Sand Creek e Washita: battaglie a confronto

A cura di Renato Ruggeri

Washita River
In questo lungo e ben documentato articolo vengono analizzati gli aspetti che accomunano e quelli che rendono profondamente diverse due tra le più famose battaglie della storia delle Guerre Indiane, Sand Creek e Washita, che furono combattute a quattro anni di distanza, 1864 e 1868, in due Territori (dal momento che non erano ancora divenuti Stati), contigui, il Colorado e l’Oklahoma.
Analogie e differenze tra questi due episodi assai tragici si alternano a riflessioni, numerosi brani di testimonianze dirette, racconti tratti dalle memorie dei soldati o dei guerrieri indiani e cifre, nel tentativo di rendere onore alla storia vera, almeno per come essa fu vissuta dai protagonisti dell’epoca.
Si è trattato di un lavoro non semplice e piuttosto lungo che speriamo saprete apprezzare almeno quanto lo abbiamo apprezzato noi.

I Trattati
La battaglia del Sand Creek fu preceduta dalla firma del cosiddetto Trattato di Fort Wise.
La corsa all’oro del Colorado del 1858 verso la regione del Pike Peak aveva causato un grande flusso di bianchi attraverso le pianure, qualcosa di paragonabile alla gold rush del 1849 in California. La differenza era che questa volta i bianchi non si erano limitati a passare attraverso le montagne e le pianure, ma si erano fermati… costruendo villaggi e cittadine. Erano così aumentati gli incidenti, o gli incontri poco amichevoli, coi nativi.
A causa dell’incremento delle ostilità, il Commissario per gli Affari Indiani, A. B. Greenwood, decise che era giunto il momento di negoziare un nuovo trattato con i Cheyennes e gli Arapahos e così, nel 1860, il Congresso stanziò la somma di $35.000 per un meeting con le tribù dell’Upper Arkansas. Nell’aprile dello stesso anno Greenwood partì da Washington diretto al Bent’s New Fort. Lo accompagnava un gruppo composto da suo figlio, suo nipote, alcuni amici e due guide Delaware. Arrivò al forte l’8 settembre con 13 carri che contenevano doni, provviste, utensili e vestiti. Nel frattempo il Dipartimento della Guerra aveva deciso la costruzione di un nuovo presidio militare vicino a Fort Bent. Il forte era stato chiamato Fort Wise, in onore del Governatore della Virginia e il Maggiore John Sedgwick, che aveva combattuto i Comanches e i Kiowas lungo l’Arkansas, ed era stato messo a capo del progetto e aveva iniziato la costruzione degli edifici in pietra. Presso Fort Bent vivevano uomini delle pianure e delle montagne come William Bent e il suo amico Albert. G. Boone e frontiersmen come Charlie Autobees e John Smith.

A metà settembre i capi Cheyenne Black Kettle, White Antelope e Lean Bear con alcuni sottocapi giunsero al forte. Dissero che gli altri capi con le loro bande sarebbero arrivati 20 giorni dopo. Ma Greenwood aveva fretta poiché doveva incontrare i Kaws in Kansas e così il 18 settembre fece le sue proposte. Mostrò ai Cheyennes e agli Arapahos la carta del Trattato di Fort Laramie del 1851 e disse loro che avrebbero ricevuto “in dono” una nuova riserva tra il Sand Creek e il fiume Arkansas in una terra fertile e ricca di selvaggina, oltre a una somma di denaro, i soliti doni e la promessa di aiuti per trasformarli in coltivatori.
Gli Indiani risposero che avrebbero voluto diventare agricoltori, ma che non potevano stringere accordi senza il consenso degli altri capi. Greenwood ripartì, convinto di aver terminato in modo soddisfacente il proprio lavoro e i capi tornarono ai loro villaggi, dove trovarono solo risposte negative. Gli altri capi non volevano cedere le loro terre.
Quando Greenwood ripartì, William Bent, che era l’Agente Indiano per l’Upper Arkansas, diede le dimissioni, disgustato dalla politica federale e al suo posto fu nominato Albert Boone. Boone si recò a Washington e tornò a Fort Wise il 18 febbraio 1861 con il nuovo trattato in mano. A causa del cattivo tempo solo pochi indiani erano presenti. Boone non negoziò, ma presento piuttosto gli articoli già scritti e che includevano la designazione della nuova riserva, un pagamento di $ 30.000 all’anno per 15 anni e la promessa dei capi indiani di convincere tutto il resto delle tribù a vivere nella riserva. I diritti nativi sulle altre terre erano dati per estinti. Alcuni capi firmarono, pensando che questi termini riguardassero solo i firmatari del documento. Tra coloro che apposero il nome sulla carta vi erano i capi Cheyenne Black Kettle, White Antelope, Lean Bear, Old Little Wolf, Tall Bear e Namos e i capi Arapaho Little Raven, Storm, Shaved Head e Big Mouth. Left Hand, l’unico che parlava Arapaho, Cheyenne e Inglese non era presente.
Il 5 dicembre Abramo Lincoln approvò il trattato, ma con lo scoppio della Guerra Civile i termini dell’accordo non furono mai applicati.
Nel maggio 1863 il Governatore del Colorado Evans ricevette una preoccupante notizia: i Cheyennes e gli Arapahos si erano incontrati segretamente coi Sioux, 100 miglia a nord di Denver, con lo scopo di iniziare una guerra. Decise così di convocare un grande concilio con gli Arapahos e i Cheyennes sull’Arikaree Fork del fiume Republican per il giorno 1 di settembre. Prima bisognava però riuscire a trovare gli Indiani.
Evans inviò Elbridge Gerry, un Sioux che possedeva un ranch a nord di Denver, in cerca dei nativi. Gerry lasciò Denver il 29 luglio e trovò 150 lodges dei Cheyenne sullo Smooky Hill River e li invitò al meeting, quindi proseguì per Julesburg dove doveva attendere la delegazione bianca.
Il 29 agosto Evans partì da Denver con una scorta militare diretto a Julesburg dove si riunì a Gerry e proseguì verso sud in direzione del raduno. Quando i bianchi arrivarono sul luogo dell’incontro non trovarono gli indiani. Gerry lasciò il gruppo, andò nuovamente alla ricerca dei Cheyennes e trovò un accampamento di circa 240 tende sul Beaver Creek. Chiese per quale motivo non erano venuti a incontrare la delegazione e gli indiani risposero che il loro villaggio era stato devastato da un’epidemia di tosse e difterite. Inoltre i capi espressero la loro profonda insoddisfazione per il Trattato di Fort Wise, considerato una truffa. Black Kettle e White Antelope negarono di averlo firmato e affermarono che chi aveva posto la firma sul documento non ne aveva in realtà capito i termini. I Cheyennes non volevano abbandonare i loro territori di caccia. I bisonti sarebbero durati centinaia di anni e ritenevano di non aver bisogno del cibo dell’uomo bianco. Evans ritornò a Denver contrariato per non aver incontrato i capi. Finalmente, alla fine del 1863, si iniziarono i lavori per la costruzione dell’Agenzia, ma prima che fosse completata, nell’aprile 1864, scoppiò la guerra.


L’assalto al campo indiano sul Sand Creek

La battaglia del Washita fu preceduta dalla stipula del trattato di Medicine Lodge Creek.
Il 28 ottobre 1867 i commissari bianchi si incontrarono con le delegazioni Arapaho, il cui capo più influente era Little Raven, Southern Cheyenne (Black Kettle e Little Robe tra gli altri capi) e con i Dog Soldiers, i cui capi più importanti erano Tall Bull, Bull Bear e White Horse. Little Raven fu il primo a parlare e disse che voleva vivere in pace vicino a Fort Lyon (il vecchio Fort Wise). Quando fu il turno dei Cheyennes prese la parola un capo minore, Buffalo Chief. Affermò che il suo popolo non intendeva lasciare la terra compresa tra il South Platte e l’Arkansas. Quando venne il momento di firmare, nessun leader Cheyenne si fece avanti per mettere la “X” sul pezzo di carta. I negoziati sembravano sul punto di naufragare. Il Senatore Henderson, uno dei commissari, sbloccò la situazione. Affermò che i Cheyennes e gli Arapahos avrebbero potuto cacciare il bisonte anche a nord del fiume Arkansas. Soddisfatti da questa assicurazione i Cheyennes, compresi i Dog Soldiers, firmarono il trattato.
I principali punti di questo accordo, che rinegoziava il precedente trattato di Little Arkansas, stipulato solo due anni prima, erano i seguenti: gli indiani non si opponevano alla costruzione della ferrovia lungo il South Platte; avrebbero cessato tutte le azioni aggressive contro i bianchi, ma anche con i neri e gli indiani soggetti all’autorità degli Stati Uniti; avrebbero lasciato le loro terre per trasferirsi in una riserva nel Territorio Indiano e avrebbero potuto cacciare liberamente a sud del fiume Arkansas. Esattamente l’opposto di quello che aveva detto Henderson.
Gli Arapahos e i Cheyennes firmarono il trattato che fu poi ratificato dal Senato il 25 luglio e proclamato il 19 agosto 1868.

L’inizio delle due Guerre Indiane.
Secondo lo storico Gregory Michno, durante le due Guerre Indiane del 1864 e 1868 ci furono, in Colorado, 223 e 175 morti, in Kansas 51 e 204 e in Nebraska 117 e 13. È indubbio che le due battaglie furono precedute da due vere e proprie Guerre Indiane.
Quella del 1864, che sfociò nel Sand Creek, iniziò nel mese di aprile.
Un gruppo di Cheyenne Dog Soldiers era in viaggio verso nord. I guerrieri volevano raggiungere i Northern Cheyennes per aiutarli a vendicare il capo Brave Wolf, ucciso l’anno prima dai Crows.
L’11 aprile W. D. Ripley, un colono che possedeva un ranch sul Bijou Creek, entrò a Camp Sanborn, una postazione militare a circa 7 miglia da Fremont’s Orchard. Ripley raccontò al Capitano Sanborn che gli indiani gli avevano rubato alcuni muli (o cavalli). Secondo la sua storia, gli indiani si preparavano a attraversare il South Platte vicino a Fremont’s Orchard.
La mattina dopo Sanborn convocò il tenente del 1° Colorado, Clark Dunn, e gli disse di prendere 40 uomini delle compagnie C e H, Ripley come guida e il Cheyenne Spotted Horse come interprete e di inseguire i razziatori. I suoi ordini erano ricatturare gli animali, disarmare i guerrieri e prenderli prigionieri.
Dopo aver lasciato il campo, Dunn divise le sue forze. Con 15 soldati seguì una pista indiana che conduceva verso il South Platte. Quando raggiunse il fiume, vide una trentina di guerrieri che lo stavano attraversando e una piccola mandria davanti a loro. Dunn inviò Ripley e un soldato a riconoscere i muli e Ripley ritornò affermando che gli indiani avevano i suoi animali. I Cheyennes, alla vista dei soldati si disposero in linea davanti a loro. Dunn si fece avanti, a piedi, segnalando che voleva parlamentare, ma i guerrieri iniziarono a avanzare, minacciosamente, verso i soldati, fino a fronteggiarli. Dunn, come raccontò in seguito, cercò, a gesti, di spiegare le sue intenzioni, ma i Cheyennes sembravano non capirlo. Così ordinò ai suoi uomini di scendere da cavallo e disarmarli. I soldati smontarono e in quel momento, secondo Dunn, i Cheyennes li assalirono. Dunn ordinò di rispondere al fuoco e alla fine dello scontro 4 soldati rimasero feriti (2 morirono in seguito), mentre i Cheyennes, inseguiti per 16 miglia, ebbero 8-10 morti e 12-15 guerrieri feriti.
La versione Cheyenne è differente.
Secondo il loro racconto, i guerrieri trovarono i muli liberi nella prateria e li portarono al ranch di Elbridge Gerry per riconsegnarli. Al ranch non c’era nessuno, e così decisero di tenerli. Quando stavano attraversando il Platte presso Fremont’s Orchard, furono assaliti improvvisamente dai soldati che spararono senza preavviso. Nello scontro un Dog Soldier, Bull Telling Tales, uccise un ufficiale e lo decapitò. Sempre secondo il racconto i soldati si ritirarono e i Cheyennes non li inseguirono, non considerandosi in guerra con i bianchi e tornarono al loro villaggio sullo Smooky Hill River.
La battaglia di Fremont’s Orchard del 12 aprile fu l’inizio della Guerra Indiana del 1864.
La Guerra Indiana del 1868, che portò al Washita, ebbe inizio in agosto.
Il 10 di quel mese una banda formata da un centinaio di Southern Cheyennes, per la maggior parte Dog Men, arrivò nella popolata regione lungo il fiume Saline, nel Kansas centro-settentrionale. Lo scopo iniziale dei guerrieri era di assalire un villaggio Pawnee in Nebraska ma mentre cercavano del cibo presso la casa di un colono qualcuno sparò contro di loro. In risposta, gli indiani catturarono una donna bianca e la portarono al loro campo, per poi liberarla il giorno dopo. Il 12 agosto i razziatori raggiunsero il fiume Solomon e qui un gruppo di bianchi sparò ancora contro di loro. Infuriati i guerrieri assalirono i vicini insediamenti, uccidendo alcuni coloni e catturando due donne che furono poi rilasciate. Inseguiti da uno squadrone di soldati, il war party si divise; alcuni guerrieri andarono a nord, altri al loro villaggio di partenza sul Walnut Creeek, un altro gruppo ritornò al campo di Black Kettle presso Fort Larned. Tre giorni dopo i Cheyennes riapparvero sul fiume Solomon e continuarono la loro opera distruttiva. Il primo rapporto del Maggiore Thomas English affermava che 9 uomini e un ragazzo erano stati uccisi, una donna mortalmente ferita e altre due orribilmente abusate. In tutto durante le razzie gli indiani uccisero 15 persone, rapirono e violentarono alcune donne, rubarono il bestiame e distrussero le proprietà dei coloni.
Edmond Guerrier, presente tra i guerrieri, in seguito li identificò come giovani appartenenti alle bande di Little Rock, Black Kettle, Medicine Arrows e Bull Bear. Secondo Guerrier, Man Who Breaks The Marrow Bones, della banda di Black Kettle, e Red Nose, un Dog Man, furono i capi del war party.
Le razzie del mese di agosto diedero inizio alla Guerra Indiana del 1868.

Il periodo dell’anno e l’ora dell’attacco.
La battaglia del Sand Creek fu combattuta il 29 novembre 1864, quella del Washita quattro anni più tardi, il 27 novembre 1868.
Pianificare una campagna tardo-autunnale e invernale non fu una novità. La tattica era già stata applicata dal Generale James Carleton e dal Colonnello Christopher Carson contro i Navahos nel 1863-64 e dal Colonnello Patrick Connor contro gli Shoshoni nel 1863.
Come disse il Governatore Evans ai capi Cheyenne durante i colloqui di Camp Weld, l’inverno era il periodo più propizio per i bianchi, quando gli indiani si ritiravano nei loro accampamenti invernali a riposare e i cavalli erano magri e denutriti. La distruzione dei tipì, della provviste, dei beni dei nativi e delle loro mandrie li costringeva spesso alla resa.
I due assalti avvennero, poi, “at dawn, with the first daylight, when the sun came up brightly”, all’alba, con le prime luci, al sorgere del sole, probabilmente tra le 6 e le 6.30.
Attacchi all’alba contro accampamenti indiani erano già avvenuti prima del Sand Creek, con mortali conseguenze. Il Generale William. S. Harney aveva colpito i Lakotas al Blue Water Creek, nel Territorio del Nebraska, nel 1855, e il Colonnello Connor aveva sconfitto gli Shoshoni al Bear River, Territorio dell’Idaho, nel 1863.


Un’altra immagine del Washita

L’attacco “at dawn” fu un classico dell’esercito e la cavalleria e la fanteria colpirono villaggi o accampamenti “dormienti” in molte occasioni, in tutte le stagioni e in luoghi come Marias River, Territorio del Montana (1870, villaggio Piegan), McClellan Creek, Texas (1872, villaggio Comanche), Turret Peak, Territorio dell’Arizona (1873, rancheria Tonto Apache), Skeleton Cave, Territorio dell’Arizona (1872, rancheria Yavapai), Palo Duro Canyon, Texas (1874, villaggio Kiowa), Red Fork of Powder River, Territorio del Wyoming (1876, villaggio Cheyenne di Dull Knife), Powder River, Territorio del Montana (1876, villaggio Cheyenne di Two Moon), Slim Butte, Territorio del Dakota (1876, villaggio Lakota).

La composizione delle truppe e il numero dei soldati.
Protagonista dell’attacco al campo Cheyenne sul Washita fu il 7° Cavalleria. L’unità era stata creata e organizzata due anni prima, nel luglio 1866, presso Fort Riley, nel Kansas. Il Colonnello e comandante del reggimento era Andrew. J. Smith che fu assente per quasi tutto il 1868, lasciando così il comando al suo Lt Colonnello George Armstrong Custer, ritornato in servizio dopo un anno di sospensione. Tre erano i Maggiori, ma due di loro, Alfred Gibbs e Joseph Tilford, si trovavano in licenza per motivi di salute e il solo Joel Elliot prestava regolarmente servizio con il reggimento.
Nell’autunno del 1868 il 7° Cavalleria si riunì a Fort Dodge, pronto a cominciare la campagna invernale contro gli “ostili” voluta dal generale Sheridan. Erano 11 compagnie, A, B, C, D, E, F, G, H, I, K e M (la L era rimasta di guarnigione a Fort Lyon) con 29 ufficiali e circa 844 uomini in tutto.
Il secondo in comando, dopo Custer, era il Maggiore Joel Elliot (1840-1868), un nativo dell’Indiana che si era distinto tra le truppe dello stato durante la Civil War. Aveva combattuto a Shiloh, Perryville, Stones River e Corinth e aveva preso parte al famoso raid di Benjamin Grierson in Mississippi. Custer lo considerava “un giovane ufficiale dotato di grande coraggio e abilità”. Durante il periodo di sospensione di Custer, Elliot aveva guidato il reggimento nelle operazioni militari in Kansas.
Uno dei comandanti di compagnia era il Capitano Frederick Benteen (1834-98), nativo della Virginia, che aveva servito nella Cavalleria del Missouri durante la Guerra Civile e aveva combattuto a Wilson’s Creek, Pea Ridge, Vicksburg e Tupelo. Assegnato al 7° nel 1866, aveva guidato la compagnia M contro gli indiani in Kansas e partecipato alle azioni militari seguite al raid Salomon-Saline.
Tra gli altri ufficiali vi erano il Lt William Cooke (1846-76), un Canadese che si era arruolato tra i volontari di New York e aveva combattuto a Wilderness, Spotsylvania e Petersburg, e il Capitano Louis Hamilton (1841-68), comandante della compagnia A, nipote di Alexander Hamilton, il primo Segretario del Tesoro. Fu l’unico ufficiale ucciso durante l’assalto al villaggio sul Washita e morì istantaneamente, colpito al cuore da un proiettile. Sarebbero poi diventati famosi il primo Luogotenente Edward Godfrey (1843-1832), che partecipò a quasi tutte le battaglie del 7° contro gli Indiani, il Capitano Thomas Weir (1838-76), comandante della compagnia D, che aveva combattuto durante la Civil War a Corinth e Mobile ed era stato prigioniero dei sudisti per 6 mesi, il Primo Luogotenente Tom Custer (1845-76), che si era guadagnato due “Medals of Honor” per aver catturato due bandiere confederate (la seconda gli era costata una grave ferita al volto) e George Yates (1843-76), Capitano della compagnia F, che si era distinto per atti di valore a Fredericksburg, dove era stato ferito, e a Gettysburg.
Vi erano, inoltre, alcune guide. Tra di esse Ben Clarck, originario di S. Louis, che aveva servito come volontario durante le guerre dei mormoni e come volontario del Kansas durante la Civil War, per poi guidare molte carovane di carri attraverso i territori indiani, e Moses “California Joe” Milner, un Kentuckiano che era andato a ovest, diventando trapper e mountain man, e che aveva partecipato alla gold rush in California per poi stabilirsi in New Mexico dove era stato arruolato come scout dall’esercito.
Un’altra guida era il mezzosangue Rafael Romero, di origine Arapaho-Messicana, che era vissuto con gli indiani in gioventù e parlava Cheyenne.
Furono, poi, reclutati come scouts e cercatori di piste, dalla loro riserva nel Kansas sud-orientale, 12 Osage, tra cui i capi Hard Rope e Little Beaver. Gli Osage conoscevano tutte le colline e i canyons a sud del fiume Arkansas e erano nemici dei Cheyennes. Custer li definì, quando si unirono alle truppe, “splendidi guerrieri, pitturati e acconciati per la guerra e armati con fucili Springfield”.
La battaglia del Sand Creek fu combattuta dal 1° e dal 3° Colorado Cavalry.
Secondo il Sergente Morse Coffin i soldati erano in tutto tra i 650 e i 675.
Billy Breakenridge, che serviva nel 3°, disse che il suo reggimento contava circa 500 uomini, ma il conto più probabile è 450.
Chivington divise le truppe in 5 battaglioni.
Nominò il Colonnello George Shoup comandante del Terzo Reggimento, che fu poi suddiviso in 3 battaglioni. Il Lt Leavitt Bowen fu posto al comando del Primo Battaglione, formato dalle compagnie A, C, H, L e M, il Maggiore Hal Sayr guidò il Secondo Battaglione, le compagnie B, G, I e K, il Terzo Battaglione con le compagnie D, E e F fu affidato al Capitano Theodore Cree.
Il 1° Colorado fu diviso in 2 battaglioni. Il Primo, 125 uomini, fu guidato dal Maggiore Scott Anthony e comprendeva le compagnie D, G e K, il Secondo, circa 90 soldati, dal Lt Luther Wilson con le compagnie C. E e M.
Si aggregarono, poi, alcuni uomini della compagnia K del 1° New Mexico, al comando del Lt James Cannon.

Il confronto tra i due villaggi Indiani.
Il villaggio Cheyenne sul Sand Creek era formato da 115 tipì e si estendeva lungo la sponda nord-orientale del piccolo fiume. La banda di One Eye era accampata più a nord delle altre, seguita da quella di War Bonnet. La gente di White Antelope si trovava un po’ più lontano dal corso d’acqua, mentre le tende di Black Kettke erano più vicine al Sand Creek. Secondo George Bent, ogni gruppo era accampato per suo conto, separato dagli altri da un piccolo spazio aperto. In tutto il villaggio si allungava per un quarto di miglio ed era difficile vedere da un’estremità quella opposta.
Gli Arapahos non erano accampati all’interno del cerchio Cheyenne. Tradizionalmente non si accampavano con gli Cheyennes da quando, in tempi remoti, un Arapaho aveva trasmesso un morbo agli Cheyennes, causando molte morti. Da allora vigeva una legge non scritta secondo cui gli Arapahos si accampavano a valle degli Cheyennes. Il 29 novembre gli 8 tipì di Left Hand si trovavano probabilmente a 1 miglio dal campo principale.

L’accampamento contava circa 500-600 persone, per due terzi donne e bambini. John Smith e Edmund Guerrier affermarono che il numero dei guerrieri presenti era considerevole… circa 200.
Il villaggio sul Washita era formato da 51 lodges e includeva circa 250 persone. Era situato sul lato meridionale del fiume e circondato da una fitta vegetazione.
Wolf Belly, un Cheyenne che aveva 11 anni al momento dell’attacco disse che “il campo di Black Kettle era quello situato più a occidente e per questo motivo fu assalito. Vicino al villaggio vi era un accampamento Arapaho, poi un altro Cheyenne e poi un campo Kiowa”.

Protezione presso i forti prima delle battaglie.
Il 20 novembre 1868, poco prima dell’attacco al villaggio sul Washita, Black Kettle arrivò a Fort Cobb, un posto militare che si trovava a 100 miglia dal suo accampamento ed era considerato un santuario per gli indiani amici. Oltre a Black Kettle erano presenti, per i Cheyennes, Little Robe, Big Man e Wolf Looking Back e per gli Arapahos Big Mouth e Spotted Wolf. Il vecchio capo disse al Colonnello William Hazen, comandante del forte, che voleva la pace, ma che non aveva alcun controllo sui giovani guerrieri. Affermò che i Cheyennes che si trovavano a sud del fiume Arkansas non desideravano tornare a nord perchè temevano guai. Disse che gli Cheyennes non volevano combattere da questa parte dell’Arkansas, ma a nord erano quasi sempre in guerra. “Ho fatto del mio meglio per mantenere quieti i giovani, ma non mi ascoltano e non riesco a tenerli a casa. Ma io voglio la pace e preferirei muovere il mio villaggio vicino al forte, forse potrei tenerli più a freno vicino al forte.” Affermò inoltre di parlare solo per la sua gente e non per gli Cheyennes a nord dell’Arkansas.
Hazen rispose che a nord dell’Arkansas comandava il Generale Sheridan, un grande war chief, e che non aveva alcun potere su di lui e poi disse a Black Kettle di tornare al suo accampamento. “Torna al tuo villaggio e ricorda che se verranno i soldati, non sarò stato io a mandarli, ma Sheridan. Non posso fermare la guerra, ma invierò le tue parole al Grande Padre (Sherman?) e se egli mi ordinerà di trattarti come un indiano amico te lo comunicherò e potrai venire vicino al forte”.
In definitiva Hazen rifiutò la richiesta di Black Kettle, ma lo informò che vi erano soldati sul campo e lo invitò a nascondersi tra i Comanches e i Kiowas “amici”.
Poco prima dell’attacco al villaggio sul Sand Creek, alla metà di novembre dell’anno 1864, Black Kettle si recò a Fort Lyon insieme a una cinquantina di guerrieri e si incontrò con il comandante del forte, il Maggiore Scott Anthony.
I Cheyennes chiesero razioni e il permesso di accamparsi vicino al forte ma Anthony, che aveva ricevuto dal suo superiore, il Generale Curtis, il preciso ordine di non accogliere gli indiani, rispose che non poteva fare la pace senza l’autorizzazione di Curtis, disse loro di andarsene e li invitò a accamparsi lontano, tra il Sand Creek e lo Smooky Hill River e a cacciare i bisonti, in attesa di future decisioni. Che, evidentemente, non furono mai prese.

Il numero dei morti bianchi e la durata degli attacchi.
Il numero dei soldati uccisi al Sand Creek, secondo quanto scrive lo storico Gregory Michno nel libro “Sand Creek, the military perspective”, è di 24. Quattro appartenevano al 1° Colorado e 20 al 3° Colorado, a dimostrazione che la battaglia fu una delle battaglie più accanite di tutte le guerre indiane a ovest del Mississippi. Lo scontro ebbe inizio all’alba e terminò intorno alle 2 del pomeriggio.
Le informazioni più sicure sul numero dei soldati uccisi durante l’attacco al villaggio sul Washita si trovano nel rapporto del Dott. Henry Lippincott, chirurgo al seguito di Custer.
Secondo quanto scrisse Lippincott, due soldati furono uccisi durante la carica al villaggio, il Capitano Louis Hamilton, colpito da una pallottola che entrò nel torace cinque centimetri sotto il capezzolo sinistro e uscì vicino all’angolo inferiore della scapola destra e il soldato Charles Cuddy, colpito da un proiettile che penetrò nel cranio un centimetro sopra il labbro superiore, un po’a sinistra del naso, e uscì dietro l’orecchio sinistro.
A queste prime due vittime si devono aggiungere il soldato August Delaney, ferito al torace, che morì 10 ore dopo la battaglia, e il soldato Benjamin McCasey, colpito da una freccia al polmone sinistro, che spirò il 30 novembre, e questi furono i caduti durante l’assalto vero e proprio al villaggio, durato circa un’ora.
Diciotto uomini, tra cui il Maggiore Joel Elliot e il Sergente Maggiore Walter Kennedy, furono uccisi in un secondo combattimento.
Elliot vide, tra le 9 e le 10, da un piccolo rilievo prospiciente al villaggio, un gruppo di Cheyennes, uomini e donne, che fuggivano verso sud-est. Raccolse 17 volontari e si gettò all’inseguimento. I soldati costeggiarono la sponda meridionale del Washita e riuscirono a raggiungere un gruppo di donne e bambini, ma furono affrontati da due guerrieri, Hawk e Blind Bear, che montavano un cavallo catturato ai soldati. Elliot decise di affidare i prigionieri al Sergente. Kennedy col compito di scortarli fino al campo di Black Kettle e si mise all’inseguimento dei due Cheyennes. Kennedy ritornò verso il villaggio, ma cadde in un’imboscata tesagli da quattro guerrieri Arapahos e fu impiombato con almeno 20 proiettili. Elliot, all’oscuro del destino del suo ufficiale, dopo aver ucciso i due guerrieri, cavalcò verso est, ma fu intercettato, quando si trovava a circa 2 miglia da villaggio, da un nutrito gruppo di indiani che provenivano dai vicini accampamenti. Decise, quindi, di tornare a ovest, in direzione del campo di Black Kettle, ma la sua ritirata fu bloccata sulla sponda di un piccolo affluente del Washita, oggi chiamato Fiume del Sergente Maggiore, dai quattro Arapahos che avevano ucciso Kennedy, a cui si erano uniti altri cinque guerrieri. Elliot fece smontare i suoi uomini, ma la sua scelta si rivelò fatale, poichè i soldati furono circondati e sterminati.
Custer, preoccupato dall’arrivo dei guerrieri provenienti dai villaggi vicini, decise di ritirarsi, senza andare alla ricerca dei soldati dispersi. I corpi furono ritrovati nel mese di dicembre da Sheridan che, con un esercito di 1700 uomini, giunse sul Washita e scoprì i resti mutilati.

Il numero dei morti Indiani.
Esistono poche certezze sul numero dei morti indiani in entrambe le battaglie.
Subito dopo il Washita Custer affermò che 103 guerrieri erano stati uccisi. La cifra non era basata sulla conta dei corpi, ma sui rapporti dei suoi ufficiali il giorno dopo il combattimento, il 28 novembre.
Il 22 dicembre Custer aumentò il numero dei caduti, in seguito a informazioni non ben precisate avute da fonti indiane, portandolo a 140. Le perdite totali, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri, sarebbero state intorno ai 300. Se pensiamo che il campo era composto da 51 tende, e che in ogni tipì vi erano 6-7 persone, praticamente tutto il villaggio.


Un dipinto murale della battaglia del Washita

Il Capitano Alvord il 7 dicembre dichiarò: “Gli indiani hanno perso 5 capi, tra cui Black Kettle, e 75 guerrier”. James Morrison, uno degli scouts di Custer, scrisse in una lettera datata 14 dicembre, che la stima dei caduti era stata ingigantita e il numero totale era “non più di 20 guerrieri e una quarantina tra donne e bambini”.
Ben Clark, nel 1899, disse: “Stimai le perdite Cheyenne in 75 guerrieri e un uguale numero di donne e bambini”. Gli indiani fornirono cifre differenti. I prigionieri di Custer affermarono che 13 guerrieri, tra cui due Sioux e un Arapaho, erano stati uccisi sul Washita. Mesi dopo l’Agente Colyer e il Colonnello Grierson appresero da alcuni capi Cheyenne che 13 guerrieri, 16 donne e 9 bambini erano morti. Allo stesso modo Magpie e Little Beaver affermarono di conoscere il nome di 12 guerrieri uccisi più probabilmente, altri 2 o 3.
George Bent, nel 1913, fornì i nomi di 11 Cheyennes morti nell’attacco, più 12 donne e 6 bambini per un totale di 29. In seguito aggiunse 2 Arapahos e tolse un bambino, per un conto finale di 30. Più recentemente uno storico Cheyenne di nome John Sipes ha compilato una lista di 34 caduti, uomini e donne, più un Comanche e 5 bambini non identificati.
Mettendo insieme le due liste si può, forse, affermare che il numero totale dei morti fu di una cinquantina.
Ancora maggiore è il mistero sui morti del Sand Creek. Chivington stimò il loro numero tra i 400 e 500, mentre l’interprete John Smith, che testimoniò contro di lui, affermò che 70-80 Indiani, comprese donne e bambini, erano stati uccisi e tra loro 25-30 guerrieri. John Downing, Maggiore del 1° Colorado, disse che i morti erano tra i 500 e i 600 e che ne aveva contati personalmente 200 nelle trincee vicino al villaggio, ma il Sergente Palmer del 1° Colorado dichiarò di averne contati 130.
Silas Soule vide 69 corpi quando ispezionò il campo di battaglia due giorni dopo. Il Colonnello Shoup affermò che le vittime erano 300. Il Maggiore Wynkoop, altro testimone ostile a Chivington, disse di aver udito, da testimoni, che 60-70 indiani erano stati uccisi e Robert Bent contò 69 corpi un mese dopo la battaglia, ma un certo numero di cadaveri era già stato divorato dai lupi. La grande disparità delle cifre rende quasi impossibile una precisa ipotesi.

Prigionieri bianchi nei due villaggi.
Esiste un vero e proprio “giallo” sulla presenza di prigionieri bianchi nel campo di Black Kettle al Washita. Clara Blinn e il figlioletto Willie di due anni furono catturati il 9 ottobre 1868. quando una banda composta da circa 75 guerrieri Cheyenne assalì la loro carovana in Colorado. I due prigionieri furono portati nel Territorio Indiano per essere probabilmente venduti o scambiati in cambio di un riscatto.
Sulla loro presenza al momento dell’attacco del 7° Cavalleria e sul luogo del ritrovamento dei corpi esistono teorie discordanti.
Stan Hoig, nel suo libro “The battle of Washita”, pubblicato nel 1976, così scrive: “Un mistero irrisolto circonda la morte di Clara Blinn e di suo figlio, mistero che scaturisce da resoconti discordanti”.
Il giornalista Randoilph Keim, in un articolo dell’8 dicembre per il New York Herald, scrisse: “Una donna bianca e un ragazzo di 10 anni furono uccisi quando cominciò l’attacco”.
Il Dott Lippincott affermò il 20 dicembre, a Fort Cobb, che il corpo di una donna bianca e di un bambino erano stati trovati, l’11 di quel mese vicino al campo di battaglia. Il Capitano Jenness, che serviva nel 19° Kansas, l’unità che rinvenne i corpi, situò la scoperta nel campo di battaglia “tra gli alberi, vicino al fiume, dove vi erano le ceneri e i resti dei wigwams bruciati dai soldati di Custer. e in questo punto Black Kettle fu ucciso. Qui vi erano i corpi di 5 o 6 squaws e un poco più lontano quelli di Mrs Blinn e di suo figlio”.
Sheridan e Custer, che non erano insieme ai soldati che trovarono i corpi, affermarono che furono scoperti alcune miglia lungo il fiume, in un campo Kiowa abbandonato. Custer scrisse alla moglie, il 19 dicembre: “A 5 miglia dal campo di battaglia, in un villaggio abbandonato, furono ritrovati i corpi di una bella ragazza bianca e del suo piccolo”. Sheridan, in un rapporto del 19 dicembre, raccontò la stessa storia: “Trovammo il corpo di Mrs Blinn e del figlio in uno dei villaggi a circa 6 miglia lungo il fiume”. Sia Custer che Sheridan citarono Mah-wis-sa come colei che raccontò che il campo in cui erano stati ritrovati i corpi era Kiowa. L’Agente Indiano A. G. Boone scrisse, il 12 gennaio 1869, da Fort Cobb “di aver indagato sull’accaduto e di aver saputo, attraverso le testimonianze di alcuni ufficiali amici, che i Blinn si trovavano in una banda a 10-12 miglia dal campo di battaglia e furono scalpati dagli infernali selvaggi”.
Secondi il rapporto del Dott. Lippincott, il corpo di Clara Blinn presentava un foro di pallottola sopra il sopracciglio sinistro, era stata scalpata e il cranio era fratturato in più punti. Il figlio Willie aveva segni di violenza alla testa e alla faccia. Questo rapporto contraddiceva quanto aveva scritto Keim l’11 dicembre: “I corpi furono portati nel nostro accampamento e esaminati. Furono trovati due proiettili che erano penetrati nel cervello della donna e la parte posteriore del cranio era stata fracassata con un’ascia. Il bambino si presentava denutrito, ridotto a uno scheletro. Non vi erano segni di violenza sul corpo, eccetto un livido su una guancia”.
Jerome Greene nel libro “Washita”, pubblicato nel 2004, scrive che i resoconti contemporanei all’assalto pongono il luogo del ritrovamento dei due corpi più a valle rispetto alla scena dell’attacco di Custer, distante anche dall’area dell’azione di Elliot e vicino a un villaggio Kiowa. Sempre secondo Greene, anche se è possibile che i prigionieri fossero stati venduti ai Kiowas, suggerisce che essi furono con i Cheyennes, probabilmente non nel villaggio di Black Kettle. Se fossero stati nel villaggio, gli uomini di Custer li avrebbero trovati, vivi o morti. Sulla loro presenza in un villaggio Cheyenne esistono, per Greene, pochi dubbi. Clara Blinn lo affermò in una lettere del 7 novembre, mentre il Capitano Alvord e i suoi scouts li localizzarono ancora presso gli Cheyennes il 15 novembre ma probabilmente non nell’accampamento di Black Kettle, ma nel villaggio principale, formato dalle tende di Medicine Arrows, Little Robe e Old Whirlwind. Alvord scrisse il 22 novembre che “nel campo Cheyenne vi sono una donna bianca e il suo bambino catturati a settembre sul Santa Fe Trail”, contraddicendo così il rapporto del Colonnello Hazen secondo cui i Blinn erano stati catturati dagli Arapahos e uccisi da loro.
Gregory Michno nel libro “A fate worst than death” (Un destino peggiore della morte), pubblicato nel 2007, ci dà un’ulteriore versione. Secondo quanto scrive lo storico, alla fine di ottobre un mercante di Fort Cobb, William Griffenstein, sposato con una Cheyenne di nome Jennie, inviò un ragazzo al campo di Black Kettle per informare la madre di Jennie della morte della figlia. Quando il giovane ritornò, disse di aver visto nell’accampamento una donna bianca e il suo bambino. A seguito del racconto, Griffenstein inviò un ragazzo mezzosangue di nome Cheyenne Jack , munito di carta e penna, al villaggio di Black Kettle, col compito di avvicinare la donna e farle scrivere un messaggio. Clara scrisse una lettera, datata 7 novembre, in cui implorava di essere liberata. La missiva fu portata a Hazen che la inviò a Sheridan. Purtroppo arrivò a S. Louis solo il 18 dicembre, quando il fato dei due sfortunati si era già compiuto.
Sempre secondo Michno i due corpi furono ritrovati un po’ più a est del villaggio, nella direzione di fuga degli indiani. Ci sarebbe anche stato un secondo rapporto che rivelava particolari grandguignoleschi. I seni di Clara sarebbero stati tagliati, il figlio preso per i piedi da un indiano e sbattuto con la testa contro un albero.

Non vi erano prigionieri bianchi nel campo di Black Kettle al Sand Creek.
I Cheyennes catturarono, durante la guerra indiana del 1864, 7 prigionieri: Nancy Morton, 17 anni, Danny Marble, 7, Lucinda Eubank, 23 e i suoi figli Isabelle, 3 e Willie, 6 mesi, Laura Roper, 16 e Ambrose Asher, 7. Quattro di loro, Laura Roper, Isabelle Eubank, Ambrose Asher e Danny Marble furono consegnati al Maggiore Wynkoop nel settembre 1864 e portati a Denver…


La mappa dei fatti del Sand Creek

Danny Marble uscì molto provato dalla prigionia. Poco dopo essere giunto a Denver fu colpito da una febbre tifoide e morì, malgrado le cure del dott. Smith, medico del 1° Colorado, il 7 novembre 1864.
Anche la piccola Isabelle Eubank soffrì di gravi traumi fisici e psicologici che comportarono insonnia, incubi e comportamenti anomali. La fragile bambina con problemi fisici e psichici morì a Denver nel marzo 1865.
Lucinda Eubank, la madre, rimase coi Cheyennes insieme al figlioletto Willie fino al maggio 1865. Fu ripetutamente picchiata e abusata e passò da un guerriero all’altro. Dopo la liberazione si mise in viaggio verso l’est. A Camp Rankin, vicino a Julesburg, incontrò Mr Davenport che era venuto da Denver con la tragica notizia della morte della figlia Isabelle. Fu ospitata dalla lavandaia del campo Mrs Noble Wade e le confessò di aspettare un figlio da Blackfoot, il guerriero che più aveva abusato di lei. Disse che desiderava che il figlio che attendeva non vedesse mai la luce del giorno. Di questo figlio non si hanno più notizie quindi, probabilmente, abortì o se ne liberò subito dopo la nascita. Si sposò altre 2 volte, ma non ebbe più figli. Morì nel 1913, il figlio Willie nel 1925.
Anche Nancy Morton fu trattata in maniera brutale. Sottoposta a ripetute violenze, tentò di impiccarsi al palo di una tenda. Nel gennaio 1865 due mercanti la riscattarono per 2.000 $ di provviste e beni. Nel marzo 1865 raggiunse la casa dei genitori in Iowa. Disse di sentirsi come una persona che si era risvegliata dalla morte e si trovava in Paradiso. Nel novembre 1865 sposò George Steven, ebbe 4 figli e morì nel 1912 a 67 anni.

Mutilazioni.
La principale differenza tra le due battaglie furono le mutilazioni che seguirono.
Chivington, prima  del Sand Creek, in una breve arringa, disse ai suoi uomini: “Non vi dirò chi dovete uccidere, ma ricordatevi delle nostre donne e bambini massacrati sulle pianure del Platte.” Così facendo lasciava loro la libertà di decidere.
Custer, prima del Washita, ordinò ai suoi uomini di sparare solo ai guerrieri e prendere prigionieri donne e bambini. Poi, in entrambi gli scontri, molti non combattenti furono uccisi dai soldati. Custer spiegò che nell’euforia della battaglia e per difesa personale, alcune donne e bambini furono uccisi. Il Lt Godfrey raccontò che durante la carica gli uomini non avevano fatto alcun tentativo per non colpire le donne.
Alla fine del combattimento Custer mandò lo scout Romero a parlare con le donne indiane che si erano nascoste nei tipì durante l’attacco per rassicurarle che sarebbero state risparmiate.
Il giorno dopo il Sand Creek il Lt Bowen, John Smith e una piccola scorta che comprendeva il Lt Frank DeLamar, del 3°, Billy Breakenridge e il Sergente Decatur si recarono sul campo di battaglia. Decatur contò i corpi e cercò di identificarli. Disse: “Ho provato piacere poiché ero ancora adirato per gli scalpi bianchi che avevo trovato nelle tende il giorno prima”. Prese nota del nome dei capi che Smith aveva riconosciuto. Molti cadaveri erano senza scalpo. Decatur pensò che fosse la giusta ricompensa.
Breakenridge era di opinione differente: “Non avevo alcuno scrupolo a uccidere gli indiani, ma avevo tracciato una linea sullo scalparli e mutilarli dopo la morte”. Breakenridge non scalpò nessuno, ma voleva uno scalpo e così lo barattò per una pelle di bisonte. Bowen si comportò diversamente. Dopo aver trovato il corpo di White Antelope nel letto del fiume, gli tagliò le orecchie. Mostrandole si assicurò, nei tempi a venire, molte bevute gratis.
Joe Cramer scrisse a Ned Wynkoop: “Molti indiani sono stati scalpati più volte, alcuni anche una dozzina di volte”. Simon Whitely disse che quando il reggimento tornò a Denver i soldati avevano molti scalpi o pezzi di scalpo. Un ufficiale testimoniò che il Lt Harry Richmond, un attore di teatro, prese, da solo 8 scalpi.
Sulle mutilazioni e la loro entità, esistono testimonianze discordanti.
Ci fu chi disse di averle viste personalmente.
John Smith: “Tutti i corpi erano senza scalpo, gli uomini avevano usato i coltelli per sventrare le donne e il calcio delle pistole per spaccare la testa dei bambini, i corpi erano mutilati nella maniera più brutale”.
Il Sergente Palmer, 1° Colorado: “I corpi erano orribilmente mutilati, le teste spaccate, tutti i cadaveri erano senza scalpo, le dita amputate, le parti intime tagliate, sia agli uomini che alle donne, vidi il Maggiore Sayre scalpare un indiano”.
Il Capitano Miksh, 1°: “Vidi alcuni uomini che tagliavano le dita per prendere gli anelli e le orecchie per rubare gli orecchini d’argento”.
Il Capitano Soule: “Vidi alcuni soldati con scalpi di bambini durante il giorno, ma non vidi quando li prendevano. Tutti gli indiani erano stati scalpati, ma non posso dire come furono mutilati”.
Altri riferirono per sentito dire.
Il Lt James Cannon, 1° New Mexico: “Ho sentito un uomo vantarsi di aver tagliato le parti intime di una donna, ho sentito un altro soldato dire di aver tagliato le dita di un indiano per rubare gli anelli”.
Il Lt Cossit, 1° New Mexico: “Ho sentito che le donne e i bambini furono assassinati e sui loro corpi compiuti terribili oltraggi”.


L’ingresso dei soldati nel campo Cheyenne del Washita River

Altri non videro o quasi non videro mutilazioni.
La guida Jim Beckwourth: “Tutti i corpi erano senza scalpo, l’unico mutilato era White Antelope a cui erano stati amputati il naso e i genitali”.
Il Maggiore Downing, 1°: “Non vidi i soldati scalpare nessuno, ma vidi uno o due corpi che erano stati scalpati, non vidi cadaveri mutilati, ma sentii dire che alcuni corpi erano stati mutilati”.
Il Dott. Caleb Bursdall: “Vidi alcune donne indiane morte e i corpi dopo che furono scalpati; non vidi altre mutilazioni”.
Irwing Howbert, 3°: “Durante la giornata vidi gran parte della battaglia, ma nessuno prendere uno scalpo. Quando ritornai al villaggio, vidi alcuni indiani senza scalpo; non vidi altre mutilazioni”.
Anche al Washita ci furono racconti di scalpi presi durante e dopo la battaglia. Secondo queste testimonianze furono gli scouts Osage a scalpare i Cheyennes, loro nemici tribali. Un Osage avrebbe decapitato un Cheyenne dopo averlo ucciso.
Sembra, poi, che gli scouts Osage trattarono in modo brutale le donne, frustandole mentre tentavano di fuggire e mutilandole dopo averle uccise.
Ci furono, secondo Jerome Greene, almeno due scalpi presi dagli uomini di Custer, “anche se questa pratica sembra sia stata, quel giorno, tra i soldati, poco frequente”.

Le reazioni post-battaglia.
Il post Sand Creek ebbe inizio con una serie di articoli apparsi su giornali dell’est come il New York Herald, l’Advertiser & Union e il Washington Star, che condannavano il “brutale massacro” o il “massacro di pacifici indiani”.
A seguito di queste denunce si formarono tre commissioni d’inchiesta, due governative, the Joint Committee on the Conduct of War e la Commissione Doolittle, e una militare, presieduta dal Colonnello Samuel Tappan, che iniziò i lavori a Denver nel febbraio 1865. Fu un’inchiesta e non una corte marziale, il cui compito era semplicemente di “indagare e analizzare i fatti per stabilire le responsabilità e per rendere giustizia a tutte le parti”. Furono ascoltati 20 testimoni ostili a Chivington e 16 a favore. La maggior parte dei testimoni anti Sand Creek apparteneva al 1° Colorado, i difensori al 3°.
Il tribunale terminò i lavori il 30 maggio 1865 senza raggiungere un verdetto. Non ci fu alcuna azione contro Chivington e i suoi soldati.
Poi la battaglia cadde nell’oblio. Stan Hoig nel suo libro “The massacre of Sand Creek”, edito nel 1961 scrive dell’abbandono e della desolazione del luogo dove fu combattuta.
L’interesse per il Sand Creek si risvegliò negli anni 70 a seguito della pubblicazione di libri come “Bury my heart at Wounded Knee” di Dee Brown e “Cheyenne Autumn” di Mari Sandoz in cui gli indiani venivano visti come vittime e eroi e i soldati come vili e barbari assassini.
Nel 1970 il regista Ralph Nelson girò Soldato Blu, una metafora degli oppressi e un atto d’accusa contro le atrocità commesse in Vietnam e, in special modo, l’uccisione di civili a My Lai.
In questo film i Cheyennes si vedono solo un paio di volte, all’inizio, quando attaccano un carro paga scortato dai soldati e alla fine, quando un loro villaggio viene distrutto dal pazzo Colonnello Iverson, interpretato da John Anderson, uno show di violenze, stupro e massacro peraltro ben poco attinente alla realtà storica del Sand Creek.
Nel post Washita il Generale Sheridan giustificò l’attacco con l’implicazione di Black Kettle e del suo popolo nelle razzie in Kansas. In un rapporto datato 1 gennaio 1869 scrisse che nel villaggio erano stati trovati alcuni muli razziati al convoglio del Capitano Carpenter, lettere rubate dalla posta di un corriere ucciso e fotografie provenienti dai raids sui fiumi Salomon e Saline dell’agosto 1868.
Nel novembre 1869 lo stesso Sheridan scrisse ancora: “Trovammo nell’accampamento di Black Kettle fotografie, dagherrotipi, vestiti e oggetti presi dalle fattorie delle persone massacrate sui fiumi Salomon e Saline, la posta di due corrieri, Ned Marshall e Billy Davis, uccisi e mutilati e un grosso libro di disegni fatti dagli indiani che mostravano alcune battaglie combattute dalla banda di Black Kettle intorno a Fort Wallace, e con immagini di carri catturati e donne uccise”. Oggetti simili erano stati rinvenuti anche nel villaggio sul Sand Creek.
Il 9 febbraio 1869 il Missouri Democrat pubblicò una lettera anonima che accusava Custer di aver abbandonato Elliot e i suoi soldati al loro destino. In seguito il Capitano Benteen si attribuì la paternità della missiva, che era stata spedita a un amico da Fort Cobb il 22 dicembre 1868 e pubblicata a sua insaputa. Benteen accusava Custer di aver consapevolmente abbandonato Elliot e di non aver fatto nulla per cercarlo, pur avendone tutto il tempo, mentre i suoi soldati radunavano i prigionieri, facevano l’inventario dei beni requisiti e uccidevano i ponies indiani.
Ci fu un aspro confronto tra i due e gli strascichi di questa disputa si sarebbero protratti fino al Little Big Horn.
Nel 1970 il regista Arthur Penn, nel film Piccolo Grande Uomo, dipinse l’attacco sul Washita come un massacro in cui Custer e i suoi uomini, come vili assassini, uccidono uomini, donne e bambini senza alcuna pietà.
Jack Crabb (Dustin Hoffman), un bianco che aveva scelto di vivere con i nativi, riesce a fuggire, insieme a Old Lodge Skins (Dan George), un capo Cheyenne cieco, ma sua moglie Sunshine e il figlioletto vengono spietatamente assassinati dai soldati, insieme alla maggior parte degli abitanti del villaggio.
Custer (Richard Mulligan) viene dipinto come un vanitoso cacciatore di gloria e un massacratore di indiani che impazzisce e soliloquia come Amleto durante la battaglia del Little Big Horn.
Anche questa rappresentazione del Washita e ben poco attinente alla realtà.

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