinque Texani che si erano nascosti dopo l’assalto e li portò davanti a Santa Anna. Ma sua Eccellenza lo rimproverò aspramente per non averli uccisi sul posto, contravvenendo, così, ai suoi ordini e gli voltò le spalle sdegnato, mentre alcuni soldati, usciti dai ranghi, uccidevano i prigionieri”.
Caro commentò così “ È una verità crudele, ma non potevo nasconderla”.
Era quasi la stessa storia raccontata da Anselmo Bergara e Andres Barcena, i due Tejanos che portarono, per primi, la notizia della caduta di Alamo a Sam Houston, che si trovava a Gonzales, l’11 marzo 1836. Dissero di aver sentito il racconto della battaglia da un Messicano che l’aveva combattuta. Secondo il soldato  “sette difensori che si erano arresi erano stati giustiziati per ordine di Santa Anna”.
Il 29 marzo 1836 apparve, sul New Orleans True, questa notizia. ”Ci spiace informarvi che il Col Crockett, il suo compagno Mr Benton  e il brillante Colonnello  Bonham del South Carolina chiesero di arrendesi, ma fu loro risposto che non vi era misericordia. Continuarono, così, a combattere fino a quando furono massacrati”.
Il 9 luglio dello stesso anno il Morning Courier and New York Enquire uscì con una sensazionale notizia. Davy Crockett era uno dei sei americani scoperti vicino a un muro non ancora conquistato. I sei uomini si erano arresi a Castrillon che li aveva condotti al cospetto di Santa Anna, promettendo clemenza e protezione, ma Santa Anna, infuriato, aveva ordinato ai suoi ufficiali di giustiziarli sul posto a colpi di spada.


Gli ultimi istanti di Davy Crockett

Il testimone dell’esecuzione e del riconoscimento di Crockett non veniva citato nell’articolo.
Vi furono, poi, altre testimonianze.
Una tra le più famose fu quella del Sergente George Dolson che era entrato nell’esercito Texano dopo San Jacinto. Dolson scrisse, in una lettera al fratello, che era stato chiamato come interprete dal Colonnello James Morgan, comandante di Galveston Island, con lo scopo di interrogare un prigioniero Messicano. Il prigioniero era un ufficiale che fece questo racconto. ”La mattina della caduta di Alamo, il Generale Castrillon scoprì sei Texani che si erano nascosto in una back room of the Alamo (una stanza posteriore non identificata, forse all’interno della chiesa). Avevano combattuto con coraggio ma ora la battaglia era perduta. Castrillon offrì loro una resa onorevole. Disse . . . Qui ci sono una mano e un cuore pronti a proteggervi. Venite con me dal Generale Capo e sarete salvi. Uno degli uomini si fece avanti, le braccia conserte, fiero come un leone. L’interprete di Santa Anna (forse il Colonnello Juan Nepomuceno Almonte) lo identificò come il famoso Crockett.
Quando Castrillon arrivò alla tenda di Santa Anna, il dittatore esclamò. . . Chi ti ha dato l’ordine di prendere prigionieri? Non voglio che questi uomini vivano, sparategli!
Un attimo dopo le feroci guardie personali del tiranno uccisero i sei prigionieri”.
La lettera di Dolson apparve sul Detroit Democreat Free Press il 2 settembre 1836 e fu ripresa, poi, da altri giornali.
A queste due testimonianze principali, quella di Caro e Dolson, se ne aggiunse una terza, la più famosa e controversa.
Nel 1975 fu tradotto in lingua Inglese dall’archivista Carmen Perry “With Santa Anna in Texas”, il diario, o meglio, le memorie di Jose Enrique De La Pena, un Luogotenente del Battaglione degli Zapadores che aveva preso parte all’assalto di Alamo. Il libro era stato pubblicato per la prima volta a Mexico City, nel 1955, dall’antiquario Jesus Sanchez Garza col titolo “La Rebelion de Texas”.
In un passaggio De La Pena affermava di aver assistito all’esecuzione di alcuni prigionieri Texani.
“Sette uomini erano sopravvissuti alla carneficina e furono portati dal Generale Castrillon davanti a Santa Anna. Tra di essi vi era un uomo alto, ben proporzionato, dai tratti regolari, sul cui volto si leggeva l’impronta delle avversità, ma anche un certo grado di rassegnazione e nobiltà che gli faceva onore. Era il naturalista Davy Crockett, ben conosciuto in Nord America per le sue inusuali avventure. Venuto a esplorare la nostra regione, si era trovato a Bexar al momento della sorpresa (l’arrivo inaspettato delle truppe Messicane) e si era rifugiato dentro Alamo, pensando che il suo stato di straniero non sarebbe stato rispettato”.
Santa Anna diede in escandescenze quando Castrillon gli presentò i prigionieri. Voltandosi verso i soldati vicino a lui, ordinò l’esecuzione. Ma nessun ufficiale e soldato si mosse, ne avevano abbastanza di uccidere. Umiliato, Santa Anna ordinò al suo staff di ufficiali e alla sua guardia personale di giustiziare i prigionieri. Mentre Castrillon e De La Pena guardavano inorriditi, gli ufficiali uccisero gli inermi difensori torturandoli a colpi di sciabola.
Dopo la pubblicazione del libro si scatenò una  vera e propria guerra dialettica e mediatica tra coloro che ritenevano veritiere le memorie, tra essi storici come James Crisp, Paul Hutton e Dan Kilgore, e coloro, come Bill Groneman, Thomas Ricks Lindley e Wallace Chariton che ne negavano la veridicità, in parte o per intero, e le ritenevano un fake, un falso.
La questione è dibattuta ancora oggi.
Sulla morte di Crockett esistono altre versioni, più o meno fantasiose.
In una lettera  a Charles Jeffries, datata 17 agosto1904 e pubblicata nel 1939, lo storico William Zuber scrisse dell’esecuzione. Zuber affermò di aver udito la storia dal Dt George Patrick che l’aveva sentita, a sua volta, dal Generale Martin Perfecto de Cos.
Cos raccontò di aver trovato Crockett, al termine della battaglia nascosto, illeso e solo, in una stanza e che Crockett si sarebbe espresso così” Sono Davy Crockett, un cittadino del Tennessee e un rappresentante di questo stato al Congresso. Sono venuto in Texas per una visita di esplorazione con lo scopo di diventare un leale cittadino della Repubblica Messicana. Sono giunto a San Antonio ma, subito dopo il mio arrivo, il forte è stato assalito dalle truppe governative e non mi è stato più possibile partire. Ed eccomi qui, un non combattente e uno straniero che non ha preso parte alla battaglia”. Cos disse, poi, che Crockett gli chiese di intercedere  presso Santa Anna, ma il dittatore si rifiutò di risparmiargli la vita. Allora Crockett impugnò un coltello e cercò di colpirlo, ma fu ucciso a colpi di baionetta.
Nel 1859 il Texas Almanac pubblicò il racconto del Dr Nicholas Labadie.
Labadie affermava di aver curato le ferite del colonnello Urizza dopo la battaglia di San Jacinto e che, nel corso di una conversazione, Urizza gli aveva raccontato dell’assalto. ”Quando la battaglia finì vidi Castrillon che conduceva, per mano, fuori da Alamo, un venerable old looking man (un vecchio dall’aspetto dignitoso), e un soldato Messicano chiamò l’uomo Coket”. Santa Anna non si fece impressionare dall’aspetto e dall’età e ordinò di sparare al prigioniero.
Il Colonnello Juan Sanchez Navarro parlò, invece, di un certo Cochran . ”Alcune cose mi fecero orrore, tra le tante la morte di un vecchio uomo chiamato Cochran e di un ragazzo di solo 14 anni”.
Ancora più fantasiosa è la versione di Francisco Becerra. Becerra affermò di essere stato un sergente dell’Esercito Messicano. Nel 1870 raccontò a un antiquario Texano, John Ford, una storia curiosa. Disse di aver ucciso un uomo molto somigliante a Bowie e di aver scoperto Travis e Crockett all’interno della chiesa. Secondo Becerra Travis cercò di corromperlo con una somma di denaro mentre Crockett riposava, esausto, sul pavimento. Il Generale Cos portò i due difensori davanti a Santa Anna e costui ne ordinò l’immediata esecuzione.
Dalle testimonianze sembra cosa certa che alcuni prigionieri furono giustiziati dopo la battaglia, ma tra essi c’era Davy Crockett?
Molti storici pensano che il Leone del West non sia stato giustiziato.
Uno dei principali argomenti contrari all’esecuzione proviene dalle testimonianze dell’epoca.
Susanna Dickinson, una tra i superstiti della battaglia, vide il corpo di Crockett “che giaceva morto e mutilato tra la chiesa e le due long barracks, con il suo particolare cappello posato vicino al corpo”.
Questo spazio è adiacente alla palizzata in legno sul lato sud difesa dai volontari del Tennessee
Francisco Ruiz, l’alcade di San Antonio, raccontò di essere stato chiamato da Santa Anna per il riconoscimento dei corpi di Travis, Bowie e Crockett. ”Vicino a una batteria di cannoni sul lato nord della fortezza giaceva il corpo senza vita di Travis, ucciso da un colpo alla fronte. A ovest, nel piccolo forte sul lato opposto alla città, trovammo il corpo di Davy Crockett”.
Ruiz si riferiva, probabilmente, a una delle due batterie o a una trincea lungo il lato ovest della missione. Questa collocazione è accettata dal primo vero storico di Alamo, Reuben Potter, che intervistò alcuni soldati Messicani durante le sue ricerche. Nel suo resoconto finale scrisse “ Il corpo di Crockett fu trovato presso la batteria che sparava al centro del muro ovest”.
Eulalia Yorba, una giovane donna che, con i suoi figli, si era rifugiata nella casa del prete di San Antonio, raccontò di aver accompagnato, alla fine della battaglia, il sacerdote all’interno di Alamo. Santa Anna lo aveva chiamato per confortare i soldati feriti e morenti. Yorba raccontò di aver visto Crockett, che aveva conosciuto a San Antonio prima dell’assedio. Giaceva morto vicino a un uomo agonizzante, a cui Yorba lavò il volto imbrattato di sangue e polvere. ”Il Colonnello aveva circa 50 anni a quel tempo. La sua camicia era intrisa di sangue in tal quantità da nascondere il colore originale, e io pensai che questo eccentrico eroe era morto per una pallottola al torace o per un colpo di baionetta”.
Joe, lo schiavo di Travis, vide il corpo di Crockett che giaceva circondato da ventiquattro soldati Messicani morti.
Ben, il cuoco nero di Almonte, disse di aver visto il corpo di Crockett, che conosceva di vista, attorniato dai cadaveri di sedici Messicani.
L’esecuzione non viene, poi, menzionata nei racconti di alcuni reduci dell’esercito Messicano che parlarono dopo la battaglia. Non lo fece Santa Anna, quando fu interrogato per più di due ore dopo la cattura, e durante i sette mesi in cui fu prigioniero in Texas e negli US, e neppure il suo segretario Ramon Caro. Il Sergente Manuel Loranca raccontò di aver scoperto, nel convento, alcuni rifugiati che furono subito giustiziati per ordine di Santa Anna, ma non fece menzione di Crockett, così come il Generale Vicente Filisola, l’Italiano secondo in comando, che scrisse un dettagliato resoconto della battaglia, e il Colonnello Jose Napomuceno Almonte.
La veridicità delle memorie di Enrique De  La Pena, la principale prova per coloro che credono nell’esecuzione, viene negata da molti storici.
James Donovan nel suo recente libro “Blood of Heroes”, ritiene che il manoscritto sia autentico, ma scrive che molti fatti narrati da De La Pena non sembrano veritieri
Per esempio De La Pena racconta di aver visto Travis ucciso nella plaza di Alamo, mentre il tradizionale luogo della sua morte è il muro a nord. Scrive, poi, che ci furono due superstiti, uno schiavo negro e una vecchia donna, mentre i sopravvissuti furono più di venti.


L’assalto finale

La stessa pagina in cui viene narrata l’esecuzione di Crockett, il foglio 35, sembra scritta su un tipo di carta differente dal resto del manoscritto e da una mano diversa. Donovan suggerisce che quel foglio, insieme a altri che si trovano nel manoscritto, sia stato inserito in un secondo tempo, in base a a racconti postumi, e che De La Pena non abbia assistito direttamente alla presunta esecuzione.
Lo stesso De La Pena, in un pamplhet pubblicato nel 1839 e intitolato “Una victima del Despotismo”, raccontò dell’esecuzione di alcuni sfortunati, tra cui un uomo esperto nelle scienze naturali, che si trasformò, probabilmente, nel naturalista Davy Crockett.
Thomas Ricks Lindley, nel suo libro “Alamo Traces”, analizza in maniera approfondita “With Santa Anna in Texas”, le memorie di De La Pena.
Il manoscritto è formato da due parti.
La prima, di 109 pagine, è il Diario della Campagna, Fu scritto nell’estate del 1836, quando De La Pena si trovava a Matamoros, in attesa della decisione del Governo Messicano per una seconda invasione del Texas, mettendo in bella copia un precedente diario tenuto durante la campagna che non è mai stato ritrovato. Lindley ritiene che questo manoscritto sia sicuramente di De La Pena;è scritto tutto sullo stesso tipo di carta e ha un’unica filigrana. All’interno non si fa menzione dell’esecuzione di Crockett.
Le memorie, una expanded version di oltre 400 pagine, sono redatte su tipi di carta differente, almeno 14, carta che sembra provenire da quel periodo, Messico 1830-40. De La Pena scrisse le memorie mentre si trovava in prigione, per essersi ribellato al governo centrale, e Lindley si chiede come fece a ottenere tutta questa carta, visto che gli era concessa solo quella sufficiente per le lettere.
L’usufruire di diversi tipi di carta, sostiene Lindley, è tipico dei falsari che devono ottenere il materiale necessari per produrre un’ intera opera strappando vecchie pagine da fonti diverse, in special modo dai risguardi, quei fogli bianchi che si trovano all’inizio o alla fine di un libro.
Vi sono altri motivi per ritenere le memorie un fake, un falso.
Jesus Sanchez Garza, l’antiquario che per primo le pubblicò nel 1955, a Mexico City, non spiegò mai dove le scoprì e in che modo le ottenne.
Le memorie non furono scritte in prima persona da De La Pena.
Lindley afferma di aver fatto esaminare il diario, una lettera scritta da De La Pena nel 1836, mentre fungeva da segretario per il Generale Woll e le memorie stesse da un’esperta calligrafa, Ms Lillian Hutchinson. Dopo aver esaminato attentamente i documenti, La Hutchinson concluse che la firma e alcune parole come cibolo, de la noche, junio, millas, non provenivano dalla stessa mano. Chi aveva scritto le lettere e il diario non era la stessa persona che aveva composto le memorie.
Inoltre molti fatti e notizie presenti nelle memorie sembrano provenire da fonti, libri, giornali e diari, apparsi solo dopo la morte di De La Pena.
Per esempio, De La Pena afferma che i corpi degli uomini che si erano così valorosamente difesi furono ridotti in cenere, in alcune ore, sulla pira funeraria. Ma è una cosa impossibile, un fuoco acceso con la legna non brucia completamente  i cadaveri, nè produce cenere, e ci vogliono giorni.
Un racconto simile fu fatto da Francisco Becerra, un sergente dell’Esercito Messicano, nel 1882, e la storia è quasi identica “I corpi di questi valorosi furono ridotti in cenere prima del tramonto del sole”.
La stessa storia dell’esecuzione, come viene raccontata da De La Pena, . . . il naturalista Davy Crockett
capitato per caso a Alamo come una specie di turista e rimasto, suo malgrado, intrappolato nella missione, ricorda il racconto del Generale Martin Perfecto de Cos, narrato da William Zuber nel 1904.
Secondo Cos, Crockett giustificò la sua presenza all’interno di Alamo affermando di essere rimasto, accidentalmente, intrappolato mentre era in visita di cortesia. Era un non combattente e uno straniero che non aveva preso parte alla battaglia.
Le due storie sono simili. Lindley pensa che il racconto di De La Pena sia l’opera di un falsario del ventesimo secolo.
Vi sono, poi, espressioni come “crimini verso l’umanità” che non erano in voga a quel tempo ma furono usate solo in seguito, dopo la Prima Guerra Mondiale e, in special modo, dopo il Processo di Norimberga.
L’argomento finale contro la teoria dell’esecuzione risiede nell’identificazione del corpo di Crockett. Al termine della battaglia Santa Anna chiese allo schiavo Joe e all’alcade di San Antonio Francisco Ruiz di identificare il cadavere di Crockett, cosa che non avrebbe fatto se avesse assistito, in precedenza, alla sua esecuzione.

La morte di Jim Bowie.

La morte di Jim Bowie non ha scatenato le stesse controversie e polemiche, ma presenta alcuni punti poco chiari. Sembra certo che morì nel suo letto, ma non si conosce con precisione la malattia che lo escluse dalla battaglia.
Il primo vero storico di Alamo, Reuben Potter, in una pubblicazione del 1860, scrisse che Bowie si era ferito gravemente cadendo dalla piattaforma di un cannone. Poi, dopo aver fatto ricerche più approfondite, cambiò versione. Bowie era malato e non ferito. Ma qual’era la natura della malattia?Potter, nel 1878, suggerì che fosse polmonite. In seguito fiorirono le ipotesi sul morbo:febbre tifoidea, tubercolosi, malaria, polmonite o pleurite causate dal tifo.
Il Dr John Southerland, nel suo libro “The fall of Alamo”, scrisse che la malattia di Bowie “essendo di una particolare natura, non poteva essere curata con i soliti rimedi”.
Quello che sembra certo è che Bowie fosse molto malato all’alba del 6 marzo.
Secondo la leggenda popolare, il Colonnello aspettò i Messicani seduto sulla sua branda e ne uccise alcuni, due o tre a seconda dei racconti, con le pistole e il coltello, prima di essere assassinato.
Vi sono alcune testimonianze dei difensori non combattenti sopravvissuti alla battaglia.
Enrique Esparza, nel 1907, fornì una versione hollywoodiana della morte. ”Bowie, quando i Messicani si avvicinarono per l’assalto finale, si sollevò dalla branda, pronto a riceverli. Affondò il coltello nel torace di uno di loro, mentre un soldato gli sparava, uccidendolo”.
Susanna Dickinson raccontò che il, Colonnello Bowie uccise due soldati prima che lo facessero a pezzi a colpi di sciabola.
Madame Candelaria, la cui presenza all’interno della missione è fortemente messa in dubbio, fornì versioni diverse.
In una di queste affermò di aver assistito Bowie durante tutta la malattia e raccontò “Una dozzina di Messicani entrò nella stanza occupata dal Colonnello. Bowie svuotò le pistole in faccia ai nemici, uccidendone due. Li implorai di non uccidere un uomo malato, ma non mi ascoltarono e massacrarono il mio amico davanti ai miei occhi”. In un ‘altra versione, Madame Candelaria raccontò che Bowie morì tra le sue braccia alcuni minuti prima dell’entrata dei soldati all’interno delle mura di Alamo.
Tutti i racconti dei sopravvissuti collocano Bowie nella chiesa, l’unico luogo in cui avrebbero potuto assistere all’uccisione. Ma il Colonnello, molto probabilmente, non fu ucciso nella chiesa. . L’alcade Ruiz lo trovò “morto nella sua branda” in una delle stanze sul lato sud della missione. Essendo un ufficiale, Bowie aveva diritto a una stanza privata. Inoltre era un uomo malato, e la malattia era, verosimilmente, contagiosa, e poteva infettare l’intera guarnigione. Per questo motivo era stato isolato.
Anche i Messicani raccontarono la loro versione.
Il Sergente Nunez parlò di un uomo ucciso in una grande stanza a sinistra dell’entrata principale, nel muro a sud. ”Fu trafitto con le baionette e morì senza versare una goccia di sangue”.
Uno sconosciuto soldato scrisse “Quel pervertito fanfarone di Santiago Bowie morì da vigliacco, nascosto sotto un materasso”. Sanchez Navarro, nel suo diario, affermò “Buy, quel gradasso del genero di Beramendi, morì da codardo”.


Finale di partita per Jim Bowie

Lo storico William. C. Davis, nel suo bel libro “Three Roads to the Alamo”, suggerisce che Bowie fosse troppo provato dalla malattia per opporre resistenza, forse in stato di semi incoscienza, e, dal momento che non si trovava all’interno dell’ospedale, i Messicani, che non sapevano della sua infermità, pensarono che si stesse nascondendo sotto le coperte.
Scrive Davis “È una crudele ironia che la fine della vita memorabile di uno degli uomini più coraggiosi della sua generazione avvenne per mano di soldati che lo scambiarono per il peggiore dei codardi”.
Il racconto più fantasioso fu fatto da William Zuber, che lo udì da un soldato Messicano, Apolinario Saldigna. Secondo questa storia, Bowie fu catturato e portato fuori dalla stanza in cui si trovava. Il Colonnello insultò con il suo fluente Spagnolo un ufficiale Messicano, che si infuriò, gli fece tagliare la lingua e gettare vivo sulla pira funeraria che stava bruciando i cadaveri.
La conclusione di tutti questi racconti è che non sappiamo come morì e non vi sono testimoni attendibili dei suoi ultimi istanti.
Quando portarono alla madre la notizia della morte del figlio, la donna rispose con fierezza “Sicuramente non aveva ferite sulla schiena”.
Posso solo immaginare che un uomo della sua tempra e del suo coraggio, l’uomo che aveva contrabbandato schiavi col pirata Jean Lafitte, duellato a morte nel famoso Sandbar Fight e cercato le miniere perdute di San Saba, si sia battuto con tutte le ultime e residue forze che ancora gli rimanevano.

La morte di William B. Travis.

La morte di Travis ebbe un testimone oculare, il suo schiavo Joe.
Ecco il racconto “Travis si alzò, prese il fucile e la spada e chiamò Joe. Joe prese La sua arma e lo seguì. Travis attraversò la plaza di Alamo, salì sul muro e gridò “Avanti ragazzi, arrivano i Messicani, gli daremo l’inferno!”, poi scaricò la sua arma, come fece pure Joe. Un istante dopo fu colpito. Cadde appoggiandosi a un muro, sul terreno in pendenza, in posizione seduta.
I nemici, per due volte, appoggiarono le scale alle mura, ma furono respinti. Ma Joe non potè raccontare di più poiché, quando vide cadere il suo padrone, andò a nascondersi in una baracca e disse di aver sparato contro i Messicani fino a quando fu catturato”.
La storia di Joe è simile al racconto di Susanna Dickerson, un’altra superstite. “Il Colonnello Travis salì sul muro incitando i suoi uomini e gridò: Hurra my boys! Un attimo dopo fu colpito e cadde”.
La Dickinson aggiunse un particolare. Un Generale Messicano di nome Mora corse verso di lui e alzò la spada per colpirlo, ma Travis, raccogliendo le sue ultime forze, lo trafisse con la sciabola e così, su entrambi, calò il sonno eterno e la fama imperitura.
La Dickinson si trovava, al momento dell’assalto finale, nella chiesa, e non assistette di persona alla morte di Travis, ma disse di aver sentito il racconto da un ufficiale Messicano dopo la battaglia.
Molti storici negano la veridicità di una parte di questa storia e la ritengono un melodramma pre confezionato. Il Generale Ventura Mora, che comandava la Cavalleria  di Dolores, non partecipò all’assalto e morì a San Jacinto. Però il segretario di Santa Anna, Ramon Caro, identificò un Colonnello, Esteban Mora, che attaccò il muro a nord. Così. forse, Travis ebbe una morte in stile Hollywood.
Il 18 novembre 1840 un articolo di Reuben Potter  fu pubblicato sul San Louis Advocate. Nell’artcolo Potter scriveva “Ho sentito versioni differenti sulla morte di Travis, la più credibile è che fu trovato morto nella breccia aperta da un cannone, vicino al punto in cui la colonna di destra entrò nella missione”. La colonna di destra, secondo Potter, era quella comandata dal Colonnello Duque che attaccò il muro settentrionale, il cosiddetto north wall.
Nel 1860 l’alcade Ruiz fece questo racconto “Il corpo senza vita di Travis giaceva sul lato nord della fortezza, appoggiato all’affusto di un cannone, colpito alla fronte”.
Vi fu, poi, la testimonianza di un  soldato Messicano sconosciuto, narrata in una lettera datata 7 marzo 1836. Il soldato faceva parte della colonna del Generale Martin Perfecto de Cos e scrisse “Il loro comandante, di nome Travis, morì da valoroso con il fucile in mano, dietro a un cannone”.
Non sappiamo se il soldato fu testimone oculare della morte di Travis o scrisse… morì da valoroso perchè il corpo fu poi trovato dove la battaglia era stata più accanita.
Da tutte queste testimonianze emerge, però, un particolare non di poca importanza.
Lo schiavo Joe vide, per l’ultima volta, il corpo del padrone appoggiato al muro, in posizione seduta, mentre secondo le versioni di Ruiz e del soldato sconosciuto, Travis si trovava dietro o steso sull’affusto di un cannone. Qualcosa non quadra.


William B. Travis

La fanteria Messicana aveva in dotazione il fucile Brown Bess, di fabbricazione Inglese, a quel tempo già antiquato e con una gittata letale inferiore ai cinquanta metri. Il moschetto veniva caricato con pallottole “buck and load” che avevano una scarsa forza d’impatto, probabilmente a causa della polvere, e i Texani si erano, spesso, sorpresi per il fuoco inefficace dei Messicani. Le pallottole, anche quando colpivano la pelle, non la rompevano e producevano, solo, bruciature e ecchimosi.
È quindi possibile che Travis sia stato ferito e tramortito da una palla, e che sia stato ucciso in un secondo tempo, dopo essersi rialzato, vicino a un cannone, forse da un colpo di sciabola.
Il racconto di Ruiz, che vide il cadavere con un solo buco in fronte alimentò una nuova ipotesi.
Nel 1930 Amelia Williams, l’autrice della pubblicazione “A critical study of the siege of the Alamo”, uno dei testi più citati negli articoli e nei libri, lanciò la tesi del suicidio. ”Travis si uccise con un colpo di pistola alla fronte”.
A conferma della sua ipotesi, la Williams citò Anselmo Bergara e Andres Barcena, i due Tejanos che portarono, per primi, la notizia della caduta di Alamo a Sam Houston, che si trovava a Gonzales. I due affermarono che Travis si era suicidato. In una lettera del 13 marzo a Henry Raquel, Houston scrisse che Travis, piuttosto che cadere nelle mani del nemico, si era ucciso pugnalandosi.
La Williams citava, poi, una lettera di Andrew Briscoe, pubblicata sul Red River Herald il 16 marzo 1836, in cui diceva “Il valoroso e brillante Colonnello Travis, per non cadere in mani nemiche, si suicidò”.
Negli anni a seguire la maggior parte degli storici ha preso le distanze dalla teoria del suicidio in favore della versione più tradizionale.
Vi sono due principali problemi nella versione della Williams. Il primo è che Ruiz non menzionò un colpo di pistola ma disse, semplicemente, ”colpito in fronte”, e Joe, nella sua testimonianza, affermò che Travis prese con sé il fucile e la spada. Il secondo deriva dalla difficoltà di uccidersi con un colpo in fronte, a causa della difficile angolazione con cui si deve tenere la pistola.
In conclusione, l’ipotesi più realistica sulla morte di Travis è che fu ucciso sul muro a nord della missione, nei primi minuti della battaglia, vicino o dietro a un cannone.

Il nome Alamo e la chiesa.

Alamo è la parola Spagnola per pioppo. Un piacevole sentiero fiancheggiato, su entrambi i lati, da pioppi, conosciuto come “Alameda”, correva dalla Missione di Valero a San Antonio de Bexar. . Questi alberi esistevano ancora quando la “Second Flying Company of Alamo de Parras”, arrivata dal Coahuila meridionale il 29 dicembre 1802 per rinforzare la misera e sparuta guarnigione che stazionava nel villaggio, entrò nell’oblio della storia.
Così alcuni, erroneamente, conclusero che il nome Alamo derivasse da questi alberi.
Ma la missione fortezza era già chiamata Alamo prima che fosse creata l’Alameda.
In molti dipinti, illustrazioni e films la chiesa di Alamo viene rappresentata con il suo attuale profilo, con quella specie di cupola che si erge sopra il fumo e la furia della battaglia e i Texani che sparano nascosti dietro il parapetto a forma d’arco.
Storicamente, al tempo dell’assedio, la chiesa non era altro che un rudere senza tetto, con il suo profilo superiore caratterizzato dall’irregolarità del muro.
Per anni dopo la battaglia la missione non fu, più, usata. Poi, dopo l’annessione del Texas agli Stati Uniti, l’Esercito affittò il complesso dalla Chiesa Cattolica e lo trasformò in un deposito.


La chiesa

Il Maggiore Edwin Babbitt ebbe l’incarico della ristrutturazione. Nel 1849 iniziarono i lavori. Babbitt fece costruire il tetto, il secondo piano con due nuove finestre e, soprattutto, fece aggiungere in cima al muro frontale quella che viene chiamato, comunemente “Campanulate”, o “hump”, gobba, un frontone che si è trasformato, in seguito, nell’elemento più caratteristico della chiesa.
Questo semplice arco si è talmente identificato con Alamo da essere, quasi sempre, rappresentato da pittori e registi nelle loro descrizioni della battaglia, malgrado non esistesse prima della ristrutturazione compiuta dall’ Esercito ed è, ironicamente, diventato una delle strutture più riconoscibili al mondo.
Prima dell’assedio il nome Alamo si riferiva, naturalmente, all’intera missione, il cosiddetto “compound”, di cui la chiesa era solo una piccola parte. I soldati della Alamo Company non erano acquartierati nella chiesa, ma nel convento e negli edifici lungo le mura.
Bowie e Travis non difesero solo la chiesa, ma l’intero perimetro.
Ora la missione non esiste più, è stata fagocitata, nel tempo, dalla città di San Antonio e Alamo è molto più piccolo di quello che fu nel 1800, quando si ergeva, solitario, sulla prateria oltre il fiume. Quello che rimane sono la chiesa e una porzione del convento.

Louis “Moses” Rose, il fuggitivo di Alamo.

Nel 1873 apparve su una pubblicazione annuale, il Texas Almanac, un articolo intitolato “An escape from Alamo” scritto da William Zuber, un veterano della Rivoluzione Texana che aveva partecipato alla battaglia di San Jacinto.
Il racconto di cinque pagine narrava le peripezie di Moses Rose, un Francese di Nacogdoches, fuggito da Alamo pochi giorni prima dell’assalto finale avvenuto all’alba del 6 marzo 1836.
Nella storia Zuber affermava che Rose era arrivato, ferito e stremato, alla casa dei suoi genitori, situata sul Lake Creek, dopo una faticosa marcia di circa 200 miglia.
Oltre alla fuga, la parte più sensazionale del racconto coinvolgeva William Barret Travis.
Ecco quello che disse Moses Rose agli Zuber.
Il 3 marzo, due ore prima del tramonto, i cannoni Messicani smisero di sparare e cadde un improvviso silenzio. Travis, credendo che la fine fosse ormai vicina e che il cessate il fuoco preannunciasse l’immediato e definitivo assalto, radunò i suoi uomini e, dopo un inspirato e commovente discorso, chiese loro di rimanere nel forte, resistere il più a lungo possibile e morire vendendo a caro prezzo la pelle. Poi Travis offrì ai suoi uomini, stremati dal lungo assedio e dall’attesa, una scelta:rimanere o tentare la fuga. ”Il Colonnello Travis estrasse la sciabola e con la punta tracciò una linea nella sabbia, da destra a sinistra rispetto ai difensori. Poi ritornò al centro e disse… Voglio che tutti gli uomini che sono decisi a resistere qui e a morire con me attraversino questa linea. Chi sarà il primo?”Tutti gli uomini l’attraversarono. Jim Bowie, malato e squassato dalla tosse, si fece trasportare da quattro uomini. Solo uno non la varcò. Rose!”
Quando gli chiesero perchè non l’avesse fatto, Moses rispose, semplicemente, che non aveva intenzione di morire.
Poco dopo, il pomeriggio del 3, Rose salì sul muro della missione. Da quel punto sopraelevato vide il terreno sottostante letteralmente coperto dai corpi dei Messicani uccisi e dalle pozze di sangue. Si calò a terra e iniziò a avanzare con circospezione, ma la bisaccia con i suoi vestiti si aprì e gli indumenti si sporcarono di sangue. Trattenendo il fiato, Roses attraversò una San Antonio deserta e fuggì. Quella notte passò per una macchia di fichi d’India e le sue gambe si riempirono di spine. Continuò verso est, evitando le strade pattugliate dagli scouts Messicani e arrivò alla casa degli Zuber, amici di lunga data, alcune settimane dopo.
Gli Zuber lo curarono, estrassero le numerose spine e la madre di William, Mary Ann, applicò sulle ferite un miracoloso unguento. Durante la convalescenza Moses raccontò più volte la storia della sua prodigiosa fuga.
William Zuber aveva 15 anni a quel tempo e prestava servizio nell’armata di Houston. Quando tornò a casa, qualche mese dopo, sentì il racconto dalla viva voce dei suoi genitori. Gli Zuber furono talmente impressionati dalla narrazione di Rose che continuarono a ripetere la storia tra di loro e al figlio William fino a quando quest’ultimo, forse stanco per le continue ripetizioni, decise, 35 anni dopo, di mettere la saga per iscritto.


La lapide che ricorda Louis “Moses” Rose

Gli storici, all’inizio, furono un po’ scettici. Il primo quesito era:se la storia è vera, come mai William Zuber  ha atteso 35 anni prima di divulgarla?
La risposta fu la seguente. ”Nel 1871, dopo aver tanto letto dei primi eventi del Texas, sperimentai un phenomenal refreshment of my  memory di quel che avevo visto, sentito e letto durante la mia vita e, soprattutto, durante la mia giovinezza. Tra le altre cose, mi ricordai pezzi del discorso di Travis come Rose li aveva ripetuti, in maniera frammentaria, ai miei genitori e come loro li avevano raccontati a me”.
Si trattava, quindi, di una improvvisa illuminazione. Restava, agli storici, un altro dubbio. Dopo così tanto tempo come poteva, Zuber, ricordare le parole di Travis con precisione? William rispose, con franchezza, che non aveva trascritto il discorso letteralmente, parola per parola, ma l’aveva ricostruito attraverso i pezzi e i frammenti di quello che i suoi genitori, e in special modo la madre, rammentavano. Aveva fatto  una sua versione del discorso, ma le parole che Travis aveva pronunciato davanti ai suoi uomini erano state così drammatiche e memorabili che gli si erano stampate nella mente. Si era ricordato di quasi tutto il discorso, anche se non proprio tutto e, probabilmente, non nell’ordine in cui era stato pronunciato. In poche parole, si trattava di un racconto di terza mano basato sul racconto di seconda mano dei suoi genitori.
Vi erano, poi, ulteriori problemi. Il primo era provare che un certo Moses Rose si trovava a Alamo al momento dell’assedio. Il suo nome non compariva in nessuna delle liste dei difensori conosciute, i cosiddetti master rolls, ne in quella del Lt Colonnello James Neill del 31 dicembre 1835, e neppure nella lista dei votanti per l’elezione dei rappresentanti alla Convention di Washington on Brazos, datata 1 febbraio 1836. Susanna Dickinson, una dei superstiti della battaglia, aveva già testimoniato nel 1853 che un Rose era morto nella missione. Non ricordava il suo nome, ma pensava che fosse giunto in Texas con Davy Crockett. Nel 1857 la Dickinson testimoniò una seconda volta e si ricordò il nome, era James. Vi era, poi, una terza lista. Il 24 marzo 1836, subito dopo la battaglia, il Telegraph and Texas Register aveva pubblicato un elenco con i nomi delle vittime compilato da John Smith, il messaggero che aveva lasciato Alamo la notte del 3 marzo. I nomi erano 115. Uno di questi era un Rose di Nacogdoches. Quindi il James Rose menzionato dalla Dickinson, amico di Davy Crockett e venuto, forse, dal Tennessee per combattere a fianco dei ribelli non era il Rose di Nacogdoches citato da Smith. Forse era un questione di memoria. Uno dei due si era sbagliato, ma per Zuber il problema era difficile da spiegare. Sia per la Dickinson, sia per  John Smith Rose, il fuggitivo, era morto durante la battaglia.
Un altro mistero era la data, il 3 marzo, in cui Rose aveva lasciato la missione, dopo l’accorato discorso di Travis. Per gli storici nel pomeriggio di quel giorno non vi erano pile di cadaveri Messicani e pozze di sangue fuori le mura di Alamo. Inoltre alle 11 del mattino era arrivato un corriere da Gonzales, James Bonham con una lettera del Maggiore Robert Williamson, in cui si diceva che Fannin con 300 uomini e 4 pezzi d’artiglieria era partito in soccorso della guarnigione, e che erano attesi 300 rinforzi da Washington, Bastrop, Brazoria e San Felipe.
Quello stesso pomeriggio Travis aveva scritto una lettera al Presidente della Convention a Washington on the Brazos in cui diceva “Il morale degli uomini è ancora alto. Confido nell’invio di rinforzi, munizioni e provviste il più presto possibile”
In un’altra lettera al suo amico Jesse Grimes affermava”Sono ancora qui, deciso a difendere la missione fino all’arrivo dei rinforzi o a morire”.
Non sembravano le parole di un uomo disilluso, che aveva perso tutte le speranze. E allora perchè il discorso?
Inoltre nessuno dei sopravvissuti che si trovavano nella missione quel fatidico 3 marzo aveva mai menzionato la linea e il discorso prima della pubblicazione della storia di Rose nel 1873.
Zuber, in una lettera pubblicata sul Southwestern Historical Quarterly, cercò di fornire alcune risposte.
Per esempio, vi era il problema di John Smith, il messaggero che lasciò Alamo il 3 marzo con le lettere di Travis. Smith partì con il buio, alla sera, e si salvò. Ebbene Smith, in seguito, non aveva mai menzionato il discorso e la linea.
Zuber argomentò che Smith, probabilmente, aveva lasciato la missione dopo la mezzanotte del giorno precedente, il 2, ed era già lontano quando Travis parlò agli uomini.
In una delle lettere di Travis vi era, però, scritto che un messaggero, James Bonham, era arrivato nella mattinata del 3. Come era possibile che Smith fosse partito prima dell’arrivo di Bonham portando una lettera che annunciava l’arrivo dello stesso Bonham alle 11 del 3 marzo?Zuber cercò di dare una spiegazione. Travis, esaurito dalla situazione senza via d’uscita in cui si trovava, si era sbagliato due volte.
Vi  erano altri misteri.
Moses aveva parlato di un cessate il fuoco improvviso. Ma il 3 marzo i cannoni Messicani avevano sparato per tutto il giorno. Anche il racconto della fuga non era convincente. Zuber aveva scritto che Rose saltò giù dalle mura, varcò il ponte sul fiume San Antonio, continuò attraverso il centro di Bexar, in quel momento deserto, passando accanto alla Cattedrale di San Fernando, sulla piazza principale, a un tiro di schioppo dal quartier generale di Santa Anna, e tutto questo alla luce del giorno mentre, proprio quel pomeriggio, tra le 4 e le 5, erano arrivati in città i battaglioni Aldama, Toluca e Zapadores, un migliaio di uomini in tutto, e nessuno aveva notato Moses.
Il racconto non stava in piedi, vi erano troppi punti oscuri e contraddittori e Zuber morì tra lo scetticismo generale.
Un ulteriore e inaspettato sviluppo si ebbe nel 1939, quando R. B. Blake, un diligente ricercatore della storia dell’East Texas trovò alcuni vecchi documenti nella Nacogdoches County Courthouse. I fogli dimostravano che un Louis Rose era stato a Alamo e la sua testimonianza era stata accettata come veritiera dai giudici della Board of Land Commissioners in almeno sei “land claim”, il riconoscimento attraverso la donazione di terre ai parenti delle vittime di Alamo. Nel caso di John Blair, Rose aveva testimoniato “Lo lasciai a Alamo il 3 marzo 1836”, nel caso di Marcus Sewell “Lo conobbi a Alamo e lo lasciai tre giorni prima della  caduta”, e così via.
La notizia fu una specie di shock. Certo Louis non era Moses, ma il cognome era lo stesso e qualcuno iniziò a chiedersi se, nella storia di Zuber, non ci fosse un fondo di verità.
Nel 1961 Walter Lord pubblicò il libro “ A time to stand”. All’interno vi era una testimonianza inedita di Susanna Dickinson. In un’intervista del settembre 1876, Susanna aveva dichiarato “Il giorno prima del massacro (il 5 marzo), il Colonnello Travis disse ai suoi uomini che se qualcuno di loro desiderava fuggire, quello era il momento. Un solo uomo uscì dalla fila. Il suo nome era Ross. Il mattino dopo se ne era andato. Il Colonnello Almonte mi disse che l’uomo che aveva disertato la sera prima era stato ucciso e che, se volevo sincerarmi del fatto, mi avrebbe portato a vedere il corpo dove ancora giaceva”
Secondo Walter Lord, il racconto della Dickinson rafforzava la storia di Zuber.
Ma vi erano ancora problemi, e non pochi.
La Dickinson aveva testimoniate tre anni dopo la pubblicazione del racconto di Zuber. Il cognome Ross non era identico a Rose, ma la memoria, dopo 40 anni, poteva averla tradita. Vi era poi la questione, non secondaria, della data. Mrs Dickinson aveva menzionato la sera prima dell’assalto finale, il 5, non il pomeriggio del 3, come aveva dichiarato Moses Rose.
Lord risolse il problema dicendo, semplicemente, che Rose aveva sbagliato il giorno.
La stessa storia della Dickinson non era del tutto convincente, anzi. . .
Per esempio l’affermazione “the next morning was missing”, faceva pensare che qualcuno, forse Travis, all’alba del 6 marzo, nella concitazione e nella confusione dell’attacco inaspettato, avesse fatto un appello, cosa ben poco probabile. E chi aveva detto alla Dickinson che Rose se ne era andato, visto che i difensori erano tutti morti?. Vi era, poi, la questione di Almonte. Il Colonnello aveva detto a Susanna che il disertore era stato ucciso. Come faceva a sapere che era un disertore, e non uno dei tanti messaggeri che avevano lasciato Alamo nei giorni precedenti.
Ancora oggi la storia di Rose resta un mistero.
Proviamo a districarlo un poco.
Per prima cosa, vi era un Rose a Alamo?Se riteniamo veri i documenti di Blake e la testimonianza di Louis Rose davanti alla Board of Land Commissioners di Nacogdoches, dovremmo dire di sì. La testimonianza fu accettata in sei casi. Non sappiamo come Rose abbia convinto i commissari, quali furono le sue argomentazioni. I giudici erano incorruttibili, o alcuni questuanti erano loro parenti o amici?Si trattò di una frode?
Thomas Ricks Lindley nel suo libro “Alamo traces”, dedica un capitolo all’analisi dei documenti di Blake e ne mette in dubbio la veridicità. Nel caso di M. B. Clark  “Lo vidi tre giorni prima della caduta di Alamo”, il testimone sarebbe Stephen Rose, e non Louis. Un vero enigma.
Il secondo problema è il cessate il fuoco Messicano. Moses Rose affermò che avvenne il 3, ma è certo che fu il 5, prima dell’assalto finale.
Poi vi è la questione della fuga. Rose disse “dopo il cessate il fuoco”, quindi o la sera del 5 o all’alba del 6 marzo. Raccontò dei cadaveri Messicani e delle pozze di sangue intorno alla missione. Vi era una tale quantità di sangue che sporcò i suoi vestiti, quando la bisaccia si aprì, e la madre di Zuber confermò di aver visto il sangue.
L’unica possibile spiegazione è che Rose lasciò Alamo la mattina del 6, dopo l’inizio  dell’assalto finale.
Poi vi è il discorso di Travis. Rose disse di essere partito dopo il discorso del 3 marzo, ma se Travis fece il discorso il 5, allora alcuni pezzi del puzzle potrebbero incastrarsi.
Si spiegherebbe come mai nessun corriere vide l’evento. Forse Rose si sbagliò, o forse lo fece apposta. Ma per quale motivo l’avrebbe fatto, perchè mentire?Forse perchè era veramente un codardo. Preferì inventarsi una storia, anticipando di due giorni il discorso di Travis, per avere, così, una scusa per giustificare la sua fuga. Travis fece il discorso il 3 marzo, tre giorni prima dell’assalto finale, e in quel momento Rose decise di abbandonare i compagni. Era stato chiamato a una scelta e lui l’aveva fatta.
La vera storia potrebbe essere questa.
Il 5 marzo Travis, ormai certo che non vi fosse alcuna possibilità di salvezza, chiamò gli uomini a raccolta e spiegò loro la situazione, poi offrì la possibilità della fuga, ma nessuno accettò, nemmeno Rose.
All’alba del 6 marzo Rose si svegliò e trovò la missione sotto attacco. Mise i vestiti in una bisaccia, prese il fucile e si nascose da qualche parte, probabilmente vicino a un muro. Miracolosamente non fu scoperto e fuggì nel buio della prima mattina. Forse si infilò la giubba di un Messicano morto e, in qualche modo, riuscì a scappare. Per mascherare il suo atto di codardia, l’aver abbandonato i compagni senza combattere, cambiò la data del discorso. Aveva scelto di lasciare Alamo quando la situazione non era ancora senza speranza. In seguito arrivò dagli Zuber e raccontò più volte la storia, poi ripetuta al figlio William.
Questo potrebbe essere un quadro parzialmente credibile, che ha un pizzico di logica e che potrebbe far accettare, almeno in parte, la storia di Zuber.
Resta un ultimo quesito. Travis tracciò la famosa linea nella sabbia?

La linea nella sabbia.

Quando William Zuber pubblicò il racconto della fuga di Louis Rose, creò una delle più famose leggende negli annali dell’eroismo:la linea nella sabbia.
Abbiamo solo la parola di Zuber a prova della storia, e molti la rifiutano. Nessuna delle persone che sopravvissero alla battaglia menzionò la linea prima della pubblicazione del racconto nel 1873.
Travis la tracciò? Probabilmente non lo sapremo mai. Ma questa non è la fine della storia.
Dopo la pubblicazione del racconto, su Zuber si scatenò una tempesta di polemiche. Così William decise di rispondere e chiarire la sua posizione con una lettera. Ammise di aver fabbricato il discorso, ma affermò di aver usato “quasi” le stesse parole di Rose. Nella stessa lettera Zuber scrisse di aver inventato un paragrafo, per meglio caratterizzare il personaggio Travis, senza questo paragrafo il discorso gli sembrava incompleto.
Aggiunse, poi, che questo paragrafo era stato inserito tra parentesi e veniva, anche, indicato nella dichiarazione della madre che confermava la veridicità del racconto. Ma sia le parentesi che il certificato furono omessi dallo stampatore. Probabilmente lo stampatore del Texas Almanac avrebbe potuto risparmiare molte discussioni future inserendo le parentesi, ma non lo fece. Il vecchio numero dell’Almanac andò perduto e così nessuno sa quale sia il paragrafo “tra parentesi”. Si possono fare, solo, congetture.
Nel racconto di Zuber troviamo il seguente passo “Il colonnello Travis estrasse la spada e, con la punta, tracciò una linea nel terreno, che si estendeva da destra a sinistra. Poi tornò al centro e disse. . . Voglio che ogni uomo determinato a rimanere qui e a morire con me attraversi la linea. Chi sarà il primo?March!”
Molti credono che questo sia il paragrafo incriminato. Ma vi è un piccolo problema.
Zuber affermò di aver inserito un solo paragrafo, ma la storia della linea ne contiene tre.
Nel paragrafo che segue Zuber scrisse “Il primo a rispondere fu Toplay Holland, che attraversò la linea con un balzo… ogni uomo malato in grado di camminare si alzò dalla sua branda e varcò la linea”.
Nel paragrafo seguente Zuber raccontò di Rose “Rimase in piedi fino a quando tutti gli uomini, eccetto lui, attraversarono la linea”.
Senza alcun dubbio la linea è una parte integrante di questi tre paragrafi. Quindi il paragrafo incriminato non riguarda la linea.
Zuber scrisse di averne aggiunto uno perchè, senza questo, il discorso gli sembrava incompleto.
Leggiamo due passi del discorso.
Il primo “Ma io lascio a ogni uomo la sua scelta. Se qualcuno preferisce arrendersi e essere catturato e fucilato o fuggire attraverso le linee Messicane e essere ucciso prima di aver fatto cento metri, e libero di farlo”.
Il secondo “La mia scelta è di rimanere nel forte e morire per la patria, combattendo fino all’ultimo respiro. È quello che farò anche se mi lascerete solo. Fate quello che ritenete giusto. Ma gli uomini che moriranno con me, avranno il mio conforto nel momento della morte”.
Tra questi due paragrafi, il secondo avrebbe potuto essere tralasciato senza cambiare il senso del discorso. Il primo no, perchè contiene la scelta.


La battaglia infuria

Quindi Travis fece il discorso? Forse sì, e tracciò la linea? Non vi è alcuna prova.
L’ironia di tutta la faccenda è che Zuber difese molte parti del suo racconto, ma non la storia della linea. Per Zuber la linea era, solo, incidentale.
In seguito i pittori, i poeti, il cinema, la televisione hanno ingigantito il tutto.
In realtà, è probabile che Travis, dopo l’arrivo dei rinforzi Messicani, abbia chiamato gli uomini a raccolta, spiegando loro la situazione e le prospettive. Forse fu un momento privato, magari anche commovente, uno scambio di opinioni che non doveva passare alla storia e essere glorificato. . . tutti gli uomini furono chiamati a raccolta, ma qualcuno rimase di vedetta e Jim Bowie era troppo malato per essere trasportato.
Poi i sentimenti, la retorica, l’orgoglio e il patriottismo hanno ingigantito il tutto.
Non esiste una via di mezzo:o si crede nel racconto di Zuber, alla sua fuga e alla linea, oppure no.
Uno storico Texano, Frank Dobie, ha scritto nel libro In the shadow of History ” È una linea che non sarà mai cancellata. È un Grand Canyon intagliato nel letto delle emozioni e degli impulsi eroici”.
Un Grand Canyon scolpito nel cuore e nei sentimenti dei Texani e di chi vuole credere.

Il numero dei difensori.

Il numero dei difensori è uno dei più grandi enigmi di Alamo.
La lista ufficiale delle Daughters  of the Repubblic of Texas contiene 189 nomi, Amelia Williams, nella pubblicazione “A critical study of the siege of Alamo” scrisse 187, Walter Lord nel suo libro “A time to  stand” 183, Bill Groneman 185.
La questione è aperta e dibattuta. Quanti furono i difensori?
Proviamo a districare (o a ingarbugliare) la matassa.
Il 6 gennaio 1836, due mesi prima della presa di Alamo, il Colonnello James Neill, comandante della guarnigione, scrisse in una lettera al Governatore del Texas “Ci sono 104 uomini nella fortezza”. Neill non fece menzione della presenza di feriti.
Il 14 gennaio, in una lettera a Sam Houston, Neill si lamentò per le precarie condizioni dei suoi uomini. Erano “quasi nudi e senza paga”. Scrisse che ognuno di loro voleva tornare a casa, e 20 sarebbero partiti il giorno dopo, lasciando solo 80 uomini validi sotto il suo comando. Parlò di uomini validi, quindi è possibile che all’interno dell’ospedale ci fossero i Texani feriti  nell’assalto a San Antonio del dicembre 1835. Non sappiamo, però, il loro numero.
Il 18 gennaio l’Ingegnere Green Jameson scrisse a Sam Houston “Ci sono 114 uomini, contando i malati e i feriti”, 34 uomini in più rispetto alla lettera di Neill di 4 giorni prima. Probabilmente i feriti erano 34.
Il 19 gennaio Bowie arrivò alla missione con i suoi uomini. Non sappiamo, con certezza, il numero, forse 32. In questo caso il totale dei difensori sarebbe 146.
Il 28 gennaio Neill, che stava aspettando l’arrivo di Travis, scrisse, in una lettera al Governatore “ Con questi 25 uomini (quelli di Travis)la guarnigione sarà formata da 130 Americani”. Quindi, in quel momento, il numero di difensori, secondo Neill, era 105.
Il 2 febbraio Bowie scrisse la famosa lettera in cui affermava “Io e il Colonnello Neill siamo giunti alla conclusione di rimanere nella fortezza piuttosto che regalarla al nemico”. Aggiunse, poi, che il numero degli uomini era 120. Non disse nulla circa la presenza di feriti.
Il 3 febbraio giunsero  alla missione Travis e 30 uomini. Se la cifra di Bowie è corretta il numero dei difensori salì a 151, probabilmente senza contare i feriti.
Il 9 febbraio arrivò Davy Crockett con i volontari del Tennessee. Non sappiamo il numero esatto, forse 17, portando ilo numero a 168.
L’11 febbraio l’Ingegnere Jameson scrisse “Siamo 150”.
Il 12 febbraio Travis assunse il comando della guarnigione e, in una lettera al governatore, affermò “Non siamo più di 150, in condizioni precarie”.  
Il 23 febbraio arrivarono, inaspettatamente, i Messicani. Travis, in una lettera in cui sollecitava i rinforzi, scrisse “Siamo 150 decisi a difendere Alamo fino alla fine”. In un’altra lettera scritta quello stesso giorno e firmata, anche, da Bowie, Travis disse”Siamo 146, decisi a non ritirarci”. Quel giorno partirono 3 messaggeri e la discrepanza può essere spiegata col fatto che ne partì un quarto.
Il 3 marzo, in una delle sue ultime lettere, Travis citò l’arrivo di 32 uomini giunti da Gonzales, gli Immortali 32, che erano riusciti a passare tra le fila dei Messicani il 1 marzo, e l’arrivo di John Bonham, in tutto 33. In un’altra lettera, quello stesso giorno, lo stesso Travis affermava “Sono ancora qui, col morale alto, insieme a 145 uomini. Probabilmente non contava i rinforzi di Gonzales.
Se riteniamo che il numero del 23 febbraio, 146, sia abbastanza preciso, e aggiungiamo i 33 uomini arrivati in seguito, il totale sarebbe 179. Sappiamo, però, che almeno 8 messaggeri lasciarono Alamo e non ritornarono.


I difensori allo stremo

L’alcade di San Antonio Francisco Ruiz fu il responsabile della cremazione dei corpi dei Texani e disse “Gli uomini bruciati furono 182, ne fui testimone”.
Susanna Dickinson, una dei superstiti, in un’intervista a un giornale Texano, nel 1881, affermò che la guarnigione era composta da 160 uomini validi. In una precedente intervista, rilasciata nel 1876, la stessa Dickinson aveva detto che tra gli assediati vi erano 50-60 feriti. Se sommiamo le due cifre arriviamo a un totale di 210-220.
Ci furono, poi, le testimonianze dei Messicani. La stima dei caduti, a seconda dei racconti, varia da 183 a 250, 257, 283 fino alla ridicola cifra di Santa Anna, 600.
Ramon Martinez Caro, il Segretario di Santa Anna, scrisse che furono 183, ”il totale delle loro forze”.
Uno sconosciuto soldato affermò di aver visto sulla pira 257 morti.
Per il Sergente Manuel Loranca furono 283. Secondo Enrique de la Pena il numero totale dei caduti fu 253, per il Colonnello Almonte furono 250, per il Lt Colonnello Sanchez Navarro 257 “Vidi i morti e li contai”.
In tutto questo rompicapo l’unica cosa certa è che non esiste alcuna certezza.
Thomas Ricks Lindley nel suo libro, Alamo Traces, propone una soluzione all’enigma.
Secondo Lindley, all’alba del 4 marzo, un secondo contingente di rinforzi formato da circa 60 uomini e proveniente da Gonzales, entrò nella missione, e i Messicani confusero l’arrivo di questo gruppo con un tentativo di sortita.
Il numero esatto dei difensori rimarrà, probabilmente, un mistero insoluto.

I difensori combatterono in ogni centimetro della fortezza.

La battaglia di Alamo viene vista, generalmente, come una “last stand”, un’ultima disperata difesa, e i Texani sono considerati come degli eroici martiri. Pur consapevoli del loro tragico destino, invece di arrendersi, decisero di immolarsi, inchiodati ai loro posti, con lo scopo di concedere a Sam Houston il tempo necessario per organizzare il suo Esercito e uccidere il maggior numero possibile di soldati nemici.
La battaglia, quando si sparse la notizia della caduta della missione, fu subito paragonata alle Termopili e i difensori a Leonida e agli Spartani che si erano sacrificati, a loro volta, nel tentativo di fermare la grande Armata Persiana.
Anzi Alamo era più delle Termopili. Il Brigadiere Generale Thomas Jefferson Greene fece incidere sul primo monumento eretto a commemorazione dell’evento “Alle Termopili si salvò un messaggero, a Alamo nessuno”.
Ma la storia è leggermente diversa.
I Texani, assediati all’interno della fortezza, non avevano scampo, l’unica loro possibilità risiedeva nell’arrivo dei rinforzi. Quando i soldati Messicani penetrarono all’interno delle mura e Alamo cessò di essere una postazione  difensiva, anche quest’ultima speranza svanì.
Il Sergente Manuel Loranca disse, in un’intervista per il corpus Crhisti Free Press”62 Texani che tentarono una sortita scavalcando il muro a est (probabilmente il corral dei cavalli) furono inseguiti dai lancieri e uccisi. Solo uno fece resistenza, un valoroso armato di doppietta e di una pistola, con cui uccise un Caporale di nome Eugenio. Tutti quanti furono uccisi a colpi di lancia, eccetto uno che si nascose in un cespuglio e fu necessario sparargli”.
Il Generale Ramirez y Sesma, comandante della Cavalleria che stazionava intorno al perimetro di Alamo, descrisse 3 tentativi di fuga separati, uno piuttosto numeroso”Circa 50 uomini abbandonarono la fortezza dal fortino centrale (forse l’entrata principale di Alamo, nel muro a sud).
Mandai un gruppo di cavalleggeri al loro inseguimento. Erano i lancieri del Reggimento di Dolores, comandati dal Lt Colonnello Ramon Valera. Dopo qualche minuti questi uomini erano tutti morti”
Nel suo diario, in data 6 marzo, il Colonnello Almonte scrisse “I nemici tentarono la fuga, ma furono raggiunti e uccisi a colpi di spada”.
Uno sconosciuto Messicano, che vide bruciare i corpi sulla pira, disse”  Erano 257, senza contare quanti caddero nei giorni precedenti e quelli che fuggirono in cerca di salvezza”.
Santa Anna, nel suo resoconto della battaglia, affermò “Più di 600 furono i caduti e molti di essi, sfuggiti alle baionette della fanteria, caddero nelle vicinanze del forte  sotto i colpi di sciabola della cavalleria”.


Dove si combatté realmente?

Secondo Enrique de la Pena “I nemici che tentarono di scappare caddero vittima delle sciabole della cavalleria, che era stata posizionata proprio per questo scopo”.
Tutti questi racconti rivelano un’unica verità.
I  difensori cercarono di fuggire e furono intercettati dai 400 Lancieri che stazionavano intorno alla missione. È possibile che i Messicani abbiano aspettato fino a quando i Texani furono distanti dalle mura e non potevano tornare indietro e i difensori, con i fucili scarichi, disorganizzati e esausti furono una facile preda per le lance e le sciabole.
Furono tutti uccisi, eccetto uno che riuscì a eludere le lance e le sciabole fino a quando fu scoperto da una lavandaia mentre si nascondeva sotto un ponte, catturato e giustiziato.
Questi racconti sono stati, spesso, ignorati. La leggenda di Alamo ha prevalso sulla realtà dei fatti.
A Alamo la ritirata e la fuga non sono previsti, sono un disonore. A Alamo, racconta la leggenda, tutti i difensori strinsero il patto di combattere fino alla morte.
Evidentemente è un non senso.
Gli uomini di Alamo furono dei valorosi che pagarono con la vita per una causa in cui credevano. Ma immagino che nessun Texano andò a Alamo con l’intenzione di morire. Quando la battaglia fu perduta e la speranza svanita, cercarono di sopravvivere. Erano dei coraggiosi, non dei pazzi. Erano uomini reali, con speranze e paure. Qualcuno, forse, si arrese, qualcun altro fu giustiziato, alcuni fuggirono.

La battaglia fu combattuta nella piena luce del giorno.

Nel 1960 John Wayne filmò la battaglia di Alamo in pieno giorno, sotto il cielo blu del Texas. Probabilmente pensava che gli spettatori volessero vedere con chiarezza quello che si aspettavano.
Nel 2004 in “Alamo, gli ultimi eroi”, il regista John Lee Hancock, forse per essere più fedele alla realtà o, semplicemente, nel tentativo di de-waynizzare Alamo, ambientò lo scontro al buio, nelle tenebre.
Ma quando cominciò la battaglia?
Secondo le testimonianze dell’epoca, l’attacco iniziò in uno spazio di tempo compreso tra le 2 e le 6 del mattino.
A mezzogiorno del 5 marzo Santa Anna radunò gli ufficiali e annunciò loro la decisione di attaccare il giorno dopo, nel primo mattino.
Alcuni ufficiali obbiettarono che era, forse, preferibile attendere l’arrivo dell’artiglieria più pesante, che avrebbe sbriciolato le mura della missione. Ma il dittatore fu irremovibile. Era giunta l’ora di porre fine all’assedio e di far pagare ai Texani il prezzo della rivolta. Poi spiegò il piano. L’attacco sarebbe stato condotto da quattro colonne da nord, sud, est e ovest.
Al tramonto i soldati furono mandati a dormire e i cannoni smisero di sparare. La calma e il silenzio, nelle intenzioni di Santa Anna, avrebbero favorito il sonno, profondo e mortale dei difensori.
Gli ufficiali svegliarono gli uomini a mezzanotte, usando i bastoni e la punta degli stivali con i più recalcitranti. L’ordine era di tenere la bocca chiusa. Santa Anna sperava di prendere di sorpresa gli esausti Texani. I soldati Messicani non dovevano indossare soprabiti o coperte, che li avrebbero ostacolati durante l’assalto o nello scalare le mura, e erano obbligati a calzare scarpe o sandali. Il Generalissimo non voleva che qualcuno urlasse di dolore a causa della spina di un cactus o di una roccia appuntita. Le baionette dovevano essere fissate alla canna, poichè pensava che il combattimento sarebbe stato corpo a corpo.


Giorno o notte? O notte e giorno?

Era proibito fumare, in modo che le sentinelle non sentissero l’odore di tabacco nell’aria.
I soldati si sdraiarono al suolo, nel freddo intenso della notte. Molti strinsero i rosari e i crocefissi e pregarono la Vergine Maria, altri impugnarono gli amuleti Indiani fatti di ossa, piume e fiori secchi. Tutti volsero il pensiero alle famiglie.
La luna  era alta, ma offuscata dalle nuvole. Alle 2 i soldati erano in posizione. Alle 4 erano infreddoliti e impazienti. Quando la prima luce illuminò debolmente il cielo, Santa Anna diede al trombettiere degli Zapadores Josè Maria Gonzales l’ordine di suonare la carica. Il Colonnello Almonte scrisse, nel suo diario “Alle 5 i soldati erano in posizione, alle 5 e 30 iniziò l’assalto”.
“We soon heard the terrible bugle call of the death” scrisse De la Pena “Sentimmo il terribile richiamo della morte”. Un attimo dopo si alzarono le grida “Viva Santa Anna”, ”Viva  Mexico e muerte a los Americanos” e cominciò il combattimento.
“Poco dopo le 6 del mattino era tutto finito” affermò Almonte. Sanchez Navarro fu più preciso “Alle 6 e 30 non c’erano più nemici”.
La battaglia di Alamo fu combattuta all’alba del 6 marzo 1836.

Non ci furono superstiti.

Anche questo è un mito. Quasi tutti i non combattenti sopravvissero.
La Signora Dickinson, la figlia Angelina e lo schiavo Joe sono i più famosi. Vi sono, poi, numerose donne e bambino Tejano:Juana Alsbury, il figlio Alejo e la sorella Gertrudis Navarro, Ana Esparza e i suoi 4 bambini, Victoriana de Salina e le 3 figlie. Concepcion Losoya, il figlio Juan e la sorella Juana  Melton. Come tutto a Alamo, anche questa lista è approssimativa. Alcuni Tejanos abbandonarono la missione prima dell’assalto finale.
Joe ricordò altri schiavi neri:Bettie, una cuoca, e uno schiavo di nome Charlie. Quando i Messicani entrarono nella cucina del forte, Charlie afferrò un piccolo ufficiale e si fece scudo col suo corpo fino a quando i soldati decisero di risparmiargli la vita. Sempre secondo Joe “ Una donna negra fu trovata morta tra due cannoni”.
Alcuni storici pensano che un uomo di nome Brigido Guerrero sia sopravvissuto affermando di essere un soldato messicano catturato. Nel suo diario Almonte scrisse di un prigioniero risparmiato e anche Gregorio Esparza raccontò la stessa storia.
Vi è poi la possibilità che alcuni difensori siano riusciti a fuggire.


Il dolore e la sofferenza

Henry Warnell arrivò a Port Lavaca gravemente ferito e morì tre mesi dopo. Nella Court of Claims Application n. 1579 del 30 luglio 1858 si legge “Warnell fu ferito nel massacro ma riuscì a fuggire fino a Port Lavaca, dove morì tre mesi dopo per gli effetti delle suddette ferite. Warnell non lasciò testimonianze. Alcuni storici pensano che sia morto mentre  fungeva da messaggero per Sam Houston. Mi chiedo come mai cavalcò fino a Port Lavaca, a 200 miglia da Alamo, quando avrebbe potuto fermarsi prima, per esempio a Goliad.
In “ A time to stand” Walter Lord identificò altri due possibili superstiti. Lord citò un articolo apparso sull’Arkansas Gazette del 29 marzo 1836, una settimana prima della notizia ufficiale della caduta di Alamo pubblicata il 5 aprile. Secondo questo articolo, due uomini, uno gravemente ferito, arrivarono a Nacogdoches dicendo che “San Antonio era stata occupata dai Messicani, la guarnigione passata a fil di spada e che non sapevano se qualcun altro fosse scampato al massacro, oltre a loro due. Erano dei superstiti?È possibile, in pieno giorno a Goliad circa 30 Texani fuggirono e a Alamo i difensori avevano il vantaggio della poca luce.
Sopravvissero, naturalmente, i messaggeri che portarono i dispacci e le lettere di Travis fuori dalle mura e non ritornarono.

Il numero dei Messicani.

Come molti altri aspetti della saga di Alamo, stabilire con certezza l’esatto numero dei soldati Messicani non è cosa facile. Il principale problema sono le notizie che si diffusero dopo la caduta della missione.
Si parlò di un esercito composto da 6000-10000 uomini, praticamente tutta l’armata Messicana. Ma non era vero. Una parte considerevole dell’esercito fu inviata a Goliad per distruggere i Texani di Fannin. Inoltre Santa Anna ricevette rinforzi dopo la presa di Alamo, e queste truppe non furono presenti durante l’assedio.
L’ equivoco derivò, probabilmente, da alcune testimonianze.
Il 20  febbraio Tomas Lind, un Texano fedele alla causa Messicana, riferì che Santa Anna stava marciando verso il Texas con 8000-10000 uomini. Il 21 marzo Fannin scrisse “Santa Anna e 5000 uomini sono a Bexar”. Alcuni uomini di Fannin affermarono, in lettere scritte dopo la caduta di Alamo, che Santa Anna aveva 6000 uomini durante l’assedio.
Andrew Briscoe scrisse a un giornale “L’armata di Santa Anna è forte di 8000 uomini, più o meno”.
Queste notizie furono lette e, probabilmente, credute.
Altre testimonianze sembrano più precise.
Il 12 febbraio Travis riportò la notizia che Santa Anna era a Saltillo con 2500 uomini e Green Jameson, uno dei difensori, riferì di aver sentito che circa 1500 uomini erano in marcia verso Alamo.
Nella sua famosa lettera “To all people in the world” Travis affermò “Sono assediato da un migliaio  o più”. In un’altra lettera scrisse “Sono assediato da più di 10 giorni da una forza stimata tra i 1500 e i 6000 uomini”.


Un numero elevato di soldados mexicanos

Il 2 novembre Sam Houston disse che i Messicani che assediavano Alamo erano  2000. Quando seppe, l’11 marzo, della caduta della missione, apprese che l’esercito Messicano era forte di circa 2300 soldati.
Il primo storico di Alamo, Reuben Potter, intervistò molti ufficiali e soldati Messicani che avevano preso parte all’assedio. Potter scrisse di non avere dati certi, ma che il numero dei Messicani, secondo le migliori informazioni che era riuscito a raccogliere, non doveva superare le 2500 unità.
Questa cifra è simile a quella riportata da Sam Houston cinque giorni dopo la battaglia.
Il numero dei soldati Messicani che assediarono e assalirono Alamo è, verosimilmente, compreso tra i 2300 e i 2500 uomini. Di questi circa 1800 parteciparono all’assalto finale.

Le vittime Messicane.

Un’altra delle numerose controversie su Alamo riguarda il numero dei morti e feriti Messicani. Il motivo è sempre il medesimo, la discordanza tra le varie testimonianze.
Santa Anna, nel suo rapporto ufficiale del 6 marzo, affermò che i morti Messicani erano 70 e i feriti 300. Per il Colonnello Almonte i morti furono 65 e i feriti 223, per il Generale Andrade 60 e i feriti 251, per il Lt Colonnello De la Pena 60 e 253.
Ramon Caro, il Segretario di Santa Anna, deplorò il sacrificio dei 400 uomini che caddero nell’attacco. Caro scrisse che 300 furono lasciati sul terreno e più di 100 morirono a causa delle ferite.
Il Telegraph and Texas Register, il 24 marzo, scrisse che le perdite Messicane, tra morti e feriti, ammontavano a circa 1500 uomini.
L’alcade Ruiz stimò le vittime Messicane in 1600 e precisò che il Battaglione Toluca era stato decimato nell’attacco “Di 800 uomini, solo 130 si salvarono”. Per il Colonnello Almonte il Battaglione Toluca ebbe 98 perdite, tre morti e feriti. Susanna Dickinson affermò che i Messicani avevano perso 1600 soldati.
Il Dr Joseph Bernard, che era stato catturato a Goliad  e assegnato alla cura dei feriti a Alamo scrisse, il 21 aprile”Ci sono in questo momento circa 100 feriti nell’ospedale. Il chirurgo mi ha detto che 500 feriti furono portati la mattina in cui Alamo cadde, ma io penso che siano di più. Ne ho visti molti in città, mutilati e storpi, forse 200-300, e alcuni cittadini mi hanno detto che 300-400 soldati sono morti a causa delle ferite”.
Il chirurgo dell’ospedale, il Dr Mariano Arroyo, scrisse che i soldati Messicani curati dal 6 marzo al 1 agosto erano stati 456, anche se è probabile che alcuni di questi furono trattati per malattie di varia natura.
Reuben Potter, il primo storico di Alamo, che intervistò molti dei protagonisti, affermò che le perdite Messicane ammontavano a circa 500, tra morti e feriti.
A causa della differenza tra le cifre, è difficile stabilire l’esatto numero delle vittime Messicane.
Secondo la mia opinione, il numero più verosimile è 150-200 morti e 300-400 feriti.

La bandiera.

L’unica bandiera che sventolò, sicuramente, a Alamo fu lo stendardo azzurro dei New Orleans Greys, una compagnia di volontari che si era formata nell’ottobre 1835 a New Orleans. La bandiera fu catturata la mattina del 6 marzo dai soldati Messicani e portata, come trofeo di guerra, a Citta del Messico dove si trova ancora oggi, all’interno del museo di storia nel castello di Chapultepec.
Nel 1961 Walter Lord scrisse nel suo libro A time to stand “Le prime ricerche Texane non specificavano una bandiera ma, nel 1860, Reuben Potter rimediò all’omissione. Nel primo di alcuni racconti, Potter affermò che la bandiera di Alamo era il tricolore Messicano con la data 1824 al posto dell’aquila dorata. Non vi erano evidenze storiche, ma la tesi di Potter era che i ribelli Texani si batterono per il ripristino della Costituzione del 1824 fino a quando fu approvata la Dichiarazione d’Indipendenza, il 2 marzo 1836. Dal momento che i difensori di Alamo erano all’oscuro di ciò, combatterono fino alla fine per un Messico liberale”.
Ma, secondo Lord, questa teoria non stava in piedi. I Texani da tempo non combattevano più per la Costituzione del 1824, ma a favore dell’indipendenza. Lord concluse, quindi, che i difensori non avrebbero mai issato una bandiera con i colori del Messico. Dal momento che il Colonnello Almonte, nel suo diario, aveva menzionato la cattura di una bandiera, Lord concluse che lo stendardo di Alamo era quello dei New Orleans Greys.
In seguito gli storici hanno messo in dubbio anche l’ipotesi di Lord. Secondo la maggior parte di loro, la bandiera dei Greys era uno degli stendardi presenti a Alamo e apparteneva a una sola compagnia.
Infatti la mattina della caduta di Alamo Santa Anna aveva scritto “Mi hanno portato una delle bandiere catturate oggi. Questa bandiera (quella dei Greys) testimonia le vere intenzioni dei coloni e del loro complice, gli Stati Uniti del Nord”.


La bandiera di Alamo

Quindi una delle bandiere, ma quali furono le altre?
Una ipotesi è che fosse il tricolore Messicano con le due stelle che rappresentavano il Texas e il Coahuila.
Questa teoria deriva da un paio di testimonianze. Una è del Colonnello Almonte che scrisse nel suo diario “Il nemico, quando vide avvicinarsi le nostre divisioni, issò nella piazza di San Antonio il tricolore con le due stelle, che rappresentavano il Texas e il Coahuila, poi lo ammainò e fuggì e noi prendemmo possesso di Bexar senza sparare un colpo”. Non sappiamo, però, se poi lo stendardo fu portato all’interno della missione.
La seconda e più importante è un disegno fatto dal Lt Colonnello Sanchez Navarro. In questo schizzo il tricolore con le due stelle sventola sulla chiesa di Alamo.
Vi è poi la testimonianza di un non combattente, Pablo Diaz, che osservò l’assedio da San Antonio. Diaz, in un’intervista del 1906, disse di aver visto sventolare su Alamo la bandiera del Messico sotto la Costituzione e prima dell’usurpazione e della dittatura di Santa Anna (il tricolore con la scritta 1824).
Gli storici, però, sono molto scettici. La domanda che si fanno è la stessa di Lord:perchè i Texani, che combattevano per l’indipendenza dal Messico avrebbero issato uno stendardo con i colori Messicani?Il quesito è legittimo, la cosa ha poco senso.
Per quel poco che ne sappiamo oggi, l’unica bandiera che, con certezza, sventolò a Alamo fu lo stendardo dei Greys, le altre si sono perse nei meandri della storia.

Il Deguello.

Il Deguello è uno dei tanti possibili miti di Alamo.
Nessuno dei superstiti ne fece menzione, se si eccettua Madame Candelaria, la cui presenza all’interno della missione durante l’assedio è, però, messa in dubbio da molti storici, che la considerano una millantatrice.
Il Deguello è una marcia di origine moresca il cui nome deriva dal verbo Spagnolo “degollar”. decapitare o sgozzare. Il suo significato, in senso militare, è lotta senza quartiere, all’ultimo sangue, fino alla completa distruzione del nemico. Questa musica venne importata nelle Americhe dagli Spagnoli e poi adottata dagli eserciti di liberazione che combatterono contro di loro. Simon Bolivar la fece suonare a Junin e Ayacucho.
Reuben Potter fu il primo storico a menzionare il Deguello nel 1860 “Alle 5 e 30, quando non era ancora completamente chiaro, Santa Anna ordinò il segnale di carica e le quattro divisioni si mossero velocemente verso la fortezza. I  cannoni della fortezza aprirono il fuoco su di esse e le bande musicali vicino alla batteria di cannoni a sud iniziarono a suonare il Deguello”.
Potter  intervistò alcuni non combattenti che avrebbero potuto sentirlo dalla città di San Antonio, e ufficiali e soldati dell’esercito Messicano che parteciparono all’attacco finale. Potter, però, non disse chi fu il testimone, o i testimoni.
Le bande Messicane suonarono arie marziali durante tutto l’assedio e Kevin Young, uno storico di Alamo, ha scritto che i manuali Messicani di Cavalleria, nel 1840, comprendevano il Deguello, che veniva suonato durante le cariche della cavalleria.
Ma lo fu all’inizio della battaglia?
Da quel che ho letto, Santa Anna ordinò al trombettiere degli Zapadores Jose Maria Gonzales di suonare la carica, o un segnale convenuto, e De la Pena scrisse “Sentimmo le note fatali della tromba che chiamavano la morte”, ma non specificò quale fosse questo suono. Poi si levarono le grida Viva e Muerte, seguite dagli spari e dalle cannonate. Mi sembra difficile che qualcuno abbia potuto udire il Deguello sopra il frastuono della battaglia.
Fu dunque suonato? Forse no, anche se ormai questa musica è diventata la colonna sonora di Alamo, e “non c’è Alamo senza Deguello”.

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