Apache vuol dire nemico

Vestiario
L’Apache primitivo indossava solamente il breechclout, una specie di brache corte, mocassini e, nelle scorrerie o in battaglia, un copricapo ornato con piume.
Con arco e frecce
Originariamente il breechclout era confezionato con pelle di daino conciata; successivamente fu sostituita da una striscia di mussola, lunga circa centottanta centimetri, che veniva passata tra le gambe e attorno ai fianchi e sistemata in modo da permettere che le estremità ricadessero, coprendo le cosce sino al ginocchio.
I mocassini erano di pelle di daino, particolarmente adatti a proteggere i piedi e le gambe dai serpenti velenosi e dalle spine delle piante. Raggiungevano il polpaccio e avevano suole resistenti che si curvavano verso l’alto sull’alluce, terminando in una sorta di bottone con le dimensioni di un mezzo dollaro. La parte superiore veniva rimboccata e i risvolti diventavano piccole tasche dove si mettevano gli oggetti piccoli.
Dopo l’arrivo degli statunitensi i guerrieri apache usavano, quasi sempre, una striscia di flanella o di cotone legata stretta sulla testa per tenere in ordine i capelli. Le donne indossavano gonne di pelle di daino, con frange, che coprivano il ginocchio. I mocassini delle donne erano diversi da quelli dei guerrieri: non così alti e neppure tanto resistenti. Arrivavano poco
sopra le caviglie.

Abitazioni
L’abitazione degli Apache era una piccola capanna circolare oppure ovale, chiamata wickiup. Veniva costruita dalle donne con rami intrecciati e frasche. Pali lunghi e sottili erano conficcati nel terreno a una distanza di sessanta centimetri l’uno dall’altro e incurvati verso il centro finché non si toccavano. Erano legati in alto.
Veniva lasciato un piccolo buco per consentire la fuoriuscita del fumo. All’interno il terreno veniva scavato per quaranta, sessanta centimetri e costituiva la camera da letto. La terra ammassata intorno alla base del wickiup serviva a dare solidità alla capanna e a offrire protezione durante le tormente. Quando faceva freddo accendevano un piccolo fuoco nel centro e intorno si sedeva la famiglia. Se un Apache si trasferiva da un luogo a un altro, e sempre quando moriva un membro della famiglia, il wickiup veniva bruciato. Le dimensioni di queste capanne erano: tre metri, tre metri e sessanta per due e quaranta, o, al massimo, due metri e settanta.


Un classico wickiup

L’ingresso era basso e talvolta dotato di un piccolo frangivento con pali e cespugli. Gli Apache non costruivano i loro wickiup distanti l’uno dall’altro ma, di solito, vicini a gruppi di quattro o cinque.

Cibo
Il cibo era estremamente vario. Gli Apache mangiavano molta carne, preferivano quella di mulo e di cavallo. Quasi tutti gli animali, però, venivano apprezzati, dal daino al bufalo ai roditori e alla lucertola. L’Apache non si cibava con la carne dell’orso, del maiale, del tacchino e del pesce. Eppure, cacciava il tacchino, il falco e l’aquila, per le loro penne e il visone, il castoro e il topo muschiato per le pelli. Talvolta il territorio diventava così arido e povero che era costretto a nutrirsi di radici, bacche, noci e semi.


Una donna prepara del cibo

Ghiande, mescal e fagioli di mesquite erano il cibo base degli Apache. La polpa del mescal corrispondeva, per loro, al nostro pane. Disponibile quasi ovunque,veniva raccolta dalle donne e arrostita nelle buche. Poteva essere immagazzinata e
trasportata. Il bacello di mesquite e la ghianda veniva ridotti in polvere e trasformati in focacce. I dolci frutti rossi dei grandi cactus pitahaya erano apprezzati. Nei momenti difficili gli Apache mangiavano i frutti di altri tipi di cactus e la yucca. Gli esploratori paragonarono il gusto di questi frutti, una volta essiccati, a quelli del fico, del dattero e della banana. I semi, dopo essere stati macinati su una pietra larga e piatta, venivano trasformati, con l’aggiunta di acqua, in una pasta con la forma di focaccia.

Svaghi e passatempi
Gli Apache, dopo il pasto principale, che di solito era quello della sera, si sedevano in cerchio, nell’accampamento per raccontare i fatti del giorno, le scorrerie e le battaglie sostenute. Si riunivano spesso per festeggiare, danzare e partecipavano ai diversi riti. Prima e dopo un combattimento, i guerrieri prendevano parte alle danze di guerra, mentre le donne stavano a guardare. C’erano danze esclusive per i giovani: maschi e femmine e i più anziani vi assistevano, commentando e conversando. Il nuoto era lo svago preferito. Ogni Apache, che fosse uomo, donna o bambino, amava il gioco e scommetteva di tutto, dal cavallo alla camicia. Diversi erano i giochi con la palla; il gioco preferito era quello del Cerchio e del Bastone dal quale venivano escluse le donne. A loro, invece, era riservato un gioco simile al moderno hockey. Gli Apache si divertivano anche con gli indovinelli e con gli incontri di lotta, gare di abilità con l’arco e le frecce e nel lancio di pietre in una buca.

Bambini e giochi
Quando i bambini erano abbastanza grandi da poter camminare con le proprie forze, i genitori li lasciavano liberi e raramente venivano sgridati o puniti. I ragazzi lottavano, correvano, si scagliavano pietre o si esercitavano con l’arco.


Bambini trasportati dalle madri

Le bambine costruivano piccole abitazioni con i legni e le pietre, modellavano bambole con stracci e pezzetti di pelle di daino o con pianticelle. Nelle casette simili a quelle reali venivano messe le bambole. Con il fango modellavano piccoli cavalli, uomini e donne.

L’addestramento giovanile
La razzia era correlata alla caccia, in quanto era un mezzo per procurarsi il cibo e gli altri oggetti necessari alla vita. La razzia era un dovere economico. Le spedizioni di guerra erano molto più numerose. Un ragazzo veniva addestrato dal nonno materno e dal padre. Da piccolo riceveva in dono un arco e frecce spuntate. Quando era più grande gli avrebbero insegnato a costruire, da solo, le armi. Un giorno importante era quello in cui gli veniva concesso di partecipare alla caccia con il padre e con gli zii.
Il gruppo si assumeva la responsabilità dell’addestramento dei giovani guerrieri quando erano pronti per scendere sul sentiero di guerra: intorno ai 15-16 anni. Normalmente venivano addestrati in primavera o in autunno. I ragazzi dovevano nuotare nell’acqua fredda e immergersi in quella ghiacciata. Dovevano correre, a lungo, con un peso sulle spalle e respirare solo con il naso; dovevano costruirsi da soli le proprie armi e dimostrare con quanta abilità sapessero servirsene. Il giovane doveva anche esercitarsi nelle attività svolte dagli adulti, comprese le corse a cavallo.
Mettevano alla prova la sua volontà e la sua resistenza, costringendolo a restare sveglio anche due giorni di seguito. Un addestramento così intenso continuava per molto tempo, fino a che il giovane non si comportava come un vero Apache. Jimmie Stevens, interprete nella riserva di San Carlos, figlio di una donna apache e di un mercante statunitense, ha raccontato all’autore che il culmine dell’addestramento era raggiunto quando il giovane si allontanava dall’accampamento, solo, e doveva sopravvivere con la sua abilità e resistenza.
In seguito, il giovane poteva partecipare alle battaglie. Era il momento in cui si celebrava l’evento con una festa nel corso della quale gli venivano consegnati uno scudo e un copricapo appositamente preparati. Nella danza di guerra doveva dimostrare tutta la sua resistenza e la sua agilità.
L’agguato
In quell’occasione gli veniva insegnato il linguaggio da usare nelle battaglie. Era un linguaggio difficile da apprendere ma, su sua richiesta, poteva partecipare a una incursione. Il suo addestramento non veniva considerato completo finché non aveva preso parte a quattro scorrerie o combattimenti. Nel corso di questa ultima fase dell’insegnamento, doveva accendere il fuoco, preparare il cibo, badare ai cavalli e stare di guardia la notte, sempre attento e all’erta, e usare esclusivamente l’idioma di guerra. Solo in seguito poteva partecipare al combattimento dove avrebbe dimostrato tutto il suo valore.

Arte e utensileria
Pare che gli Apache non fossero interessati all’arte. Non è così strano, considerata la loro vita nomade. Nel disegnare e modellare maschere rituali, abiti da cerimonia e strumenti musicali, mostravano una certa abilità pittorica e decorativa, ma il meglio lo si riscontrava nella costruzione di cesti e di brocche per l’acqua. Da principio la bellezza venne subordinata alla praticità, in seguito le donne apache raggiunsero una notevole abilità.
Venivano usate due tecniche: l’intreccio per i cesti e l’avvolgimento a spirale per le brocche. Molti prodotti sono tuttora conservati nei musei. I più belli sono le terrecotte.
E’ difficile stabilire fino a che punto fosse un’arte originale e caratteristica degli Apache e quanto invece fosse un’acquisizione culturale. Probabilmente gli Apache furono influenzati dai Pueblo, dai Pima, dagli Indiani della California e dagli Yuma.

Le armi e la capacità combattiva
Gli Apache anticamente erano armati di arco, frecce e lancia. Le frecce erano lunghe poco più di 90 centimetri: costruite con canna o giunco e legno duro; la punta era di pietra, osso o ferro.
Un guerriero a cavallo
Un Apache era capace di colpire un bersaglio distante 150 metri. La vittima difficilmente riusciva a liberarsi della freccia: il più delle volte la punta rimaneva nella ferita. Talvolta venivano impiegate frecce avvelenate. La lancia, invece, era lunga più di 4 metri e aveva in cima un puntale affilato. Un Apache, quando affrontava un nemico, teneva la lancia sopra la testa, con entrambe le mani, mentre controllava il cavallo con le ginocchia. Gli Apache combattevano raramente in campo aperto ed evitavano le formazioni numerose e ben armate, se non erano attaccati all’improvviso.
L’Apache era molto paziente e abile nel tendere imboscate. Si nascondeva così bene che si confondeva con il paesaggio e l’incauto esploratore lo vedeva troppo tardi. Le sentinelle apache, sistemate su rocce e monti, controllavano vaste zone di territorio, osservando per giorni le prossime vittime. Assalivano uomini soli o piccoli gruppi senza difesa. Avevano però un particolare rispetto per i soldati. Raggiungevano ranchs e miniere, per uccidere, razziare e bruciare per poi ritirarsi velocemente portandosi via i cavalli catturati. Quando una banda di Apache veniva inseguita e costretta allo scontro, si divideva in piccoli gruppi per riunirsi, successivamente, in un luogo prestabilito.

La comunicazione
L’Apache conosceva perfettamente il suo territorio per centinaia di chilometri. Non aveva problemi nell’accumulare o trasportare ciò che gli serviva. Poteva portare con sé il cibo necessario per qualche giorno e trovarne dell’altro anche se la regione era arida. Era capace di spostarsi a piedi, su un terreno accidentato, percorrendo anche 130 chilometri al giorno e la sua resistenza gli consentiva di tenere quel passo per giorni e giorni. Aveva un proprio linguaggio gestuale e sapeva come trasmettere messaggi: la posizione di una pietra capovolta, il modo in cui era stato spezzato un ramoscello, come erano sistemati tre bastoncini, persino il letame del cavallo forniva particolari notizie.
L’Apache utilizzava anche il fumo per comunicare. Sia Cremony che White spiegano con scrupolosità, questo mezzo di comunicazione: “I segnali sono di vario tipo e ciascuno ha un significato particolare. Uno sbuffo improvviso che si alza dai monti verticalmente e scompare quasi subito dissolvendosi nell’atmosfera rarefatta di quelle altezze, indica semplicemente la presenza, nella pianura, di un gruppo di uomini; ma se le colonne di fumo si ripetono più volte avvertono che il nemico è numeroso e ben armato. Se il fumo viene mantenuto costante, per un certo periodo, vuol significare che le bande dovranno riunirsi in un dato luogo. Di notte i segnali vengono fatti con il fuoco, schermato in modo discontinuo, secondo i messaggi da comunicare”.

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