George Ruxton e la minaccia Comanche

A cura di Renato Ruggeri

George Ruxton
George Ruxton fu un viaggiatore Inglese dell’800. Partecipò, a soli 17 anni, alla guerra civile Spagnola nota come Prima Guerra Carlista, guadagnandosi la Spanish Cross al valore e il titolo di Cavaliere dell’Ordine di San Fernando. Servì, in seguito, l’esercito Britannico in Irlanda e Canada e passò un intero inverno a caccia nei gelidi boschi dell’Ontario insieme a una guida Chippewa. Viaggiò in Africa scrivendo relazioni per la Ethnological Society of London e la Royal Geographic Society. A 26 anni fu inviato in Messico in missione diplomatica col compito di monitorare gli interessi commerciali Britannici durante la guerra tra Messico e Stati Uniti. Sbarcato a Vera Cruz, si annoiò presto della vita oziosa della città e così decise di intraprendere un viaggio attraverso gli stati settentrionali del paese. Le sue memorie, poi tradotte in un libro dal titolo “Adventures in Mexico and the Rocky Mountains”, catturano, in modo magistrale, le esperienze di guerra. Nell’autunno 1846 il conflitto con gli Stati Uniti era già in corso; Kearny aveva occupato il New Mexico, la California era stata invasa, Taylor aveva combattuto e vinto la sanguinosa battaglia di Monterrey e Santa Anna radunava l’esercito.
Dovunque andasse, nel nord del paese, Ruxton sentiva parlare del nemico, ma quando chiedeva alla gente quale fosse il nemico si sentiva rispondere “los indios barbaros”.
Ruxton giunse a Zacatecas il 26 settembre 1846 insieme a due servitori Messicani da lui chiamati “mozos”.
Ecco la sua descrizione “Zacatecas è una città popolosa di circa 30-40000 abitanti, ed è situata in mezzo a uno dei distretti minerari più ricchi dell’intero Messico. La regione circostante è selvaggia e arida ma le aspre sierras sono piene di preziosi metalli. Vicino alla città vi sono alcuni laghi e lagune che abbondano di muriato e carbonato di soda. La cittadina è poco accogliente e mal costruita, le strade sono strette e sporche e la popolazione di pessimo carattere; questo è, d’altra parte, tipico di tutte le città minerarie della regione e dipende dalla natura del lavoro”.
Quando Ruxton arrivò a Zacatecas, il tema di tutte le conversazioni quotidiane, le “novedades” di giornata, era sempre il solito “Los indios! Los indios!”
I Comanches avevano iniziato presto la loro annuale invasione e si trovavano nelle immediate vicinanze di Durango, intenti a uccidere paisanos e a devastare haciendas e ranchos. Si temeva che presto sarebbero penetrati all’interno. Che “cosa de Mejico” questa, scrive Ruxton. Cinquecento selvaggi pronti a spopolare in impunità un paese “soi-disant” (cosiddetto) civilizzato.
Il 27 Ruxton partì per Fresnillo percorrendo una strada che correva attraverso una regione selvaggia, non coltivata e disabitata. Incontrò una “conducta”, un trasporto proveniente dalle miniere di Fresnillo, che portava lingotti d’argento alla zecca di Zacatecas. Il carro con l’argento era trainato da sei muli che galoppavano alla massima velocità. Nel vagone erano seduti 8-10 uomini, rivolti all’esterno, coi moschetti in mezzo alle ginocchia, altri galoppavano ai lati, armati fino ai denti. Bande di razziatori, forti di 300-400 guerrieri, spesso attaccavano i convogli delle miniere, anche quando erano scortati dai soldati.
Ancora Ruxton: “Fresnillo è una città sporca e insignificante, ma le sierras circostanti sono piene di miniere che sono ricche e garantiscono considerevoli profitti. Lo stato, un vampiro dalla vista corta, incassava una quota annuale di mezzo milione di dollari”.


L’annuale invasione dei Comanche era iniziata

Ruxton fu invitato a soggiornare nell’hacienda di una miniera. L’amministratore era Americano, i “direttori” per la maggior parte Spagnoli. L’Inglese godette dell’ospitalità per 2-3 giorni e ne approfittò per chiedere informazioni sull’attività mineraria. Nella miniera lavoravano 2500 uomini mentre 2000 muli erano impiegati nell’hacienda. La vena principale era profonda 1200 piedi e un grosso motore svuotava costantemente l’acqua dai condotti.
Molti minatori erano originari della Cornovaglia, gente abituata a “drink and fight considerably”, a bere e litigare in maniera smodata, ma, nonostante questo piccolo difetto, lavoravano più del doppio di un Messicano.
I minatori erano, secondo Ruxton, la più dissoluta e viziosa specie umana e creavano frequenti problemi ai loro capi. Gli uomini della Cornovaglia erano i più temuti, a causa del loro amore per il whisky e le risse e, per questo motivo, un deposito di armi era sempre pronto nell’hacienda per ogni emergenza.
Il 30 Ruxton lasciò Fresnillo diretto a Zaina, distante 55 miglia.
La regione era disabitata e non coltivata, ad eccezione di qualche hacienda o rancho solitari. ;questi edifici erano tutti fortificati, poichè si stava entrando nel distretto annualmente devastato dai Comanches. Le haciendas erano circondate da muri difensivi e fiancheggiate da torri con feritoie per i fucili. Un uomo era sempre posizionato su un altura nelle vicinanze, montato su un veloce cavallo;quando gli Indiani si avvicinavano, veniva dato un segnale e tutti i peones che lavoravano nei campi correvano, con le famiglie, all’hacienda, i cancelli venivano chiusi e ci si preparava alla difesa.
Zania era un villaggio carino, circondato da giardini ben curati, un luogo isolato, con poche comunicazioni con le altre cittadine.
Il 1 ottobre l’Inglese partì per Sombrerete. La regione si fece ancora più selvaggia e interamente disabitata, più per il terrore degli Indiani che per l’improduttività del suolo.
Sombrerete era, una volta, in posto minerario importante, e la Casa de la Diputacion de Mineria era la più grande della città, ma ora le vene non erano più produttive.
La veta nigra de Sombrerete, la famosa vena nera di Sombrerete, una delle più ricche di tutto il continente americano, si era ormai esaurita.
Il 2 Ruxton abbandonò la strada principale, che portava all’hacienda di San Nicolas. Era, infatti,
desideroso di attraversare la regione nota come Mal Pais, una terra incognita di origine vulcanica, poco conosciuta dagli stessi Messicani. Viaggiò attraverso uno chaparral coperto fittamente di nopalos e mezquite, che divenne l’albero più caratteristico.
L’erba alta arrivava ai fianchi dei cavalli e il terreno, ingombro di cespugli di mezquite e fichi d’india, era difficile da attraversare. Ruxton avvistò lepri, conigli e javali, una specie di cinghiale, quaglie, pernici e piccioni. La giornata fu molto faticosa e i viaggiatori furono costretti a farsi strada attraverso un territorio privo di piste. Gli animali erano esausti quando arrivarono all’hacienda di San Nicolas, dopo una marcia di circa 60 miglia.
L’hacienda di San Nicolas era una di quelle enormi tenute che abbondavano in tutto il Messico. Solo una piccola parte della terra veniva coltivata, il resto era a disposizione delle immense mandrie di cavalli, muli e mucche, che pascolavano in libertà “o pascolarono”, scrive ironicamente Ruxton, ”dal momento che gli Indiani ne hanno portato via un numero incredibile”.
La “casa grande”, l’edificio principale, era, in genere, circondato dalle capanne dei peones. I lavoratori erano tenuti in una specie di schiavitù dai loro padroni, e le loro misere baracche formavano quasi una città. Gli haciendados, secondo Ruxton, vivevano in uno stato simil-feudale, con decine di servitori e le case fortificate come castelli per respingere gli indios o altri nemici.


I bellicosi Comanches erano, per Ruxton, i più formidabili nemici dei Messicani

Quando l’Inglese arrivò al cancello dell’hacienda, sorprese due senoritas in deshabille che stavano fumando un sigaro sedute su una panca di fronte alla casa. Istantaneamente le due donne fuggirono via, correndo come lepri, tanto era stata improvvisa l’apparizione dello strano caballero e dei suoi mozos, chiusero violentemente il cancello e iniziarono a spiarli attraverso le fessure. Ruxton indietreggiò e poi mandò un mozo a parlare con loro, chiedendo il permesso di entrare. Le due senoritas risposero che il padre era assente e che era per loro impossibile riceverli all’interno dell’hacienda, ma che una stalla sarebbe stata messa “a la disposicion de los caballeros” e uno spazio, usato sia come pollaio che come recinto per i vitelli, sarebbe stato pulito e preparato per loro.
Ruxton ne fu contento, aveva trovato un buon corral per far riposare i cavalli esausti, inoltre non aveva problemi a dormire all’aperto, sotto le stelle, in quel periodo dell’anno in cui le notti erano ancora miti.
Fu, poi, servita la cena, che consisteva in una zuppa, un guisado (stufato) di lepre, fagioli, uova e una deliziosa insalata preparata dalle due senoritas, con le scuse per non aver potuto offrire all’Inglese un’accoglienza migliore a causa dell’assenza del padre.
Il 3 ottobre Ruxton proseguì il viaggio attraverso il Mal Pais, che appariva come il teatro di “recenti e straordinarie convulsioni vulcaniche”. La pista correva per una valle fiancheggiata da sierras fino a un vulcano della circonferenza di 500-600 yards, le cui pendici erano ricoperte di querce nane, mezquite e piante di cacao.
Al centro vi era un piccolo lago stagnante, circondato da blocchi di lava, la cui acqua era verde scuro e salmastra. Un grosso teschio era appoggiato su una roccia all’interno della pozza e un javali sguazzava nel fango lì vicino. Non un filo d’aria muoveva la superficie dell’acqua che era immobile, e si increspava solo quando una biscia o un’anatra si lasciavano scivolare nello stagno.
Ruxton condusse il cavallo fino al margine della pozza, ma l’animale si rifiutò di bere il liquido melmoso, in cui nuotavano rane, salamandre e rettili di ogni tipo. Alcune “curiose piante d’acqua” galleggiavano vicino alla riva. Una, in particolare, simile al loto, aveva magnifici fiori cremisi che facevano un bel contrasto col colore inchiostro dell’acqua.
I Messicani, quando passavano vicino al laghetto, prendevano in mano gli amuleti e recitavano l’Ave Maria;gli Indiani superstiziosi credevano, infatti, che il Mal Pais fosse abitato da demoni, gnomi e spiriti malefici pronti a ghermire il viaggiatore solitario e a trascinarlo nelle loro tane sotto il suolo.
Ruxton arrivò al rancho La Punta nel tardo pomeriggio, in tempo per assistere allo sport nazionale, il Coleo de toros (la versione messicana del rodeo da cui si differenzia per il fatto che il toro viene buttato a terra afferrandolo per la coda).
Due o trecento persone, provenienti dalle haciendas vicine, si erano riunite per assistere allo spettacolo.
Questo rancho, nell’autunno precedente, era stato visitato dai Comanches, che avevano ucciso alcuni sfortunati peones mentre lavoravano nei campi e portato via tutta la mandria.
Sul luogo dove i rancheros furono uccisi, erano state erette alcune croci, ora quasi sommerse da piccole pile di pietre, a testimonianza delle tante Ave Marias e Pater Nosters recitate da parenti e amici quando passavano in preghiera. Vi era, infatti, l’usanza di depositare una pietra ai piedi della croce per ogni preghiera recitata.
Senza alcun preavviso, gli Indiani erano calati dalla sierra. Gli uomini erano immediatamente fuggiti, lasciando i bambini e le donne senza difesa. Alcune furono rapite, altre violate e colpite con lance e frecce.


I Comanches avevano sconfitto le truppe in due sanguinose battaglie

La moglie del ranchero descrisse a Ruxton l’intera scena e accusò apertamente gli uomini di codardia. La donna, con le due figlie più grandi e alcuni bambini più piccoli, si era nascosta sotto un ponticello di legno che attraversava un torrente.
“Ay de mi”, che giorno fu quello, ”y los hombres, qui no son hombres” – e gli uomini, che non sono uomini – dov’erano? ”Escondidos como los ratones” – si sono nascosti come topi.
“Mire”, continuò, vedi quei 200 uomini, ben montati e armati, che ora sembrano così fieri e valorosi mentre corrono dietro a dei poveri tori? Se 20 Indiani facessero ora la loro apparizione, che cosa farebbero? ”Vaya, vaya” esclamò ”son cobardes” – sono codardi.
Ruxton assistette al rodeo e poi si preparò per la notte. La gente del rancho era così a corto di provviste che dovette accontentarsi di pane e fagioli. Dormì all’aria aperta, ma passò una notte quasi insonne a causa del vociare delle donne, del grugnito dei maiali, del latrato dei cani randagi e del raglio degli asini.
Il 4 ottobre Ruxton riprese il cammino. Fu costretto a attraversare a guado un fiume, a causa dell’assenza del traghetto. Poi viaggiò in mezzo a una pianura popolata, quasi unicamente, da oche selvatiche e gru, la cosa più caratteristica del paesaggio di questa parte del Messico e, finalmente, arrivò a Durango.
Ecco la sua descrizione “ Durango, la metropoli del nord, è situata ai piedi della Sierra Madre, nell’angolo nord-occidentale di una vasta pianura, poco coltivata e popolata. É una città pittoresca, con due o tre grandi chiese e alcuni edifici governativi, e ha una popolazione di 18000 abitanti, 17000 dei quali sono furfanti. Come tutte le città del Messico è estremamente sporca all’esterno, mentre le case sono pulite, a eccezione degli edifici di governo. É famosa per gli scorpioni e il pessimo pulque e per un enorme masso di ferro malleabile che sorge isolato nella pianura a 3 miglia dalla città (il Cerro de Mercado).
Questa roccia è, probabilmente, un aerolite (un meteorite ricco di materiale pietroso), la cui composizione è identica a quella di alcuni aeroliti caduti in Ungheria nel 1751. Contiene il 75% di ferro puro, secondo l’analisi di un chimico messicano; alcuni campioni, prelevati da Humboldt, furono analizzati dal famoso Klaproth (un chimico tedesco che scoprì l’uranio e lo zirconio e diede il nome al titanio), col medesimo risultato”.
La città dello scorpione, quando Ruxton arrivò, era in ansia per l’invasione indiana.
Circa 500 Comanches si trovavano nelle vicinanze, a nord-est, e così, dopo un “fanfarron” di alcuni giorni, le truppe e tutti i valorosi della città, al suono dei tamburi e con le bandiere al vento, marciarono verso sud-ovest e, come era prevedibile, mancarono “los barbaros”.
Scrive Ruxton con un pizzico di cattiveria “…questo li salvò da una sonora bastonatura”, e alla città fu risparmiata la perdita di così tanti “valientes”.
L’Inglese prese alloggio nell’abitazione della vedova di un gachupin (gachupin è un individuo di puro sangue spagnolo) che lo trattò con “gentilezza materna”. La donna era anche un’ottima cuoca e questo fu uno dei ricordi più memorabili del Messico.
Ancora Ruxton “La città di Durango può essere considerata come l’ultima Thule della parte civilizzata del Messico. Oltre, a nord e a nord-ovest, si estendono le vaste, improduttive e disabitate pianure del Chihuahua, il Bolson del Mapimi e gli aridi deserti del Gila. Tribù Indiane selvagge e ostili hanno i loro covi nelle oasi, da questi calano costantemente sui villaggi e le haciendas di confine, razziando le mandrie di cavalli e muli e uccidendo in modo barbaro i contadini disarmati.
Questa guerriglia, se così si può chiamare, dal momento che l’aggressione e lo spargimento di sangue sono solo da un lato, e la resistenza passiva dall’altro, esiste da tempo immemore, ed è stupefacente che la regione non sia stata ancora abbandonata dai perseguitati abitanti. , sottoposti agli attacchi in ogni stagione. Gli Apaches, il cui territorio confina con il dipartimento del Durango, sono instancabili e incessanti nella loro ostilità verso i bianchi e, essendo stretti confinanti, sono capaci di muoversi con rapidità e di sorpresa contro le haciendas e i ranchos della frontiera. Sono una razza Indiana traditrice e codarda, che raramente attacca persino i Messicani se non con l’inganno e l’imboscata. Dopo aver rubato un numero di cavalli e muli sufficiente al loro fabbisogno, inviano una delegazione ai governatori del Durango e Chihuahua per esprimere la loro voglia di pace. Questa viene, invariabilmente, loro concessa e, una volta en paz, si recano ai villaggi di frontiera e persino alla capitale del dipartimento con lo scopo di commerciare e divertirsi. Gli animali razziati in Chihuahua e Durango sono venduti in New Mexico e Sonora, e le autorità di questi due stati tollerano e incoraggiano questi traffici.
Ma il nemico più formidabile, il più temuto dagli abitanti del Durango e Chihuahua sono i bellicosi Comanches che, dalle loro lontane praterie oltre il Rio del Norte e il Pecos, in certi periodi dell’anno e annualmente, organizzano regolari spedizioni contro questi stati e, frequentemente, anche più all’interno (come l’anno scorso nelle vicinanze di Sombrerete), con lo scopo di procurarsi animali e schiavi, uomini e donne giovani, e massacrare gli adulti nella maniera più barbara e sistematica”.


Manuel Armijo, Governatore fuggiasco del New Mexico. Ruxton lo definisce “una montagna di grasso”.

La cosa più incredibile, per Ruxton, era che non si facesse nulla per proteggere la regione da questa invasione, che non trovava impreparati gli abitanti, ma che avveniva in una ben precisa stagione e da luoghi e punti conosciuti. Le truppe venivano impiegate, nominalmente, per combattere gli indios, ma raramente lo facevano, anche se i Comanches davano loro tutte le opportunità e, invece di evitare i soldati, li assalivano in campo aperto anche quando erano in pari numero e quasi sempre li sbaragliavano.
I peones erano incapaci di difendersi, sia per una loro naturale inclinazione, sia perchè la politica del governo era di tenerli disarmati e così, essendo poco pratici nell’uso delle armi, quando queste venivano messe nelle loro mani, non sapevano usarle.
I Comanches erano così a conoscenza di questa loro passività che non esitavano a assalirli anche quando erano in numero superiore. Se si trovavano in piccoli gruppi, i Messicani si arrendevano sempre, anche se erano armati, si inginocchiavano e pregavano per la salvezza. Qualche volta i rancheros, esasperati per la morte di parenti e amici, si univano e armati di archi, frecce, fionde e pietre, andavano incontro agli Indiani e venivano macellati come agnelli.
Nell’autunno dell’anno precedente, il 1845, e anche ora, nel 1846, gli Indiani si erano fatti ancora più audaci. Stavano devastando i dipartimenti di Durango e Chihuahua, avevano tagliato tutte le comunicazioni e sconfitto in due sanguinose battaglie le truppe inviate contro di loro.
Scrive Ruxton “…migliaia di cavalli e muli sono stati razziati e non vi è rancho o hacienda che non sia stata visitata. Ovunque la gente viene uccisa e catturata, le strade soni intransitabili, i traffici si sono fermati, i ranchos barricati e gli abitanti non osano uscire dalle loro case”.
I due servitori che l’avevano accompagnato fino a Durango si rifiutarono di continuare il viaggio e così, malgrado la generale profezia di una morte certa, l’Inglese decise di proseguire da solo.
Si stava preparando alla partenza quando, alle undici di mattino, gli si presentò una persona, un nativo dalla faccia patibolare. Quando Ruxton gli chiese che cosa lo spingesse a correre un simile rischio, l’uomo rispose che era “muy pobre” e, avendo sentito che “su merced” pagava bene, aveva deciso di accompagnarlo. Aggiunse, poi, che era “muy valiente y aficionado a manejar las armas”, così Ruxton lo ingaggiò.
La sera, mentre passeggiava per le vie di Durango, fu avvicinato da uno sconosciuto che lo informò che il suo nuovo mozo si era vantato, in una pulqueria, che alla prima occasione gli avrebbe piantato “un pistoletazo en la espalda”, un proiettile nella schiena.
L’Inglese, pensando che fossero chiacchiere da ubriaco, non diede peso alla cosa.


Ruxton vide 11 Comanches in fila indiana

Il 10 ottobre Ruxton lasciò Durango e iniziò il lungo viaggio verso Chihuahua in compagnia del suo nuovo mozo, il senor Angel. Attraversò una regione selvaggia, ricca di pascoli. Si fermò, per la notte, alla’ hacienda El Chorro (lo zampillo), una casa grande circondata da capanne in adobe. Arrivò proprio nel momento in cui i rancheros stavano riportando un’immensa “cavalcade” verso i corrals e vicino al rancho; la novedad di giornata era, infatti, la presenza degli indios nei paraggi.
Il giorno seguente l’Inglese riprese il cammino in direzione dell’ hacienda Los Sauces (i salici).
Di mattino Ruxton stava cavalcando, lentamente, all’avanguardia. Mentre passava attraverso un boschetto di mezquite, udì uno sparo e il sibilo di un proiettile passò vicino alla sua testa. Si girò prontamente e vide il suo “amiable mozo” con una pistola in mano, circa 15 yards dietro di lui, che lo guardava in modo colpevole e spaventato. Ruxton estrasse la pistola dalla fondina e cavalcò verso di lui in un istante. Stava per fargli saltare le cervella quando l’espressione sgomenta e assurdamente colpevole dell’uomo trasformò la sua ira in una grassa risata.
“Amigo” gli disse “hai detto di essere abile nell’uso delle armi, e hai mancato la mia testa a 15 yards?”
“Ah caballero! Nel nome di tutti santi! Io non ho sparato a te, ma a un’anatra che volava sulla strada. Non lo cree su merced! Non avrei mai potuto fare una cosa simile”.
Ruxton era sicuro che la storia dell’anatra fosse una frottola inventata al momento per giustificare l’insuccesso e così, col proposito di salvare le sue munizioni e la testa, gli tolse tutte le armi, incluso il coltello, gli rifilò una dozzina di cinghiate e lo ammonì, al primo sospetto di un nuovo attentato, l’avrebbe pistolettato all’istante.
Il 12 ottobre Ruxton iniziò il viaggio verso il rancho di Yerbaniz (yerbaniz è un’erba che profuma di anice). La giornata era appena iniziata, quando vide dei cavalieri che scendevano da una collina e gli si avvicinavano. Si trattava di tre New Mexicans, e uno di loro era un Tedesco di nome Spiers che stava conducendo dagli Stati Uniti alla fiera di San Juan una carovana di 40 carri piena di mercanzie. Aveva lasciato il Missouri a maggio, attraversato le grandi praterie fino a Santa Fe e qui aveva appreso che ai suoi carrettieri Americani non sarebbe stata concessa l’entrata in Durango. Così aveva deciso di cavalcare in avanscoperta, al fine di ottenere il permesso per la loro ammissione.
Il convoglio era ormai, da sei mesi, sulla pista e si trovava alcune miglia dietro di lui. Spiers fornì a Ruxton un lugubre resoconto sullo stato della regione che avrebbe dovuto attraversare. I Comanches erano dappertutto e due giorni prima avevano ucciso due dei suoi uomini; nessuno osava avventurarsi fuori dalle case in quella parte del territorio.
Disse all’Inglese che era impossibile raggiungere Chihuahua da solo, e gli consigliò di tornare indietro.
Il Governatore fuggiasco del New Mexico, il Generale Armijo, viaggiava con la carovana; doveva rendere conto alle autorità messicane della sua codardia per aver abbandonato Santa Fe agli Americani senza resistere.
Poco dopo Ruxton vide i carri che attraversavano la pianura come ”navi nel mare”. Ciascun vagone era tirato da 8 muli, e il convoglio era scortato da una trentina di giovani Missouriani.
L’Inglese si fermò ed ebbe una lunga chiacchierata con Armijo, che definì “una montagna di grasso”.
L’ex Governatore gli chiese informazioni sul prezzo del cotone a Durango, dal momento che aveva 7 carri pieni di questo tessuto, e poi gli domandò cosa si dicesse, in Messico, dei fatti di Santa Fe. Ruxton gli rispose, con evidente piacere, che vi era una sola opinione in tutto il paese, e cioè che “il Generale Armijo e i New Mexicans erano un branco di famigerati codardi!”A queste parole Armijo quasi cadde di sella e borbottò “…adios, ma non sanno che avevo solo 75 uomini per combatterne 3000! Cosa avrei potuto fare!”
Ventun carrettieri avevano abbandonato la carovana due giorni prima con l’intenzione di ritornare negli Stati Uniti passando per il Texas. Di loro Ruxton racconterà in seguito.
Dopo aver lasciato il convoglio l’Inglese attraversò una regione ricca di selvaggina, berendos (antilopi) e cervi abbondavano in pianura, gli orsi sulle sierras.
Quella notte Ruxton si accampò vicino a un rancho, dal momento che gli avevano rifiutato il permesso di entrare.
Ebbe, anche, un’accesa discussione con un arriero, un mulattiere, che aveva ingaggiato a Los Sauces, insieme al mulo, per portare un bagaglio, uno dei suoi muli si era, infatti, azzoppato. L’uomo si era accordato per due jornadas di viaggio. In Messico, scrive Ruxton, esistevano due tipi di jornadas, una di atajo, la distanza usualmente percorsa da un arriero e l’altra de caballo, a cavallo. Al fine di prevenire ogni fraintendimento, l’Inglese si era accordato, per una somma stabilita, per due delle “sue giornate” e cioè 35 miglia ogni giorno. Quando il mulattiere seppe che gli indios erano vicini, si rifiutò di proseguire e pretese di essere pagato per due giorni, anche se la distanza che aveva percorso era, ”solo”, di 36 miglia, affermando che erano due giorni di atajo.
L’Inglese oppose un netto rifiuto e gli diede metà del denaro concordato. Imprecando e minacciando, l’arriero si recò dall’alcade, il padrone del rancho che fungeva, anche, da magistrato, costui inviò a Ruxton l’ordine perentorio di pagare l’intera somma.


Da un vecchio atlante messicano del 1800, gli Indios Barbaros

L’Inglese rispose in maniera più energica che educata affermando che non avrebbe pagato un centesimo in più di quello che era già stato pattuito. Poco dopo vide l’alcade, insieme a una posse, uscire dal cancello e avvicinarsi al bivacco, proprio mentre stava pulendo le armi. Intimoriti da questa vista, i Messicani fecero un rapido dietro-front e ritornarono al rancho e Ruxton non vide più né l’alcade né l’arriero.
Si era dovuto, però, accampare a circa 200 yards dall’hacienda e quella notte non era tranquillo.
Gli uomini del rancho avevano dimostrato un pessimo carattere e si fidava poco del suo mozo. Così preparò sulla coperta un piccolo arsenale, non solo con le sue armi, ma anche con quelle del suo servitore. Angel supplicò, invano, per avere una pistola, dicendo che se fossero venuti gli Indiani l’avrebbero ucciso come un cane, ma Ruxton, poco propenso alla compassione, lo invitò ad andare al rancho, tra i suoi compaesani, cosa che fece, dal momento che non lo vide più per il resto della notte.
Il 13 Ruxton partì per il villaggio di La Noria. Attraversò un passo tra due sierras chiamato El Passage, selvaggio e pittoresco, la pianura era coperta di palme e mezquite e poi, al tramonto, arrivò in vista delle prime case. L’Inglese cavalcava in testa quando vide su una collina, a circa 500 yards dalla strada, un gruppo di Comanches.
Si fermò immediatamente e, senza dire una parola, afferrò il mulo più scontroso e gli legò le zampe con una riata, coprì gli occhi di tutti gli altri con i tapa ojos, i paraocchi e poi, indicando la collina, disse al suo mozo “Mire, los indios!”
“Ave Maria Purissima! Estamos perdidos” esclamò il Messicano. Mezzo morto di paura, Angel si inginocchiò e, invocando tutti i santi del calendario, iniziò a offrire loro ogni genere di cose per la sua salvezza. Quando gli Indiani videro che erano solo in due, cominciarono a scendere dalla collina e Ruxton, convinto che uno scontro fosse ormai inevitabile, estrasse la carabina e le pistole e si preparò a sparare. Ma i guerrieri sembravano poco propensi a assalirli. Percuotendo gli scudi e brandendo gli archi, gridarono loro di abbandonare gli animali e andarsene. L’Inglese rimase in posizione per qualche minuto, ma il buio stava calando e così liberò i muli e li mandò avanti insieme al suo mozo.
Angel, una volta in sella, iniziò a galoppare furiosamente insieme ai muli, in una totale baraonda, verso il villaggio e si fermò solo nella piazza principale, dove raccontò alle donne terrorizzate la sua fuga miracolosa.
Quando Ruxton arrivò a La Noria, trovò la popolazione nella confusione più assoluta. Le donne piangevano e correvano in tutte le direzioni, nascondendo i figli e le cose di valore, barricando le case e mettendo le poche armi a disposizione nelle mani dei loro riluttanti uomini. Mentre Ruxton attraversava il villaggio in cerca di un corral, una donna uscì da una casa e gli offrì ospitalità, cibo e paglia per gli animali. L’Inglese accettò volentieri e entrò in una abitazione pulita, con un corral pieno di fichi e viti e un cortile con una pozza d’acqua nel centro.
“Ah, gracias a Dios”, esclamò la senora, ”c’è qualcuno pronto a proteggere una povera vedova e i suoi figli orfani. Se i selvaggi verranno, non avrò paura perchè abbiamo buone armi nelle casa e qui saben manejarlos”.
Dopo cena Ruxton si recò dall’alcade e gli consigliò di prendere provvedimenti in caso di un probabile attacco indiano, ma l’uomo rispose “Caballero, que podemos hacer?Non abbiamo armi e la mia gente, se anche le ha, non trova il coraggio di usarle. Grazie al cielo i barbaros non lo sanno e non attaccheranno la città. Questi selvaggi sono dei terribili ignoranti!”
La mattina seguente Ruxton riprese il suo viaggio tra lo stupore degli abitanti di La Noria che lo guardavano come fosse già morto. Attraversò il Rio Nazas vicino all’hacienda El Conejo e, alcune miglia oltre il guado, incontrò la carovana di un Francese di Chihuahua che gli raccontò le ultime novità.
I Comanches erano in gran numero oltre il villaggio di El Gallo e stavano uccidendo e massacrando in tutte le direzioni. Qualche giorno prima avevano assalito un gruppo di toreri, il cui “empresario” era un gachupin di nome Bernardo, mentre si stavano recando alla fiera di El Valle de San Bartolomè. Sette di loro erano morti e tutti gli altri feriti.
Avevano avuto, anche, uno scontro con le truppe sul Rio Florido e 17 soldati erano rimasti sul terreno.
Il 16 Ruxton arrivò al villaggio di El Gallo, viaggiando in mezzo a una regione desolata attraversata più volte dalle piste degli Indiani.
Durante il cammino l’Inglese passò vicino a alcune rocce su cui erano appollaiati centinaia di zopilotes, di avvoltoi. Una dozzina di questi rapaci si levò da un lato della strada. Quando Ruxton si avvicinò a quel punto, vide il cadavere mezzo denudato di un Messicano, che presentava profonde ferite al tronco. L’uomo era stato scalpato e una freccia spezzata era ancora conficcata nella faccia, o in quel che rimaneva, dal momento che gli avvoltoi aveva mangiato gli occhi e parte del cervello.
Ruxton non aveva attrezzi per scavare una fossa, e così lasciò il corpo al rivoltante festino degli zopilotes.
Soggiornò a El Gallo nella casa di un contadino che aveva perso tre figli per mano degli indios. Due delle vedove, giovani e carine, erano nella casa. Il grano era pronto per essere tagliato, ma avevano paura di uscire dal villaggio e così, per procurarsi le provviste giornaliere, tutti gli abitanti si riunivano in un unico gruppo e si recavano nei campi.
L’Inglese rimase due giorni nell’abitazione per far guarire il mulo che si era azzoppato, e passò il tempo seduto con la famiglia, pulendo il grano e “platicando” (chiacchierando).
La vita, al rancho, era così organizzata. All’alba le donne preparavano la cioccolata, o atole, il breakfast era servito alle 9 e consisteva in carne con chile colorado, frijoles e tortillas, il pranzo e la cena a mezzogiorno e al tramonto. La calabaza, la zucca era l’ortaggio più apprezzato.
Durante la sua permanenza a El Gallo furono piantate due croci di legno nel punto in cui, tre giorni prima, erano stati uccisi dai Comanches gli uomini di Spiers. I due erano rimasti indietro per prendere il pane cotto per la carovana e erano stati assaliti appena fuori dal villaggio.
Una mulattiera conduceva il viaggiatore da El Gallo a Mapimi, attraverso una terra selvaggia, completamente disabitata e priva d’acqua. Un poco al di fuori della pista vi era l’hacienda de la Cadena, un rancho solitario, scena di ricorrenti attacchi indiani. Un torrente, infatti l’attraversava, e i Comanches diretti verso le haciendas più all’interno erano obbligati a rifornirsi, qui, di acqua.
Ruxton aveva deciso di viaggiare in questa parte del territorio, sebbene fosse al di fuori dei tragitti più battuti, poichè voleva visitare El Real de Mapimi, una piccola città vicino a una sierra che, si diceva, fosse ricca d’oro, e anche con lo scopo di attraversare una regione conosciuta come il “deserto della frontiera”, non tanto per la sua sterilità, quanto per il terrore degli attacchi indiani.
Sessantacinque miglia rappresentavano un lungo viaggio per un giorno e così l’Inglese decise di partire da El Gallo a mezzodì e di accamparsi dopo una trentina di miglia, anche se doveva passare una notte senza acqua. Dopo aver lasciato il villaggio si fermò vicino a una sorgente per abbeverare gli animali e riempire la sua “huages”, una borraccia ricavata da una zucca. I muli e i cavalli si rifiutarono, però, di bere e così Ruxton e il suo mozo ripresero il cammino sotto un sole bruciante.
La famiglia che abitava il rancho vicino alla sorgente lo implorò di non partire. La vecchia nonna disse all’Inglese che avrebbe pregato con un numero imprecisato di Ave Maria il santo patrono della casa, San Ysidro de Guadalajara, e gli appese al collo una moneta di rame che aveva un foro miracoloso al centro; l’amuleto l’avrebbe protetto dalle frecce Comanche e dalle armi più pericolose del “enimigo del mundo, il diavolo, che è sempre a caccia di anime”.


Llegan los Comanches!

La pianura era ricoperta di mezquite e di una specie di palma che cresceva fino a circa 6 piedi (1, 80m), e che aveva alcune foglie lunghe e strette che partivano dalla cima del tronco, ampio come il corpo di un uomo. Vista a distanza, assomigliava a un Indiano con un copricapo di piume e Angel richiamava, continuamente, l’attenzione di Ruxton su questi “selvaggi vegetali”. In pianura cresceva un tipo di erba di scarso valore, sui pendii a lato abbondava, invece, una specie chiamata gramma eccellente, e simile alla buffalo-grass delle praterie, il cui valore nutritivo era, per il bestiame e i cavalli, uguale al grano.
Dopo aver percorso 25 miglia, Ruxton decise di accamparsi e, dopo aver slegato i muli, preparò una specie di barricata con i bagagli e le selle. Al tramonto completò il piccolo forte e diede da mangiare agli animali il grano che aveva portato per questo scopo. Le bestie avevano tutte una cabrestas, una corda, legata intorno al collo che scendeva fino al terreno, in questo modo era possibile afferrarle e legarle con facilità una volta finito il pasto. Dopo aver ordinato al suo mozo di occuparsi di questo compito, l’Inglese si avvolse nelle coperta e si addormentò. Si svegliò dopo tre ore e, alzandosi in piedi, si accorse, con sgomento, che Angel dormiva e che tutti gli animali erano scomparsi. La notte era buia e era impossibile seguire le tracce, così Ruxton aspettò fino all’alba e trovò facilmente la loro pista. Dopo aver cercato, inutilmente, l’acqua, i muli si erano diretti verso El Gallo.
L’Inglese ritornò al bivacco e ordinò al suo mozo di tornare al villaggio, trovare gli animali e riportarli subito, mentre lui sarebbe rimasto all’accampamento a sorvegliare i bagagli. L’aria fine del primo mattino gli aveva stimolato l’appetito e così aprì una bisaccia che aveva riempito a El Gallo con formaggio, uova e tortillas, ma si accorse, con rabbia, che il suo servitore aveva divorato tutto.
Decise, allora, di prendere un fucile e due pistole e di salire sulla sierra a caccia di un antilope. Iniziò, quindi, a arrampicarsi e quando raggiunse la cima e guardò la pianura sottostante vide, in lontananza, un torrente in cui scorreva l’acqua. Mezzo morto di sete, iniziò a scendere, anche se il posto era lontano 6-7 miglia. Aveva quasi completato la discesa quando un branco di antilopi lo superò e si fermò a brucare l’erba su un piccolo plateau. Un canon, una spaccatura nel terreno, si apriva fino al pianoro e Ruxton decise di seguirlo in modo da avvicinarsi agli animali senza essere visto. Iniziò, così, a strisciare tra l’erba alta e i cespugli e giunse in mezzo a due rocce alla fine del canon. Quando alzò la testa per valutare la distanza, vide qualcosa che gli gelò il sangue nelle vene.
A circa 200 yards cavalcavano, tranquillamente, 11 Comanches in fila indiana. I guerrieri avevano lance, frecce e archi, il capo, davanti a tutti, teneva in mano un fucile decorato.
Si stavano avvicinando all’entrata del canon e Ruxton pensò che avrebbero imboccato il sentiero tracciato dagli animali che passava vicino al punto in cui si era nascosto.
Ruxton pensò che la sua ora fosse, ormai, giunta e non sapeva cosa fare, se sparare o confidare che passassero oltre senza scoprirlo. I Comanches si avvicinarono, parlando e sghignazzando, e Ruxton, nascosto in un cespuglio, prese di mira il capo, il cui torace, spalmato d’olio, luccicava al sole.
“La sua vita e, probabilmente, la mia erano appese a un filo”.
L’indiano giunse all’entrata del canon, vide il sentiero e voltò il cavallo e l’Inglese, convinto che fosse sul punto di percorrerlo, strinse il dito sul grilletto. La situazione sembrava senza via d’uscita quando un guerriero che cavalcava dietro il capo, indicando la pianura, gridò qualcosa e il Comanche cambiò direzione e si allontanò, seguito dagli altri.
Ruxton rimase nascosto ancora per un po’, ma ormai l’antilope e l’acqua erano perdute e così riattraversò la sierra e raggiunse l’accampamento due ore prima del tramonto dove, con grande disappunto, vide che gli animali non erano ancora arrivati. Pensando che Angel fosse sul punto di giocargli un brutto scherzo, decise di tornare a El Gallo. Il sole tramontò, venne il buio e l’Inglese si mise in cammino con grande difficoltà, inciampando nelle rocce e pungendosi con le spine dei fichi d’India. Alcune volte fu sul punto di assalire una palma, scambiandola per un selvaggio, ma in una notte scura come quella neppure un Comanche a caccia di scalpi avrebbe rischiato l’osso del collo.
La pista era, quasi, invisibile e Ruxton cercava di ricordare dei punti di riferimento, rocce, alberi e colline che aveva incontrato il giorno prima. Una volta, disidratato e esausto, si sdraiò sul terreno a riposare, dal momento che era senza acqua e cibo dall’alba.
Era completamente disorientato e così si affidò all’istinto, prese quella che gli sembrava la giusta direzione e, non appena le nuvole si aprirono e comparve un po’ di luce, ritrovò il sentiero e lo seguì rapidamente fino a quando udì il muggito rassicurante delle vacche. Aveva raggiunto la sorgente dove si era fermato il giorno precedente. Arrivò sul posto e immerse la testa nell’acqua fredda, bevendo a sazietà.
Alle 3 del mattino bussò alla porta del rancho e la prima voce che sentì fu quella del suo mozo che diceva “Quien Llama?”
Tutta la famiglia si svegliò e si congratulò con lui per essere ancora in vita. Quando Angel aveva raccontato loro della scomparsa degli animali e che Ruxton era rimasto solo, l’avevano dato per spacciato, dal momento che il luogo in cui si erano accampati era un noto “stopping place”dei Comanches.
I muli e i cavalli erano tutti illesi e si stavano abbeverando alla sorgente quando Angel era arrivato. Il mozo si scusò ripetutamente per non essere ritornato subito, ma Ruxton sapeva che la sua vera intenzione era impadronirsi degli animali e andare via.
All’alba Ruxton montò su un mulo e il suo servitore su un altro, i due ritornarono all’accampamento e partirono immediatamente per Mapimi. Angel fu obbligato, come punizione per il premeditato tentativo di inganno, a percorrere l’intera distanza, più di 60 miglia, al trotto veloce. La mancanza di pratica equestre e il dorso appuntito come un rasoio del mulo provocarono tutta una serie di lamenti e variopinte imprecazioni sul suo destino miserabile al servizio di un padrone senza cuore, accompagnati dalla supplica di poter montare su un cavallo. Ma l’inglese fu irremovibile.
Il mozo era stata la causa del ritardo e della perdita di tempo e andava punito. ”Amministrai una dose salutare della legge di Lynch, che Angel avrebbe senza dubbio rammentato anche in futuro”.
A mezzogiorno Ruxton arrivò all’ hacienda La Cadena, passando vicino a una vedetta posizionata su una collina, un “look out”per gli Indiani. L’hacienda era barricata e gli uomini, nascosti sull’azotea, il tetto piatto del rancho, erano pronti con fucili, archi e frecce, dal momento che l’avvicinarsi di alcuni stranieri era stato annunciato da un segnale del ranchero sulla collina.
L’Inglese rimase a La Cadena solo il tempo di abbeverare gli animali, mentre le persone sul tetto gridavano loro se erano matti a viaggiare da soli. Angel, a cui Ruxton aveva riconsegnato il fucile, indicandolo, gridò “Miren ustedes, somos valientes, que importan los carajos Comanches. Que vengan, y yo los matare!”A queste parole le muchachas, sventolando i fazzoletti e salutando il valiente, risposero “Adios, buen mozo, mate a los barbaros!”
Alle 10 di sera Ruxton arrivò a Mapimi ma, a causa del buio, perse la strada e si impantanò in un terreno paludoso appena fuori dalla città. Le luci del villaggio erano vicine ma nessun abitante si fece vedere, nonostante le richieste di aiuto e di una guida. Erano tutti rinchiusi nelle case, pensando che gli Indiani stessero arrivando.
Finalmente l’Inglese riuscì a uscire dal pantano e entrò in città. Non si vedeva un anima e tutte le luci erano spente. Ruxton si diresse verso la piazza principale, scaricò i muli e si accampò, poi mandò Angel a comprare del grano per gli animali. Il servitore ritornò dicendo che gli abitanti erano mezzi morti di terrore. Dopo aver nutrito le bestie, l’Inglese si avvolse in una coperta e si addormentò nel mezzo di una strada, dopo una cavalcata di ben 65 miglia.


L’arrivo di Ruxton a Mapimi

“El Real de Mapimi” scrive Ruxton “è situata su una pianura ai piedi di una montagna chiamata, per la presunta somiglianza a una borsa, il Bolson de Mapimi. Le sierras che circondano la pianura sono ricche di metalli preziosi ma, per la paura degli attacchi Indiani, non sono mai state sfruttate.
La miniera vicino alla città appartiene agli abitanti di Mapimi, che ne ricavano un considerevole profitto, pur senza capitali e impiegando metodi di estrazione primitivi. La miniera contiene, infatti, oro, argento, piombo e zolfo. La cittadina è una misera collezione di case in adobe e, con la sola eccezione di una tessitura di cotone, è priva di commerci. La popolazione, circa 2000-3000 anime, vive nel costante terrore degli indios, che entrano, frequentemente, nel villaggio e rubano gli animali dai corrals. Tra Mapimi e Chihuahua si estende una regione chiamata la travesia; un tempo possedeva alcuni prosperi villaggi e ranchos, ora deserti e in rovina. I Comanches li usano come rifugio durante le loro incursioni. Lasciano qui gli animali stanchi perchè si rinvigoriscano nei pascoli che hanno sostituito i campi, una volta, coltivati, e li riprendono al ritorno”.
Una pista, a quel tempo in disuso e coperta dalle erbacce, conduceva da Mapimi a Chihuahua attraverso questi villaggi abbandonati, e Ruxton era determinato a percorrerla, sebbene fosse, secondo i racconti Messicani, molto frequentata dai Comanches.
A Mapimi l’Inglese congedò Angel e ingaggiò un piccolo Irlandese di nome Harry che viveva da 18 anni in Messico. Harry aveva perso ogni traccia della sua origine e sembrava, nei modi, nel carattere e all’apparenza, un perfetto Messicano, aveva , anche, quasi completamente dimenticato la sua lingua madre. Gli Indiani non gli facevano paura e quando Ruxton gli chiese come mai avesse accettato di seguirlo a Chihuahua viaggiando per la travesia, rispose “No è ancora nato chi prenderà il mio scalpo”.
Durante la permanenza a Mapimi, Ruxton si accampò nel mezzo della piazza, preferiva, infatti, l’aria aperta alle case spesso infestate dai vermi e parassiti che divoravano gli Europei.
La sera prima della partenza, una delegazione di cittadini si avvicinò al suo bivacco. L’alcade chiese a Ruxton come pensasse di sfuggire agli Indiani, e quando l’Inglese indicò il suo fucile, esclamò “Valgame en Dios!Que loco es este Yngles!”.
Il 23 ottobre Ruxton e il suo nuovo mozo lasciarono Mapimi, viaggiarono per 36 miglia attraverso un arido chaparral e, al tramonto, videro le case abbandonate di Jarral Grande. Le case erano state costruite attorno a un vasto spazio aperto, ora coperto dalla vegetazione. All’entrata del villaggio e sparse lungo la strada, vi era una foresta di croci, per la maggior parte abbattute e mutilate dagli Indiani. Le abitazioni stavano cadendo a pezzi, solo qualcuna era quasi intera.
Ruxton vide, sulla soglia di una di queste, una lepre con i suoi leprotti, mentre un enorme gatto si crogiolava al sole sul tetto. Le pareti degli edifici in rovina erano coperte di crepe che si aprivano dal tetto fino al pavimento.
L’Inglese entrò in un adobe che, per dimensioni e apparenza, doveva essere stato quello del prete o dell’alcade. I resti di un fuoco recente erano sparsi sul terreno, insieme a alcune huages Indiane, le borracce ricavate dalla zucca, a una freccia e a uno scalpo umano.
I Comanches erano stati nel villaggio e alcuni di loro avevano soggiornato in quella casa e erano partiti, probabilmente, poco prima dell’alba, lasciandosi dietro quegli oggetti.
Ruxton e Harry condussero gli animali ad un arroyo, un torrente, vicino e, fucili alla mano, li sorvegliarono mentre bevevano. Sulla sabbia vi erano numerose impronte di mocassini, fresche e recenti. I due legarono i muli e i cavalli nello spazio aperto al centro di Jarral Grande, poi si ritirarono all’ombra di una casa, a un tiro di distanza. Durante la notte alcuni gatti selvatici entrarono nel villaggio e quasi causarono una stampede.
Prima dell’alba montarono a cavallo e , con grande difficoltà, si incamminarono nel buio attraverso la pianura. Qualche ora dopo arrivarono a un torrente chiamato Arrojo de los Indios, un noto stopping-place dei Comanches. Lo attraversarono seguendo una pista Indiana recente e si fermarono poco dopo il guado. Ruxton ne approfittò per farsi un bagno nell’acqua pura e fredda dell’arroyo.
Quella notte non dormirono;prima di mezzanotte caricarono i muli e ripresero il cammino. L’Inglese preferiva viaggiare di notte sia per motivi di sicurezza, sia perchè voleva raggiungere il villaggio di Jarral Chiquito prima dell’alba. Se gli Indiani si erano accampati lì, avrebbe potuto vederli prima di essere scoperto.
Anche Jarral Chiquito era un luogo molto frequentato dai Comanches. Il sole si alzò all’orizzonte poco prima di raggiungere il villaggio e Ruxton, voltandosi, vide Harry che lo fissava, coprendosi gli occhi. ”Cosa succede” chiese “Guarda, don Jorge, sorge il sole, forse lo vedremo per l’ultima volta. Non mi è mai sembrato così bello!”
Ruxton e Harry arrivarono a Jarral Chiquito poco prima dell’alba. Non trovarono Indiani, ma molti segni della loro presenza. Il villaggio era situato su una collina, vicino a una piccola pozza d’acqua;intorno alla sorgente cresceva un boschetto di cottonwoods, una specie di alamo (pioppo).
Il villaggio era stato interamente bruciato dai Comanches, con l’eccezione di una casa che era ancora in piedi. I selvaggi avevano scoperchiato il tetto e bersagliato di frecce, dalla parte superiore delle pareti, coloro che si erano rifugiati nell’edificio. All’interno Ruxton vide alcune ossa umane e lo scheletro di un cane. Un silenzio surreale regnava sull’intero luogo, interrotto, solo, dal gracidio di una rana.
A mezzogiorno i due partirono, viaggiarono fino a sera e si accamparono su una pianura desolata, senza acqua per gli animali e legna per il fuoco. Durante la nottata Ruxton vide in lontananza, ma sulla stessa pianura, un grosso falò. Era, senza dubbio, l’accampamento di una banda di Indiani che sarebbe passata per Guajoquilla lo stesso giorno del suo arrivo.
Il 26, all’alba, caricarono i muli e, dopo una marcia di 40 miglia, videro le case di Guajoquilla (l’odierna Ciudad Jimenez). Prima di entrare in città passarono per un campo coltivato, mentre i contadini stavano tagliando il grano. L’improvvisa apparizione dell’Inglese provocò un fuggi fuggi, e gli uomini, le donne e i bambini corsero, terrorizzati, a nascondersi tra le canne. L’avevano scambiato per un Indiano, dal momento che era vestito con una giacca da caccia e pantaloni con le frange. I Comanches erano passati di lì quella mattina e avevano ucciso alcuni campesinos, per questo motivo erano pienamente giustificati nel loro allarme.
“Guajoquilla” scrive Ruxton, ”è una città carina, con case bianche in adobe che sembrano pulite e accoglienti”.
L’arrivo di due stranieri che avevano viaggiato per la travesia provocò un grande scalpore e la gente si affollò intorno a Ruxton domandandogli le ultime novedades e in che modo fosse sfuggito agli indios. Centinaia di abitazioni furono messe a sua disposizione, ma l’Inglese ne cercava una con un corral o una stalla e così, quando vide un’anziana dama seduta davanti all’entrata di un corral, le chiese se poteva soggiornare nella sua casa e la donna, immediatamente, acconsentì.
Ruxton era appena sceso da cavallo, quando un individuo alto si fece largo tra la folla, gli prese la mano esclamando “Grazie a Dio, un compatriota” e scoppiò in lacrime. Si trattava di uno dei 21 Americani che avevano lasciato la carovana di Spiers, 30-40 giorni prima, con l’intenzione di tornare negli Stati Uniti passando per il Texas. Avevano comprato cavalli e muli all’hacienda La Sarca e, senza conoscere nulla del territorio che dovevano attraversare e sprovvisti di una guida, erano entrati nella regione completamente priva di acqua e selvaggina compresa tra il Bolson del Mapimi e la Sierra del Diablo. Gli animali erano tutti morti, e gli uomini si erano divisi in piccoli gruppi, alla vana ricerca dell’acqua, bevendo il sangue dei muli e qualcosa di più rivoltante.
L’uomo davanti a Ruxton e un compagno erano riusciti a trovare una pozza d’acqua, e un gruppo di pastori, che sorvegliava un gregge lì vicino, li aveva portati a Guajoquilla. Secondo il loro racconto, gli altri erano morti poiché, quando li avevano lasciati, erano stesi sul terreno, incapaci di rialzarsi.


Da Mapimi al Chihuahua, viaggiando per la travesia

Il giorno seguente alcuni vaqueros entrarono in città portando sette Americani dietro le loro selle, e prima di sera, ne arrivarono altri due, aumentando il conto totale dei superstiti a a undici.
“Erano le creature più miserabili e emaciate che avessi mai visto” scrive Ruxton “ con i capelli lunghi, le barbe incolte, la faccia cadaverica, gli zigomi che bucavano la pelle e le labbra spaccate dal sole, questi poveri individui smontarono davanti alla mia porta, talmente indeboliti da non reggersi in piedi. Alcuni di loro avevano perso la voce, altri erano annientati dalle sofferenze. Ascoltando il loro racconto, io non dubitai per un istante che gli altri dieci fossero, ormai, periti, erano completamente esausti quando l’ultimo dei superstiti avevano lasciato il luogo dove giacevano”.
Ruxton ordinò a Harry di preparare una zuppa e di provvedere ai loro bisogni più immediati, poi si recò dall’alcade e gli raccontò la storia. Il Messicano gli promise che non sarebbero stati imprigionati, ma lasciati liberi sulla parola, e che una stanza sarebbe stata, subito, messa a loro disposizione, dove avrebbero potuto ristabilirsi in perfetta libertà.
Durante la permanenza a Guayoquilla, Ruxton teneva, sempre, una pentola di cibo sul fuoco, e gli Americani potevano servirsi tutte le volte che volevano.
L’Inglese era seduto vicino alla porta, quando alcuni di loro entrarono nella casa e si fecero largo tra le muchachas, senza l’usuale “ con su licencia”, con grande indignazione delle ladies.
“É generale impressione tra le classi più povere del nord del Messico” continua Ruxton “che gli Americani siano dei mezzi selvaggi e dei perfetti incivili. Gli individui che vedono da queste parti non sono, esattamente, educati nei modi e nell’aspetto, essendo, di solito, dei grezzi bifolchi del Missouri. Vengono chiamati burros, asini, e hanno la reputazione di essere degli infedeli che cooperano con il demonio”.
“Cercavo di spiegare al mio pubblico femminile che gli Americani erano un popolo molto civile e che la maggior parte di loro professava la stessa religione dei Messicani, ma le donne rifiutavano l’idea, i preti avevano detto il contrario e ora potevano vedere coi loro stessi occhi che erano burros”.
“Ni saludan las mugeres” esclamò una bellezza bruna, come argomento definitivo, e proprio in quel momento un Missouriano in mocassini, sporco e puzzolente, le passò accanto senza degnarla di uno sguardo.
“Ni saludan las mugeres, lo puoi vedere tu stesso, sono burros e senza vergogna. Valgame Dios, che razza di bifolchi!”
“Nel Messico settentrionale i letti sono sconosciuti anche nelle case della gente più rispettabile. Di notte una specie di materasso viene gettato sul pavimento e su di esso vengono posate le lenzuola, di giorno è arrotolato contro un muro e, rivestito con una coperta di colore vivace, si trasforma in un divano. Le sedie non sono usate, durante i pasti i piatti sono posati direttamente sul terreno e gli ospiti si siedono in cerchio, in stile Indiano, e intingono le tortillas nei piatti. Un pezzo triangolare di tortilla è usato come cucchiaio, e anche la zuppa viene mangiata in questo modo. I cucchiai si trovano raramente anche nelle case dei ricos, l’uso della tortilla è, invece, universale”.
Il 3 novembre Ruxton e Harry lasciarono Guajoquilla. Partirono di notte, per prudenza. Erano le due del mattino e l’Inglese stava cavalcando in testa, mezzo addormentato e avvolto nel sarape, a causa del freddo pungente, quando vide davanti a se alcuni fuochi. . In un primo momento pensò che fossero gli Indiani che erano stati segnalati tra Guajoquilla e La Remada. Si fermò, smontò da cavallo, prese il fucile e si avvicinò al bivacco. Non erano indios ma un picchetto di soldati, mentre molti altri dormivano lì intorno. Ruxton si ricordò, ora, che un distaccamento di truppe al comando del Col Amendares (Armendariz), noto matador de indios, era uscito da Guajoquilla con lo scopo di intercettare una banda di Comanches che aveva attraversato il Rio Conchos. La voglia di sorprenderli al ritorno era evidenziata dalla posizione che avevano scelto per l’imboscata. Si erano accampati al centro del sentiero indiano, sotto una catena di colline, un buon punto d’osservazione. Ruxton ritornò al cavallo, montò in sella e galoppò vicino ai fuochi lanciando un grido di guerra che fece svegliare l’intero accampamento.
Poco dopo l’alba giunsero al rancho La Remada, anche questo presidiato dai soldati, si fermarono per 2-3 ore a abbeverare gli animali e poi partirono per Santa Rosalia.
“Santa Rosalia”, scrive Ruxton, ”è un posto sporco, che è stato scelto dal governatore del Chihuahua come postazione difensiva contro l’avanzata degli Americani”.
L’Inglese prese alloggio nella casa di un Americano che aveva un negozio di tessuti. Nel mezzo della notte fu, improvvisamente, svegliato da un violento bussare alla porta. Alcuni giorni prima (in verità più di un mese prima) i Messicani erano stati sconfitti a Monterrey;per questo motivo il padrone di casa pensò che una folla inferocita volesse vendicarsi della disfatta saccheggiando la sua abitazione. I due si nascosero nel negozio, dietro il bancone. La porta si apriva sulla strada, e dietro di essa potevano udire il tintinnio delle spade. Ci fu un altro violento colpo e una voce gridò “Abra la puerta, en el nombre del General che ha mandato me, il suo aiutante, a parlare con il padrone di casa”.
Sentendo questo “apriti sesamo”, Ruxton spalancò la porta all’aide-de-camp, un individuo baffuto dall’aspetto feroce, con enormi moustache.
“Dov’è la spia Americana che è entrata, oggi, in città e si nasconde in questa casa?” Nessuna risposta.
L’eroe baffuto sogghignò con rabbia e esclamò “Per ordine del Generale tutti gli stranieri in questa casa devono recarsi al suo cospetto per essere interrogati”.
Ruxton e il suo anfitrione si vestirono in fretta e si incamminarono fino alla casa del Generale, che li aspettava seduto nella sua stanza. Senza attendere le domande, l’Inglese presentò il passaporto e la carta de securidad e il Generale, dopo una rapida occhiata e con grande scorno del suo aiutante, li restituì insieme alle scuse per aver disturbato Ruxton a quell’ora così tarda.
Ruxton e Harry partirono da Santa Rosalia il 5 novembre e arrivarono, al tramonto, a Saucillo, un piccolo villaggio di minatori. Il paese era situato sul Rio Conchos, ”un fiume ampio e poco profondo che sfocia nel Rio del Norte vicino al presidio con lo stesso nome”. ”I gambucinos o minatori indipendenti” scrive Ruxton, ”sono una classe sui generis”.
Il loro guadagno dipendeva dalla “bonanza”la chance di trovare una ricca vena, cosa assai rara visto i loro primitivi sistemi di scavo e estrazione. Malgrado ciò lavoravano, anno dopo anno, con la visione dorata della bonanza davanti agli occhi.
Nei loro piccoli reales (qui Ruxton chiama le miniere con il vecchio termine Spagnolo, reales, usato quando erano di proprietà della Corona) vi era abbondanza di provviste e beni di prima necessità. I gambucinos erano felici, infatti, di vendere piccoli pezzi d’oro per una somma di denaro che era, sempre, inferiore al valore del prezioso metallo, e offrivano ai viaggiatori pezzi d’argento in cambio di indumenti.
Il 6 Ruxton partì per San Pablo, un piccolo villaggio sul Rio Conchos, che sorgeva in mezzo a un terreno paludoso.
Arrivato in piazza, mandò Harry in cerca di una stalla, e si stava prendendo cura degli animali quando un caballero uscì da una casa e si offrì di ospitarlo per la notte. L’Inglese accettò e fu condotto in una stanza confortevole e invitato a cena.
La cena fu servita su un tavolo, cosa inusuale. Una brocca d’acqua era posta al centro e l’usanza era di non bere fino alla fine delle portate e così, se l’ospite cercava di versarsi un bicchiere, veniva fermato dal padrone di casa che gli diceva “que viene otra cosa”.
Il giorno dopo Ruxton era sul punto di scrivere sul suo diario che, alla fine, aveva trovato la vera ospitalità Messicana, quando si presentò il suo mozo con il conto della comida, seis reales. L’Inglese chiuse immediatamente il suo bloc notes.
Il 7 novembre Ruxton e Harry partirono da San Pablo. Incontrarono una carovana di carri proveniente da Chihuahua City, con un certo numero di ufficiali e famiglie che stavano abbandonando la città per paura dell’avanzata americana. Tra di loro vi era il famoso matador Andaluso Bernardo che era stato assalito, qualche tempo prima, insieme alla sua compagnia di toreri, dai Comanches e si era salvato, pur gravemente ferito, aprendosi la strada a colpi di spada.
Poi attraversarono la Canada, un profondo burrone sovrastato dalle rovine di un vecchio forte. Era un luogo poco battuto dai viaggiatori poiché gli indios erano soliti nascondersi dietro le rocce e sparare su coloro che transitavano. Qui incontrarono due preti che si stavano recando, insieme a alcuni novizi, a Durango. Erano tutti ben armati.
Al tramonto, dopo aver passato il rancho abbandonato di Bachimba, si accamparono.
La mattina dopo, all’alba, partirono per Chihuahua City e arrivarono in vista della città alle due del pomeriggio. ”La prima apparizione, da una collina vicina, è estremamente pittoresca” scrive Ruxton.
“Con le sue case bianche, le guglie delle chiese e i giardini circostanti, la città offre un piacevole contrasto con la desolata pianura che la circonda”.


Il villaggio minerario di Ojuelas, con il suo spettacolare ponte

“Chihuahua City, la capitale del dipartimento, ha una popolazione stimata tra gli 8 e i 10000 abitanti, molti dei quali sono stranieri dal New Mexico, California e Sonora. La cattedrale, che è considerata dai mercanti americani come uno degli edifici più belli al mondo, è un grande edificio senza un preciso stile architettonico, con una mirabile facciata impreziosita dalle statue dei dodici apostoli”.
“Il convento di San Francesco, cominciato dai Gesuiti prima della loro espulsione e mai terminato, è un vero esempio di cattivo gusto.
É famoso per essere il luogo dove fu imprigionato il patriota Hidalgo, poi giustiziato lì vicino nel 1811. Un monumento alla sua memoria è stato eretto nella Plaza de Armas, una piramide di pietre con un’iscrizione che elogia questo unico Messicano onesto”.
Quando Ruxton arrivò sulla piazza principale vide penzolare, appesi ai portali che ne delimitavano un lato, gli scalpi di 170 Apaches che erano stati massacrati dai cacciatori di scalpi. Gli scalpi di uomini, donne e bambini erano stati portati attraverso le vie della città in una processione guidata dal Governatore e dai preti e accompagnata dal suono di una banda musicale, tra due ali di folla festante.
Qui Ruxton si riferisce al cosiddetto “eccidio di Galeana” avvenuto nel luglio di quell’anno. Disse di aver sentito parte della storia da un testimone oculare. Ecco il suo racconto.
“Con lo scopo di intraprendere una guerra contro i selvaggi che devastavano lo stato, un gruppo di cittadini di Chihuahua raccolse, mediante una sottoscrizione, una certa somma di denaro e offrì una taglia di 50 pesos a scalpo per invogliare la gente a iniziare una guerra di sterminio contro gli Apaches.
Don Santiago Kirker, che aveva fatto , per molti anni , il trapper e il mercante nel far west e i cui exploits nell’uccidere gli Indiani riempirebbero un volume, si mise alla testa di una banda di 150 uomini, tra cui alcuni Shawnees e Delawares, e scese “en campaña” contro gli Apaches.
Nel mese di agosto (ma era luglio) gli Apaches, che si credevano “en paz”, entrarono, disarmati, nel villaggio di Galeana con lo scopo di commerciare. Questa banda, formata da 170 persone, comprese le donne e i bambini, era comandata da un famoso capo e aveva commesso, in passato, molte atrocità contro i Messicani, ma, a quel tempo, voleva la pace col governo del Chihuahua, e si preparava a commerciare in buona fede, sotto la protezione di un trattato.
Quando Kirker fu informato dell’arrivo degli Apaches a Galeana inviò, immediatamente, alcuni barili di liquore, con lo scopo di trattenerli al villaggio fino alla sua venuta.
Un certo giorno, alle 10 del mattino, mentre gli Indiani si stavano divertendo, bevendo e danzando, disarmati, giunse un messaggero preannunciando l’arrivo di Kirker.
I Messicani, quando lo videro comparire insieme alla sua banda, presero le armi e assalirono gli sfortunati Indiani che, senza neppure un coltello, non opposero resistenza e si gettarono al suolo, sottomettendosi al loro destino. Gli infuriati Messicani non risparmiarono nessuno. Una donna gravida si rifugiò in una chiesa e abbracciò l’altare, implorando per la sua salvezza e per quella del figlio non ancora nato. Fu inseguita e colpita con le lance, poi il bambino fu estratto dal corpo ancora palpitante, battezzato con l’acqua santa e sfracellato contro un muro”.


L’inquietante sguardo di Kirker

A quel tempo Chihuahua si trovava in una situazione di considerevole fermento a causa della probabile avanzata dei soldati Americani dal New Mexico. Le truppe erano accampate sul Rio del Norte, all’inizio della “Jornada del Muerto”, un tratto desertico, senza acqua e cibo, che si estendeva per 100 miglia lungo una riva del fiume. Un viaggio attraverso la Jornada era molto temuto dai Messicani, sia per le difficoltà naturali, ma anche perchè era il territorio di caccia di numerose bande Apache che calavano dalle sierras sui viaggiatori che, coi cavalli esausti, avevano poche possibilità di fuggire.
Con lo scopo di non far conoscere gli affari interni del Chihuahua da mesi, a nessuno, era consentito di lasciare lo stato e così, quando fu di pubblico dominio che il governatore Angel Trias aveva concesso carta bianca a Ruxton per procedere al nord, fiorirono molte supposizioni. Per alcuni Ruxton era il depositario di messaggi di pace tra il governo Messicano e gli Americani, per altri era un Colonnello Inglese diretto in Oregon per discutere di quel territorio conteso. Il fatto misterioso che a un viaggiatore straniero fosse concesso quello che era stato rifiutato ai più influenti cittadini dello stato, fu sufficiente a promuoverlo a essere “qualcuno” e così, la mattina della partenza, si presentò alla sua porta una scorta formata da tre soldati. Vestivano uniformi “originali”. Uno portava uno sporco cappello di paglia a larga tesa, un altro un fazzoletto annodato intorno alla testa. Uno indossava un pezzo di una giacca militare, un altro una una camicia lurida, senza maniche, con un pastrano strappato e aperto al vento che arrivava alle ginocchia. Uno aveva una spada arrugginita e una lancia, un altro una pistola senza cane, il terzo arco e frecce. Tutti erano senza stivali. Sebbene le notti fossero alquanto fredde, avevano in comune solo un lacero sarape.
E questi soldati erano regolari del reggimento di Vera Cruz!
Due o tre mesi dopo (nel febbraio 1847), scrive Ruxton, il Colonnello Doniphan, con 900 soldati, avrebbe attraversato lo stato e sconfitto, sul fiume Sacramento, 3000 Messicani ben trincerati e provvisti di 10-12 cannoni, senza perdere un solo uomo.
Il 10 novembre l’Inglese lasciò Chihuahua e con la sua partenza dalla capitale termina anche il mio racconto.

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