Il sogno di Naso Romano

A cura di Maurizio Biagini

Sentì la violenza del colpo, non il dolore. La fucilata lo centrò sopra la scapola destra, gli strappò l’aria dai polmoni e lo disarcionò, precipitandolo nel fiume.
Il contatto con l’acqua gli impedì di svenire e, sempre stranamente estraneo al dolore, si alzò e cominciò a camminare verso riva, vagamente consapevole delle fucilate che gli fischiavano intorno.
Vide alcuni guerrieri tornare indietro per venirgli in soccorso, poi si sentì afferrare per le braccia e allora il dolore esplose in tutta la sua violenza e gli fece perdere i sensi.
Quando si riprese era adagiato nell’erba, all’ombra di un albero. Aveva qualcosa fasciato strettamente attorno al busto che gli impediva ogni movimento.
Accanto a lui qualcuno disse qualcosa e un attimo dopo gli diede da bere. Naso Romano riuscì appena a piegare il collo, l’intero busto sembrava insensibile.
La battaglia intanto continuava, sentiva il boato dei grossi fucili ad avancarica e le detonazione più secche dei fucili a ripetizione ma il fuoco era diminuito molto, non si sentivano più le grida dei giovani guerrieri che andavano all’attacco.
Non ce l’avrebbero mai fatta. Tutti gli uomini bianchi avevano fucili a ripetizione e tantissime munizioni. Attaccarli in massa allo scoperto era stato avventato e molti Cheyenne erano precipitati nel fiume, uno dietro l’altro.
Quando anche il secondo attacco era stato respinto dai soldati, i giovani guerrieri si erano rivolti a lui perché li guidasse alla vittoria. Lui era il più grande guerriero Cheyenne, non avrebbe potuto fallire, come non aveva mai fallito prima d’ora. Ma stavolta era diverso e quando aveva spinto avanti il cavallo per guidare gli uomini al fiume, Naso Romano aveva avuto paura (solo i morti e i pazzi non hanno paura).
La sua medicina, quella che lo aveva sempre protetto da frecce e pallottole non aveva più potere e lui sapeva già che quella sarebbe stata la sua ultima battaglia.
Quando il medicine-man aveva compiuto il rito per lui, anni prima, era stato preciso sul da farsi. Ogni singola istruzione andava seguita alla lettera e lui aveva sempre obbedito scrupolosamente, fino a poco tempo prima. Nella tenda degli amici Sioux aveva mangiato, fumato e parlato con gli alleati dell’invasione degli uomini bianchi. Solo alla fine alzando casualmente gli occhi sulla donna che aveva preparato il cibo era rimasto impietrito dall’orrore.
Naso Aquilino (Naso Romano, Roman Nose)Una delle pochissime foto in cui si vede Naso Romano
Naso Romano non avrebbe mai dovuto mangiare cibo venuto a contatto con il metallo e la donna aveva tagliato il pane con un coltello e lo aveva servito con una forchetta. Un utensile dei bianchi, per giunta. La sorte gli era sembrata ancora più amara e beffarda.
Anche gli amici Cheyenne che erano con lui avevano visto e sul loro volto aveva visto dipinto lo sgomento. Lui era rimasto immobile ma non aveva detto niente per non offendere la sacra ospitalità dei suoi fratelli Lakota. Alla fine del pasto aveva ringraziato educatamente i suoi anfitrioni ed era uscito con le gambe che si muovevano incerte verso il cavallo.
Poi erano arrivati i bianchi. Un piccolo numero, ma bene armati, lì nel loro territorio. Su una collina le donne e i bambini si erano appostati in grande numero per seguire la battaglia, incitando i guerrieri con i loro canti. Davanti alle loro donne, i guerrieri, specie i più giovani, erano ben decisi a dimostrare tutto il loro coraggio e dopo aver abbattuto o disperso i tutti i cavalli dei soldati avevano caricato furiosamente. Ma era stato inutile. I bianchi, nascosti, su un piccolo isolotto al centro del fiume, al riparo dietro ai loro stessi cavalli morti avevano spazzato tutto intorno a loro come una tempesta di neve in inverno.
Naso Romano giaceva sdraiato all’ombra dell’albero. Continuava a non sentire nulla, là dove era stato colpito; tutta la realtà sembrava come attenuata, sfocata. Gli spari, le urla dei combattenti, i lamenti dei feriti… Sentiva solo il fruscio del vento tra le foglie a coprire tutto.
Guardò in alto il cielo blu intenso ed improvvisamente fu bambino. Era in una radura in cui un torrentello con una piccola cascata sfociava in un laghetto. Il cielo era lo stesso e anche la giornata, calda e ventilata sembrava la stessa. Lui era seduto su una pietra e guardava l’acqua che scorreva pigramente giù dalla parete rocciosa. Poco più in là sedeva suo nonno, gli occhi chiusi ed il volto rivolto verso il sole. Era stata una bellissima giornata e lui e il nonno avevano giocato, fatto il bagno e pescato nel corso d’acqua. Ora il nonno si asciugava al sole, silenzioso e solenne come sempre, i lunghi capelli grigi sulle spalle, unico particolare a tradire la sua età.
“Nonno?” Il vecchio rimase in silenzio. “L’altra notte quando i Pawnees sono entrati nell’accampamento… Ecco… Ho avuto paura.” Il nonno continuò a rimanere in silenzio. “Io voglio diventare un grande guerriero e i guerrieri non hanno paura….”
Dopo una lunga pausa, sempre rimanendo immobile, l’uomo disse: “Solo i morti e i pazzi non hanno paura.”
Questa volta anche Naso Romano era rimasto in silenzio, fermo a guardare davanti a sé il vortice dell’acqua. Poi, dopo un po’ aveva parlato di nuovo: “Nonno. Quel guerriero che è morto l’altra sera… Dove è andato… Voglio dire, Il grande mistero… Com’è?
Il nonno socchiuse gli occhi e si girò verso di lui. Fece un largo gesto con la mano ad indicare la radura silenziosa e l’acqua che cadeva cristallina dalla cascata. “É come questo” – disse – “solo che non hai mai paura.”
Naso Romano aveva annuito e poi era tornato a guardare il laghetto davanti a sé. Poi fu di nuovo l’ombra dell’albero, il busto immobilizzato e gli spari là, lungo il fiume. Guardò ancora il grande blu del cielo della sua ultima giornata, poi sospirò e chiuse gli occhi.
Naso Romano ricominciò a sognare.

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